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18-09-2003

 

Pensare l’assenza del linguaggio

 

 

Torniamo a noi e alla Sofistica di cui ci occupiamo. Dicevamo dunque che in assenza di linguaggio io non posso comunicare ciò che sento, non posso neanche conoscere, ché per conoscere qualche cosa occorre che sia inserito in uno schema inferenziale e fornito di premessa e conclusione ecc. però, si diceva, posso sentirlo, ora il sentire qualcosa è un concetto. Ciascuno sa cosa intende con sentire qualcosa, essendo un concetto è costruito da un sistema, un sistema linguistico e quindi per sentire qualcosa occorre che esista questo concetto di sentire, se no non sento, faccio altro ma non sento, cionondimeno il nostro accanito interlocutore potrebbe dirci che comunque lui sente lo stesso, anche senza questo concetto avverte qualche cosa, ora a questo punto la questione si gioca in questa direzione, e cioè se il linguaggio può oppure no dire di qualcosa che è fuori dal linguaggio, perché se sì allora ha ragione il nostro interlocutore, se no il nostro interlocutore ha torto. Ora la questione può volgersi in modo ancora più semplice, e cioè se può esistere qualcosa fuori dal linguaggio, perché se il linguaggio deve descriverla occorre che esista questo qualcosa che è fuori e quindi noi prendiamo la cosa alla radice “può darsi qualcosa fuori dal linguaggio?”

Intervento: come minimo occorre che lo costruisca il linguaggio perché ci sia

No, il nostro accanito interlocutore invece dice che descrive soltanto qualcosa che esiste fuori di sé, ma a questo punto ci troviamo di fronte a una questione che abbiamo già risolto brillantemente qualcuno se la ricorda la soluzione a questa domanda se può darsi qualcosa fuori dal linguaggio? Eugenia risponda lei

Intervento: come potrei farlo…

Intervento: come lo so?

Siete sulla strada buona…

Intervento:…

Questa è una petizione di principio, il nostro interlocutore, anche se accanito, non è del tutto sprovveduto però la direzione è quella grosso modo, quella che avete individuata e cioè “come lo so?” Posso saperlo o per deduzione oppure per esperienza, sono le uniche forme di conoscenza possibili…

Intervento: o per ispirazione divina

Questa possiamo considerarla a margine in seguito…

Intervento: sarebbe poi la petizione di principio “perché lo so? Lo so!… tutta la scolastica…

Sì, questo prevede che ci sia un dio e per il momento lo lasciamo da parte, dunque lo so o per esperienza o per deduzione. Se lo so per deduzione allora ciò che so, che sono venuto a sapere è la conclusione di un’inferenza, quindi c’è un antecedente, un conseguente e quindi una conclusione e pertanto questi elementi appartengono a un sistema inferenziale e quindi sono nel linguaggio e pertanto senza linguaggio non posso saperlo per deduzione, mi rimane l’esperienza, lo so per esperienza, ma noi siamo sufficientemente abili per eliminare anche questa ipotesi, perché diremmo così in quel caso: l’esperienza è esperienza di qualcosa o è esperienza di nulla? Se è esperienza di nulla non c’è nulla che possa esperire, se è esperienza di qualche cosa allora questo qualche cosa di cui ho esperienza è necessariamente connesso con qualche altro elemento, e cioè con l’esperito, questi due elementi sono in relazione tra loro necessariamente perché se non c’è relazione allora è esperienza di nulla, se c’è questa relazione allora la relazione rientra in un sistema inferenziale, perché esista l’esperienza di qualcosa occorre che ci sia un sistema inferenziale, cioè ci sia una relazione tra elementi, e pertanto per potere sapere qualcosa per esperienza occorre che esista un sistema inferenziale che mi consenta di avere tale esperienza, questo sistema inferenziale è esattamente ciò che chiamiamo linguaggio. Ma il problema per il nostro scaltro interlocutore è che lui, questo signore, non può pensare in assenza di linguaggio, e cioè qualunque cosa pensi o non pensi comunque lo fa attraverso il linguaggio ma non lo sa, questo comporta che per lui tutto ciò che gli passa per la mente sia assolutamente naturale, corrisponda a qualcosa che linguaggio non è, perché appunto non sa pensare senza linguaggio e non lo può fare, non lo può fare in nessun modo, è calato nel linguaggio, vive di linguaggio…

