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18-12-1987

 

Una proposizione, diciamo che è utilizzabile quando consente un rinvio. Ma un rinvio particolare non uno qualunque. Se  alla vostra domanda “perché iniziamo le conferenze il 20 gennaio?” io rispondessi: “perché gli elefanti non mangiano carne”, questa risposta non avrebbe nessun utilizzo da parte vostra e quindi sarebbe come direbbe Wittgenstein, un non senso. Dunque perché possa essere utilizzata una proposizione, occorre che sia inserita all’interno di un campo semantico che ci si attende, e qui la questione dell’attesa è importante perché è come se ci si trovasse ciascuna volta di fronte a delle proposizioni che attendono un rinvio ma questo rinvio occorre che attenga alle regole del gioco che si stanno facendo. Per riprendere una questione di Austin, potremmo dire che una risposta ad una domanda è felice, come direbbe lui,  se questa risposta rientra nel campo semantico previsto dalla domanda, come se la domanda avesse un campo possibile di risposte accettabili. Perché, anche quella che ho fornito alla domanda “perché iniziamo il 20 di gennaio?” è una risposta ma non è accettabile? non è accettabile perché non si attiene alle regole del gioco in cui è inserita la domanda...dunque dicevo che una risposta, in questo caso un esempio che facevo, è tale se viene riconosciuta come facente parte di un gioco, ma il fatto che sia riconosciuta all’interno di un campo semantico, è questo che consente un rinvio. Se non c’è rinvio allora la domanda è come se rimanesse sospesa, cioè senza nessuna risposta possibile, il più delle volte ciò che è noto come disagio e come malessere si configura in questi termini e cioè come quelle domande alle quali non è associato alcun rinvio che sia accoglibile, accoglibile come un elemento che può rispondere, in quanto rientra in un campo semantico che  ci si attende, ora tutto questo può sembrare un po’ astruso ma in effetti per farla più semplice, un elemento è accolto come rinvio, dicevamo, da una parte rispetto ad una attesa, io mi attendo che le cose rientrino all’interno di un certo sistema e dall’altro che, e qui diventa più complicato, che questo sistema in cui lo inserisco, sia riconoscibile anche da altri, faccio un esempio, supponiamo che io parli con una persona e questa persona chiaramente risponda alle mie domande e io risponda alle sue domande, succede che ciò che io rispondo ovviamente è sì, molto generalmente all’interno alle regole del gioco in cui si sta conversando, ma il rinvio, che è ciò che io rispondo, produce, pur essendoci, può accadere che sia un rinvio che sposta rispetto a ciò che io intendevo dire ed è  la situazione in cui generalmente avviene un malinteso. Il malinteso avviene generalmente all’interno del proprio discorso, nel senso che io parlo, mi dico delle cose, mi pongo delle questioni, magari dicendo delle cose queste cose sono delle questioni, cioè delle interrogazioni, ora io mi rispondo a queste cose, può accadere che le risposte che io trovo non siano per me riconosciute come risposte e quindi vengono eliminate. Il più delle volete avviene, per esempio lungo un’analisi, che si tratti proprio invece di affrontare, invece di accogliere queste risposte che vengono generalmente eliminate, proprio perché accogliendo questa risposta si instaura un nuovo differente campo semantico, come dire questa risposta non significa niente, ecco, uno si ferma...un momento, siamo sicuri che non significhi niente? oppure per qualche motivo io sono portato a pensare che sia così? L’esempio paradossale che facevo prima, cioè la risposta dell’elefante che non mangia la carne, chiaramente  in una  conversazione è un non senso, ma se dovesse mai accadere una cosa del genere all’interno del mio discorso, allora sì è un senso,  ha un senso, perché questa sorta di rinvio per quanto strampalato è prodotto comunque dal mio discorso, e cioè dalla stessa struttura che ha formulato la domanda, la stessa struttura formula la risposta. Può non essere immediatamente evidente qual è la connessione ovviamente, il compito di un’analisi è intendere qual è la connessione fra questi due elementi, perché a una simile domanda io rispondo in quella maniera? (laddove do questa risposta strampalata per cui concludo  che non c’entra niente) Qual è la connessione? E cioè in definitiva  pongo le condizioni per accogliere  un campo semantico e cioè un ambito di significazione che altrimenti avrei rifiutato. Procedere in questo modo comporta più che il reperimento, direi l’invenzione di una quantità enormi di campi semantici, che vengono prodotti ciascuna volta in cui un elemento apparentemente senza senso trova un senso, da quel momento instaura, diciamo, un campo semantico utilizzando la terminologia di Greimas, non è altro che un ambito di significazioni, accolte come tali. Ora torniamo alla questione dell’uso, da cui siamo partiti, una proposizione ha un senso quando è utilizzabile e cioè ha un rinvio che viene accolto come tale. Ora si tratta