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18  novembre  1999

 

Allora, dicevo, ci sono questioni connesse con quanto andiamo dicendo? Del discorso isterico, in particolare.

Sì, sull’isteria d’angoscia e di conversione. Così diceva il vecchio Freud. Qualcuno ha riflettuto sulla tecnica dell’analisi del discorso isterico, oppure nessuno si è minimamente preoccupato come fate di solito? Elisabetta?

Intervento: Vorrei che riprendesse l’isteria di conversione.

Quindi questa è una domanda non è una riflessione.

Sì, sui sintomi dell’isteria di conversione.

Si può parlare di conversione così come se ne parla rispetto alla religione. Uno si converte a qualche altra cosa. Come dire credo una certa cosa e poi la sua fede passa ad un’altra. La conversione funziona esattamente in questo modo. Crede una certa cosa, qualunque cosa non ha importanza, e, ad un certo punto avviene qualcosa per cui s’inserisce una sorta di viraggio nel discorso. I casi tipici di conversione isterica sono sintomi somatici, converte in una paralisi isterica una paura o un accidente qualunque. Ma è una conversione, come dire, prima credo che il papà sia una certa cosa poi mi accorgo che è un’altra e allora converto questa cosa in un’altra credenza che si manifesta poi attraverso un sintomo.

Il caso abbastanza tipico: prima crede che il papà sia una persona casta ed immacolata e poi si accorge che va con tutte le donne che incontra allora si trasforma in una sorta di prostituta. Si converte, letteralmente.

È abbastanza frequente l’isteria cosiddetta di conversione.

Però, anche in quel caso si tratta sempre di intervenire come vi dicevo la volta scorsa, cioè‚ imponendo il rigore, anche nella condotta. Vedete, l’isteria‚ sempre a caccia d’autorità. Dicevamo l’altra volta crea un Dio per poi abbatterlo quando l’altro si sente tale. Ciò che fa l’analista ‚ portare, come abbiamo sempre detto, alle estreme conseguenze: se cerca un Dio io mi muoverò come se lo fossi.

Quindi dire cose con assoluta determinazione e sicurezza. Poi ovviamente mantenere questa posizione di autorità nei confronti del discorso isterico senza recedere da questa posizione.

Perché, è tipico della struttura del discorso isterico, ad un certo punto, volgere l’uomo, se‚ il caso di una donna ma è la stessa cosa viceversa, volgere comunque il partner che prima era considerato un essere superiore farlo diventare un inetto.

E quindi questa l’operazione che tenta il discorso isterico. E, pertanto, occorre che chi si trova nella posizione di analista non cada in questo gioco, quindi mantenendo sempre l’autorità. Come si mantiene l’autorità nel discorso isterico? Si mantiene in questo modo: forse l’avevo già accennato l’altra volta, si fa spostando sempre più in alto la posta in gioco.

Dicevo, chiede l’impossibile. L’analista glielo fornisce. Diceva un amico anni fa a Milano, glielo fornisce su un piatto d’argento. Come glielo fornisce? Dicevo alzando sempre la posta in gioco, e cioè facendo la caricatura dell’autorità che chiede sempre di più, ma chiede non cose qualunque, perché la richiesta da parte dell’analista, di chi si trova in quel momento a fungere da autorità nei confronti del discorso isterico, una richiesta che punta al fare, sempre facendo la caricatura del discorso isterico che è sempre pressato di cose da fare, anzi ha un bisogno continuo di cose da fare per vivere.

Però un fare che, nel caso dell’analista visto che parlo a voi che, in buona parte lo siete già, puntare alla questione intellettuale. L’analista punta sempre ad una questione intellettuale, comunque. Cioè all’intendimento, anche perché una persona che si rivolge ad un analista, comunque si trova presa in un percorso intellettuale.

E, quindi, continue richieste autorevoli di cose che riguardano il suo percorso intellettuale. In questo modo il discorso isterico si sente molto importante, perché è sempre preso dal dubbio di essere nulla. Di essere poco, di non essere sufficientemente considerato ecc.