Intervento: non può porsi la domanda

Tecnicamente sì, ma di fatto no, vive di linguaggio, da quando esiste la sua esistenza è fatta di linguaggio ma non lo sa. Questo ha delle implicazioni ovviamente perché nel suo caso tutto ciò che costruisce parlando esiste fuori dal linguaggio, qualunque cosa sia non ha importanza, e questo perché, come vi dicevo, non può pensare senza linguaggio, nemmeno che qualcosa esista fuori dal linguaggio, anche questo per lui è naturale, ma non può sapere che lo può pensare perché c’è il linguaggio. Che è un po’ la questione di cui dicevamo qualche tempo fa: riuscire a pensare l’assenza di linguaggio, non pensare in assenza di linguaggio, che non è possibile, ma costruire delle proposizioni che vadano in questa direzione e cioè che mostrino le conseguenze dell’assenza di linguaggio, e per lui, sempre per il nostro interlocutore, questo è difficile da fare, è difficile da fare perché la sua esistenza dipende dal linguaggio, è nato insieme con il linguaggio e, come sappiamo perfettamente, può andare avanti benissimo a parlare senza sapere di subire il linguaggio. Ciò che noi dobbiamo fare in queste conferenze, ma non soltanto, è fare in modo che qualcuno incominci ad agire il linguaggio o quanto meno a porsi la questione, ma sottolineo questo aspetto perché è importante: il fatto che le persone in linea di massima siano nate insieme con il linguaggio e che la loro esistenza sia il linguaggio, per cui non possono in nessun modo pensare in assenza di linguaggio e pertanto non hanno nessuna idea di cosa potrebbe accadere in assenza di linguaggio e cioè che loro stessi cesserebbero di esistere o, più propriamente, non sarebbero mai esistiti, questo è il pensiero più arduo da accogliere; comunque questo nostro interlocutore si trova in una empasse: non può pensare senza il linguaggio, ma non può pensare che non può pensare senza il linguaggio. Non può pensare quindi esistere, lui e di conseguenza qualunque altra cosa ovviamente, perché sappiamo che il proprio corpo, le sensazioni del proprio corpo sono le prime cose che stabiliscono delle proposizioni vere e sappiamo anche perché, l’abbiamo detto in modo preciso. Il linguaggio quando pone un elemento non può dopo negarlo, può farlo retoricamente, ma facendolo retoricamente ne conferma l’esistenza, per negare qualcosa occorre che questo qualcosa esista. Noi dobbiamo porre questo nostro interlocutore nella condizione di incominciare a pensare l’assenza del linguaggio e siamo partiti da lì, se dicessimo che senza linguaggio non può comunicare ciò che sente non avrebbe nessun problema ad accogliere un’affermazione del genere, non stiamo facendo nient’altro che ciò che fece Gorgia ma a ritroso, Gorgia disse: “nulla è, se qualcosa fosse non sarebbe conoscibile, se fosse conoscibile non sarebbe comunicabile”, noi facciamo invece il percorso inverso: senza il linguaggio non possiamo trasmettere e non possiamo neanche conoscere, ché come conosciamo? La conoscenza prevede un sistema di proposizioni, di antecedenti, di conseguenti ecc. l’ultimo passo è che senza il linguaggio non c’è neanche il sentire e abbiamo detto che non c’è la possibilità del concetto di sentire e quindi non possiamo fare questa cosa, però qui, sempre il nostro interlocutore ci obietterebbe: “ma possiamo chiamarla come ci pare ma è sempre la stessa cosa”, ma quale cosa a questo punto? Perché sia una cosa occorre pure che lo sia per qualcuno, se lo è per qualcuno allora funziona come un segno, cioè è segno per qualcuno, cioè è inserito all’interno di un sistema. È questo che il nostro interlocutore fa fatica a intendere, e cioè che perché qualcosa esista occorre che sia inserito all’interno di un sistema, di una struttura, perché in