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18-12-2013

 

Eleonora, considerazioni intorno a una bozza di tesi

Si è visto fin qui quali idee e quali scoperte sono state portate avanti nel corso del novecento e dell’ottocento nei campi della logica, della matematica, e di quella che tutt’oggi si definisce Intelligenza artificiale.

Inizierei a porre l’accento su due autori che credo siano fondamentali nel discorso che voglio intraprendere: Wittgenstein e Turing. Si è visto che Wittgenstein cerca di argomentare il suo concetto di significato inteso come uso spiegando come si segue la regola che sottostà all’utilizzo di un termine, o concetto, e come questo sia un effetto del percorso di addestramento che riceve l’essere umano. Si è visto anche che il termine addestramento ricorre in Turing, quando cerca di rendere plausibile l’idea di una macchina intelligente, e che il concetto di regola, anche se sembra a prima vista slegato dal processo educativo, rimane comunque sullo sfondo, in quanto, affinché possa esserci addestramento, la macchina dev’essere fornita di istruzioni, cioè regole, che gli permettano di elaborare i dati che le vengono immessi.

Mi è parso che ci sia tra i due autori una sorta di continuità di pensiero: credo che si possa sostenere che il discorso di Wittgenstein possa essere applicato, in parte, alle macchine, così come il discorso di Turing può essere utile per rispondere alla domanda “Come pensano gli esseri umani?”. Ovviamente, questa connessione tra gli aspetti essenziali del discorso di questi due autori, sarà più facile da sostenere, anche grazie all’aiuto che forniranno le tesi di Boole, Babbage, von Neumann e delle reti neurali.

Comincerei a definire innanzi tutto due termini importanti: addestramento e regola.

Cos’è l’addestramento? Lo si potrebbe definire come un flusso di informazioni che passa da A a B e che modifica B in seguito all’assunzione di una certa informazione che A gli ha trasmesso.

Faioni: non basta, occorre che B sia in condizioni di riprodurre questa istruzione che ha ricevuta, perché detta così, cioè come un flusso di informazioni che passa da A a B e modifica B è troppo vaga, anche un colpo di pistola risponde a questo requisito, basta considerare la pallottola come un flusso di informazioni che penetra in B e lo modifica… quindi occorre qualche cosa in più, cioè la possibilità di riprodurre questa informazione in assenza del flusso perché se no sarebbe come ogni volta A dovesse dare l’informazione perché B la esegua mentre non è così una volta che B ha tutte le informazioni può andare avanti da solo.

 Affinché questo flusso di informazioni abbia effetto, B dev’essere nella condizione di ricevere questo flusso di informazioni, cioè, B dev’essere nella condizione di cogliere una certa informazione e di elaborarla. Come può elaborare l’informazione che riceve? Attraverso delle istruzioni, cioè delle regole che gli permettono di elaborare, ma anche di utilizzare le informazioni ricevute, in modo corretto E autonomo La regola, quindi, è un’istruzione che governa l’elaborazione e l’impiego di una certa informazione.

Per ricevere le informazioni B dev’essere predisposto per riceverla, cioè deve avere delle istruzioni che gli consentono di sapere che 1) ciò che riceve sono delle informazioni, 2) che queste informazioni possono essere elaborate, 3) come elaborare le informazioni ricevute per produrre, per esempio, delle risposte.

L’essere umano in questo senso è una sorta di “raccoglitore” di informazioni che vengono gestite, utilizzate, grazie a delle regole semplici e ben precise, cioè seguendo tali regole. Come viene detto da Wittgenstein, seguire una regola è come obbedire ad un comando, cioè attenersi agli ordini che vengono forniti dall’istruzione. L’istruzione, quindi, dà ordini, ma per potere seguire questi ordini è necessario che ci sia preventivamente un qualche cosa che metta nelle condizioni di seguire degli ordini o comandi, una sorta di sistema, o programma, entro il quale l’istruzione possa esser colta e avere significato.

Affinché un’informazione venga colta questa deve avere un significato, perché se non ce l’avesse potrebbe essere intesa in un modo diverso, o comportare risposte totalmente imprevedibili o assenti. Questo significato, inoltre, dev’essere un significato non equivoco, ma soprattutto stabilito, nel senso che il significato non è univoco per una qualche sua prerogativa intrinseca, ma, come dice Wittgenstein, è qualcosa che si stabilisce grazie ad un uso ripetuto, cioè per mezzo di un addestramento che crea una certa capacità di operare coi segni, ovvero permette di seguire le regole che sottostanno al significato dei termini.

Faioni: si qui occorrerebbe distinguere tra il linguaggio della macchina e il linguaggio naturale, adesso non si capisce se tu stai parlando dell’uno o dell’altro, perché nel linguaggio delle macchine sì certo, ma il linguaggio naturale non è così univoco, abbiamo visto che qualunque definizione che trovi sul dizionario di una parola, se la cerchi su un altro dizionario questa definizione non è esattamente la stessa o può non essere la stessa, quindi non è così sempre univoco. Devi sempre precisare se parli del linguaggio delle macchine o del linguaggio naturale poi risolvere questa questione se il linguaggio naturale non è così univoco. O articoli lì la questione della differenza tra il linguaggio della macchina ma mi pare che tu ne parli ad un certo punto di questa differenza.