E, quindi, una richiesta di questo genere pone l’isteria immediatamente su una posizione d’importanza; questa persona, o meglio, sono importante per questa persona, quindi esisto. Ricordate per il discorso isterico è fondamentale essere importante per qualcuno, perché questo qualcuno diventa colui o colei per il quale desiderare, però, badate bene, qui c’è una differenza che Sandro ha trovato con il discorso ossessivo, interviene in modo totalmente differente.

Forse è il caso che torni a ripetere per Nella: sono due modi differenti di porsi di fronte al desiderio dell’altro: il discorso isterico e il discorso ossessivo. Siamo nel discorso isterico: l’altro finché ‚ necessario, perché deve desiderare da me qualcosa in modo che io possa fare. Perché, a questo punto, il suo desiderio diventa una legge, allora io devo fare questa cosa. Questo qualcuno o anche qualcosa, non necessariamente qualcuno. Preferibilmente qualcuno, ma non necessariamente. Ha bisogno che qualcosa la costringa, o meglio, più propriamente ancora: ha bisogno di qualcosa da fare, qualche cosa che s’imponga come necessità: questa cosa è da fare, quindi devo farla assolutamente, quindi sono occupato a fare questo, questa è la cosa più importante da fare. Poi dicevamo la volta scorsa, non importa cosa sia se spostare questo pacchetto da qui a lì o negoziare la pace fra due nazioni. Qualunque cosa sia non ha importanza, l’importante ‚ che ci sia qualche cosa da fare assolutamente. Però non desidera al posto dell’altro, prende questo desiderio non desidera al posto dell’altro, non si mette nei panni dell’altro. Prende questo desiderio che, casualmente, ‚ di questo qualcuno e deve soddisfarlo.

Il discorso ossessivo non soddisfa mai il desiderio dell’altro, assolutamente mai, anzi fa di tutto perché questo non avvenga. È vero, Nella? E desidera quando? Quando l’altro la costringe o lo costringe a desiderare, però mentre il discorso isterico desidera in prima persona, perché fa suo questo desiderio e si espone, non conosce mezzi termini, a questo punto l’altro non è più di grande importanza, l’importante è che ci sia qualcosa che necessariamente debba essere fatta, e, allora, parte in quarta. E quindi si espone in prima persona, il discorso isterico si riconosce anche immediatamente anche da questo, che parte immediatamente in quarta e non guarda più in faccia nessuno, travolta da questa missione. Ogni volta ‚ una guerra di religione che scatena il discorso isterico. Il discorso ossessivo no. Non fa nessuna guerra di religione, è molto religioso ma non combatte. Nel senso che attende che l’altro o l’altra, a seconda dei casi, la costringa a fare ciò che nel discorso ossessivo desidera, non può ammettere di desiderare. Perché il problema nel discorso ossessivo ‚ connesso con il desiderio, connesso con tutti i desideri, perché in nessun modo lo accoglie. Può accoglierlo per interposta persona, cioè l’altro, io voglio prendere questo aggeggio qua, però non so: lo prendo, non lo prendo, mah! Allora fa in modo, per esempio, di costringere Elisabetta a fare che cosa? Beh, a mettermi alle strette finché io sarò obbligato da lei a prendere una decisione.

Intervento: Quando si cerca, ad esempio, qualcuno che dica cos’è bene e cos’è male. È un’altra figura no, di questa proiezione?

Sì, dipende anche dal modo.

Intervento: Perché io la vedo più che altro espressa in questo modo: non tanto che l’altro costringa a fare ciò che lui desidera fare, quanto che l’altro, in un certo senso gli dica : è bene quello che devi fare, o ‚ male se fai il contrario, per dire. Viene formulata di più tra bene e male, mi ‚ capitato tante volte di sentire il discorso ossessivo esprimersi in questo modo.

Sì, certo, infatti nel discorso ossessivo è molto frequente la domanda: cosa devo fare? Cioè chiedere all’altro cosa devo fare, cioè ma con l’attesa che ci sia la risposta quasi, anche se poi nessuno glielo dice non lo farà. Come dire, cosa devo fare? Cioè dimmi tu cosa devo fare così la responsabilità sarà tua. Io comunque eseguirò.

Intervento: Ci sono presenti due cose, quando dice bene e male, da una parte è come se fossero presenti i due aspetti in cui il discorso ossessivo sempre si trova. Che non chiede sempre qualche cosa di specifico, lo chiede come se l’altro dovesse esporsi in qualche maniera e quasi dividere.