caso contrario non può porsi la questione in nessun modo, non potendo porsi la questione siamo nell’impossibilità di compiere un’affermazione del genere, o quanto meno possiamo farlo certo, possiamo affermarlo, però non possiamo provarlo, un po’ come l’esistenza di dio, io posso affermare “dio esiste” va bene, e allora? Non potendo provarlo che cosa ne è di questa affermazione? È un’affermazione estetica: “mi piace pensare così”, e perché gli piace pensare così? Che poi non è neanche una questione estetica, è che, come dicevo prima, non può pensare l’assenza del linguaggio, vive del linguaggio non si accorge che tutto ciò che fa è linguaggio e non può accorgersene, se noi non glielo diciamo nel modo più acconcio non se ne accorgerà mai, per tutta la vita lui continuerà a pensare che ciò che lui costruisce parlando esista al di fuori del linguaggio. Dunque incominciare a domandarsi che cosa avverrebbe senza questo sistema inferenziale, non ci sono premesse, non ci sono conclusioni, non c’è il sapere, non c’è nessuna conoscenza e nemmeno la consapevolezza dell’assenza della conoscenza ovviamente che fa parte della conoscenza, non posso sapere nulla né accorgermi di nulla. A questo punto ovviamente l’affermare che qualcosa esista o non esista è assolutamente impensabile, ora affermare che qualcosa, che qualunque cosa potrebbe esistere comunque è non tenere conto che io posso affermare questo perché sto parlando, se non lo potessi affermare esisterebbe? Il nostro interlocutore potrebbe ancora dire di sì, e potrebbe dirlo perché non può pensare l’assenza del linguaggio, è talmente preso nel linguaggio che non può pensarne l’assenza, non può dunque rendersi conto dell’assurdità di alcune affermazioni che si trova a fare e cioè che, per esempio, anche senza linguaggio le cose esisterebbero, perché utilizza concetti che sono linguistici applicandoli a cose che immagina non essere elementi linguistici, e può immaginare questo per il semplice fatto che lui vive di linguaggio, e non lo sa. Ora sarebbe interessante nelle conferenze che faremo incominciare a porre questa questione, ciascuno rispetto all’argomento che si è scelto… certo la sessualità, il piacere sono cose che si sentono, così come la fame, così come la famosa martellata in testa, cominciare a porre la questione, cioè come potrebbe porsi una cosa del genere in assenza di linguaggio e vedere se si riesce a fare pensare le persone che sono lì in questi termini, questo è l’obiettivo, fare loro considerare che in assenza di linguaggio la sessualità in quanto tale non esisterebbe, né sarebbe mai esistita. Il fatto è che, vedete, il linguaggio consente di costruire tutta una serie di cose, pensate adesso la inevitabile obiezione che il nostro interlocutore farebbe “sì ma gli animali si riproducono lo stesso”, perché in questo caso darebbe ragione a noi nell’affermare che gli animali sono fuori dal linguaggio, non hanno linguaggio e cionondimeno si riproducono, ora certo tutto ciò che lui obietta ovviamente è sempre all’interno del linguaggio, come dire che il linguaggio gli consente di avere esperienza e sappiamo che senza linguaggio non c’è nessuna esperienza, ciò che per lui è impossibile concepire è che tutto questo senza il linguaggio non esisterebbe, e la nozione stessa di esistenza che gli è ostica, perché per lui esiste tutto ciò che il suo linguaggio produce e il suo linguaggio produce quell’affermazione che afferma che fuori dal linguaggio gli animali comunque si producono e quindi, essendo questa una proposizione, per lui è vera e quindi le cose stanno così e quindi è vero così, non ha nessun modo di accorgersi che non ha fatto nient’altro che produrre una proposizione, più o meno coerente, più o meno corretta, e