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18-11-2015

 

In questa nota Heidegger riassume cose dette in precedenza: Fissando tutti i punti: il tema è la verità, la verità del λόγος, più esattamente ci si chiede che cosa faccia sì che il λόγος, in quanto λόγος, possa essere vero o falso. Secondo Aristotele è dovuto al fatto che il λόγος ha la struttura della σνθεσις (cioè mette insieme le cose) ci si chiede allora in quale misura il λόγος si riferisse alla σνθεσις. Dalla più dettagliata osservazione è emerso che la σνθεσις è solo un momento strutturale che necessariamente si congiunge con la διαίρεσις (cioè il contrario di σνθεσις. Σνθεσις: unione – διαίρεσις: separazione) questo ci ha spinti a indagare ulteriormente: quale fenomeno è quello che si riferisce unitariamente a questo doppio carattere? (quindi per vedere come il λόγος possa essere vero o falso si riferisce alla σνθεσις e alla διαίρεσις cioè al mettere insieme e al separare) La risposta suona è l’ “in quanto” cioè la struttura che appartiene alla comprensione come tale (è questo che ha il doppio carattere, è l’“in quanto” che insieme unisce e separa) la comprensione qui deve essere compresa come un modo fondamentale dell’essere del nostro esserci, la definizione di tale modo suona: un modo che trattenendosi già sempre nella provenienza della significazione cioè nell’ “in quanto che cosa” si riferisce a un essere semplicemente presente, aprendo nel retrocedere un rapporto con esso in quanto “questo” o “quello” (ciò che riferisce, ciò che tiene in piedi sia la σνθεσις che la διαίρεσις, dice lui, è l’ “in quanto” che è “la struttura che appartiene alla comprensione come tale …” quando si comprende qualcosa, si comprende qualcosa “in quanto” qualcosa, è questo che sta dicendo, infatti dice “la comprensione deve essere compresa come un modo fondamentale dell’essere del nostro esserci” cioè il nostro esserci “Dasein” è anche comprensione perché io sono nel mondo in quanto comprendo le cose del mondo, “in quanto” comprendo le cose del mondo in quanto qualcosa) Come dobbiamo comprendere la comprensione? Un modo che trattenendosi già sempre nella provenienza della significazione (cioè si trattiene già sempre questa comprensione nell’“in quanto” che cosa, vuol dire che per comprendere qualcosa devo già comprendere che è qualcosa che si riferisce a un semplice essere presente, la comprensione muove da lì, da un semplice essere presente di qualcosa, aprendone un retrocedere in quanto “questo” o “quello”, cioè prima è presente qualcosa e poi retrocede verso la comprensione, verso una comprensione che è già sempre presente, perché vi ricordate ciò che diceva nelle pagine precedenti? Io devo già sapere, sono già nel linguaggio comunque, quindi vedo qualcosa semplicemente presente, vederlo semplicemente presente mi rinvia a qualcosa che già so) Questo trattenersi già sempre nel “per cui” del prendersi cura nel modo della retrocessione aprente è un comportamento originariamente unitario, un comportamento fondamentale la cui struttura è espressa dall’ “in quanto” (qui spiega questo “trattenersi già sempre”) nel “per cui” del prendersi cura del mondo, (prendersi cura del mondo è un trattenersi presso le cose del mondo) nel modo della retrocessione aprente (che è quello che dicevo prima “retrocessione” nel senso che si “ritorna” tra virgolette non è propriamente un ritorno, lui parla di retrocessione ma è difficile trovare un altro termine, questa retrocessione verso ciò che già si sa, potremmo dire verso il linguaggio: vedo qualcosa, retrocedo verso il linguaggio e a questo punto so, so che questo qualcosa è in quanto qualcosa, per esempio è in quanto posacenere) l’ “in quanto” ha la funzione dello scoprire qualcosa, dello scoprire a partire da qualcosa (dallo scoprire qualcosa “in quanto” ossia in quanto questa cosa, ha cioè la struttura della comprensione generale per Heidegger, è questa la comprensione, e cioè questa è la questione importante per intendere la questione della verità che poi è il disvelamento, scoprimento, infatti dice la comprensione ha a che fare con lo scoprimento di qualche cosa e adesso lo dirà in modo più chiaro: cioè scopro qualcosa in quanto qualcosa, lo scopro nel