 

Significato referenziale e significato inferenziale

 

Il significato di una certa informazione può essere inteso sia in termini referenziali che in termini inferenziali: nel primo caso, il significato di un termine sarebbe l’oggetto che la parola denota; nel secondo caso, il significato è la produzione di una serie di connessioni che i termini intessono all’interno del discorso in cui sono inseriti.

A che cosa si riferisce un termine, in prima istanza? Al significato che è stato deciso, che è stato definito, quello del dizionario, per intenderci. Il dizionario dice: “tavolo indica un piano sorretto da uno o più supporti” e questo è il significato di tavolo, l’uso referenziale di questa parola. Ma il termine “tavolo” può essere utilizzato anche in altri modi, non solo per riferirsi all’oggetto.

Faioni: adesso non mi ricordo hai già precisato che il significato referenziale non è all’oggetto “tavolo” ma alla definizione, perché questa questione è fondamentale perché l’obiezione che ti fa qualunque filosofo analitico che il referente non è la definizione di tavolo ma è il tavolo, il referente…

 

Per esempio, possiamo utilizzare la parola tavolo in “tavolo delle trattative”, intendendo con questo una riunione di persone che si incontra per discutere e trovare un accordo su certi problemi. Qui “tavolo” non ha più l’accezione di “piano orizzontale sorretto da uno o più supporti”, ma come “luogo di incontro”; ma se non ci fosse la designazione precisa di “tavolo”, quella del dizionario, per intenderci, non sarebbe possibile costruire la proposizione “tavolo delle trattative”.

Faioni: bisognerà inserire qualche cosa qui sì, sapere che cos’è un tavolo, ma saperlo esattamente, sapere dare una definizione? Uno può usare questa formulazione “tavolo delle trattative” anche senza essere in grado di dire esattamente cosa sia un tavolo, anche perché dire esattamente cos’è un tavolo è difficile (…) sì uso corrente ma questo uso qual è? (l’uso del tavolo è questo) ecco quindi è un riferimento referenziale all’oggetto, quindi un riferimento visivo non cognitivo o teoretico…

Quindi c’è 1) un primo significato, per così dire, che è quello che ci dice che una certa parola è utilizzabile perché ha un significato (quello stabilito dal dizionario), e 2) se questa parola è utilizzabile allora questa può venir utilizzata all’interno di discorsi, assumendo così, una quantità enorme di significati. Il significato, cioè, diventa “inferenziale”, cioè si può assumere all’interno di diverse combinatorie attraverso un metodo che consente di mettere in connessione quell’elemento con gli altri presenti nel discorso, così come l’esempio di “tavolo delle trattative”.

A questo punto possiamo dire che una teoria semantica necessita tanto di un aspetto referenziale quanto di un aspetto inferenziale: “referenziale” perché indica qual è l’uso del termine che verrà usato e “inferenziale” perché rende una parola utilizzabile senza che il suo riferimento sia l’oggetto.

Arrivati a questo punto, qual è il passo successivo?

L’aspetto inferenziale indica che il significato di una parola è derivabile, traibile, deducibile dal gioco in cui la parola è inserita, e cioè dal discorso in cui è inserita.

Ma il discorso in cui questa parola è inserita contiene anche altre parole, per esempio “il tavolo delle trattative” contiene anche “trattative”: parola che anch’essa deve avere un significato. Ed è qui che si pone, per esempio il problema dell’“infinitizzazione del significato”. Quando definisco il tavolo come “piano orizzontale sostenuto da uno o più supporti” tutte queste parole che io utilizzo hanno a loro volta il loro significato, e ciascuna di queste parole che servono per definire un termine, a loro volta hanno altri significati, e così via dicendo, fino ad arrivare a domandarsi quale sia il significato di significato. Ad un certo punto si entra in una sorta di loop, cioè, la ricerca di un significato, per così dire, ultimo continua a ripetersi all’infinito. In questo caso più che un loop è una sorta di sbarramento, un’impossibilità a procedere.

Ma per uscire da questo loop, o sbarramento, può essere utile domandarsi se nelle macchine sussiste o meno questa infinitizzazione di significati. Si è già detto precedentemente, che le macchine usano un linguaggio logico – algebrico, cioè un linguaggio formalizzato, cioè un linguaggio in cui ciascun elemento che interviene ha un unico significato, un significato univoco, e che non è debitore di altro, ovvero di altri sotto-significati da andare a ricercare affinché il primo significato risulti non equivoco.