Sì, il discorso ossessivo costringe l’altro ad esporsi.

Intervento: Sì, però sono due cose (dimmi che cosa ‚ bene e che cosa ‚ male) e non ‚ che una sia il contrario dell’altra. Perché è come se in lui fossero già presenti queste due cose. Il desiderio ossessivo è sempre, come dire, spezzato in due, mai netto. Anche l’ambivalenza, per dire, potrebbe essere chiamata in questo modo, no? Amore e odio, bene e male dimmi tu che cos’è?

Sì, certo. Il discorso ossessivo fa prima quello che fa il discorso isterico dopo. Il discorso ossessivo si ferma prima del fare, dell’azione. Il discorso isterico no. Si precipita, dopo c’è il pentimento, c’è il senso di colpa. Mentre il senso di colpa nel discorso ossessivo ‚ per ciò che potrebbe fare, nel discorso isterico è per quello che ha fatto.

Intervento: Cioè prima fa e poi analizza.

Sì. Il discorso ossessivo si macera nel timore di combinare il malanno, il discorso isterico si rode, si martirizza per il guaio che ha già combinato. Questa ‚ la differenza sostanziale.

Intervento: Il discorso ossessivo vive nel futuro e quello isterico nel presente.

Sì, certo. Se con il discorso isterico si tratta di mantenere questa posizione d’autorità in modo da fornirle ciò che chiede e quindi l’impossibile, però bisogna trovare ciascuna volta il modo per compiere questa operazione.

E non è neanche difficilissimo. Occorre giocare molto con il discorso isterico. Contrariamente a ciò che bisogna fare con il discorso paranoico, il discorso paranoico non tollera molto il gioco, è più serioso.

Invece il discorso isterico gioca molto, occorre giocare molto con il discorso isterico, in quanto sarà sempre molto pronto a cogliere l’ironia. Vedete, il discorso isterico se non ha una missione da compiere è nulla, è assolutamente nulla, cioè s’immagina una nullità, assolutamente inutile e priva di qualunque senso. Ora, in un’analisi una cosa del genere può essere utilizzata, in quanto è possibile fornire al discorso isterico un senso. Se riuscite a fornire il senso al discorso isterico di ciò che fa, allora vi seguirà per moltissimo tempo. E il senso lo si fornisce, appunto, attraverso una sorta d’imposizione, imposizione però sempre giocosa, qualche volta anche un po’ burbera, ma sempre giocata sul filo dell’ironia o, comunque, del gioco. La cosa da fare col discorso isterico è fornire un senso, cioè trovarle qualcosa da fare. Ma qualcosa da fare che sia diretto in modo tale da condurre, mano a mano l’isteria a elaborare le varie questioni, naturalmente.

Quindi, queste indicazioni, di volta in volta, verteranno sì su questioni intellettuali, ma mirate, nel discorso isterico a mettere in gioco, ciascuna volta, più che a mettere in gioco a considerare in modo più preciso questa necessità della necessità. Al discorso isterico è necessaria la necessità.

Con discorso isterico si può anche giocare a dire come stanno le cose, imponendo proprio l’autorità. Perché le accoglierà e accogliendole, chiaramente, comincerà a considerare alcune questioni. Non è difficile l’analisi del discorso isterico se la si pone sul piano del gioco, Il discorso isterico segue abbastanza docilmente. Però il gioco va condotto in un certo modo, dando comunque sempre al discorso isterico l’opportunità di sentirsi considerato, di sentirsi importante e in ciascun discorso questo interviene, ma nel discorso isterico ‚ fondamentale.

Proseguirà l’analisi se si sentirà importante, se non, no. Importante per l’analista non importante in generale. E, di questo occorre tenerne conto. Il modo in cui avverte questa importanza ‚ il fatto che l’analista, come dire, conta su di lei, sull’isteria. Conta nel senso che dandole queste indicazioni mostra, poi di fatto ‚ così, di tenere al fatto che questa persona acquisisca degli elementi, per il discorso isterico ‚ fondamentale.