senso di svelamento) Comprensione significa: ἑρμηνεία quel che nella comprensione è compreso, comprendere: comportamento fondamentale dell’esserci (quindi abbiamo visto che “comprensione significa “ἑρμηνεία” cioè dice “quel che nella comprensione è compreso” che cosa è compreso? È compreso l’ “in quanto qualcosa”, l’ “in quanto che cosa”, l’ “in quanto questo”, l’ “in quanto quell’altro”) La struttura dell’ “in quanto” ossia la fondamentale struttura ermeneutica dell’essere dell’ente, che noi chiamiamo “esserci”, la vita umana (questo per lui è la vita umana cioè l’esserci cioè la struttura dell’ “in quanto”, e poiché uno si trova preso continuamente nell’ “in quanto questo”, perché l’in quanto dice “questo è qualcosa in quanto questo, in quanto quell’altro” eccetera però dice “ogni “in quanto” è un ente, la domanda intorno all’in quanto qualcosa dice già dell’Essere, e cioè del fatto che io sono preso all’interno di un progetto, potremmo dire forse più semplicemente “siamo già all’interno del linguaggio” è perché io sono nel linguaggio che io posso rapportami alle cose in quanto qualcosa) Questa fondamentale struttura ermeneutica può essere afferrata in maniera relativamente originaria nello schietto aver “a che fare con” esibita a partire da esso (dice che questa struttura ermeneutica la ritroviamo continuamente con il fatto di avere continuamente ad avere a che fare con qualcosa, cioè “essere presi nel mondo” letteralmente) Questa fondamentale struttura unitaria espressa con l’ in quanto, unitaria in quanto mette insieme σνθεσις e separazione non è frazionabile ma va interpretata più originariamente come totalità nel suo insieme, in seguito dove questa struttura non sia ancora sufficientemente illuminata la si coglie dall’esterno indirettamente in maniera formale. Nella comprensione primaria dell’avere “a che fare con” quel che è compreso o significato è aperto al rapporto (quindi qui la nozione di significato riguarda il fatto della comprensione, è il comprendere stesso che è il significato, non è che il significato consenta di comprendere ma il contrario, è la comprensione che è il significato, infatti dice: quel che è compreso o significato è aperto al rapporto, come dire che al momento in cui qualcosa viene compreso allora si significa, significando si apre al rapporto con altre cose o più propriamente ancora è già da sempre aperto a qualcosa) in questo modo alla comprensione stessa è data la possibilità di prendere con sé e di conservare il rapporto, il risultato per così dire, il risultato del significare è sempre un significato … del significare è sempre un significato (quindi vedete che la questione della verità, sì certo noi sappiamo già che la verità, l’λήθεια, ha a che fare con il disvelamento per Heidegger, però qui è uno scoprire che ha a che fare con l’ “in quanto”, io mi trovo a scoprire, a disvelare qualcosa di volta in volta in quanto questo, in quanto quello) “Lasciar vedere” dichiarativo si muove qualunque struttura particolare esso possa avere come predicazione nell’avere comprendete dell’ “intorno a che” , questo avere comprendente l’orientarsi che sta alla base di ciò intorno a cui deve vertere il discorso ha la struttura dell’ “in quanto”, in quanto è l’avere comprendente (cioè il comprendere come avere qualcosa infatti diceva lui lo scoprire, come dire a questo punto “ho qualche cosa”) Tutti i modi del dichiarare ossia la forma particolare in cui esso si realizza non possono quindi se sono forme di realizzazione di una enunciazione dichiarativa nascondere la struttura dell’ in quanto. L’in quanto è infatti la struttura fondamentale della comprensione e dell’accessibilità in essa, (la struttura dell’in quanto) è conservato necessariamente come appropriazione che da l’accesso il possibile “intorno a che” compreso prima di tutto e in anticipo di ogni dichiarazione che tocchi il punto trattato (siamo sempre in questa sorta di anticipazione, sta ripetendo le cose dette prima e cioè che devo già essere, possiamo dire nel linguaggio, Heidegger direbbe nel mondo, nell’esserci per potere avere la comprensione) La dichiarazione è il senso del far vedere l’essere semplicemente presente di qualcosa con e presso qualcosa, qualcosa è in