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18-6-2008

 

Allora Eleonora, riformula quelle obiezioni che facemmo la volta scorsa, c’era un’obiezione logica: dicevamo che non era possibile, per dimostrare quello che avevamo in animo di dimostrare e cioè che effettivamente ciascuna parola non è nient’altro che un posto vuoto all’interno di una combinatoria, utilizzare la logica, dal momento che la logica è una costruzione che viene dopo, mentre noi ci stavamo occupando di qualche cosa che è assolutamente strutturale alla condizione stessa della logica cioè al funzionamento del linguaggio, come possiamo per dimostrare una cosa del genere utilizzare la logica quando ancora siamo al di qua della possibilità stessa della logica? Allora direbbe Eleonora: che razza di obiezione è questa? Dal momento che la logica non è altro che il funzionamento del linguaggio, utilizzare la logica non è nient’altro che utilizzare il linguaggio comunque, quante volte abbiamo detto che la logica è il funzionamento del linguaggio, la sua struttura fondamentale e quindi dire che la logica viene dopo è una stupidaggine, la logica non viene dopo, la logica è già lì mentre c’è il linguaggio perché è la sua struttura fondamentale, è quindi un’obiezione assolutamente risibile. La logica non è altro che la struttura del linguaggio, nient’altro che questo e quindi il fatto che utilizziamo la logica significa che utilizziamo il linguaggio semplicemente. La logica è formulata nel linguaggio, è fatta di procedure e di regole vale a dire tutto ciò che fa funzionare il linguaggio, come la regola logica che impedisce di utilizzare, per esempio, la contraddizione, si scrive (p e non p) questo non va bene, perché l’ha inventato la logica per un suo criterio o il ghiribizzo? Da dove arriva? È il funzionamento del linguaggio e quindi la logica non fa nient’altro che dire che cosa occorre perché il linguaggio funzioni, non fa nient’altro che questo. Ma se tu ti riferisci a quei manualetti di logica scritti da vari personaggi, questi hanno cercato in qualche modo di intendere come il linguaggio funzioni necessariamente e quindi hanno reperito delle regole che appartengono al linguaggio, in testa a tutti Aristotele …

Intervento: come ci si ricollega alla logica come posti vuoti?

Non ci stiamo ricollegando alla logica come posti vuoti perché era un’obiezione che rilevava soltanto l’utilizzo della logica per dimostrare qualunque cosa, nient’altro che questo …

Intervento: ma la logica può dimostrare qualsiasi cosa?

La logica si limita semplicemente a trovare che cosa partendo da alcuni assiomi è derivabile da questi assiomi, cioè tutto ciò che di vero è possibile trarre da alcuni assiomi di partenza, la logica fa questo, dato un punto di partenza qualunque tutto ciò che da questo elemento che si chiama assioma è derivabile …

Intervento: per esempio una cosa scritta in numeri può essere fatta dal linguaggio?

Sì, era una delle correnti del primo novecento, l’idea che la logica in realtà fosse un aspetto della matematica, poi invece ci si è accorti che invece la matematica è un aspetto della logica …

Intervento: ma si parte dal linguaggio o dalla logica?

Tenendo conto di ciò che abbiamo indicato con logica, partire dal linguaggio o dalla logica è esattamente la stessa cosa, mentre i logici generalmente, quelli che fanno questo mestiere, generalmente o sono filosofi o sono matematici, invece muovono da alcuni principi fondamentali che danno per acquisiti che sono invece quei principi fondamentali che noi attribuiamo alla logica, la logica non è nient’altro che ciò che determina il funzionamento del linguaggio cioè ciò che consente appunto al linguaggio di funzionare, per esempio non può affermare una cosa e il suo contrario se no si ferma il suo discorso, ecco questa cosa semplicissima appunto i logici la danno per buona, la danno così come qualcosa che fa parte del modo naturale di pensare quindi costruiscono l’assioma che tiene conto di questo ovviamente, che deve assolutamente evitare ogni contraddizione …

Intervento: quindi questi assiomi vengono posti dalla logica?... la logica può arrivare a capire da dove nascono questi assiomi?

Tu distingui fra linguaggio e la logica, la logica come una costruzione formale che è stata inventata allo scopo di trarre tutti gli elementi veri da alcuni assiomi dati …

Intervento: questi assiomi non sono posti dalla logica allora?