Faioni: questo nelle macchine attuali sì, però tecnicamente potrebbero anche pensare come gli umani e cioè fare tutte queste cose, e allora in questo caso per esempio se una macchina “volesse” cercare il significato come fa, per esempio Word ti da dei sinonimi, quando tu selezioni una parola ti fornisce un a lista di sinonimi, perché questa lista è finita e non infinita? Perché tu cerchi il sinonimo di quella parola è chiaro che ciascuna parola che tu utilizzi ha altri sinonimi però la macchina si riferisce unicamente a quel termine e quindi quando tu cerchi il significato di un termine di fatto questa ricerca non si infinitizza tecnicamente, perché a te interessa il significato di quel termine e non i significati delle parole che lo compongono, è per questo che il discorso degli umani non si infinitizza né si infinitizza il percorso che fa una macchina. Certo, la questione che poni esiste, esiste nella ricerca del significato ultimo, per stabilire se un certo significato è il significato di ultima istanza allora sì, per sapere se è così devi conoscere anche i significati di tutti i componenti e ciascuno di questi componenti avrà altri significati, questo è ciò che rende impossibile stabilire il significato di ultima istanza, cioè il significato del significato, ma per sapere solo il significato di una parola, come hai fatto tu d’altra parte, il significato di “tavolo” è riconducibile a una breve serie di parole più che sufficienti per definirlo e questo rende conto del significato così come viene usato nel linguaggio naturale, che ovviamente non va a cercare il significato del significato. Il problema torno a dire si pone nel momento in cui si cerca un significato che sia quello definitivo, cioè il significato di ultima istanza, allora si incontrano questi problemi effettivamente se no, no. Tu chiedi i sinonimi a Word lui ti dà una lista di quindici sinonimi e basta, perché è programmato per indicare i sinonimi che gli sono stati immessi però se tu cominciassi a cercare ciascuna volta i sinonimi anche di tutte le parole della lista che lui ti propone come sinonimi di una certa parola allora sì puoi andare avanti teoricamente all’infinito e allora si produce quel loop di cui dicevi… Sono questioni che magari non tratti lì in quel punto però interverranno prima o poi nel tuo scritto, quando affronterai la differenza fra linguaggio naturale o più propriamente l’uso del linguaggio naturale e invece la ricerca filosofica o analitica del significato ultimo, del significato del significato che non può reperirsi per i motivi suddetti, sarebbe la ricerca ontologica del significato “che cos’è realmente il significato?” ma nel linguaggio comune e anche nel linguaggio delle macchine questa cosa non ha nessuna rilevanza. Una macchina non si chiede che cos’è esattamente un significato né una persona se lo chiede, semplicemente lo usa. I filosofi analitici si sono adoperati per trovare il significato del significato, il significato di ultima istanza, sapere che cos’è esattamente un significato, cercando in questo modo una sorta di Essere del significato, cioè virando verso l’ontologia, sapere che cos’è una certa cosa in questo caso la cosa è il significato, però al di là, al di fuori di questa ricerca ontologica la questione non ha nessun rilievo ma se compi questa operazione allora succede quello che dici tu cioè ci si trova in un loop. Cosa accadrebbe se si dicesse a una macchina “ogni volta che cerchi il significato di una parola devi cercare anche il significato di tutte le altre e poi il significato di ciascuna di queste altre e così via”, temo che si porrebbe il problema della fermata della macchina, cioè c’è un calcolo che non può eseguire, non può eseguire perché è auto referente, a un certo punto ritorna da dove è partito, non c’è una soluzione…

Per una macchina, un elemento che le viene immesso ha un significato ben preciso e questo significato corrisponde a quello che io voglio che abbia, cioè un determinato termine significa per la macchina ciò stesso che significa per me.

Faioni: c’è un problema però (manca il pezzo in cui parlava del “questo è questo”) tu parli del “questo è questo”, in questo caso se il significato è necessariamente un rinvio allora nel “questo è questo” il questo a cosa rinvia? Dovrebbe rinviare a se stesso, oppure il primo questo non è il secondo questo? Occorre risolvere la questione dicendo che nel “questo è questo” c’è un primo questo che incomincia a esistere in base al secondo, teoricamente se dobbiamo mantenere che un significato è un rinvio allora dobbiamo dire che nel caso della formulazione “questo è questo” il primo questo rinvia al secondo, ma che cos’ha di speciale il secondo rispetto al primo? Ché apparentemente non sono più la stessa cosa, è come se il secondo questo confermasse il primo, dando al primo una sorta di esistenza, e cioè il primo questo trae la sua esistenza dal secondo che lo conferma. Allora in questo caso vale ancora il fatto che un significato sia un rinvio oppure il “questo è questo” non è ancora un significato ma lo diventa nel momento in cui questa proposizione o questo dato, in questo caso va considerato come un dato, può giocare con altri dati, però se non fosse un significato non potrebbe essere utilizzato né dalla macchina né dall’umano, quindi dire che non è un significato è come dire che non è un elemento linguistico e se non è un elemento linguistico non può in nessun modo essere utilizzabile. Quindi necessariamente la proposizione, il dato “questo è questo” deve essere un significato e il significato viene fornito dalla ripetizione di questo. È una questione un po’ complicata magari al vediamo un po’ più avanti quando sarà opportuno articolarla.

 Per esempio “se vedi x fai y” non è una proposizione equivocabile, nel senso che se gli è stato detto cos’è esattamente x, cos’è esattamente y, allora la macchina agirà sulla base dei comandi che le sono stati inseriti. Come nella macchina di Turing, che agisce sul nastro in un certo modo, seguendo delle regole, se incontra certi simboli, la lettura dei simboli non è equivocabile e non ha bisogno di altre istruzioni se non quelle che ha già e che consentono alla testina di spostarsi in avanti, o indietro, o stare ferma. Per la macchina il significato, quindi, è univoco, non è ambiguo. Per gli umani invece sembra di sì. Ma è proprio così?

Quando vi è una trasmissione di dati in una macchina, non vi è ancora la possibilità di costruire inferenzialmente un significato, ma esso viene solo statuito, stabilito. Vi è però un modo per far sì che questo accada, cioè intendere il significato come rinvio, ovvero un termine, o elemento, ha un significato se rinvia a qualcos’altro, a un altro significato. Questo rinvio si può intendere come un comando grazie al quale si può consentire alla macchina la costruzione di sequenze, all’inizio molto semplici, ma connettibili ad altro grazie a istruzioni ben precise.