quanto presente accanto ad essa un’altra cosa, (“qualcosa è in quanto presente accanto ad essa un’altra cosa”) la conoscenza, la comprensione si sviluppa attraverso la connessione un rapporto fra elementi. Nell’avere a che fare semplicemente comprendente (cioè nell’avere a che fare con qualche cosa ma in questo “avere a che fare” comprendo ciò con cui ho a che fare) l’ente è compreso a partire dal “per cui” (vi ricordate il “per cui”? era l’uso, cioè a che cosa mi serve? Cosa ne faccio?) Questo “per cui” ossia in quanto che cosa visto nella direzione della comprensione non è considerato tematicamente altrettanto poco è raggiunto. /…/ L’enunciare in cui ora si pone il prendersi cura (perché “enunciare” cioè dire è già prendersi cura di qualcosa e dice infatti) procura in quanto tale puramente l’ἀποφαίνεσθαι cioè lo scoprire (cioè lo scoprire, l’enunciare che è un prendersi cura e questo prendersi cura fa vedere, cioè non è nient’altro che lo scoprire, l’ἀποφαίνεσθαι è uno scoprimento, il dire comporta un prendersi cura, questo prendersi cura è uno scoprire la cosa: l’enunciare qualcosa, dire qualcosa è prendersi cura di qualcosa, questo prendersi cura di qualcosa è scoprire quella cosa, farla comparire, farla apparire, farla esistere) L’enunciazione quindi come prendersi cura, come comportamento dell’esserci (perché l’esserci è questo è prendersi cura del mondo) è nel senso più ampio anche un “avere a che fare con” non nel senso di un orientamento manuale ma solo in quello dell’interpellare (cioè della domanda, quindi l’enunciazione come prendersi cura, come comportamento dell’esserci è soltanto nel domandare, nella domanda, come dire che perché ci sia verità, nell’accezione che ha indicato prima, occorre che ci sia la domanda, senza la domanda non si giunge alla verità) Poiché dunque l’enunciare nel senso di dichiarante determinare perviene per così dire agli oggetti del mondo circostante dati immediatamente (“dichiarante determinare” è indicare qualche cosa, determinare qualcosa) perviene agli oggetti del mondo circostante dati immediatamente che sono primariamente orientati verso l’uso le cose del mondo circostante, le cose che si usano o genericamente tutto quello che è orientato verso il prendersi cura nel senso del comportamento non teoretico sono portati a livello di semplici cose presenti (qui di nuovo è l’uso che emerge, è l’uso che determina ciò che qualche cosa è, questo nel dire perché nell’enunciare cioè nel dire mi prendo cura di qualche cosa, ma prendendomi cura di qualche cosa lo faccio apparire, facendolo apparire a questo punto c’è, appare, ma come appare? Appare in base all’uso, in base al progetto, usiamo le parole sue “in base al progetto” ecco perché dice che l’uomo è un progetto gettato) Il determinare è formalmente un rapportare, un rapportare che mette insieme in ogni caso, in questo rapportare appare il momento sintetico prima di quello analitico (occorre prima mettere insieme e poi incominciare l’analisi) questo rapportare che mette insieme può essere isolato di fronte alla funzione primaria del λόγος (la dichiarazione) e allora esso si copre sciolto per così dire dalla specifica relazione dell’ “intorno a che” in quanto soggetto e predicato, in quanto rapporto di una cosa con qualcosa nell’ambito di un formale mettere insieme. Aristotele usa il termine in un certo qual modo formalmente lasciandogli però contemporaneamente il senso dell’apofantico ossia del dichiarare che indica l’ente. Qui Aristotele vede anche il primario ed essenziale riferimento del λόγος come λόγος τινς all’ente che deve essere indicato nel determinare e solo in esso (λόγος τινς è il discorso che indica) questo si avvicina nella sua costituzione irriconoscibilmente ad un vuoto apportare e mettere insieme, inoltre questo enunciare determinativo in quanto è pronunciato è esso stesso qualcosa di semplicemente presente (dice “il determinare è un rapportare una cosa a un’altra, il λόγος, la dichiarazione diciamo, appare a questo punto sciolto dalla specifica relazione dell’intorno a che in quanto soggetto predicato” dice che a questo punto sorgono soggetto e predicato perché il λόγος è come sciolto dal fatto di essere semplicemente un intorno a che cosa, ma