Sì, la logica pone degli assiomi, ma perché la logica muove necessariamente da assiomi veri? Anziché da quelli falsi? O incerti? Perché? È il funzionamento del linguaggio che lo obbliga ed è lo stesso motivo per cui una persona parlando cerca di raggiungere la verità, per esempio, anziché il falso ed è lo stesso motivo perché del falso non gliene importa niente a nessuno, tutti cercano assolutamente il vero, a tutti i costi perché se non riesce a concludere con qualche cosa di vero non può procedere in quella direzione …

Intervento: però la verità per ognuno di noi può essere una cosa diversa …

Ma è sempre la verità, e cioè è sempre qualche cosa che procede da un punto di partenza e attraverso dei passaggi coerenti cioè che non contraddicono il punto di partenza giungono ad un ultimo elemento e questo è necessario che sia per tutti, anche se due persone raggiungono due verità totalmente opposte, per esempio, comunque la procedura che è stata utilizzata è sempre necessariamente la stessa, non possono utilizzarne altre perché sono fatti di linguaggio e il linguaggio funziona così comunque, non hanno scelta anche se non si rendono neanche conto di quello che stanno utilizzando però di fatto l’utilizzano; la logica non è diversa per ciascuno perché la logica dice che se ho un elemento e la sua negazione questi due elementi insieme non ci stanno. Per esempio se io affermassi Stefania è nata in Italia e Stefania è nata in Francia soltanto uno dei due può essere vero, possono essere entrambi falsi ma non entrambi veri, perché? Perché si escludono queste due cose? Lei sa che è nata in Italia quindi qualunque affermazione contraddica questa lei la chiama falsa, questo è il funzionamento della logica quindi per esempio in tutte le proposizioni quella che afferma che Stefania è nata in Francia noi la escludiamo perché sappiamo che è falsa e quindi non la utilizziamo più, la logica opera esattamente in questo modo. Adesso ho fatto un esempio molto semplice però poi viene utilizzata per cose più complesse naturalmente, quindi l’utilizzo della logica per dimostrare qualche cosa che appartiene al linguaggio è perfettamente legittimo visto che la logica non è altro che il linguaggio stesso, visto che il linguaggio non è altro che le regole che lo fanno funzionare e una di queste regole è quella che vieta di affermare che Stefania è nata in Italia e Stefania è nata in Francia …

Intervento: …

Abbiamo distinto a scopo puramente didattico il linguaggio dal discorso, il linguaggio non è altro che un sistema operativo, quello che fa funzionare tutto quanto poi da lì si possono costruire infiniti discorsi e chiunque si trovi a fare un discorso è fatto del discorso che lo riguarda, come si costruisce questo discorso a partire dal linguaggio? Il linguaggio costituisce soltanto l’ossatura chiamiamola così, l’hardware, lo schema fondamentale, quello che proibisce di affermare una cosa e il suo contrario, consente invece da un elemento di trarne un altro, un’inferenza, dopodiché una volta che c’è questa struttura è sufficiente dare una prima istruzione per fare funzionare, adesso la dico in modo molto rozzo, molto meccanicistico tant’è che tempo fa utilizzavo il sistema che ha inventato Turing quello che ha inventato le macchine pensanti le chiamava lui cioè il computer, cioè stabilito un criterio del genere dove si proibisce che due cose si contraddicano, se ci sono due affermazioni di cui una è vera, necessariamente se l’altra la nega è falsa, e poi che un elemento è uguale a se stesso, non può essere altro da se stesso e questi sono i tre criteri principali cioè ogni parola deve essere identica a sé, non può essere un’altra parola se no il linguaggio cessa di funzionare quindi occorre che un elemento sia individuabile cioè differisca da tutti gli altri, con queste tre regolette semplicissime lei può costruire tutto quello che vuole basta un comando che dica, per esempio, che questo è questo cioè che questo è qualcosa non importa che cosa sia, però a questo punto se questo è qualcosa allora, primo non è altro da sé, secondo è differente da un altro, terzo, se questo è qualche cosa non posso negare che lo sia …

Intervento: questa cosa ha un interpretazione soggettiva … faccio un esempio un paziente per qualcuno sanguinare significa una cosa …