Avrete ascoltato mille volte dal discorso isterico la frase: “Devo fare così perché‚ a lui piace così, lui vuole così”, non lo ascolterete mai dal discorso paranoico. Mentre nel discorso isterico questa formulazione ‚ frequentissima, come dire ciò che lui o lei desidera, elegge. E di questo l’analisi si avvantaggia, sempre, come dicevo, portando alle estreme conseguenze, ciò che lui vuole in questo caso ‚ qualcosa di impossibile, no? Però anche possibile, non deve essere una cosa fuori dal mondo. Chiedere una cosa che sia un impegno allora l’isteria metterà in moto tutti i suoi cerimoniali, e cioè comincerà a pensare al persecutore, che non ce la fa, che non può...

Tutto ciò che dirà non vi farà né caldo né freddo.

Chiaramente ci stiamo muovendo sempre sul luogo comune, i luoghi comuni più diffusi e più accreditati, queste figure di cui parliamo nel discorso isterico, ossessivo, paranoico, schizofrenico sono luoghi comuni.

I luoghi comuni più diffusi. Freud ne individuò quattro, potremmo individuarne anche di più se volessimo, per il momento non ci interessa.

E quindi ‚ di questo che si tratta. Mi sono chiesto se sia il caso di considerare questi luoghi comuni cercando di teorizzarli. Se intendiamo come luoghi comuni, letteralmente, ovviamente sono figure retoriche. L’unica cosa che possiamo dire con una certa sicurezza, che ciascuna di queste figure retoriche, di questi luoghi comuni ha come obbiettivo il proseguimento della parola, nient’altro che questo. Qualunque altra considerazione lascia il tempo che trova, per esempio, considerare che nel discorso isterico c’è il tentativo di eliminare il padre a favore della madre non c’entra niente. Bisogna dire, certo può esserci questa fantasia così come luogo comune però a me piaceva teorizzare sopra per cercare di trovare chissà che cosa, mah!, non mi pare di grande interesse anche perché a questo punto si potrebbe inventare qualunque cosa e il suo contrario, sarebbe altrettanto legittimo.

Per cui come avrete ascoltato e notato non teorizzo assolutamente nulla attorno a questi discorsi, sono i luoghi comuni più biechi, più ovvii, perché è con questi che ci si confronta. Chiaramente l’analista ha bisogno di strumenti. Però di fronte all’enunciazione dei luoghi comuni, così come avviene soprattutto nei primi tempi di un’analisi, l’unica cosa da farsi ‚ portare il discorso a questa inesorabile conclusione che comunque la parola non si fermerà, perché questo possa accadere è necessario che la persona si accorga che tutto ciò che avviene è nella parola, si tratta di questo.

Per esempio nel discorso isterico le cose che vi indicavo, le indicazioni tecniche molto sommarie, sono soltanto dei modi per far sì che, da una parte la persona prosegua l’analisi, condizione fondamentale per poter fare un buon lavoro, perché se interrompe l’analisi non si fa più niente. Dall’altra perché incominci a fare delle cose che, mano a mano la avvicineranno alle considerazioni che è il caso che faccia. Possono volerci anche molti anni. Anche se il lavoro che stiamo facendo ‚ provare ad accelerare i tempi, ma ancora ce occuperemo l’anno prossimo, Quest’anno è dedicato alla clinica. Individuare tutti i luoghi comuni e veder come potere utilizzarli al meglio nella pratica analitica, Utilizzarli al meglio portandoli alle estreme conseguenze e cercare di farle esplodere, come vi dicevo. E cioè renderli non più credibili. Rendere, per esempio, nel discorso isterico non più credibile la necessità della necessità.

Perché questo possa avvenire la prima condizione è che la persona prosegua, è fondamentale, se non prosegue sarà un po’ difficile.

Proseguendo ci prova, chiaramente, ciascuna volta è il modo no? L’analisi del discorso isterico può essere giocata proprio come se fosse un gioco divertente, perché si presta l’isteria in genere. E condurla mano a mano a considerare questa necessità. Come avviene in tutti i discorsi ad assumersi la responsabilità di tale necessità.