torno a dirvi perché per lui l’esistenza non è nient’altro che questo: il suo linguaggio costruisce una proposizione che parla di altre proposizioni, lui non ha modo di accorgersi che sono proposizioni quelle di cui parla e quindi dal momento in cui ritiene che la proposizione che ha costruito intorno ad altre proposizioni è vera, cioè non contraddice ciò che crede, allora questa proposizione è vera e siccome parla di cose che per lui non sono proposizioni tutto questo per lui è la realtà, è il reale, essendo il reale è vero per definizione, senza considerare che conclude che qualche cosa è vero soltanto perché non è autocontraddittorio, una proposizione che afferma, quando ho mal di denti, che ho mal di denti, è assolutamente vera perché non posso contraddirla e cioè non è autocontraddittoria e quindi è necessariamente vera e pertanto ci credo e non ho alcun dubbio che il mio mal di denti sia mio o di non avere mal di denti, non posso negarlo per i motivi che abbiamo detti la volta scorsa. Tutto questo ci induce a considerare un aspetto che può essere importante da riprendere, quello dell’esistenza, come funziona nel luogo comune l’esistenza e funziona in un modo molto semplice: le mie proposizioni descrivono altre proposizioni, se io non ho modo di sapere che queste altre proposizioni sono tali, allora ciò che ho descritto, essendo coerente e non autocontraddittorio è vero, se è vero allora è vero ciò che descrive ma se ciò che descrive non sono proposizioni allora è la realtà. A questo punto c’è la certezza che la realtà esista. Ma non è altro che un procedimento del linguaggio che fa si che ciò che non è autocontraddittorio sia vero, ma non ha modo di accorgersi che le proposizioni che costruisce e che descrivono qualche cosa descrivono altre proposizioni che vengono da altre proposizioni, questo è ciò che non può fare, questo è ciò su cui si arrocca e per cui continua ad obiettarci: “le mie proposizioni non parlano di altre proposizioni ma di qualcosa che proposizione non è”. E lui è assolutamente convinto che il linguaggio possa parlare di qualcosa che non è linguaggio, ne è assolutamente convinto perché ha costruito una proposizione che è coerente con le cose che crede e quindi vera, e torno a dirvi non ha modo di accorgersi che non lo è. E cioè che le sue proposizioni di fatto non fanno altro che descrivere altre proposizioni, parlare di altre proposizioni. In fondo ciò che ci viene obiettato è sempre questo, e cioè che le proposizioni descrivono cose che proposizioni non sono e quindi il linguaggio parla di cose che linguaggio non sono. Può fare il linguaggio una cosa del genere? Per lui assolutamente sì, ci sono le cose e c’è il linguaggio che è un modo per descriverle, per metterle in relazione fra loro, per fare altre cose, per tutto questo non c’è assolutamente alcun problema, il problema è invece che queste cose di cui parla sono proposizioni. Ma se fossero altro che proposizioni il linguaggio potrebbe descriverle? Per il luogo comune assolutamente sì, anzi non fa nient’altro che questo, ma logicamente potrebbe farlo? È una questione, se fossero altro che proposizioni il linguaggio potrebbe parlare di queste cose? Appunto per il luogo comune assolutamente sì anzi, è solo questo che fa ma noi potremmo domandarci se lo può fare, se può fare una cosa del genere oppure no. Dunque il linguaggio per il luogo comune parla di qualche cosa che non è linguaggio, come compie questa operazione, cioè come fa a parlare di cose che non sono linguaggio? Apparentemente apparterrebbero a una struttura differente, in che modo questi elementi extralinguistici si mettono in relazione con il linguaggio? A questo punto occorre un tertium comparationis necessariamente…