Ciò che lei sta dicendo è vero ma va molto al di là di ciò che sto dicendo adesso, io sto dicendo soltanto dell’avvio di una struttura che consente poi la costruzione di discorsi anche molto complessi i quali discorsi possono avere molte interpretazioni, ma solo a questo punto possono avere interpretazioni, al momento in cui la macchina si avvia, per così dire, l’interpretazione deve essere univoca, voglio dire che se affermo una cosa allora affermando una cosa nego il suo contrario, questo può essere soggetto a interpretazione? Se A è vero non A è vero o falso? È falso. Non può non esserlo, e se dico se Allora B e se B allora C sono obbligato a concludere se A allora C, non posso fare altrimenti, questo non è soggetto a interpretazione, è qualche cosa che costituisce il fondamento stesso del funzionamento del linguaggio, dire che se qualcosa è vero allora la sua contraria è falsa non è opinabile perché se io opino una cosa del genere allora io non posso più parlare perché parlando sono costretto a utilizzare questo schema e cioè qualcosa che mi consente, per esempio, di arrivare a una conclusione vera indipendentemente da quale sia la conclusione però è vera rispetto a ciò che volevo dire. Il sistema operativo, quello che fa funzionare il linguaggio non è soggetto a interpretazione perché altrimenti il linguaggio non funzionerebbe, ecco perché non solo non è interpretabile ma non è neanche discutibile in un certo senso, non posso mettere in discussione qualcosa che è il fondamento stesso del funzionamento del linguaggio, cioè posso farlo idealmente ma al momento in cui lo faccio, per potere mettere in discussione questa regola, io sono costretto a usarla questa regola perché se no non posso metterla in discussione, tempo fa dicevamo che per confutare il funzionamento del linguaggio noi siamo costretti a utilizzare il linguaggio necessariamente e questo linguaggio, cioè questa struttura, questo sistema operativo è sempre lo stesso per tutti, perché è quello che consente di provare qualcosa, di confutarla, di negarla, di affermarla di fare qualunque cosa …

Intervento: è difficile l’attuazione pratica di queste cose …

Non c’è un’attuazione pratica nel senso che l’attuazione pratica lei la mette in essere ininterrottamente …

Intervento: lo so probabilmente non ho consapevolezza di questo …

Quando dice “non ho consapevolezza di questo” lei sta negando qualcosa, sta negando di avere consapevolezza, per esempio, ecco questo è il funzionamento del linguaggio, premettendo questo “non” lei ha compiuto un’operazione molto precisa cioè ha negato qualche cosa “non ho consapevolezza di questo” ora avere consapevolezza di qualche cosa possiamo chiamarla A, perché no? Possiamo farlo quindi non A è ciò che lei ha detto, ora lei potrebbe affermare che “non ha consapevolezza di questo” però “ha consapevolezza di questo”? Sto dicendo molto semplicemente che non può affermare qualcosa e il suo contrario, o in un modo o nell’altro, tertium non datur, dicevano i medioevali, non si dà una terza possibilità, o è vero o è falso, ora questo principio così elementare che afferma che una cosa o è vera o è falsa non è discutibile, non può mettersi in gioco una cosa del genere perché per farlo lei deve comunque usarla perché per giungere a delle conclusioni avrà utilizzato la negazione o l’affermazione necessariamente quindi avrà utilizzato comunque questo sistema operativo che è fatto di queste cose, in pratica i tre principi aristotelici, nient’altro che questo che sono la conseguenza del fatto che qualunque elemento è identico a sé, quindi se è identico a sé cosa ne traiamo? Che non è un’altra cosa quindi non è la sua negazione, per esempio, la questione è che lei immagina una cosa molto complicata ma in realtà è semplicissima. una cosa o è vera o è falsa, questo è il fondamento, poi da lì è possibile costruire tutti i discorsi immaginabili che si possono costruire. Lei dice: un tizio perde sangue, ciascuno può interpretare come gli pare certo se è un assassino per lui è una buona cosa, vuole dire che ha fatto un buon lavoro, su qualunque cosa può farsi un discorso del genere qualunque cosa è interpretabile nel momento in cui si costruisce un discorso e quel discorso, lo prenda come un gioco linguistico con delle regole ora, io posso stabilire una regola, una persona sanguina se versa più di 150 litri di sangue al secondo, quindi se una persona è squartata e in un lago di sangue non sanguina se non ha versato più di 150 litri di sangue al secondo. Ognuno ha il suo criterio, lei provi a chiedere a una fanciulla “è bello innamorarsi?” riceverà da ogni fanciulla una risposta diversa. Ora tutti questi discorsi sorgono da tutto ciò che la persona ha acquisito nella sua esistenza, una quantità sterminata di informazioni, tutte queste informazioni o buona parte di queste vanno a costituire le premesse da cui parte per trarre le sue conclusioni e chiaramente queste premesse che per lui sono vere non sono vere per un altro ovviamente, da qui opinioni differenti fino alle guerre nucleari, oppure uno screzio fra innamorati etc. la struttura è la stessa …

Intervento: ma come è possibile che da una “verità” tra virgolette con la V maiuscola ci siano giochi linguistici e possano scaturire delle verità arbitrarie? Ovvero poter intendere qualcosa vero piuttosto che falso? Qual è il meccanismo per cui c’è l’interpretazione differente? Dalla verità vera alla verità relativa?