Se, per esempio, voi dite ad una persona che si trova nel discorso isterico che vi racconta che non riesce a fare niente, che tutta la sua vita è una serie infinita di fallimenti ecc... e poi dice che il papà pensava di lei che fosse un’inetta ecc.ecc... potete chiaramente ed immediatamente fare questa rapida connessione: il papà che fra l’altro ‚ morto e dopo la morte ha funzionato proprio come in Totem e Tabù molto più di quando era vivo. Finché il papà era vivo lei era una fanciulla ribelle e scapestrata, morto il papà cosa ha fatto? Beh, poteva fare varie cose ma ha scelto di assumere ciò che il papà diceva di lei e quindi la rappresentazione del fallimento e dell’incapacità. Ora in questo modo fate una costruzione, fate notare una connessione. Questa costruzione che fate non significa assolutamente nulla. Cioè è così? Perché il papà ha detto così allora ecc.. Che ne sapete? Non possiamo escludere che sia così ma potrebbe essere qualunque altra cosa, però la fate lo stesso e fate bene.

Perché non ha nessuna importanza che questo accostamento sia vero o no, importa che la persona si trovi di fronte a una considerazione che non ha fatto prima. Una considerazione che mette in connessione ciò che avviene adesso con un’altra fantasia. Questo poi cosa comporta? Comporta una produzione di altre fantasie. Non ha nessuna importanza che sia così o no. Anche perché non lo saprete mai, soprattutto con il discorso isterico. Non ha nessun problema a confermare qualunque cosa, il giorno dopo è all’incontrario.

Quindi questo intervento mira a produrre una connessione che non ha da essere né vera né falsa, poi, nel caso di questa fanciulla può anche credere inizialmente che sia così, va bene. Non che uno debba spaventarsi. E non è neanche delle peggiori in quanto comunque comincia a considerare che alcune cose che fa siano connesse con qualcosa, eventualmente, anziché dire così fra capo e collo...

Intervento:…

Poi chiaramente il passo successivo era quello di considerare che qualunque cosa abbia detto il papà lei ci ha messo del suo, no?. Quindi da una parte ha costruito un’immagine del papà in un certo modo che è funzionale ad una serie di altre fantasie dopodiché ha deciso, deciso fra virgolette, che quello che credeva che il papà volesse per lei dovrebbe essere messo in atto assolutamente.

Quando si parla di responsabilità del proprio discorso comporta questo, che qualunque cosa accada intorno a sé, la decisione ultima è sempre mia. Qualunque cosa accada, l’ultima decisione spetta a me, e di questa sono responsabile, in qualunque momento e in qualunque circostanza.

Anche nei casi considerati più normali, muore mio padre, mi addoloro. Il dolore che provo ‚ mia responsabilità, ma non una colpa. responsabilità, badate bene, nel senso che il fatto di provare questo dolore è connesso con tutta una serie di elementi che mi riguardano e che io accolgo. Non è che poi se so queste cose non provo dolore, lo provo lo stesso, ma assumendomene la responsabilità assoluta.

Sta qui la distanza tra ciò che andiamo dicendo e il discorso comune. Chi si trova a praticare questo discorso ‚ lontanissimo dal non provare emozioni, sensazioni, ecc... Se ne assume la responsabilità. Se accade questo e provo dolore per la morte di un padre non è che lo provo perché si prova, no, sono responsabile di ciò che sto facendo.

Questo non mi impedisce di provarlo, eventualmente, ma in ogni caso la responsabilità è mia. E posso anche giungere a considerare che mi va bene così.

Quindi non è una questione semplice la responsabilità.

Qualunque cosa che mi circonda, che mi riguarda in qualunque modo, di questa cosa ne sono responsabile, del modo in cui mi riguarda.

Ciò che sto cercando di fare non è semplicissimo vista anche la formazione che ho, alleggerire la pratica analitica. Dico questo perché, per l’esperienza che ho avuta, personale ed anche di altri, ovviamente, ho sempre considerato la pratica analitica come qualcosa di massiccio, pesante.

Questo è dovuto alla teoria che sosteneva la pratica analitica. Se una teoria, qualunque essa sia, ha uno sfondo religioso sarà comunque pesante perché, in ogni caso, certe cose saranno legittimate, altre no. Il che appesantisce.

Nell’esperienza personale che ho avuta, e, quindi esperienza con Verdiglione come sapete, e poi una breve precedente esperienza con la S.P.I., la Società Psicanalitica Italiana, associata a quella fondata dalla figlia di Freud, tale Anna.