Intervento: bisognerebbe inventare un’altra struttura comunque

Potrebbe essere una questione fondamentale questa: affermare che il linguaggio non può parlare se non di se stesso, e provarlo. Da una parte c’è il linguaggio e dall’altra l’aggeggio X, partendo dal luogo comune c’è il linguaggio che descrive questo aggeggio che si chiama orologio, ora cosa vuol dire che lo descrive? Che costruisce delle proposizioni intorno a questo oggetto X ovviamente, costruendo queste proposizioni di fatto questa descrizione rimane nell’ambito del linguaggio, e fin qui nessun problema…

Intervento: è il fatto che X esiste

Esattamente, è lì che dobbiamo arrivare…

Intervento: di fatto è una proposizione… è un sillogismo che lega…

Sì ma fino ad un certo punto il nostro interlocutore ti seguirebbe, anche se certo è soltanto attraverso il linguaggio che io posso conoscere qualche cosa, però ecco la sua esistenza, la sua esistenza no, questa è al di fuori del linguaggio, certo io posso dirne, io posso dire “X esiste” ma che io lo dica oppure no X c’è, ora qui possiamo tornare alla questione di prima “come lo so? Come può darsi qualcosa fuori dal linguaggio, se sì come? Come lo so? Certo, non posso saperne nulla al di fuori del linguaggio ma potrebbe anche esistere, anche se non ne so nulla, una cosa di cui so nulla quindi non posso dirne niente, però esiste. Descrivendo qualcosa io costruisco delle proposizioni, che si riferiscono ad un oggetto X, come fanno a riferirsi a questo oggetto X? In che modo si riferiscono, in che modo lo descrivono? In che relazioni stanno le proposizioni che io ho costruite per descrivere questo orologio con questo orologio? In che modo c’è una connessione fra queste proposizioni e l’orologio, cioè l’oggetto X? Appare la necessità di un terzo elemento che consenta di connettere l’oggetto X con ciò che lo descrive e quindi il linguaggio, appunto il tertium comparationis di cui dicevo, perché queste proposizioni io so, quando ho descritto l’orologio, che descrivono l’orologio…

Intervento:…

Certo, potrebbe anche essere un oggetto che non conosco, sì colui che osserva, certo, ma osservando qualche cosa, perché l’osservazione sia tale, occorre che possa mettere in relazione elementi tra loro, se no non osservo e di nuovo ci manca questo elemento che mette in relazione l’oggetto X con il linguaggio e poi me che osservo con il linguaggio e con l’oggetto X, ora c’è un solo elemento che può fare tutte queste operazioni, e cioè costruire relazioni, mettere in relazione me che osservo, l’orologio che è osservato e il linguaggio che descrive, ed è una struttura inferenziale, la struttura inferenziale è quel tertium comparationis che stavamo cercando, a questa condizione ecco che è possibile che io osservi, che ciò che dico si riferisca a questo oggetto X e che, cosa più importante di tutte, senza il linguaggio questo oggetto X non è in relazione con nulla, essendo fuori dal linguaggio non è in relazione con nulla, neppure con la sua stessa esistenza che è pur sempre una relazione: X esiste, è un’affermazione che mette in relazione X con l’esistenza di X…

