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18 dicembre 1996

L’interrogazione prosegue sul che cosa fare nei prossimi mesi, da gennaio in poi. Riprenderò le conferenze in libreria, all’Araba Fenice, sarebbe interessante sentire anche da parte vostra se ci sono delle proposte, delle considerazioni. Avete seguito molti incontri e quindi vi siete fatta un’idea su cosa sarebbe preferibile fare o quale direzione prendere; è importante comunque che ci siano degli appuntamenti dove l’Associazione interviene, proprio per l’aspetto pubblicitario, il nome dell’Associazione compare sul giornale e quindi le persone possono avvertire una certa continuità. E’ chiaro che sono cose differenti gli incontri che possono farsi qui dalle conferenze che possono farsi in libreria che si rivolgono ovviamente a un pubblico che può essere assolutamente nuovo, eterogeneo, e dove bisogna tenere conto del fatto che le persone che sono lì possono non avere sentito mai parlare di nulla delle cose che stiamo facendo, e tenere conto di questo comporta che molte cose non sono date come scontate ma ripetute anche, per cui l’effetto può essere che le persone che ormai seguono da più tempo, si accorgono che molte cose sono le stesse, e questo è inevitabile in conferenze aperte al pubblico. Mi rendo conto che il discorso che stiamo facendo è tutt’altro che semplice e che pertanto molte persone, dopo avere seguito per qualche tempo possono, incontrando delle difficoltà, arrestarsi e arretrare. D’altra parte il discorso che stiamo facendo non è che possa fermarsi per questo motivo, anche se tiene conto di questo aspetto, per cui proseguiremo comunque. Così come abbiamo sempre proseguito.

- Intervento: La cosa che ascolto e che viene lamentata di più è che non ci sono le basi, la conoscenza per esempio dei vari filosofi...

Ad esempio conoscere alcuni testi fondamentali di logica, conosce la logica? (...) Beh, si utilizza una struttura che si chiama logica generalmente, in quanto segue alcuni criteri di inferenza, di consequenzialità fra una cosa e l’altra che dovrebbero essere abbastanza rigorosi (...). La logica dovrebbe generalmente descrivere quali sono i modi in cui gli umani pensano e fin dove è possibile formalizzare questi modi per poterli rendere utilizzabili per la costruzione di altri sistemi di pensiero, la teoria non è altro che un sistema di pensiero e quindi individuare quali sono i modi di inferenza, per esempio la deduzione e l’induzione, che sono regole che delimitano, queste regole di inferenza e poi non soltanto questo. Vi piacerebbe conoscere la logica? (Conoscere tutto!) Le basi che mancano, dicevamo, però in effetti, non è neanche questa la questione, perché non è che quello che io vado dicendo necessiti, per potere essere seguito, di conoscenze particolari, assolutamente no, può essere seguito da chiunque che abbia soltanto la voglia di seguire il discorso. Se faccio intervenire dei termini, delle nozioni particolari, le illustro, in modo che possano essere utilizzati, cioè che chi mi ascolta sappia di cosa sto parlando. Qualche volta accade di introdurre degli elementi poco noti e allora occorre illustrarli, non si può pretendere che tutte le persone che ascoltano abbiano tutte queste informazioni. Il modo migliore per leggere un libro difficile è quello di leggerlo con un dizionario accanto, così si acquisiscono termini, parole, concetti nuovi, se uno spera di trovare solo cose che conosce già non arricchirà moltissimo il suo bagaglio. Comunque ciò non toglie che possiamo leggere alcune cose, come testi, almeno i più importanti. Ma le persone lamentavano la mancanza di basi in quale settore propriamente?

- Intervento: Lo spavento del sapere, sì spaventati da questo sapere...

Spaventati? Il sapere dovrebbe attrarre, anziché spaventare...

(sapere tutto) certo è preferibile sapere tutto, anzi molto di più e quindi cosa proporrebbe nel proseguo?

- Intervento: Certo continuare a fare e chiedermi come mai la paura del sapere è così importante, quando io ascolto gli altri.

Sì però riflettere se si preoccupa di più una eventuale paura altrui, oppure di una ricerca teorica. Ché se spaventa, va bene, non è proibito spaventarsi, voglio dire che forse la cosa più importante è puntare in un modo più preciso alla elaborazione teorica, cioè reperire, costruire, inventare altri sistemi, altri modi di pensare per proseguire.