Intervento:…

Dicevo, in questa teoria di cui ho avuto maggiore esperienza che non con le altre, anche con la S.P.I., si è sempre trattato di seguire un certo modo di dire e di pensare le cose, ma, potremmo dirla così, attraverso una serie di imposizioni teoriche senza nessun fondamento. Ciascuno che si trovava all’interno di questa struttura chiaramente accoglieva tali indicazioni come dei dogmi. Anche perché non si possono mettere in dubbio.

L’inconscio è strutturato come un linguaggio, ci sono sempre due domande che dovete porvi di fronte a qualunque enunciato che si pone come teorico: prima: come lo so? Come l’ho saputo? la seconda: potrebbe essere in tutt’altro modo? Magari anche il contrario?

Se sì, allora questa cosa che viene affermata non ha nessuna utilità, tanto è vero tanto è falso, allora è assolutamente inutilizzabile, se no, perché?

Se voi vi ponete queste due questioni vi accorgerete che la buona parte di tutto ciò che è stato costruito, crolla.

Prendiamo questo enunciato, uno dei più famosi: “il linguaggio è strutturato come un linguaggio, come lo so? Perché me l’hanno detto? Lo so per esperienza, per esperienza posso sapere qualunque cosa e il suo contrario, per deduzione? Per deduzione, allora, è verificabile. Verifichiamo. È molto difficile. Straordinariamente difficile.

Eppure sono queste due domande che mi hanno costretto ad un certo punto, da una parte, ad abbandonare un certo sistema teorico e dall’altra a costruirne uno che reggesse a domande di questo genere. Perché va considerato che se una teoria non regge di fronte a queste domande, non è un gran che.

Come la favola di Cappuccetto rosso, può essere piacevole, divertente, nessuno prenderebbe la favola di Cappuccetto rosso come l’indicazione per la propria esistenza.

E, se volete metterla così, un’analisi occorre che giunga a questo, al fatto che la persona possa porsi queste domande in modo molto rigoroso di fronte alle proprie convinzioni, sicurezze, certezze.

Che anche quando si pone quest’eventualità il suo discorso ha già preso un’altra piega, ovviamente. Però, sono due domande che dovete sempre porvi, anche quando leggete. Come lo sa? Potrebbe essere esattamente il contrario?

Sì è tosta la questione, però sbarazza da tutto un sistema religioso sul quale ogni cosa ‚ fondata, così pare ed è anche per questo motivo che molte persone preferiscono lasciare perdere.

Sorgono con la famosa questione “E, ma allora, nulla ha più senso”...Per esempio in una pratica analitica per portare ad estreme conseguenze un enunciato bisogna cominciare a domandarsi attorno a questa cosa che si dice in modo che o più propriamente domandare da dove viene questa cosa, no? Le affermazioni che avvengono soprattutto all’inizio di un’analisi sono molto generiche quasi sempre. Si tratta di cominciare a precisare. Se si dice che tutti ce l’hanno con me, per esempio, tutti chi? Pensare a individuare chi e poi per quale motivo esattamente. Quindi mettere alle strette il sintomo o ciò che si enuncia come tale impedendo ciascuna volta a qualunque proposizione si formuli di potere arrestarsi, dire è così, no?. Ma ciascuna volta rilanciarla, chiedendo ulteriori spiegazioni, ulteriori dettagli. Questo per un motivo, tratto anche dal discorso logico, filosofico. Il fatto che qualunque affermazione se lei la porta alle estreme conseguenze e cioè chiede a questa proposizione di legittimarsi questa proposizione comincerà a trovare la legittimazione, però poi non è sufficiente, allora ne trovo un’altra, poi un’altra ancora ecc...

Quando ne ha percorsi alcuni milioni s’accorge che questa legittimazione ultima non si trova. E cioè ciò che io credo non può essere giustificato né provato in nessun modo, cosa vuol dire questo? Vuol dire che ciò che io credo non potendosi provare in nessun modo, è qualcosa che io ho costruito, e, avendola costruita, è il caso che me ne assuma la responsabilità.

E, se l’ho costruita, c’è l’eventualità che abbia avuto dei motivi per farlo, c’è sempre un motivo per produrre delle preposizioni.