di porre delle condizioni soprattutto in un’analisi ma non soltanto, perché ciascun rinvio possa essere utilizzabile, e cioè non ci sia un rinvio che arresta il discorso, lo blocca, in questo senso una qualunque risposta strampalata nell’ambito di una conversazione blocca il discorso,  se io rispondo, alla domanda   “perché iniziamo il 20 gennaio?”, “perché gli elefanti non mangiano carne” non sapete cosa farvene di questa proposizione, cioè non vi porta da nessuna parte...la questione centrale in tutto ciò riguarda l’utilizzo e cioè quali proposizioni sono utilizzabili dal proprio discorso. Questione importante perché la più parte delle proposizioni che intervengono è come se non fossero utilizzabili. Una persona che è convinta di una certa cosa o che crede una certa cosa, si trova in una posizione tale per cui tutte le proposizioni che negano questa certa cosa, non sono utilizzabili, sono non sensi e quindi non le utilizza e quindi cosa succede? Che si trova vincolato, bloccato in un ristrettissimo campo semantico dal quale non può uscire, ciò che Freud indicava come nevrosi, in buona parte funziona così, cioè l’impossibilità di potere accedere ad altre direzioni cioè letteralmente come si diceva ad altri sensi. Una proposizione dunque che nega ciò che credo è un non senso, non ha direzione, non è utilizzabile, per questo invece l’analisi instaura la possibilità di potere utilizzare proposizioni che altrimenti vengono intese come non sensi e vengono eliminate. Nel caso per esempio della depressione avviene che si suppone che nessuna cosa abbia più interesse per esempio, ma in questo caso questa proposizione che  afferma che non c’è più nulla che abbia interesse, va presa alla lettera, prendendola alla lettera si fa il verso alla depressione, perché se non c’è più nulla, possiamo cominciare a fare un listaggio delle cose che non interessano, ma la più parte di queste cose che noi potremmo elencare non sono neanche venute in mente alla persona, e allora forse c’è un elemento, anche uno solo da cui ci si attendeva qualche cosa, cioè ci si attendeva un rinvio, questo rinvio non c’è stato, come dire la domanda è rimasta infelice, come direbbe Austin, e  a questo punto è come se ci si attendesse da questo rinvio, che non si trova, una sorta di chiave di accesso a tutto quanto, mancando questo elemento è come se l’accesso fosse negato a qualunque cosa e allora in effetti,  qualunque cosa diventa di nessun interesse, perché non ha accesso, perché è come se qualunque cosa non avesse nessun rinvio e quindi inutilizzabile. Uno dice,  ma sì io provo a fare un viaggio, faccio il viaggio vado di qui, di là, però la cosa non ha per me nessun rinvio e quindi non ha nessun interesse, nessuno sbocco, non mi dice niente, come si dice generalmente, oppure una qualunque altra cosa diventa impraticabile o più propriamente inutilizzabile. Facevo l’esempio della depressione perché è emblematico in questa situazione questo processo e rimane l’attesa, l’attesa di un rinvio o come direbbe Greimas, l’attesa di un campo semantico praticabile, del campo semantico praticabile, sarebbe quello che soddisfa la mia attesa. Ma che cosa attendo? Qui sta la questione centrale perché per quanto possa formularsi in infiniti modi differenti, questa attesa se presa nei termini più radicali, è sempre comunque l’attesa dell’ultima parola, quella definitiva per definizione, quella che chiude e chiudendo appunto dà un senso a tutta la catena, a questo punto ogni cosa acquisterebbe un senso. Laddove si instaura un attesa di questo tipo generalmente c’è la depressione perché questo ultimo rinvio non si trova, ma  proprio per un fatto linguistico, direi per definizione, allora sì, si diventa, parafrasando Austin, effettivamente infelici...ma direi austinianamente e cioè nel senso che la propria attesa non è soddisfatta,  e quindi c’è l’infelicità, non solo dell’enunciato ma della persona in questo caso, che in effetti è la stessa cosa. Vi rendete conto della portata della questione e come ciascuna volta la stessa depressione costituisca prevalentemente un problema linguistico, sia prevalentemente un problema linguistico, in quanto incappa nella impossibilità di stabilire l’ultima parola, cioè quella che soddisfa il desiderio. Se il desiderio è quello dell’ultima parola, quella risolutiva l’effetto è la depressione, che sembra quasi inesorabile, ma da dove procede questa attesa così strana? (attesa del fatto risolutivo cioè la ricerca dell’ultima parola) perché mai uno dovrebbe attendersi una cosa del genere? La questione è per un verso semplice e per l’altro complessa, come accade spesso, semplice perché l’attesa di questa ultima parola è né più né meno l’attesa di potere finalmente non essere responsabili del proprio discorso, come dire interviene questo elemento, quest’ultimo elemento ed è lui che dà un senso alle cose, non io perché il senso che trovo io è sempre ciascuna volta infelice, mentre questo elemento, questo deus ex machina, che occorre che intervenga, lui no, lui