Le faccio un esempio, dal momento in cui si avvia il linguaggio, usiamo sempre la metafora della macchina, ecco supponiamo che ci sia questo primo input che dice “questo è questo”, questo input è registrato, “questo è questo” benissimo, però chiunque è assolutamente disposto ad affermare e a considerare che questo è questo, poi al questo si aggiunge una definizione per cui questo è questo, ma questo, il secondo questo, riguarda un accendino, viene tradotto con accendino quindi questo è un accendino …

Intervento: finché si separa il questo dall’istruzione …

Esattamente, è sempre questo però c’è già un elemento in più, questo è un accendino poi è d’argento poi è zigrinato poi è composto di parti meccaniche etc. e tutte queste cose che apparentemente sono molto banali possono arrivare a un punto in cui alludono a qualche cosa che non è più invece così facilmente condivisibile, per esempio questo è un accendino, questo è questo, questo è bello, un momento, perché bello? Chi stabilisce che è bello? Perché invece nessuno obietta che questo è questo? A nessuno verrebbe in mente mai di obiettare una cosa del genere, perché? Perché è il primo comando, è quello che fa funzionare tutto e nessuno può metterlo in discussione se qualcuno negasse che questo è questo negherebbe qualunque cosa a questo punto, tutto si dissolverebbe, nessuno metterebbe in dubbio una cosa del genere, naturalmente i dubbi sorgono al momento in cui si attribuisce una qualità, non più un essere ma una qualità, a questo punto sorgono dei problemi, io ho detto bello, può essere buono, può essere qualunque altra cosa, ma cosa avviene a questo punto? Avviene, per esempio, che nel mio discorso che è costruito con una certa qualità e quindi con una certa definizione di bello non necessariamente collima con quella di un altro il quale pur partendo da una stessa premessa, cioè questo è questo, a un certo punto le strade si divergono, si divergono al momento in cui interviene una valutazione e cioè il gioco che si sta facendo affermando che questo è questo si accosta ad un altro, a un altro gioco in cui si dice che qualche cosa fatto con questa forma è bella, questo ha quella forma quindi è bella però un altro, per esempio, Eleonora si trova presa in un altro gioco linguistico e dice questo sì è questo, anche per lei, ma se questa forma si aggancia a un’altra cosa le ricorda questo parallelepipedo un aggeggio che la sua sorellina le ha tirato in testa quando era piccola, ecco che questa forma già le dispiace e allora non accosterà più questo aggeggio al bello ma a altre cose e quindi a questo punto la verità, la verità che abbiamo sempre indicata come qualcosa di non soggettivo perché la verità di cui parliamo è la verità che attiene al linguaggio infatti non a caso abbiamo affermato che l’unica verità di cui sia possibile parlare è che qualsiasi cosa è un elemento linguistico, questa è la verità di cui parla Eleonora, se vogliamo utilizzare questo termine verità naturalmente, nessuno ci obbliga a farlo ma se dovessimo utilizzarlo lo utilizzeremmo per questo e cioè qualche cosa che risulta necessario che sia e anche di necessario abbiamo fornito una definizione, cioè qualcosa che è necessariamente e che non può non essere perché se non fosse non sarebbe né quella né nessuna altra cosa e questo si adatta perfettamente al linguaggio perché il linguaggio è necessariamente e se non ci fosse il linguaggio non ci sarebbe né il linguaggio né nessuna altra cosa. Ora la verità a questo punto è questo, è qualche cosa che riguarda la necessità cioè qualche cosa che è necessario che sia e può riguardare solo il linguaggio, solo il sistema operativo cioè solo quella cosa che fa esistere, per così dire, qualunque altra cosa …

Intervento: la verità in qualche modo è ciò che costringe a costruire dei giochi linguistici tali per cui le premesse le conclusioni devono essere coerenti con le premesse … in questo caso la verità diventa una sorta di imperativo logico …