Vediamo di farla più semplice. Partiamo da comandi molto semplici “se c’è questo segno x tu fai y”: la macchina prende atto di questo comando e se vede la x fa y e non si chiede perché. “Se vedi x1 anziché y esegui z”, la macchina esegue; “se vedi p devi sapere che p non è x, e se vedi p allora non ci sarà né y né z” e la macchina esegue di nuovo. Queste sequenze sono tutte istruzioni, o meglio algoritmi, che la macchina segue per formare proposizioni, stringhe di significati, regole che le permettono di funzionare correttamente e di concludere con operazioni corrette. Per dirlo in termini wittgensteiniani, la macchina “segue la regola ciecamente”, meccanicamente, senza riflessioni di alcun tipo, legge l’istruzione e procede.

La macchina quindi lavora con un linguaggio formale, cioè un linguaggio i cui significati hanno un referente unico, ma sembra che il passaggio da questo tipo di linguaggio a quello “naturale”, cioè un linguaggio i cui significati non sono solo referenziali ma anche inferenziali, costruito in modo tale da poter prendere decisioni, operare delle scelte, modificare i significati dei termini a seconda dell’uso che se ne fa, non possa attuarsi nelle macchine, nel senso che un linguaggio formale non attua modificazioni, semmai esegue istruzioni.

Nei linguaggi formalizzati ogni elemento, ogni simbolo è univoco, non ha possibilità di modificarsi o diventare un’altra cosa, ciò che è necessario per la costruzione di formule ben formate non può essere modificato (una congiunzione non può essere modificata in nessun modo. Il connettivo “congiunzione”, per esempio, non può in nessun modo essere modificato, se modificassimo il significato del connettivo “congiunzione” i linguaggi formalizzati non opererebbero più).

Faioni: l’obiezione che si può fare è che questo poteva valere per le prime macchine, in effetti oggi ci sono dei significati che non sono così determinati, per questo motivo in informatica si usa una semantica con più valori di verità cioè vero/falso e poi più o meno falso, più o meno vero, però anche questo una volta che è stato deciso e la macchina o il programmatore ha deciso che al “più o meno falso” gli da un valore, comunque una volta stabilito questo quel valore deve essere utilizzato sempre in quel modo, io posso stabilire che questa cosa non è né vera né falsa è più o meno vera, si avvicina per esempio da 0 che è falso a 1 che è vero anziché essere 01 è 0,9 oppure 0,7 però quando ho stabilito che è 0,7 questo non variare a suo piacimento per cui di fatto, comunque l’uso di un termine per una macchina deve rimanere univoco, non può variare, come dicevi la congiunzione non può essere utilizzata come un “non” se no non funziona più niente.

Se però si riflette un po’ su come avviene l’addestramento per gli uomini, si nota che, inizialmente, ciò che viene insegnato è un linguaggio i cui significati sono solo referenziali e solo successivamente, si presentano significati inferenziali; in altri termini, si potrebbe dire che, inizialmente viene insegnato un linguaggio formale, che solo dopo, per mezzo di ulteriori informazioni, viene implementato e organizzato come linguaggio naturale. Gli uomini inizialmente non si comportano molto diversamente da una macchina. Come ammetteva anche Turing, la macchina non è molto diversa da come si comporta un bambino piccolo: egli si trova nella situazione di ricevere molte informazioni e istruzioni, che elabora, ripetutamente, stabilendo degli assiomi che serviranno come base sulla quale costruire sequenze, proposizioni.

 Ricordiamo l’esempio che facevo prima del “tavolo” e del “tavolo delle trattative”. Nel primo caso “tavolo” ha un significato referenziale, quello che impone il dizionario; nel secondo caso, in “tavolo delle trattative”, il significato di “tavolo” cambia, non è più esattamente lo stesso del primo. Cosa è intervenuto? Questo elemento “tavolo” è stato inserito all’interno di un’altra combinatoria, di un altro gioco linguistico che ne ha alterato il significato, cioè l’ha utilizzato in un altro modo, che non è esattamente quello referenziale ma diventa inferenziale, e cioè come dire che il “tavolo” non è più soltanto quel piano orizzontale sorretto da uno o più supporti, ma è anche il luogo dove le persone si incontrano.

In un linguaggio formale, dunque, ci soltanto calcoli proposizionali, calcoli dei predicati, si tratta soltanto di stabilire delle sequenze e verificare se queste sequenze sono vere in base a regole stabilite. Non c’è altro, quindi non c’è nessuna semiosi né finita né infinita, il significato è sempre e soltanto il valore di verità della sequenza, nient’altro.

Faioni: la semiosi in questo caso è finita non è infinita, perché il valore di verità è derivabile appunto dalle regole per cui è finita cioè puoi stabilire se è vero o falso una volta che è stabilita è finita.

Nelle lingue naturali il significato non può modificarsi.

Si tratta quindi di capire come avviene che il linguaggio referenziale venga implementato in modo tale da diventare linguaggio naturale.