sa quello che fa, e quindi risolve il problema nel migliore dei modi. Ecco in questo verso sembra semplice intendere per quale motivo e invece più complesso laddove la cosa si riferisce ad un discorso che è sempre molto complesso, e questa questione può essere schermata da un’infinità di altri elementi, il più delle volte anzi non è apparentemente schermata da nulla, ma è semplicemente posta lì, come l’impossibilità di fare, di muoversi, di capire, di orientarsi, apparentemente senza nessuna connessione, di nuovo manca una connessione, cioè io avverto questa impossibilità ad orientarmi cioè ad andare in una direzione, ma questa sensazione non è connessa a nulla, è lì come isolata e tagliata fuori da qualunque cosa e quindi apparentemente inaccessibile. Ora questo è un artificio anche, direbbe Freud, del discorso nevrotico, rende un elemento inaccessibile in modo che non possa accedersi e quindi non si possa dissolvere, non si possa elaborare, è una sorta di economia cioè in questo modo si è abbastanza sicuri che potrà rimanere immutato nel tempo, perché io lo svincolo da ogni cosa e chi lo tocca più? E’ lì, intatto e intonso, e rimarrà lì intatto nei secoli. Questo è un aspetto, l’altro aspetto è invece il trovarsi non soddisfatti di qualunque rinvio possa intervenire e cioè uno si dice sono infelice per che cosa? Per questo motivo? Non è sufficiente da solo a rendere una persona così devastata e allora quest’altro, sì va be...  però, è  come se non si trovasse nessun elemento sufficiente, è un po’ come il caso dell’innamoramento, perché - si chiede una persona - mi sono innamorato  di quella persona? Per gli occhi? Sì certo, per il naso? Fa tutto un listaggio completo ma non c’è ne è uno che di per sé sarebbe sufficiente, e allora dice nell’insieme, una cosa piuttosto vaga...cioè nessuno di questi elementi ha un rinvio soddisfacente, ma il rinvio non è soddisfacente soltanto laddove ci si attende che sia l’ultimo, quello che chiude la catena, un rinvio non ha da essere né soddisfacente né insoddisfacente perché non è di per sé né  l’una cosa né l’altra, è soltanto un rinvio, è soltanto un rilancio della questione, non ha di per sé tutte queste ambizioni un rinvio, semplicemente da una proposizione sposta su un’altra, tutto qui, ora attribuire a quest’altra tutte queste prerogative di essere l’ultima possibile, questo ovviamente porta a dei contraccolpi e tanto più è forte l’attesa che questo elemento debba essere l’ultimo, tanto più sarà forte la depressione, cioè la delusione seguente allo scoprire che non è così. Ma di fronte a questa struttura può accadere che considerare tutto questo un atto linguistico possa non essere semplicissimo. Il motivo è esattamente lo stesso per cui è impossibile per un cattolico pensare che dio sia un atto linguistico, il motivo è esattamente lo stesso. Cioè se per il cattolico pensare che sia dio è un atto linguistico allora tutto è perduto equivale al depresso, per esempio, pensare un rinvio non debba essere l’ultimo e qui torniamo in effetti alla questione religiosa, ma d’altra parte ciò che indichiamo come discorso religioso e cioè un qualunque discorso che immagini che ci sia o che debba esserci un elemento fuori dal linguaggio è un aspetto fondamentale di ciò che andiamo facendo. La questione che si è posti e che ci si continua a porre per riflettere la questione rimane questa, cioè se fuori dal discorso religioso sia possibile il malessere, lo stare male, questione tutt’altro che semplice...cosa dicevo? ecco della domanda che ci si pone se sia possibile in definitiva o se sia possibile fuori dal discorso religioso avvertire malessere, parrebbe di no, parrebbe di no perché verrebbero a mancare le condizioni che lo sostengono e cioè l’attesa che un elemento sia l’ultimo e quindi l’attendersi da questo elemento la guarigione, la guarigione nell’accezione più ampia che si immagini, potremmo spostare la questione rispetto al discorso scientifico, ma anche lì anziché di religione, il discorso scientifico parla di verità, che è poi il discorso filosofico, raggiungere la verità cioè l’ultimo elemento ha la stessa portata ed è strutturato allo stesso modo. Adesso stiamo percorrendo un cammino ma finalmente  alla fine riusciremo a raggiungere questo,  e il discorso scientifico non è differente da un qualunque discorso, in quanto procede allo stesso modo, pensa ad un certo punto di avere trovato la verità poi cambia idea cioè non era questo...anche nella scienza ci sono le crisi depressive. La famosa crisi dei fondamenti a inizio secolo, quando si accorsero che la matematica non era provabile, provocò qualcosa di simile ad una sorta di depressione, magari qualcuno si è anche depresso altri no, però insomma è la stessa struttura, quindi allora non era così.... allora  è una delusione, allora tutto è perduto, allora bisogna ricominciare da capo....in effetti funziona ed ha funzionato così, potremmo dire da sempre. Il modo di procedere alterna illusione e delusioni incessantemente e necessariamente