incomincia a porre la questione dell’oggetto, del soggetto eccetera. Qui dice che la verità che ha a che fare con lo scoprimento e invece il falso con il coprire) Nell’indicare che abbiamo caratterizzato come enunciazione, indicare che determina qualcosa in quanto qualcosa l’ente si fa visibile (l’enunciazione, il dire determina qualcosa in quanto qualcosa e allora l’ente si fa visibile) la cosa semplicemente presente viene indicata in quanto qualcosa, in modo che l’“in quanto che cosa” con cui viene indicata la cosa semplicemente presente, giaccia in questa stessa cosa semplicemente presente (cioè la cosa semplicemente presente quella qualunque cosa “semplicemente presente” quindi non ancora interrogata, non ancora tematizzata, non ancora indagata. Una cosa semplicemente presente viene indicata come qualche cosa in modo che il fatto di averla indicata come qualcosa “giaccia” con questa cosa, a questo punto la cosa che esiste in quanto semplicemente presente, ma anche come un “intorno a che”, cioè lui dice che mette insieme per la comprensione, mette insieme il semplicemente presente con l’intorno a che, cioè il fatto che sia semplicemente presente con il fatto che sto rapportando con qualche cosa, sto parlando intorno a qualche cosa) La verità è lo scoprimento dell’ente, se il λόγος deve poter essere questa possibilità in una forma determinata allora esso deve avere già in quanto λόγος una relazione con l’ente. (se la verità è lo scoprimento dell’ente allora c’è una relazione tra la verità e l’ente) Esso (λόγος) è un modo d’essere dell’esserci nei confronti e di esso stesso (cioè dell’esserci, quindi il mondo fa mettere insieme l’esserci e il mondo che poi di fatto per Heidegger sono praticamente la stessa cosa) In breve l’essere per l’ente (ecco poi si pone la questione della falsità) Se la falsità deve spettare al λόγος (al discorso che può essere vero o falso, questa è l’apofanticità del λόγος) allora essa deve riguardare questa struttura, la falsità è quindi determinata 1) a partire dall’ente stesso e dal suo essere relativamente al quale il λόγος è quello che è 2) dallo stesso comportamento adeguato all’esserci (cioè parte la falsità che può partire dall’ente stesso e “dal suo essere relativamente al quale il λόγος è quello che è” che sarebbe l’adæquatio oppure lo stesso comportamento adeguato all’esserci cioè il comportamento del λόγος rispetto all’esserci, cioè al discorso in quanto discorso preso nel mondo, queste sono le condizioni in cui è possibile la falsità, cioè o il λόγος non è adeguato a quello che è, oppure “dallo stesso comportamento adeguato all’esserci” cioè dallo stesso comportamento del λόγος ma questa volta rispetto all’esserci non più alle cose come stanno) La condizione di possibilità della falsità è secondo Aristotele la σνθεσις, dunque la σνθεσις in questo doppio aspetto nell’ente cioè nell’ente semplicemente presente nell’intorno a che e nello stesso rapporto enunciativo (quindi per farla breve o è falso l’ente o è falso ciò che ne dico, l’ente semplicemente presente è la cosa per così dire) La verità può essere presentata come scoprimento dell’ente, in quanto essere scoperto la verità è da una parte un carattere dell’ente stesso, in particolare del mondo in quanto si manifesta, ma nel contempo è in quanto scoprire un carattere del comportamento dell’esserci (è solo la temporalità e l’“adesso” nell’immediato, quando qualcosa si scopre si scopre nell’immediato in questo senso la verità ha a che fare con il tempo perché la verità è adesso, ha a che fare solo con ciò che la verità disvela cioè con l’apparire di qualche cosa) Non posso ingannarmi nell’ambito dello scoprimento di cose semplici sempre presenti perché lo scoprire di cui è possibile indica il diretto possesso dell’ente (sarebbe la visione) l’atteggiamento scoprente verso l’ente, atteggiamento che è condizione del possibile inganno (perché è l’atteggiamento dello scoprire ciò da cui può sorgere l’inganno) qui è già in base al senso lo scoprente possesso dell’ente stesso (quindi l’atteggiamento verso l’ente è già lo scoprire l’ente, il modo in cui rapporto nei confronti dell’ente è già uno scoprire l’ente) È tuttavia possibilissimo che io viva in uno scoprimento