Si è detto che le macchine hanno bisogno di informazioni e istruzioni per elaborare tali informazioni, e che queste vengono immesse dal programmatore. Quando gli esseri umani imparano a parlare non è molto diverso, perché anche a loro vengono trasmesse informazioni e regole per elaborarle. Tali informazioni, però, per essere processate ed elaborate, devono significare qualcosa, devono cioè rinviare a qualcosa affinché possano essere utilizzate. Per la macchina, in che modo quel certo simbolo e quella certa informazioni, può significare qualcosa? Si è pensato di intendere il significato come rinvio, un rinvio che all’interno del programma viene stabilito affinché il programma stesso funzioni. Anche per gli umani è la stessa cosa? Cioè, anche per gli umani un significato non è nient’altro che un rinvio stabilito? Se per gli umani, così come per le macchine, il significato fosse semplicemente un rinvio, e cioè un’informazione insieme con un’istruzione per poterla processare, queste istruzioni che si utilizzano per potere processare l’informazione, sono le stesse istruzioni che fornisce la logica formale per costruire una formula ben formata: connettivi, variabili enunciative, variabili proposizionali, punteggiatura, parentesi … Questo è ciò che definisce la formula ben formata, queste sono le istruzioni per costruire una formula ben formata e sulla base di queste, gli umani possono costruire altre proposizioni quindi altre informazioni e addirittura altre istruzioni, che tuttavia hanno sempre e comunque alla base queste istruzioni fondamentali. Si possono anche pensare come gli algoritmi con cui “lavorano” gli esseri umani per costruire i loro discorsi. Algoritmi che stanno alla base della costruzione di altre proposizioni, significati, modelli per l’elaborazione di altre informazioni. Si può dire anche, in altre parole, che è sulla base di un sistema formale che è possibile la formazione di un sistema inferenziale, quindi la formazione del linguaggio ordinario, naturale.

Faioni: C’è un aspetto che merita di essere articolato e cioè che cosa differenzia esattamente un sistema referenziale da un sistema inferenziale, sembra che siano delle regole, nel caso che sia referenziale il termine si riferisce, nel linguaggio comune, si riferisce all’oggetto, a ciò che la parola denota, questa è la regola, ogni volta che trovi la parola questa parola significa l’oggetto che denota, semplice, nel caso di un significato referenziale, l’oggetto che denota oppure come più propriamente siamo portati a considerare, la definizione del dizionario, adesso lasciamo stare che la definizione potrebbe non essere esattamente la stessa anche perché l’oggetto che denota anche quello potrebbe non essere sempre esattamente lo stesso, anzi non lo è mai, quindi non è questa la questione. Nel significato inferenziale invece è come se si utilizzassero o meglio si aggiungessero delle altre regole oltre a quelle referenziali, facciamo l’esempio che tu facevi del “tavolo delle trattative”, com’è che si produce un terzo significato “tavolo delle trattative” dai significati di “tavolo” e di “trattativa”? perché non è più un significato soltanto referenziale quindi non c’è più riferimento alla parola, oggetto o definizione, e non è neanche composizionale come tu stessa rilevi in modo preciso, quindi c’è un’altra regola, e cioè ci deve essere un qualche cosa che consente di connettere due significati per formularne, per costruirne un terzo che prima non c’era, che è letteralmente costruito, e non è neanche implicito in nessuno dei due termini, non è compreso in uno dei due termini, nel tavolo non è compreso un luogo di incontro, il tavolo è un aggeggio certo non è impossibile, è chiaro che non è impossibile se no non si potrebbe produrre quel terzo significante e così per quanto riguarda “trattative”. Occorre allora un’altra regola e questo ci induce a considerare che la differenza tra significato referenziale e quello inferenziale è propriamente una differenza tra regole d’uso, nel primo caso la regola d’uso è più semplice, adesso diciamola così in termini molto rozzi, in quanto si riferisce un termine, una parola, si riferisce a una certa cosa, che sia l’oggetto, che sia la definizione del dizionario adesso non ci interessa, nel caso invece del significato inferenziale allora la regola è diversa, non si riferisce più al significato del dizionario ma fa qualche altra cosa, cosa fa? Crea una nuova possibilità di utilizzo dei termini, cioè quando parlo di “tavolo delle trattative” io ho costruito un qualche cosa a partire da due significati in base a una certa regola che mi dice che se io accosto un significato di una parola al significato di un’altra, se questi due significati hanno degli elementi convergenti o degli elementi comuni, io posso trarre l’elemento comune e utilizzare quello come un altro significato che è esattamente quello che fa la retorica tra l’altro, una qualunque metafora fa questo. Certo noi dobbiamo mantenerci lungo una certa via, però ci sarebbero tante cose da dire qui riguardo alla retorica, ma un accenno potrai farlo e potrebbe essere questo, e cioè il fatto che la costruzione di una figura retorica è sicuramente un significato inferenziale ma questo significato inferenziale è producibile perché esistono delle regole particolari che in questo caso sono quelle per esempio della costruzione di una metafora, e la costruzione di una metafora segue regole che non sono affatto quelle referenziali, per nulla, anche se è necessario che ci siano ovviamente, se no, se tu non conoscessi nessun significato dei termini che vengono utilizzati per una metafora per te non ci sarebbe nessuna metafora, sarebbe niente, sarebbe una sequenza di elementi, mentre una metafora è costruita perché si utilizzano regole differenti che non sono quelle referenziali ma sono quelle inferenziali.