Intervento: facciamo tutto un percorso per liberarci da questo desiderio che sarebbe alla base della nostra sofferenza e potremmo anche scoprire che le cose non vanno così. Sono troppo pochi quelli che hanno fatto un percorso  analogo che si sono sbarazzati dal bisogno di credere e con ciò liberati dall’infelicità...

Sì, proprio perché una cosa del genere comporta un esercizio notevole, potremmo chiamarla in un modo un po’ parodistico, una sorta di addestramento a pensare che muove da alcune considerazioni di cui si incomincia  tenere conto, è chiaro che in certe circostanze considerare che ciò che sta avvenendo o ciò che ci sta avvenendo, è un atto linguistico può essere arduo, anche se da una parte si avverte, si constata che non può essere altrimenti, tuttavia dirsi una cosa del genere non produce nessun effetto, “un atto linguistico però sto male lo stesso, allora?” la questione è complessa ovviamente, parlavo prima di esercizio, di una sorta di addestramento a pensare, ecco di questo si tratta, imparare a pensare, non è facilissimo e non lo è per molti motivi, in prima istanza il fatto che tutto ciò che circonda è organizzato in modo tale da impedire questo, la stessa istituzione e lo stesso ordinamento sociale, è costruito per impedire una cosa del genere, ha proprio questo obiettivo in un modo particolare  l’addestramento scolastico ha questa finalità, impedire di pensare. Per cui non sono pochi gli ostacoli che si incontrano...

Intervento:

Vede tutto questo è sostenuto sempre e ancora dalla nobile menzogna, quindi in definitiva dalla promessa che si instaura fin dalla nascita direi quasi, e cioè che la verità è possibile e quindi l’ultimo elemento della catena è raggiungibile, è su questa promessa che si può mantenere un ordinamento sociale, perché  se non fosse così, perché se si tollerasse l’idea fin da subito che la verità è un atto linguistico e come tale è vincolate a tutte le altre procedure e alle regole del linguaggio, e quindi parlare di verità ultima è un non senso, allora sarebbe molto più difficile premettere una cosa del genere perché l’altro saprebbe benissimo  che è una premessa che non è mantenibile, non è mantenibile per definizione. E dunque tutta una serie infinita di cose assumerebbero immediatamente un altro aspetto. Intanto le cosiddette relazioni sociali, cambierebbero immediatamente di configurazione, perché ciascuna volta in una qualunque conversazione, vi sarebbe la consapevolezza di giocare, di giocare una partita, ciascuna volta, una partita quindi si attiene a delle regole e fuori da queste  regole si gioca un’altra partita, e che non è sempre la stessa, poi la gente in qualche modo si adatta a questi mutamenti, a queste circostanze, ma sempre con l’idea, con la direttrice, che si tratta sempre di un aggiustamento verso qualche cosa che deve esserci, e se non ci fosse? C’è anche questa eventualità, e  allora se non ci fosse effettivamente non sarebbe altro che la messa in atto di giochi linguistici, dove fuori da questi, non è pensabile nulla, assolutamente nulla, come dicevo ponendo la questione in questi termini diventa molto complicato per  una qualunque organizzazione sociale, lo stato, o qualunque altra cosa, la religione in definitiva, fare credere una qualunque cosa, diventa improbabile. Ora ciò che stiamo facendo è una sorta di esercizio e siccome nulla di tutto ciò ci è stato insegnato da piccoli, allora incominciare a pensare da noi,  tenendo conto di alcuni aspetti che risultano non negabili, proprio per la struttura del linguaggio, abbiamo visto che fuori da questa struttura qualunque elemento risulta assolutamente arbitrario, per cui non lo abbiamo accolto, non lo abbiamo accolto perché posta la questione in certi termini, come quelli che stiamo ponendo, diventa inutilizzabile, come se mi si dicesse tutto è opera di dio, io non so come utilizzare questa proposizione e cioè non ha nessun rinvio, mentre generalmente questo rinvio c’è, c’è ed è creato da una struttura organizzata. Non è utilizzabile, però si potrebbe fare una postilla, non è utilizzabile come elemento a cui dare l’assenso, in questo senso non è utilizzabile, ché se uno mi dice che crede che tutto quanto sia opera di dio,  so grosso modo cosa intende dire e quindi ha un rinvio, ma questa proposizione che afferma che l’universo è opera di dio non è utilizzabile all’interno di un altro gioco che è un gioco teorico per esempio, quello che stiamo facendo, questa, così come la più parte della proposizioni che vengono proposte sia dalla filosofia, sia dalla scienza ecc. Non sono utilizzabili perché arbitrarie  e quindi se io posso utilizzare questa proposizione al pari di una qualunque altra, allora perde l’utilizzo, è come se volesse dire tutto e niente, non è più utilizzabile per proseguire. E forse si tratta in buona parte di fare una cosa del genere rispetto al proprio discorso cioè rendere inutilizzabili una quantità enorme di proposizioni ma in questa accezione, inutilizzabili cioè non servono per proseguire, ma anzi arrestano il sistema, arrestano il linguaggio, arrestano il pensiero ovviamente e quindi non sono utilizzabili. Pensare  che sto male per colpa di quel tizio, chiude la questione, in questo senso non è utilizzabile, non dice niente non ha nessun ulteriore rinvio, la colpa è sua, basta il discorso è chiuso. Ora io posso dire così del discorso che è colpa di Tizio o di Caio ma non è connessa questa proposizione a nessun referente, a nessun referente che mi costringa all’assenso, cioè mi costringa a credere a ciò che sto dicendo, è una figura retorica e cioè un modo di dire un modo in cui qualcosa si sta dicendo...

n    Intervento: Come mai questo discorso è tra una piccola cerchia di persone...

Occorre dire che non è che ci nascondiamo, anzi..(....) c’è l’amico Sini che insegna filosofia, il quale faceva l’esempio del filosofo  in una conversazione così amichevole fra amici ecc. ad un certo punto il filosofo comincia a fare delle obiezioni e tutti quanti si mettono a ridere per queste obiezioni, ridicole, risibili e banali e senza senso, poi il filosofo insiste e cominciano a smettere di ridere, dopo un po’ si innervosiscono e se ne vanno...  dopo un po’ può illustrare in alcuni casi ciò che avviene e cioè il fastidio che l’utilizzo del pensiero produce. Perché l’utilizzo  del pensiero, comportando una continua richiesta di rinvii, di input, non accoglie in un certo senso nessuna risposta, non l’accoglie come l’ultimo rinvio e quindi ancora domanda. Ora questo crea un disagio intollerabile in chiunque abbia o immagini di avere dato o di essersi dato l’ultimo rinvio, è come se lei dicesse ad una persona guarda che hai sbagliato tutto, in tutta la tua vita non ne hai fatta una giusta. L’altro se la prende a male, ecco è qualcosa del genere ma senza che Lei lo dica, questo suo interlocutore avverte che si trova davanti a una quantità tale di questioni, di interrogazioni alle quali non solo non ha mai risposto, ma che non ha mai visto, che lo può sgomentare e temere di dovere trovarsi di fronte all’eventualità di compiere un lavoro immane che non ha né tempo né la voglia, né magari le capacità di fare e quindi si allontana...

n    Interventi  vari:

Cos’è intaccare il modo di pensare? (tacere!...) Occorre che intervenga  un’argomentazione che o perché è più forte della propria o perché o persuasiva viene accolta...

n    Intervento: Tutto sommato tacere di fronte all’altro, ho lasciato il suo campo libero, la sua espressione...