e che abbia esibito l’ente, che sappia dell’ente in se stesso in base all’esibizione di un sapere dell’ente quindi che vive nella verità e che possa tuttavia cadere in un inganno relativamente all’ente che ritengo essere nella verità. Queste cose semplici questi ultimi enti da cui ogni ente trae la sua determinazione (ciò che vedo) sono semplicemente presenti e non mai non ancora presenti, non accade mai quindi che siano assenti (ciò che si disvela, ciò che appare, può essere assente? No, dice Heidegger, ciò che appare è necessariamente presente cioè è impossibile che siano assenti le cose che appaiono semplicemente) il loro essere esclude ogni possibile assenza nella cosa stessa che essi sono, nel loro modo di essere, questi enti non sono mai non presenti così come essi sono. (se vedo una cosa in un certo modo questa cosa è presente in quel modo) Un ente può essere simulato solo se esiste qualcosa che possa essere dato insieme ad esso in quanto qualcosa in cui esso stesso si mostra e si determina, giacché l’inganno è l’offrire e lasciare intendere in quanto qualcosa nulla però può essere dato insieme all’ente semplice perché esso in quanto ente semplice non ha bisogno di alcuna composizione con qualcosa c’è qui infatti una netta esclusione della possibilità della composizione (sta dicendo che la verità riguarda lo scoprimento, ciò che appare immediatamente, la menzogna sta nel fatto di aggiungere cose a ciò che immediatamente è presente, è in questa aggiunta che è possibile l’inganno, se la cosa è immediatamente presente non mente, se invece posso aggiungere cose, come dice lui, posso dare insieme a queste cose altre cose e allora sì posso ingannare perché questa cosa la simulo, non è più quella che appare perché aggiungendo altre cose diventa un’altra, questo per dire ancora e sempre che per Heidegger la verità riguarda ciò che si dà, ciò che è la svelatezza che è appunto l’λήθεια. Adesso c’è una considerazione su Hegel e su Kant intorno al “tempo” perché il “tempo” come dicevo è importante per lui perché riguarda che cosa? l’immediatezza, l’adesso di ciò che si dà. Dice Heidegger che si interroga sull’“adesso” perché lui si è lasciato interrogare dall’adesso perché l’adesso è l’immediato manifestarsi, apparire di qualcosa) All’ “adesso” appartiene essenzialmente questo carattere dell’indicazione dell’ “in direzione di” solo con l’esplicazione del carattere dell’ “adesso” è possibile portare un senso nella sintesis speciosa temporis (cioè nella particolare sintesi del tempo) per questo motivo abbiamo colto la struttura fondamentale della sintesis temporis /…/ con l’adesso non si intende, non si esprime qualcosa di semplicemente presente ma con l’adesso l’esserci esprime se stesso non come qualcosa di semplicemente presente ma nel suo essere per il mondo si esprime cioè nel modo fondamentale di questo essere per il mondo nel rendere presente (cioè con l’adesso non si esprime soltanto l’immediatamente presente ma anche, cosa fondamentale, si esprime l’essere per il mondo, in questo adesso, cioè adesso appare questo ma appare a me che lo sto guardando, che sono fatto in un certo modo, che sto facendo certe cose, che ho dei progetti) nell’adesso si esprime il presente, il presente cioè il lasciare venire incontro la cosa non esso stesso essenzialmente presente, non è qualcosa di semplicemente presente ma il presente è solo rendere presente, rendere presente nel senso del comportamento ossia rendere presente nel senso espresso proprio dell’essere dell’esserci per il mondo (cioè sono io in quanto esserci che rendo presente la cosa, la cosa non è presente di per sé, è presente per me che voglio farne qualcosa) L’essere per il mondo non è un modo d’essere cui possa ancora essere aggiunta la proprietà del rendere presente ma il presente esprime esso stesso in maniera primaria ed unica perché può significare qualcosa come essere presente (cioè dice che c’è l’essere presente di qualcosa, poi l’esserci che si rapporta con lui, Heidegger dice “no, è l’esserci che rende presente la cosa”) Ciò che è presente esprime direttamente esso stesso in maniera primaria ed unica quel che può significare qualcosa come essere presente (perché sono io che dico che questa