Intervento:…

Questo è possibile ponendo una questione: e cioè “se l’esistenza esiste di per sé oppure no” e a questo punto siamo arrivati a fine corsa: se esiste di per sé non è in relazione con nulla, se esiste in relazione a qualche cosa allora è combinata in una relazione, questa relazione non è altro che il sistema linguistico. È difficile intendere che questo sistema linguistico è ciò stesso che consente la relazione di elementi fra loro, e quindi di potere pensare l’esistenza, pensando di costruirla, prima di esistere deve essere pensata e il linguaggio consente di pensare l’esistenza, una volta che è pensato esiste e bell’e fatto, per i motivi che sappiamo, e cioè è una proposizione non contraddittoria e quindi esiste, è reale, o più propriamente è vera e quindi esiste. È la pensabilità dell’esistenza che è fondamentale, dal momento in cui è pensabile, da quel momento esiste il linguaggio, e se è pensabile allora esiste, dicevamo, se non posso pensare l’esistenza allora affermare che X esiste è autocontraddittorio, perché affermo che esiste qualcosa al di fuori di ciò stesso che sto affermando e che invece mi è necessario per poterlo affermare. Dobbiamo affermare un paradosso: posso affermare che X esiste al di fuori del mio pensiero se e soltanto se lo posso pensare, in definitiva è come il linguaggio, e quindi se una persona dice che X esiste anche se non lo penso, mostrare che sta costruendo una formulazione paradossale, che è vera se e soltanto se è vera la sua negazione. Cioè è vero che X esiste anche se non lo penso, se e soltanto se lo penso, questa è la conclusione. Potremmo anche trovare una forma migliore per indicare che qualche cosa esiste anche se io non lo penso se e soltanto se lo penso, una forma più acconcia, più immediata ancora, per dire certo sempre che la proposizione che afferma che X esiste anche se non lo penso, è vera se e soltanto se è falsa e cioè se non è vero che io posso pensare che X esiste se non lo penso, perché lo sto pensando. Una cosa del genere, il paradosso è sempre, se è semplice ovviamente, un buon modo per costringere l’altro quanto meno a soffermarsi su una questione, dal momento in cui si accorge che ciò che crede è paradossale cioè è vero se e soltanto se non lo è. Ha presente i paradossi? Il barbiere che rade tutti coloro che non radono se stessi, rade se stesso oppure no? Rade se stesso se e soltanto se non rade se stesso. E infiniti altri… qual era quello del coccodrillo? Il coccodrillo dice io non mangerò il tuo bambino se e soltanto se mi dirai quello che farò, a quel punto se la madre risponde che lo mangerà che farà il coccodrillo? Un bel dilemma. Ciascuno potrebbe giungere a una cosa del genere, cioè formulare un paradosso rispetto al tema che si è prefissato, per esempio adesso mi viene in mente l’invenzione della sessualità, mostrare che la sessualità esiste fuori dal linguaggio se e soltanto se non esiste fuori dal linguaggio, mostrarlo in termini molto semplice ovviamente, e a questo punto potremmo sì accogliere le formulazioni del nostro accanito interlocutore “sì è vero, X esiste anche se non lo penso, ma a condizione che esista se e soltanto se lo penso”, solo a quel punto è vera la tua proposizione e cioè se è vera anche quella contraria, cioè è un paradosso, inutilizzabile, i paradossi hanno questa caratteristica, arrestano il discorso che non sa più da che parte andare. Potremmo riprendere a costruire paradossi, inventarne altri di nuovi da utilizzare in ambito retorico ma anche logico, cioè portare all’autocontraddizione qualunque obiezione, immediatamente, questo potrebbe essere divertente oltre che efficace in ambito pubblico, mostrare immediatamente che se la sua affermazione è vera allora è vera anche la contraria, per gli stessi motivi, è sempre stato un modo efficace sia retoricamente che logicamente, ed è efficace proprio per una questione linguistica, di struttura di linguaggio, ché il linguaggio di fronte a una cosa del genere si blocca e di lì non può più andare, così il nostro interlocutore di lì non può più andare, non può proseguire, si arresta, cosa che occorre offra a noi il destro per proseguire nella direzione che ci interessa, retoricamente siamo avvezzi a utilizzare l’incertezza dell’interlocutore per dargli il colpo di grazia. Come nella scherma, l’incertezza dell’altro porta alla sua rovina, anche retoricamente se l’altro si mostra incerto lo incalza al punto tale che l’altro non sa più neanche di cosa sta parlando. Ci sono questioni intanto intorno a ciò che abbiamo detto questa sera?