Faioni: (quando gli esseri umani imparano a parlare non è molto diverso perché anche a loro vengono trasmesse informazioni e regole per elaborarle…) qui va detto un po’ meglio “deve avere un significato”, un significato però bisogna che la macchina sappia che cos’è, che sappia riconoscerlo, non basta che abbia un significato, se tu devi addestrare un bambino piccolissimo, per te le cose hanno un significato però quando tu dici qualche cosa occorre che questo significato, anche questo funzioni per il bambino come un significato di qualche cosa, cioè lo accolga come tale, se no non reagisce al tuo addestramento e queste sono le istruzioni che vengono fornite mano a mano e cioè anche sapere che una certa cosa è un significato e che tutto ciò che si dice significa qualche cosa ma come si fa? Come si fa a trasmettere che una certa cosa è un significato? O ha un significato? (indicando un oggetto) però è un modo perché una delle istruzioni è questa “se c’è un elemento ce n’è un altro”, per esempio, adesso per una macchina è più semplice per un umano occorre insistere e quindi bisogna dirglielo tante volte perché come direbbero i fisiologi se no non supera la soglia e nel neurone non passa l’impulso elettrico, la scossa elettrica. L’istruzione di base è che se c’è un elemento allora ce n’è un altro, ciascun elemento è riferito a un altro sempre, e cioè se c’è x allora c’è una y o c’è un x1, x2 eccetera, come si potrebbe formalizzare una cosa del genere? Come ha fatto Peano:

 

0.     No e Cls

1.     0 e No

2.     a e No .É. ae No

Lege:

0.     No es classe, vel “numero” es nome commune.

1.     Zero es numero.

2.     Si a es numero, tunc suo successivo es numero.

 Se 0 è un numero allora ogni numero ha un successore, è un comando e così se c’è una x allora c’è un altro elemento, allora x1, x2, xn per esempio. Per tutte le x se x allora x1, x2, xn cioè è connesso con altri elementi. Questa è l’informazione che deve avere per sapere che un elemento è un elemento all’interno di un sistema cioè rinvia ad altre cose, questo è lo schema per apprendere il significato: se c’è un elemento allora ce n’è un altro.

Faioni: (queste sono le istruzioni per costruire una formula ben formata e sulla base di queste gli umani possono costruire altre proposizioni) questo non è ancora un significato, cioè ciò che gli consente di costruire una formula ben formata, perché ci sia un significato ci deve essere un valore di verità, per esempio A É B è vera in certe condizioni, e cioè una semantica, e cioè una tecnica per ottenere un significato che in questo caso è vero o falso, non so se lo dici dopo non mi ricordo bene perché tu ti chiedi come si struttura un significato in una macchina e parli delle formule ben formate e va benissimo, però non è sufficiente, ci vuole sì una sintassi ma ci vuole anche una semantica e tu hai descritto solo la sintassi, e la semantica? Che poi di fatto è quella che ti interessa perché ti interessa dire come si struttura un significato. Prima di parlare delle formule ben formate tu dici qualcosa del significato (se per gli umani come per le macchine il significato è semplicemente un rinvio e cioè un’informazione insieme con un’istruzione per poterla processare queste istruzioni che si utilizzano per poter processare le informazioni sono le stesse istruzioni che fornisce la logica formale per costruire una formula ben formata), è qui che manca qualcosa, perché una formula ben formata possa avere un valore di verità e cioè possa rinviare al vero o al falso, perché questo è il suo significato, occorre una semantica, e cioè stabilire delle regole che sono poi le tavole di verità, qual è la regola per stabilire il significato di una formula ben formata? Ecco tu in questo caso puoi dire la sintassi e poi per esempio le tavole di verità per stabilire una semantica, queste sono le regole per stabilire se una certa formula è vera o è falsa, per sapere qual è il suo significato, abbiamo costruito un modo per costruire il significato attraverso una sintassi e una semantica.

Quando si iniziò a pensare di costruire i primi calcolatori e le prime macchine, chi si dedicò a questa impresa, prese come modello soprattutto il sistema di ragionamento e, poi il cervello, degli esseri umani pensando che il modo in cui si muove l’essere umano, nel formulare proposizioni, nell’elaborare calcoli, e nell’apprendere, fosse riproducibile in qualcos’altro che funzionasse allo stesso modo, cioè elaborasse informazioni, riconoscesse qualcosa come informazione, e che attraverso istruzioni, regole, potesse muovere da premesse e inferire conclusioni. Ciò che però era importante era il fatto che queste macchine dovessero riconoscere le informazioni prima di poterle utilizzare, dovevano avere un significato.

Prima di dare la possibilità ad una macchina di procedere nell’elaborazione dei dati, ovviamente la si deve dotare di una struttura portante, un hardware (fili elettrici, cavi, interruttori, porte input e output…), paragonabile al corpo degli uomini, o meglio al cervello, un organo il cui funzionamento è stato, ed è tutt’ora, messo in analogia col funzionamento delle macchine e utilizzato come modello per la formazione delle reti neurali artificiali, come si è già spiegato. Ma oltre a questa struttura portante è indispensabile che ci sia un sistema che possa essere messo nella condizione di lavorare assieme a ciò che è prettamente meccanico (o organico), cioè il software, un programma, un sistema operativo, che riconosce, per mezzo di istruzioni, le informazioni, i significati di queste e che lavora sulle loro possibili combinazioni. È importante però sottolineare che l’elemento fisico non è il luogo dove si produce il linguaggio (sia esso naturale o artificiale), nel senso che non è, per esempio nelle macchina, dai fili elettrici, dai cavi, etc, che si produce il fenomeno linguistico, ma è dal programma, grazie alle sue regole e istruzioni, che si produce quella combinatoria che permette di creare proposizioni e calcoli.