cosa è presente e dico che è presente perché appare, appare in un certo modo perché mi appare come qualcosa che io voglio modificare, perché mi appare in quanto io sono in rapporto con questa cosa per qualche motivo, questa cosa è in quanto qualcosa perché ci ho a che fare con questa cosa essendo preso nel mondo) Il rendere presente è primariamente presenza effettiva, il presente è un concetto strutturale dell’esserci tale che in esso si esprime il senso dell’essere, in primo luogo dell’essere nel mondo, indichiamo come “esistenza” la, di volta in volta, autentica possibilità d’essere di un esserci effettivo (cioè l’esistenza è la possibilità di essere di un esserci effettivo, cioè di essere io nel mondo, questa è l’esistenza per Heidegger non ce ne sono altre ma è dell’uomo in quanto progetto, in quanto gettato continuamente nel volere fare cose) Tutte le strutture dell’essere e tutte le interpretazioni dell’essere proprie dell’esserci sono orientate in base all’esistenza (l’esistenza per Heidegger è l’esistenza dell’uomo, questo accendino per Heidegger non esiste, c’è ma non esiste, solo l’uomo esiste, è un esistenziale) L’espressione il “presente” è abitualmente usata in vari sensi innanzi tutto significa adesso, l’ epoca attuale, l’oggi eccetera, il significato di “presente” può allora essere formalizzato come avviene nell’esplicazione teoretica del “tempo” in Hegel, venendo così a significare che il “presente” significa l’“adesso puro” (ma il “presente” qui dovreste fare un’obiezione a Hegel per queste due parole che sta dicendo, la questione del “tempo puro” abbiamo visto che per Heidegger non c’è l’ “adesso puro”, l’ “adesso” è per l’esserci, è l’esserci che consente l’adesso perché consente attraverso l’essere, cioè l’apertura, consente all’ente di apparire, apparendo l’ente ci ho a che fare, ma non è che appare e quindi ci ho a che fare, questo apparire e averci a che fare sono la stessa cosa per Heidegger, questo è il punto fondamentale) Il presente non significa solo l’adesso e l’oggi in un senso concreto ma anche la presenza essenziale /…/ Nella formulazione della domanda si è sottolineato come il tempo sia il lasciar venire incontro qualcosa di semplicemente presente (la cosa non viene da sé, è nell’esserci che questa cosa appare perché è lasciata venire incontro) L’io penso è il lasciare essere essenzialmente presente qualcosa con sé // Io penso (qui si riferisce a Kant) non è nel tempo, ma esso è il tempo più esattamente è un modo del tempo ossia il modo del puro rendere presente (il fatto che io pensi, cioè che dica, il fatto di essere nel linguaggio è esso stesso, per Heidegger, è il tempo, nel senso che è il modo di rendere presente le cose, rendere presenti cioè sono adesso, ma il tempo è generalmente considerato come una sequenza di punti, ciascun “adesso”, il tempo come sequenza di tanti adesso. Questo punto che appare può apparire soltanto in quanto esistenziale cioè in quanto prodotto del linguaggio. Questo soggetto parlante non è isolabile, non è fuori del mondo ma è all’interno di un progetto. Per Heidegger il linguaggio è la dimora dall’essere cioè il λόγος è ciò attraverso cui si dà l’essere. Dice “Io penso è il puro essere presente” come dire che qualcosa si presentifica, lui parla dell’ “io penso” che intanto è un riferimento kantiano e poi indica il “parlante” potremmo dire) Gli “adesso” (vi ricordate la nozione di tempo come una sequenza, successione di tanti adesso, tanti punti) qui sono compresi come qualcosa che è esso stesso nel tempo, la comprensione di questi punti è già nel tempo, qualcosa che per conseguenza la temporalità del tempo non può spiegare (cioè dovrei spiegare il tempo attraverso il tempo) il futuro però non è una determinazione della possibile essenziale presenza degli adesso, come la presenza essenziale è possibile solo in un render presente qualcosa inteso come quel che è articolabile innanzi tutto per mezzo di un presente (cioè la presenza è articolabile attraverso qualcosa che è presente)così anche il futuro …/…/ nell’aspettarsi (parla del futuro) l’esserci è già sempre nell’essere per il suo più proprio poter essere, l’aspettarsi è il modo di essere il proprio poter essere in quanto essere