Intervento: questo interlocutore di fronte al fatto che noi possiamo pensare l’assenza di linguaggio potrebbe dirci che noi possiamo pensare l’assenza di linguaggio solo nel linguaggio e quindi laddove ci troviamo a trarre delle conclusioni traiamo queste conclusioni perché utilizziamo uno dei concetti che sono circolanti in questo sistema

Certo, sì, dice che questo potrebbe essere un’accusa di una petizione di principio?

Intervento: la possibilità è questa… come sia avvenuto che i Sofisti siano stati liquidati dal discorso religioso e quindi cosa sia nata da una corrente di pensiero così fertile come quella di Gorgia o Protagora e cosa sia stata accolto, infatti la sofistica è stata riletta e tramandata anche da Sesto Empirico, è stato accolto il nichilismo di chi non sa pensare l’assenza di linguaggio e afferma che comunque l’apprezzamento che noi possiamo fare del linguaggio è perché sappiamo che nulla esisterebbe senza questa struttura

Come dire che è la condizione di qualunque cosa…

Intervento: a quel punto proprio perché l’esistenza non può venire considerata un concetto circolante in questa struttura per cui può essere un attributo, può essere qualcosa che esiste di per sé, proprio per questo oserei dire è il nichilismo. La conclusione “se ciascuna cosa esiste presa in questa struttura allora non esiste nulla…

No, abbiamo detto che esiste in quanto presa in una struttura…

Intervento: al momento in cui portiamo le questioni al paradosso e non venga accolto il paradosso, perché è difficoltoso… se ne sbarazza dicendo allora se è una struttura linguistica allora nulla esiste, l’unica necessità viene trattata in questo modo

Lei retoricamente prenda questa cosa a suo vantaggio: quindi questa persona conferma che nulla è fuori da una struttura linguistica, afferma dunque che la struttura linguistica è la necessità di qualunque cosa, può domandare a questa persona perché lo afferma, solo perché l’ho affermato io o per qualche altro motivo? Giocare anche sulle affermazioni che fa l’interlocutore, ché se riusciamo anche lungo questa via a fargli considerare che effettivamente l’unica, la sola condizione di esistenza è il linguaggio non è poco.

Intervento:…

No, non si nullifica ma viene ricondotto là dove è sempre stato e cioè al gioco linguistico…

Intervento: che dà la possibilità di agirlo il linguaggio non di subirlo come una pedina all’interno di un programma, pedina squassata

Dovreste giocare di più, anche con botta e risposta, e se la situazione lo richiede, rilanciare questioni, porre domande retoriche, rilanciare le sue stesse domande, capovolgerle, non dagli tregua, in ogni caso è un ottimo esercizio retorico…

Intervento:…

È uno dei sistemi retorici più forti l’accogliere l’obiezione dell’altro e utilizzarla a proprio vantaggio, l’altro è spiazzato, disarmato, la sua stessa obiezione gli si ritorce contro, non sa più cosa fare, c’è l’eventualità di cominciare a cogliere qualche cosa, almeno a porne l’eventualità. Provate a prendere questa proposizione, questa ve la lascio come viatico, e cioè che X esista anche se non lo penso, noi dobbiamo affermare che X esiste anche se non lo penso se e soltanto se X esiste a condizione che lo pensi. Provare a costruire tutte le possibili formulazioni di questo paradosso, sempre mantenendolo come paradosso, tutte le possibili formulazioni che vi vengono in mente, altro ottimo esercizio, come sapete occorre imparare a pensare sempre più velocemente e meglio, in modo più preciso e più veloce, più preciso e più veloce di qualunque altro. Siamo dei sofisti. Altre considerazioni. Una cosa che può leggersi a proposito dell’essere è la Metafisica di Aristotele. Sì, l’essere ciò che è. E anche il Parmenide di Platone se avete voglia, che è più leggiadro, più ameno… va bene, ci vedremo giovedì prossimo.