Nella macchina, si tratta soprattutto di immettere un’informazione che essa è in grado di riconoscere, così come nell’umano si tratta di fornire elementi che è in grado di riconoscere e utilizzare, ma questi elementi una volta inseriti, non vengono elaborati dall’hardware ma dal software. Vi è sì un lavoro anche nelle componenti meccaniche, ma ciò che lavora connettendo elementi, combinando dati, inferendo da un simbolo all’altro, è il programma, che segue regole ben precise.

Inizialmente, si insegnano all’uomo termini, cioè parole che si riferiscono a oggetti. Solo successivamente, per mezzo di un processo educativo, o addestramento, la persona riuscirà a combinare questi termini in modo da formare proposizioni. Le stesse regole combinatorie verranno insegnate, cioè immesse, come istruzioni per “giocare” con le parole. Ma questo primo passo non è molto diverso da quello che viene compiuto con le macchine. La macchina infatti può venir addestrata a rispondere a certi input e a fornire certi output, cioè risposte, se gli si forniscono delle regole e se gli si forniscono degli algoritmi che le permettono di lavorare sulle informazioni che gli vengono trasmesse.

Un algoritmo che le si può “insegnare”, cioè immettere, può essere molto semplice: “se vedi x fai y” e la macchina non avrà nessun problema a fare ciò che l’istruzione sta comunicando. Basta che “se vedi x fai y” venga dotata di un certo significato, un significato composizionale in questo caso, poiché la macchina, per capire l’istruzione, deve sapere prima che cosa sia x, che cosa sia y, e le regole dell’implicazione. Ma questo significato non è altro che un rinvio, cioè per poter utilizzare i termini x e y, il loro significato deve rinviare all’implicazione in cui essi sono inseriti e questo rinvio è regolato, cioè segue regole ben precise, regole che le sono state immesse, “insegnate”; questo rinvio non è lasciato al caso.

Wittgenstein e la macchina

Quando Wittgenstein dice che “il modo in cui la formula viene intesa determina quali passaggi si debbono compiere”, lo si può pensare come un’osservazione intorno al problema dell’algoritmo: quando si impari a giocare a scacchi, una volta che si sono apprese le regole, le varie partite sono tutte presenti? Come si è già spiegato, ovviamente no, non sono presenti, però queste partite possono essere giocate anche se non ci sono, nel senso che, una volta che ho appreso una certa competenza, cioè una volta che ho imparato le regole del gioco, se mi si propone di giocare a quel gioco, io saprò giocarci. La funzione di un algoritmo è mettere in condizione di potere svolgere un compito in tutte le sue varie forme qualunque siano le variabili che intervengono: se io dico “alzare la matita”, se lo pongo come un algoritmo, significa che ogni volta che dico la parola “alzare” so che questo significa prendere un oggetto e sollevarlo dalla posizione in cui si trovava prima. Allo stesso modo, una macchina, una volta che acquisirà le regole del gioco degli scacchi, saprà applicare quelle regole che le sono state “insegnate”, una volta che le si presenterà la situazione del gioco degli scacchi, non prima. Perché? Perché le si è fornito un algoritmo, cioè regole che le permettono di giocare correttamente quando glielo si richiede, o, detto diversamente, un metodo che mi consente di fare B ogni volta che appare A.

Quindi la macchina dimostrerà la sua competenza del gioco, quando seguirà correttamente le regole del gioco: Wittgenstein, infatti, dice che “una attività governata da regole implica una regolarità nel comportamento”, e ciò significa che se si sono comprese le regole lo si può notare da come si comporta l’uomo, ma questo succede anche alla macchina: si può capire se sta seguendo la regola correttamente da come risponde, cioè da come si comporta, se soddisfa, in un certo senso, le aspettative del sue programmatore. Dal momento che la regola non è nient’altro che l’esecuzione di un’istruzione, questa istruzione poi la si può seguire oppure no, ma se si parla di comportamento “nella sua esecuzione” è chiaro che se esegui questa regola, il comportamento è regolare, corretto, perché è vincolato a quella regola, se non la segui ovviamente non sta seguendo la regola di quel gioco, ma semmai di un altro. Se io gioco a scacchi, cioè seguo, applico le regole degli scacchi, non posso violare una regola, perché se no non giocherei più a scacchi, per cui o seguo la regola, e allora la seguo correttamente, oppure non la seguo e allora faccio un’altra cosa.

E qui si introducono altre due questioni: 1) il seguire la regola non è credere di seguire la regola. Se seguire una regola ha una certa definizione, cioè, per esempio, ogni volta che succede l’evento A tu fai B, allora se fai questo tu non credi di seguire la regola, ma segui la regola, perché ti comporti nel modo che è stato definito o che si intende comunemente per seguire la regola. Credere di seguire la regola significa che questa regola non la si conosce veramente, tu credi di seguirla ma in realtà non è così. Il bambino al quale si dice “aggiungi sempre due”, e arrivato a mille dice: “1004, 1008, 1016”, crede di seguire una regola ma non la sta seguendo, perché non esegue correttamente le istruzioni che attengono a quella regola e quindi crede, ma sbaglia.