per questo poter essere stesso l’esserci è avanti a se stesso (sta dicendo che il futuro è un aspettarsi qualcosa, credere “in vista di” che avevamo visto tempo fa, ora questo aspettarsi qualcosa rende possibile ciò che ci si aspetta, ma questo possibile che ci si aspetta è già lì presente in quanto possibile, è una possibilità quindi è già presente, quindi è già sempre nell’essere, per potere essere qualche cosa è già nell’essere cioè è già nell’esserci, è già nel parlante questa possibilità di essere qualche cosa) In quanto essere per questo poter essere stesso l’esserci è avanti a sé stesso (come dire che in quanto essere questo poter essere, io sono in quanto possibilità di qualche cosa proprio in questo senso, lui dice, l’esserci è sempre avanti a se stesso, è sempre progettato in avanti, è sempre un progetto gettato. Nell’ultima parte spiega la questione del tempo in Hegel e poi in Kant e anche in Bergson in parte) ora l’espressione “avanti” indica l’aspettarsi, l’espressione l’ “esser presso” il rendere presente e il trattenere (essere presso qualcosa significa essere lì, essere insieme con questa cosa e trattenerla perché se questa cosa sfugge, non trattengo niente non sono più presso. Poi si chiede, e il “già”? “Essere già” per esempio) Il “già” è un determinazione temporale che spetta ad ogni tempo e ad ogni effettività d’essere dell’esserci, il “già” è l’indicazione dell’a priori dell’effettività (nel senso che mostra qualche cosa a priori di ciò che accade, “è già qualche cosa”, “questo è già acquisito”, “questo è già andato”) questo “già e come se fosse una sorta di a priori (qualcosa che c’è già, non trascendente potremmo dire ma che è già sempre lì, appunto “già sempre”) questo vuol dire le strutture dell’esserci cioè la temporalità stessa (per Heidegger l’essere è il tempo, l’essere e l’esserci qui adesso, in questo senso è il tempo, perché c’è la temporalità, per Heidegger è un esistenziale in quanto riguarda l’uomo che è l’unica cosa che esista, per questo l’essere è il tempo, perché il determinato, questo essere esistenziale cioè l’uomo è determinato dalla sua temporalità, vale a dire da tutto ciò che questo uomo, questo esserci ha intenzione di fare “adesso” “prima” tutto ciò che ha acquisito, tutto ciò che farà, tutto ciò che vuole progettare, tutto questo è presente, è qui adesso, in questo senso l’essere è il tempo, la temporalità) Enunciare l’esprimente lasciar vedere qualcosa in quanto qualcosa è una determinata possibilità del puro rendere presente, lasciar essere essenzialmente presente l’essere (lasciare che qualcosa venga incontro) ossia lo scoprire la presenza essenziale di qualcosa di semplicemente presente questa è la funzione fondamentale del λόγος in quanto ποφανεσθαι (del λόγος in quanto ciò che rende manifesto, il λόγος enuncia, esprimendo lascia vedere qualcosa in quanto qualcosa e lo lascia essere essenzialmente presente, questo fa il λόγος, fa il discorso, cioè rende presente qualcosa e lo lascia essere presente) la presenza essenziale di qualcosa di semplicemente presente, presenza essenziale scopribile solo in un presente non significa nient’altro che l’essere dell’ente (la presenza essenziale, l’essere qui e adesso dell’ente con tutto ciò che questo comporta cioè essere stato presentificato, adesso perdonatemi questi termini, dall’esistenziale cioè dal parlante ecco questo è l’essere perché questo ente è comparso all’interno di un progetto) Ogni enunciazione espressa custodisce in sé l’esser scoperto dell’ente (e siamo alla questione finale ma anche più importante, “ogni enunciazione espressa custodisce in sé l’esser scoperto dell’ente” cioè la verità, il suo esser vero, letteralmente l’essere lo rende vero) Custodire un essere scoperto (ciò che è apparso) non significa nient’altro che poter in ogni momento render presente (“custodire” se io lo custodisco lo posso rendere presente in qualunque momento) l’esser scoperto è quindi un possibile straordinario presente, presente dell’ente espresso nel suo essere e nel suo essere così (per poter dire che questo essere è così devo mantenerlo, devo custodirlo come dice lui, custodendolo lo rendo vero, potremmo anche dire che è vero in quanto lo fisso, lo fermo come