Solo la persuasione o la convinzione possono intaccare, come dice lei, il modo di pensare che in caso contrario Lei può anche adeguarsi a una legge che non accoglie, si adegua per motivi contingenti, ma questo non cambia nulla al suo modo di pensare che rimane quello che è, così anche i Sofisti d’altra parte si adattavano alle leggi del paese in cui andavano, senza né apprezzarle né condividerle...

n    Intervento: la coerenza

Questa è una questione interessante la coerenza del pensiero. Molto spesso ci si appella a  questo, una persona non è coerente, la questione della coerenza è molto complessa anche in logica, quando c’è coerenza all’interno di un sistema? Potremmo dire quando non possono formularsi due proposizioni contraddittorie, almeno nella logica generalmente si intende questo con sistema coerente e cioè che dalle stesse premesse non è possibile giungere a conclusioni opposte, se no il sistema è incoerente. È la famosa questione che trovò Goedell rispetto alla matematica dimostrando che la matematica è incoerente, in quanto è possibile dagli stessi assiomi di partenza giungere a proposizioni contraddittorie e allora occorre toglierne una, almeno, e quindi diventa incompleto. Ora la stessa cosa accade anche nelle conversazioni, anche nelle conversazioni con sé, il cosiddetto soliloquio, mantenere la coerenza è questo generalmente, io credo una certa cosa e quindi qualunque proposizione che la neghi è falsa e quindi non può convivere con la precedente, con la prima, perché delle due  o è vera una o è vera l’altra, ma così come nella logica e nella matematica la coerenza per esercitarsi necessita di un criterio verofunzionale senza questo, la coerenza perde il suo senso cioè diventa non utilizzabile. Ora questo posto in termini molto logici e rigorosi, è chiaro che all’interno di un gioco linguistico ci attiene alla coerenza in questo caso, così come nel fatidico gioco del poker, se lei ha due Jek non può dire che batte me che ho quattro assi, perché ci atteniamo a delle regole per giocare quel gioco e allora sì all’interno di questo ambito è possibile parlare di incoerenza, cioè se ci atteniamo a queste regole e hai detto una certa cosa allora per queste stesse regole deve seguire questo, però occorre sempre tenere conto che è un aspetto retorico non è un aspetto logico, nella logica così come la stiamo formulando, la nozione di coerenza non ha nessun senso perché sarebbe coerente rispetto a quale vero? Nel caso della logica la coerenza richiede necessariamente un vero assoluto rispetto al quale essere o non essere coerenti, ma siccome questo non si dà se non come si diceva prima all’interno di un gioco particolare, allora non ci resta che affermare che  è possibile essere coerenti soltanto rispetto a delle regole stabilite, e quindi all’interno di un gioco linguistico. Mentre perlopiù si immagina che la coerenza sia una categoria assoluta, cioè la coerenza in questo caso e quindi è una sorta di richiamo a non formulare proposizioni che sono autocontraddittorie, è vero che una proposizione autocontraddittoria non è utilizzabile ma lo è o può esserlo all’interno di un gioco e allora la nozione di coerenza può essere riconsiderata, se non diciamo...precisata, anche se come ciascuno sa è una nozione che viene utilizzata continuamente, e ha appunto un suo utilizzo all’interno di regole linguistiche, se si accolgono certe regole allora si può essere coerenti o incoerenti, però è una questione importante perché riveste poi moltissimi altri aspetti, generalmente è intesa l’incoerenza come un errore logico, mentre potremmo considerarlo un errore retorico, eventualmente

n    Intervento:

Sì, regola di vita questa è un’altra questione notevole, molti si danno le regole di vita a partire da ciò che ritengono giusto o sbagliato, e generalmente queste cose vengono credute, vengono credute come necessario, è necessario che sia giusto così, ecco allora si instaura una regola di vita e torniamo al discorso precedente che elimina qualunque altra proposizione come non senso, come non utilizzabile, perché questa è la regola e questo è giusto e tutto ciò che nega una cosa del genere...è evidente che un discorso come questo, portato alle estreme conseguenze può giungere da qualunque parte, anche allo sterminio di tutti quelli che mi sono  antipatici, stabilisce  che è una regola che è giusta, che crede che sia giusta...d’altra parte tutte le guerre di religione, sempre sante, per definizione si muovono in questo modo, non è che ammazzano per il gusto di ammazzare, ma perché l’altro è nell’errore, e non sa che cosa è giusto. Al di là delle guerre di religione molto spesso uno si domanda ma è giusto quello che faccio? E non trova una risposta perché non trova un parametro, un parametro soddisfacente cioè delle cose rispetto a cui valutare se è giusto o no, soltanto si pone la domanda, cioè avverte come dire l’esigenza dell’elemento che possa garantire il proprio fare e quindi il proprio dire, perché e questo è uno degli aspetti più difficili, e accogliere la responsabilità cioè il fatto che ciò che dico non è supportato da altro fuori di me e quindi una domanda se è giusto o sbagliato quello che faccio è sempre un appellarsi a un’entità superiore, e ritorniamo alla questione, anche per la depressione tutto sommato...

n    Intervento:

Accogliere delle regole è un conto e attenersi a queste regole come elementi necessari è un altro, come dicevo prima i Sofisti giravano per le varie contrade e accoglievano, cioè si attenevano alle regole dei paesi in cui entravano, ma non facevano sicuramente loro nessuna di queste regole, della regola in sé non importava assolutamente nulla, perché in un paese c’è una regola, in un altro  c’è la regola opposta, cioè non ha nessun valore universale, è soltanto una legge del posto, così tutte le opinioni, le cose  che uno pensa sono pari soltanto a delle leggi che si impone, un’opinione è una legge che si è imposta, alla quale però si crede, si crede come vera, con tutto ciò che comporta, cioè l’esclusione di un’infinita altra serie di proposizioni e quindi l’impossibilità di muoversi in altri campi semantici, che hanno accesso negato, da qui non puoi passare, e tutte queste limitazioni sono, come dicevamo all’inizio, aspetti di ciò che Freud indicava come nevrosi, con le varie paure, angosce ecc...

n    Intervento: una regola potrebbe anche non essere impositiva...

Come definirebbe una regola di primo acchito?

n    Intervento: una regola di vita, libertà, lasciare lo spazio a tutti

Eppure per definizione una regola è un divieto, e non può essere altro che un divieto, una regola linguistica è ciò che vieta di compiere delle mosse che non fanno parte del gioco. Le regole del poker sono in definitiva divieti di fare tutta una serie di cose, per cui obbligano a fare delle altre, perché ci sia gioco, occorrono delle regole ovviamente, se no non si può giocare e queste regole non sono altro che dei divieti di fare delle mosse, di andare in alcune direzioni, dicono questo, non lo puoi fare e allora se non lo posso fare devo fare quest’altro e quindi questa è la direzione che mi impone, la regola di una conversazione, per esempio vieta una serie di cose, di dare risposte strampalate per esempio,  come avevo fato io all’inizio e quindi in definitiva un operatore che vieta delle altre operazioni e questo divieto consente il farsi del gioco, perché se qualunque cosa potesse farsi allora non potremmo giocare esattamente come se qualunque parola significasse qualunque altra, non potremmo parlare...

n    Intervento:

Sì però è sempre un divieto cioè le vieta di fare quelle cose...sì, proprio attenendoci alla questione grammaticale, la regola che pone la massima libertà vieta ovviamente la non libertà

n    Intervento:

Va da sé che nella conversazione analitica non può porsi la questione in termini logici, non potrebbe farsi, anche se effettivamente la sofferenza è inesorabilmente un atto linguistico, occorre cominciare a connetterla con tutto ciò  che è creduto, quindi a tutto ciò che si ritiene necessario,  che si ritiene ovvio, che si ritiene andare da sé. Tutta questa serie di connessioni che in definitiva...  che cosa supporta un discorso religioso? L’analisi non è altro che una traversata del discorso religioso, di tutto ciò che è creduto e pensato avere, meglio un referente fuori dal linguaggio, per qualunque motivo, per comodità per piacere. Non v’è dubbio che nella sofferenza ci sia il piacere...la difficoltà nell’accogliere una cosa del genere, non tanto nell’apparente contraddizione, ma nell’implicazione che inesorabilmente comporta che attiene alla responsabilità della sofferenza, come dire  soffro perché mi piace così. Può sembrare dura da affermarsi, bizzarro, ma è l’unica cosa che può affermarsi. Poi è ovvio che questa proposizione che afferma che mi piace così, va elaborata ma potremmo dire in prima  approssimazione che la sofferenza è prevalentemente una questione estetica, un modo in cui si preferisce percepire una certa cosa, proprio per i motivi più disparati, questa è un’altra questione però, certo posta la questione così, non è che apparentemente porti molto lontani, ma perché si arresta...sarà anche così però...e cominciare ad avvertire che cosa la supporta,  che cosa sostiene questo piacere, e constatare poi che la sofferenza è un elemento come un altro, assolutamente come qualunque altro...che quindi non ha maggiori virtù, poi qui chiaramente si potrebbero inserire una infinità di altri elementi, sempre connessi con la sofferenza, della sofferenza che necessità di un pubblico per esempio, di qualcuno a cui comunicarla, e quindi in definitiva è qualcosa che deve essere mostrato perlopiù, però non necessariamente...deve essere mostrato e quindi per uno scopo ben preciso, però come dicevo qui si aprono infinite varianti che poi riguardano il discorso di ciascuno, non è possibile stabilire

Intervento: comunque è un elemento che interviene e chiede ascolto, accesso alla parola, per cui è un elemento che insiste e quindi pare non necessario, non pare un rinvio, soffro e proprio come ciascun elemento, è proprio al momento che insiste che occorre confrontarcisi, solo lì c’è la possibilità di trovare il modo di poterne parlare

n    Intervento: la tentazione di considerare la sofferenza un atto linguistico un altra fede, la sensazione di essere di nuovo vittima di un atto di fede

Non è tanto questo, quanto lasciare proseguire il discorso e interrogando questa nuova proposizione, che è una proposizione come ciascun altra, quindi io temo che ciò che sto facendo contribuisca a creare una nuova fede, va bene, perché no? E quindi che cosa comporta? Che cosa dice questa nuova proposizione? Che c’è un qualche cosa che mi muove in una direzione ovviamente e che cosa mi muove, che cosa ne ho? Che cosa mi prospetta, cominciare ad accorgersi di tutto ciò che è connesso con questo timore, per esempio il timore di cadere nella religione? Non si tratta tanto di avere il timore ma di accorgersi...anche un timore perché no? Anche il timore è qualcosa che si sta dicendo, come dire questo non è possibile perché c’è una regola, dicevamo prima con Cesare, no questo lo vieta, non è un divieto il discorso religioso, è nulla è soltanto una struttura che ha delle regole molto rigide, tutto lì, e che quindi impedisce l’accesso a infiniti altri pensieri, ma non è il male è soltanto una struttura, un gioco particolare, un gioco che in questo caso ha fra le sue regole quella che vieta di pensare oltre ad un certo punto...Facciamo un esempio temo di fare un discorso religioso, allora o questo timore così forte cioè una regola che mi impedisce di accogliere il discorso religioso e allora fuggo,  oppure dico benissimo faccio un discorso religioso, che è fatto di che cosa questo discorso religioso? Di quali elementi? Che cosa sostiene, che cosa crede? Come dire lo interrogo cioè gli chiedo che cos’ha da dire? Che cosa propone, senza temerlo importa nulla del discorso religioso come di qualunque altro in linea di massima, intendo dire che ciascun discorso è degno di essere ascoltato. Perché la questione delle regole è molto importante, che non si tratta di darsi regole ma di accogliere quelle che il discorso produce. Io parlando in un certo modo mi posso accorgere di quali sono le regole del mio discorso, senza essermele date, il mio discorso segue una certa linea e quindi si muove per via di regole, regole retoriche e quindi constato quali sono le regole e quindi che cosa supporta, sorregge questo tipo di discorso e a quel punto acquisto una maggiore possibilità di movimento, cioè posso constatare che ciò che sta accadendo è effettivamente un gioco perché ne conosco le regole se non ne conosco le regole allora no, non penso che sia un gioco, penso che sia tutt’altro.