- Intervento: Noi chiamiamo linguaggio quello che consente di esplicitare questo pensiero, mi chiedevo se noi lo chiamassimo diversamente, il discorso cambierebbe?

Sì, perché chiamarlo linguaggio? Ma, perché linguaggio, questo significante indica una struttura, una organizzazione e cioè la possibilità di connettere tra loro elementi in modo tale da potere costruire altri sistemi, altre forme ed è il significante più specifico, tant’è che di fatto indica propriamente questa struttura. Chiamarlo in altro modo, sì, non è che siamo vincolati a un significante...(...) Sì, perché dicendo che il linguaggio è ciò che consente agli umani di dirsi tali, si avanza una definizione molto ampia, che tuttavia esclude tutta una serie di elementi, e indica nel linguaggio quella struttura che è quella che poi consente di potere dire e quindi pensare qualunque altra cosa. Lei prima parlava dell’energia, anche la nozione di energia è pensabile così come ciascuno preferisce pensarla, a partire da una struttura che consente di compiere questa operazione. Oltre al fatto che la stessa definizione di energia può risultare molto vaga, questo termine, Energheia, come la chiamavano i greci che è poi l’agire, “l’agire delle cose”, però che le cose agiscano, non è un elemento extralinguistico, rimane all’interno comunque di una struttura. Per questo suppongo che chiamare il linguaggio energia non apporti nulla di più, anzi potrebbe eventualmente distogliere dalla considerazione, essenziale, che riflette attorno a ciò di cui si tratta propriamente, e cioè una struttura organizzata in un certo modo, se non fosse organizzata in questo modo non ci darebbe nulla. Ora, diciamo, vincolati sì e no, dicevamo forse la volta scorsa, ai significanti, chiaramente con significante linguaggio, in italiano si intende una certa cosa e questo è uno degli elementi che consente al linguaggio di funzionare, se ciascun significante, significasse qualunque altra cosa, allora il linguaggio si dissolverebbe, nel senso che non sarebbe più possibile parlare in nessun modo, qualunque cosa direbbe tutto o niente. Il linguaggio viaggia per differenze soprattutto.

- Intervento: Capire in definitiva di cosa è fatta questa parola... C’è un inizio e poi si svolge tutto il processo linguistico, ma questo inizio così inspiegabile....

Non che non sia spiegabile, è spiegabile in infiniti modi, si tratta però di stabilire un criterio di verifica di questi modi, ché se no lo posso spiegare in qualunque modo, posso anche dire che l’ha inventato dio e con questo chiudere la questione. Però occorre a questo punto un criterio che ci possa consentire di stabilire l’origine del linguaggio, che questa affermazione abbia un senso ad esempio, se no l’una vale l’altra, posso dire che l’ho inventato io il linguaggio, tutto sommato non né è più sostenibile né più negabile di qualunque altro, e allora ci si imbatte in una sorta di regressio ad infinitum da cui non c’è modo di uscire. Chiedersi qual è l’origine del linguaggio è sì, un’operazione consentita dal linguaggio certamente, ma la questione non è tanto porsi le domande, quanto stabilire il criterio per potere accoglierne le risposte. Voglio dire questo, che una cosa da farsi è intendere qual è il senso di questa domanda “da dove viene il linguaggio?”, in effetti da dove abbiamo preso le mosse, non ha nulla a che fare né con l’origine delle cose, né con niente, soltanto con qualcosa che si configura proprio per la struttura stessa del linguaggio come non negabile. Nulla a che fare né con l’origine né con la fine di niente, perché sono concetti questi che non hanno alcuna possibilità di essere stabiliti, perché sempre comunque negabili. Ora torno a ripetere, ciò che stiamo facendo non è una definizione di uno stato di cose, né evidenzia né illustra come stanno le cose, è un gioco linguistico particolare, particolare perché a differenza di altri accoglie unicamente ciò che non può essere negato dalla struttura stessa del linguaggio, ora tutti gli altri aspetti, essendo assolutamente negabili, sono momentaneamente tenuti in disparte, tenuti in disparte perché non sappiamo ancora come utilizzarli né cosa farcene, così come non sapremmo cosa farcene di una serie di proposizioni che ci illustrano l’origine del linguaggio, nessuna di questa sarebbe sostenibile, quindi niente di definitivo e quindi risulta assolutamente negabile, laddove una definizione risulta negabile non è utilizzabile rispetto a questo particolarissimo discorso. Non sappiamo come utilizzarlo, che farcene, non ci dice niente, perché appunto equivale a qualunque altra, alla stessa stregua, come dire che il linguaggio l’ha inventato dio, o ne sono io l’autore, chiunque altro può dire: no il linguaggio viene dalle conchiglie in fondo al mare, va bene. Cioè a quel punto non è più possibile affermare nulla, nel senso che è possibile affermare tutto. Ecco perché tutta una serie di elementi che sono cari al discorso occidentale, cioè la ricerca delle origini, per potere stabilire in definitiva qual è il fine. La teoria del caos, che è una delle teorie più bizzarre comparse recentemente, a farla breve dice questo, che non è possibile stabilire non soltanto il punto di arrivo di un elemento ma neanche la traiettoria, perché non è possibile stabilirne il punto di partenza. Non essendo stabilibile il punto di partenza noi non sappiamo dove va, non sappiamo cosa accadrà, da qui il caos. E’ un modo anche questo folcloristico per indicare che l’origine, di fatto, si configura all’interno del linguaggio come una sorta di figura retorica. Immaginarla come elemento extralinguistico comporta immediatamente aporie, scogli insuperabili e intoppi di ogni sorta, intoppi che ad un certo punto richiedono per potere essere superati, ed ecco l’atto di fede, cioè uno dice: io credo che sia così. Anche questo è legittimo, però non è questo che ci sta muovendo, e che ci ha mosso.