diceva anche Nietzsche) L’esser scoperto verità dell’enunciazione riferita al mondo significa il presente, ciò che è presente è ciò che viene scoperto nel senso proprio dell’¡λήθεια, (non scoperto nel senso di scoprire l’America, ma)l’esser scoperto o verità dell’enunciazione riferita al mondo significa il presente (l’enunciazione scopre, scoprendo custodisce, custodendo lo rende presente) essere significa però presenza essenziale nel senso dell’essere e cioè afferrato a partire dal presente in cui soltanto è possibile qualcosa come la presenza essenziale (infatti “comprendere” dice lui) “comprendere” significa determinare qualcosa in quanto qualcosa, l’ente è ora preso, inteso in se stesso, nel suo in sé quando sia compreso nel suo puro essere per esso stesso ossia “nel” e a partire dal puro presente dell’esserci rivolto al suo mondo (l’ente è compreso quando io rapportandomi all’ente, cioè facendo quelle operazioni di cui diceva prima, lo faccio essere quello che è, ma tutto questo è possibile perché è inserito nel mondo cioè io inserisco questo ente nel mondo, vale a dire io lo inserisco all’interno, diciamolo in modo molto spiccio, è il suo uso nel progetto che ho verso quell’ente. Il λόγος, il discorso, la parola dicendo lascia che qualcosa appaia, qualcosa appare svelandosi ma per svelarsi, perché qualche cosa si sveli, occorre che questo qualche cosa sia un qualche cosa per me e cioè che io abbia a che fare con questo qualche cosa e averci a che fare qualcosa con questo qualcosa significa avere un progetto nei confronti di questo qualcosa. Questa è la tesi di Heidegger, questo è l’esserci. L’ente è quello che è all’interno di un progetto, un progetto vuole fare appunto qualcosa dell’ente. Custodire è il prendersi cura delle cose, “prendersi cura” è mantenerlo come presente e quindi poterlo utilizzare. Questo è molto rapidamente ciò che dice Heidegger nel testo “Logica del problema della verità” quindi la verità è questo lasciare che qualcosa appaia, appaia così come appare all’interno di un progetto, quindi è una nozione di verità totalmente differente di quella della logica, infatti lui accusa la logica di rimanere molto in superficie, di non approfondire la questione, di rimanere cioè nell’ambito della metafisica tutto sommato, infatti qui alla fine dice proprio questo) La logica è la più incompleta delle discipline filosofiche e la si può far progredire solo se essa riflette sulle strutture fondamentali dei fenomeni che ne costituiscono i temi, sono strutture primarie del logico inteso come un comportamento dell’esserci sulla temporalità dell’esserci stesso, la base inesprimibile della logica tradizionale è però una determinata temporalità orientata primariamente verso il rendere presente, orientamento che si esprime in maniera estrema nella formulazione del concetto greco di conoscenza come puro θεωρεν (teoria) pura visione, tutta la verità di questa logica è verità della visione, visione intesa come render presente (dice che la logica, diciamo che è “ingenua” tra virgolette, perché non si accorge che tutta la verità di cui parla la logica, in tutti i modi in cui ne parla, non è altro che una visione intesa come rendere presente qualche cosa, ma non si accorge di questo che rende presente mentre lavora la logica, che lascia apparire qualche cosa senza accorgersene, immagina che queste cose siano già, e cioè una pura visione di qualcosa che è già (adæquatio rei et intellectus) quindi la critica che rivolge Heidegger alla logica è che la logica prende i suoi concetti come se fossero pura visione delle cose, senza accorgersi che queste cose appaiono alla logica, così come a chiunque, all’interno di un processo che è quello che Heidegger ci ha illustrato prima rispetto all’esserci, la logica non è esistenziale, cioè non parte dal fatto che tutto ciò che sta facendo lo sta facendo all’interno di un progetto, tutto è costruito all’interno di un progetto per quel progetto, mentre la logica, secondo lui, semplicemente pensa di vedere come stanno le cose. Per Heidegger questo soggetto non è isolato, non è un soggetto metafisico, per Heidegger non c’è propriamente il soggetto ma c’è l’“esserci”, cioè c’è il parlante in quanto preso nel linguaggio.