Assumendomi la responsabilità di ciò che vado affermando, compio un passo importante, e cioè, cesso di attendere che da qualche cosa fuori dal mio discorso intervenga a porre rimedio e comincio, invece, a considerare in termini più precisi, logici e anche linguistici, le cose che io vado dicendo.

Se io faccio una certa affermazione ma è una mia produzione sono io che l’ho costruita, quindi non devo cercare altrove la responsabilità di questa proposizione ma la devo cercare all’interno delle mie proposizioni, di altre proposizioni che sono mie.

E qui il problema è, se si avvia l’analisi, cioè l’analisi, come dire, che verte intorno alla struttura logica del proprio discorso, cioè come funziona il proprio discorso, cosa lo sostiene, cosa lo tiene in piedi, cosa lo mantiene.

Cercando sempre nelle proprie proposizioni e non altrove, il motivo, fra virgolette, di ciò che vado affermando. È questo che intendo con portare alle estreme  conseguenze. Costringere, in un certo senso, la persona a considerare che ciò che afferma è una produzione del suo discorso, anziché una descrizione di fatti che appartengono ad altro. Ciò che la persona incontra è, come dire, il pretesto, no?è per la costruzione di proposizioni, ma queste proposizioni le ha costruite lui.

Quindi di questo occorre tenere conto, anche perché se non si tiene conto di questo non si va da nessuna parte.

Se io pensassi che tutti i miei malanni sono causati da Cesare, ecco allora posso o abbattere Cesare, posso continuare a inveire contro di lui, però i miei malanni rimangono tutti. In questo senso dicevo che non vado da nessuna parte. Posso scagliarmi ogni volta contro Cesare e lanciargli anche degli anatemi.

Posso scomunicarlo, denigrarlo agli occhi di Dio e del mondo...

Se invece considero che i miei malanni non dipendono da Cesare ma da qualche altra cosa che mi riguarda e cioè come si è costruito il mio discorso ecco che allora lascio perdere Cesare e mi occupo di ciò che mi riguarda.

Quali considerazioni s’impongono nel discorso che stiamo facendo?

Si tratta in ciascun discorso di porre sempre l’accento su questo, è fondamentale. Anche nel discorso ossessivo, paranoico, schizofrenico.

Perché la paura è quella che il discorso si fermi e la causa è qualcosa che è fuori di me; gli altri possono fare questa cosa quindi devo abbatterli, in un modo o nell’altro. Il discorso non si ferma.

Intervento: Lei, in modo molto preciso diceva che ciò che continua a ripetere, tutto sommato l’isteria, il suo intento è quello di dimostrare l’altro in qualche modo cattivo, di mettere sempre l’altro in cattiva luce.

Il persecutore. Dipende. Forse ho precisato.

Intervento: L’intento, però, era sempre quello di parlare male dell’altro, dire male. Allora, mi veniva in mente, per esempio, la questione ebraica. M’interrogavo sul Dio, serve all’isteria per produrre il suo fare tutto sommato, quindi è la questione ebraica, no? Tutto sommato il Dio degli ebrei ha questa funzione, quella di fare sentire al suo popolo che lo ama e che considera il popolo ebraico il prediletto, lo ama e l’ebreo fa. L’amore del Dio è la giustificazione del fare dell’ebreo, che poi il Dio gli faccia patire tutti i mali possibili questo in qualche modo all’ebreo serve per farlo sentire grande e amato. È amato e quindi fa.

Nella religione ebraica Dio non è che ami, il popolo è costretto a fare altrimenti sono guai. Infatti tutte le sette piaghe, le locuste ecc... sono arrivate perché loro non hanno obbedito alla volontà di Dio allora continuano a chiedersi cosa vuole da loro, perché non siamo riusciti a placare la sua ira?

Intervento:…

Fanno per questo perché se non fanno così Dio li massacra. È un Dio terribilissimo quello degli ebrei.

Intervento:…

Sì, certo, loro sono il popolo eletto, loro non sanno perché Dio li abbia eletti. È un peso immane, questo, da tenere.

Intervento:…

Sì, lì è già molto differente, c’è già il Cristianesimo che è entrato dimezzo.

Intervento:…

C’è un po’ di confusione nel discorso. È una questione che va considerata.

Alle conferenze intervenite sempre, è importante che ci sia uno scambio.

Ci vediamo martedì.