- Intervento: L’intuizione, la sensazione, la sensazione corporea, l’emozione, che cosa hanno a che vedere con il pensiero? Il pensiero è qualche cosa che riassume tutti questi aspetti che fanno parte della percezione umana? Quando si parla di pensiero quando si parla di linguaggio, si intende tutta questa sfera o c’è una separazione molto netta?

Il linguaggio è soltanto ciò che consente di fare queste considerazioni, nient’altro che questo. Dicevamo tempo fa: il linguaggio è una sorta di hardware, cioè una struttura che consente di costruire qualunque cosa e il suo contrario, così come le distinzioni fra razionale e irrazionale, o ragione e sentimento, tutte queste grandi dicotomie che illustrano ciascuna volta una sorta di considerazione circa differenti modi di applicare un sistema, una struttura. Se io intendo con razionale tutto ciò che muove da alcune premesse e se intendo con irrazionale ciò che parte da altre premesse allora, va bene, ma in ogni caso, sia un discorso assolutamente razionale sia quello assolutamente irrazionale, si muovono in modo tale da essere assolutamente rigorosi, precisi, come un computer, anche le ragioni del cuore, cosiddette, sono mosse da procedure che funzionano esattamente allo stesso modo, sì no - 1 0, potremmo dirla così, in modo molto bizzarro. Ora si suppone che generalmente gli umani non pensino in questo modo, tuttavia, ammesso che possa non essere così, ciò che consente di riflettere una qualunque cosa, di pensare una qualunque cosa, dal calcolo logico formale più sofisticato al domandarsi perché la persona ha cessato di amarmi, per esempio, ebbene tutte queste riflessioni non potrebbero farsi se ciascuna volta ciascun elemento non fosse organizzato in una struttura che potremmo indicare come binaria. Se volete vi faccio un esempio molto banale, proprio tratto dalla ragione del cuore: “quella tale persona mi ama oppure no”, apparentemente la risposta può essere sì oppure no, però generalmente non avviene così. Uno si dice, da una parte sì e da quell’altra no, come dire che ciascuna volta questi elementi, sono rapportati, o almeno si cerca di confrontarli, con qualche cosa che possa stabilirli all’interno di uno schema che tutto sommato è molto rigido. Anche se la risposta è sì e no, lo schema è sempre rigidissimo, perché questi sì e no, sono soltanto delle figure differenti, non è la stessa cosa che si autocontraddice, ma se considero una certa cosa in un certo modo, cioè con certe premesse allora sì, se invece le premesse sono diverse allora no, però se le premesse sono queste, allora necessariamente sì, se sono altre allora necessariamente no. Qui c’è tutto un lavoro sterminato da compiere ancora perché considerando le cose dette negli ultimi anni, mi sono accorto che forse sono più prossimo a un discorso intorno a una sorta, chiamiamolo così in modo un po’ improprio, di intelligenza artificiale, dico improprio perché chiamarla intelligenza artificiale non ha un gran senso, come se uno la distinguesse da quella naturale, funzionano allo stesso modo visto che sono prodotte dalla stessa struttura. Questa struttura che consente al linguaggio di funzionare, impedisce di potere affermare simultaneamente una cosa e il suo contrario, delle due soltanto una può essere affermata, se non all’interno di una figura retorica, allora sì è possibile affermare una cosa e il suo contrario, ma è possibile farlo perché esiste una procedura che lo vieta e allora la figura retorica si pone come la negazione di una procedura che vieta questa operazione. Voglio dire questo, che perché esista una figura retorica come per esempio il diniego o la litote, cioè figure che negano qualche cosa, che affermano qualcosa negandola, per potere esistere, per potere funzionare questa figura retorica, occorre che esista una procedura che nega questa operazione, che dice che se una cosa è così non può essere altrimenti che così. Queste potete prenderle come procedure linguistiche, cioè