2) “Seguire la regola prende posto nella sfera dei comportamenti e non in meccanismi mentali o processi interiori delle persone”: questo è importante perché spiega bene che il ‘seguire la regola’ si manifesta in un comportamento, cioè è l’esecuzione, l’applicazione della regola. Si tratta di eseguire un’istruzione e un “comportamento” e ciò lo si può affermare anche della macchina, in quanto, essa si comporta in un modo corretto se esegue i suoi compiti, cioè, si può dire che la macchina ha “compreso” la regola, se segue la regola, solo dalle risposte che da, cioè da come si comporta.

Quando Wittgenstein scrive “Quando seguo la regola non scelgo, seguo la regola ciecamente”, questo è il significato di eseguire un’istruzione, “seguire la regola ciecamente” è eseguire l’istruzione senza interpretarla. Altra questione interessante: Wittgenstein aggiunge anche la possibilità, per spiegare il problema del ‘seguire la regola’ che tra la regola e la sua applicazione intervenga un atto di interpretazione, “ma se la regola deve essere interpretata allora, appresa una regola, qualunque cosa io faccia può essere resa compatibile con la regola mediante una qualche interpretazione”, tramite anche la medesima interpretazione in disaccordo con la regola. Si è già detto che il modello interpretativo viene rifiutato: se io dico che vige la regola “ogni volta che giri un foglio dai un colpo con la matita sul tavolo”, come la si può interpretare? Se la si interpreti correttamente si esegue l’operazione, ma se la interpreti in un altro modo “dare un colpo con la matita” che per te significa romperla, si è data un’altra interpretazione che è in disaccordo, perché la regola è stata interpretata in un altro modo. Quando il computer esegue un’operazione non interpreta ma esegue, per questo ho inteso il seguire una regola come eseguire un’istruzione, perché non c’è nessuna interpretazione. C’è interpretazione se la regola è equivoca, cioè se non sai esattamente quello che devi fare: se io dicessi “ogni volta che giri la pagina fai ciò che io ho fatto il 13 di marzo del 1977” potrei aver fatto chissà quali cose, per cui non la persona a cui l’ho detto non saprebbe eseguire la regola correttamente. Nel caso in cui il comando non fosse preciso, l’istruzione non sarebbe precisa, cioè il comando non direbbe esattamente quello che si deve eseguire. Cosa fanno per esempio i computer quando ricevono un comando equivoco? Si bloccano, danno errore. Noi umani possiamo sicuramente proseguire nell’errore, ma in questo caso non potremmo dire di seguire la regola, ma un’altra. Nel caso venisse detto ad un uomo che egli non sta seguendo la regola correttamente, mentre lui crede di seguirla, è possibile che anche lui si blocchi, proprio perché pensava di seguire correttamente una cosa, non conoscendo ciò che in realtà era corretto da seguire.

Tutto ciò dove ci può portare? Ci porta a considerare il fatto che la trasmissione del linguaggio, sembra essere la stessa sia nelle macchine che negli umani, e cioè: vengono fornite informazioni, istruzioni, simboli o parole, e le istruzioni che vengono fornite non sono equivoche né interpretabili. E perché questo? Perché ciò che viene trasmesso nell’insegnamento del linguaggio sono per lo più algoritmi, metodi, per eseguire delle istruzioni. Ciò ovviamente però non esclude una caratteristica del sistema linguistico, cioè la sua vaghezza. In che senso? Il linguaggio comporta la vaghezza perché da un parte il metodo per eseguire un’istruzione ci dice che quando c’è il verbo “alza” si deve prendere l’oggetto e sollevarlo da dove si trovava prima, ma, dall’altra parte, non ci dice né quanto lo si deve alzare, né in quale circostanza, né che cosa si deve alzare esattamente; non dà molte informazioni, se non una “alza”: e quest’unica istruzione non è altro che un algoritmo il quale prevede molte variabili. Se io dico “alza” la persona che mi ascolta sa che significato ha questo comando ma non sa molte altre cose, né quanto voglio che lei lo alzi, che cosa deve alzare, per quanto tempo deve tenere una certa cosa alzata, non sai nulla di tutto ciò, però sa che cosa vuole dire “alza”. Questo perché le è stato trasmesso, insegnato, un algoritmo che consente di porre in essere questa istruzione ogni volta che la si ascolta e applicarla a qualche cosa, ma non aggiungendo nessun altro dettaglio, cioè non dice a che cosa puoi applicare questo verbo “alza”, dice solo l’operazione che devi fare; quando, come, perché, che cosa, non sono elementi trasmessi assieme all’istruzione, tutto ciò rimane vago. Questa però è anche la forza degli algoritmi perché essi dicono soltanto che una certa cosa comporta una certa operazione che può essere applicata a un numero infinito di operazioni, ovvero da poche istruzioni è possibile compiere moltissime operazioni. Cioè rendono possibile l’implementazione si una semantica formale rendendola inferenziale. E questo lavoro viene compiuto a livello del software, non a livello dell’hardware: c’è sì bisogno di un supporto fisico, affinché queste operazioni possano darsi, ma la possibilità di elaborare e trasmettere le informazioni e di seguire le istruzioni è una prerogativa del software.