come quegli elementi attraverso cui e con cui il linguaggio funziona, e si può dire qualcosa di più dicendo che sono non elementi del linguaggio, ma sono il linguaggio, senza questo il linguaggio cessa così come allo stesso modo, dicevamo prima, se ciascun significante potesse significare qualunque cosa il linguaggio non sarebbe utilizzabile, e quindi ciascuna cosa vorrebbe dire tutto e quindi nulla, non potremmo distinguere nulla da nulla. Dire questo in effetti comporta che se il linguaggio è questa serie di elementi che per altro non sono molto lontani da quello che già Aristotele aveva in qualche modo immaginato, si era accorto, aveva formalizzato un pensiero, precedente a lui, che perché funzioni tutto questo sistema, occorre un principio che lui ha chiamato per esempio il principio del terzo escluso. O una cosa o l’altra, non si da una terza possibilità, il famoso esempio: “domani ci sarà una battaglia navale”, o ci sarà o non ci sarà, non può darsi l’eventualità che ci sia e non ci sia simultaneamente. E perché non può darsi? Non può darsi per una struttura del linguaggio, che vieta di compiere questa operazione. La vieta perché il compierla sarebbe un non senso, cioè non direbbe niente, assolutamente niente, cioè impedirebbe di proseguire, così come l’affermazione e la negazione simultanee degli elementi impedisce al linguaggio di prendere una direzione, questo non è che sia una maledizione divina, sono soltanto regole, come quelle dell’aritmetica, sono state costruite e inventate a partire dal linguaggio, e quindi ne ricalcano in qualche modo la struttura, anche se in modo più rozzo, cioè se stabilisco che due più due fa quattro, non posso dopo stabilire che due più due facciano cinque, perché altrimenti tutto il calcolo numerico va a pallino, cioè non posso più utilizzarlo e il linguaggio allo stesso modo, anche se, più elaborato, più complesso, più sofisticato di quanto lo sia il calcolo numerico, però fornisce, diciamola così, gli strumenti per dire, per pensare quindi non è tanto che consenta al pensiero di dirsi, no al contrario, è il linguaggio che consente al pensiero di esistere, senza linguaggio non si pensa niente, non c’è pensiero formulabile...

- Intervento: Proviamo a pensare perché una persona parte da premesse invece che da altre.

Di questo grosso modo si occupa la psicanalisi...

- Intervento: perché attingono dalla memoria determinati elementi piuttosto che altri, allora tutto questo discorso sul linguaggio cosa c’entra, come può far capire, intendere questo aspetto?

Per un verso è molto semplice, e per l’altro invece è molto complesso. Semplice nel senso che una persona si muove a partire da alcune premesse che costituiscono il principio del suo discorso, per cui se avvengono certi fenomeni si muoverà sempre allo stesso modo, reagirà alla stessa maniera, come se fosse programmato alla stesso modo, così come per esempio un fervente cattolico, non potrà mai bestemmiare dio e i santi, non potrà mai negare l’esistenza di dio, non potrà mai mettere in discussione alcuni dogmi. Perché non può farlo? non può farlo perché le premesse da cui muove il suo discorso glielo proibiscono. La struttura è la stessa di quella di una persona che non riesce, per esempio, a parlare in pubblico, ecco, le premesse da cui muove il suo discorso gli proibiscono di compiere una cosa del genere. Ora nel caso del cattolico, queste premesse sono grosso modo consapevoli, nell’altro possono non esserlo, ma non lo sono perché si sono innestati altri elementi che gli impediscono di conoscerle, è un sistema questo più sofisticato, più elaborato, e cioè un sistema che prevede tra le regole di cui è fatto, anche una che impedisca di riconoscere queste regole, e quindi non le può riconoscere. Questo così, come dicevo prima può apparire molto semplice, e in effetti per alcuni versi lo è, sono strutture piuttosto semplici, semplici in quanto si attengono scrupolosamente a delle regole molto precise...

- Intervento: Sono regole inconsapevoli?

In alcuni casi sì, come nel caso del fervente cattolico, sono consapevoli, in altri no, perché appunto...

- Intervento: questa regola che gli impedisce di poter fare quello che vorrebbe, dove sta? Nella sua memoria, nel suo inconscio? Per esempio in quello che vorrebbe parlare in pubblico dove sta?

Emerge immediatamente, perché lui dice che vuole parlare in pubblico, però non lo fa. E quindi noi abbiamo a disposizione due elementi, ciò che dice e ciò che fa. Non sono molto differenti, e di entrambi teniamo conto, e cioè che vuole una cosa e anche l’altra, che vuole farla ma che non vuole farla, ora avrà dei buoni motivi per fare questo, che lui perlopiù ignora, motivi che non sono altro che delle regole che si sono stabilite nel suo discorso e che funzionano in modo molto forte, reperirle in alcuni casi può non essere neanche molto difficile, può essere molto difficile (e qui interviene la parte difficilissima) può essere difficile abbandonarle. La difficoltà in una psicanalisi non è tanto reperire quali siano le questioni, ma abbandonare l’attrazione che esercita tutto ciò che la persona dice di volere liberarsi, questo è l’intoppo. E’ questo che fa durare una psicanalisi molti anni, se no durerebbe pochissimo. Dicevo, a che cosa non si rinuncia? Ché generalmente sono le cose che sono chiamate sofferenza. Perché non ci si rinuncia? Per due motivi fondamentalmente, il primo è che la sofferenza ha un potere seduttivo molto forte, una persona che soffre comunque è al centro dell’attenzione. Secondo motivo, perché la sofferenza produce forti emozioni e cioè dà un senso alle cose, dice che c’è, che esiste qualche cosa. In effetti il panico che può intervenire rispetto all’eventualità di abbandonare questo, riguarda esattamente la paura, quella che gli antichi chiamavano orror vacui, la paura del nulla, l’idea che in assenza di questo ci sia il nulla, e da questo in alcuni casi ci si ritrae con paura, come se la stessa persona si dissolvesse nel nulla. Non è così ovviamente però lo si può pensare, ed è abbandonare questo, cioè la necessità in questo caso della sofferenza che costituisce il lavoro più arduo e più difficile e più lungo di una psicanalisi, perché come dicevo se non necessitasse di questo lavoro terminerebbe rapidissimamente, ma questo non accade, non accade perché abbandonare ciò che in molti casi costituisce quasi il perno della propria esistenza risulta arduo, ma non impossibile. Il motivo per cui una persona assume delle premesse anziché altre può reperirsi, ma si reperisce sempre sotto forma di figura retorica, anche una persona che giunge a stabilire che le premesse del suo discorso sono quelle, di fatto le dice, ma questo che dice non può in nessun modo essere stabilito da nessuno, nessuno dice che sia proprio così, è un discorso che ha fatto, una sua costruzione, e questa costruzione gli serve non tanto per intendere qualche cosa, ma per spostare la questione, non per abreagire come si diceva tempo fa, cioè disporre di tutto il passato, per cui finalmente se ne riappropria e lo gestisce meglio, non è proprio così in questi termini, ma è come se si accorgesse, constatasse che la questione non è quella. Ecco perché la questione si sposta e c’è questo effetto che taluni chiamano terapeutico, perché non è più lì il suo discorso, sono cambiate le regole del gioco. Le regole del gioco cambiano inserendone altre, se non si inseriscono, il gioco continua a girare su se stesso, allo stesso modo e all’infinito, inserendo altri elementi la questione si sposta, e cioè il gioco non è più lo stesso, fa un altro gioco, letteralmente. E questo come dicevo è ciò che si intende come effetto terapeutico, una persona cessa di avere paura di qualche cosa perché fa un altro gioco, non più il gioco che lo obbligava ad avere paura. Però la difficoltà maggiore sta nell’abbandonare una struttura, nel cambiare gioco in un certo senso, perché questa struttura che fa star male non è né migliore né peggiore di quell’altra, è soltanto un altro gioco, che può avere degli effetti collaterali nel senso che magari paralizza in certe circostanze ma...

- Interventi vari.