Sì, perché dicevo che la verità attiene al linguaggio, e che fa parte del linguaggio? Perché si muove esattamente come si muove il linguaggio, se il linguaggio ci costringe a evitare o a abbandonare qualche cosa perché sappiamo essere falso allora la verità non sarà nient’altro che affermare qualche cosa che il linguaggio riconosce essere vero, ma avevamo anche detto che se il linguaggio può proseguire, cioè riconosce che ciò che sta dicendo non contraddice la premessa da cui è partito allora può proseguire e chiama quella direzione vera, come dire che in questo caso la verità non precede: se il linguaggio va in quella direzione allora vuole dire che è vera, se non ci può andare allora la chiama falsa semplicemente, questo per togliere sia al vero che al falso una connotazione ancora ontologica, che riguarda l’essere stesso delle cose cioè come qualche cosa che esiste di per sé indipendentemente da qualunque altra considerazione …

Intervento: io credo che l’equivoco di fondo sia il fatto che al linguaggio ci si riferisca alle regole non all’uso e qui si ritorna al fatto che le parole sono posti vuoti che possono assumere significati diversi, interpretazioni diverse … ci vuole il contesto alle premesse specifiche di quel contesto mentre invece parlando di logica e quindi anche del funzionamento del linguaggio sembra che ci si riferisca soltanto alle regole per poter stabilire che cosa è vero e che cosa è falso …

Le regole si mettono in discussione, certo si possono mettere in discussione se io stabilisco, come ho fatto prima, che una persona perde sangue se e soltanto versa più di 150 litri di sangue al secondo, questa regola può essere messa in discussione, in alcuni casi deve essere messa in discussione, è piena la storia della scienza di una cosa del genere, è tutta costellata di questo, però esistono della altre regole che sono quelle che fanno funzionare il linguaggio e queste come dicevo prima non sono più soggettive …

Intervento: …

Dipende, però sicuramente sono quelle con cui che si ha a che fare più spesso anche se queste regole più interessanti devono la loro esistenza a queste altre regole, senza queste altre anche queste più interessanti non potrebbero esistere in nessun modo perché queste regole fondamentali, questa sorta di meta regole cioè regole che sono a fondamento di qualunque altro gioco sono quelle che fanno funzionare il linguaggio, sono solo quelle e nient’altro e queste non sono né opinabili né interpretabili né discutibili perché per opinarle, per discuterle comunque devo usarle, e questo ci porterebbe alla questione ontologica, l’altra volta ho posta anche l’obiezione filosofica, il fatto che il linguaggio è qualche cosa, se è qualche cosa è necessariamente e quindi se è, questo essere precede qualunque altra cosa compreso il linguaggio. Questa obiezione è assolutamente ridicola naturalmente perché dire che il linguaggio è qualcosa non comporta che questo “è”, questa copula che non è nient’altro che uno strumento linguistico, sia di per sé qualche cosa al di fuori del linguaggio, perché mai? Perché mai dicendo che il linguaggio è qualcosa allora questo “è” deve riguardare l’essere, per esempio, dicendo questo ho soltanto costruito una sequenza di elementi linguistici, nient’altro che questo so con certezza, qualunque altra cosa è totalmente arbitraria, affermare che il linguaggio è qualcosa quindi è, non significa assolutamente niente, riguardo poi all’obiezione psicanalitica questa non è neanche da prendere in considerazione. Invece sarebbe interessante riprendere l’obiezione retorica, ne parleremo la volta prossima non tanto come obiezione ma per la questione che pone, l’obiezione retorica era questa: come è possibile se, come stiamo affermando, il linguaggio è fatto unicamente di simboli, di posti vuoti, come è possibile dunque che elementi, cose che sono posti vuoti che non significano in realtà niente abbiano costruito in questi ultimi tre mila anni tutti quello che gli umani hanno costruito con la loro complessità, con questa infinita varietà di cose, tutte le meraviglie che sono state fatte, l’arte, l’architettura, la musica, la poesia, la filosofia, la logica stessa, tutto questo che è stato costruito fino ad arrivare alle invenzioni più recenti, come è possibile dunque che tutto questo sia stato costruito da parole che non significano niente? Un retore potrebbe utilizzare un’argomentazione del genere per mettere in difficoltà, ma non è tanto l’obiezione in quanto tale che è smantellabile in quattro e quattr’otto, ma è la questione che pone che è interessante e riguarda proprio la questione del significato e del senso di cui parleremo mercoledì prossimo. Può apparire incredibile, inverosimile che i discorsi siano fatti di cose vuote che non significano niente, eppure è possibile creare cose di una complicità straordinaria con cose che non significano niente, esattamente come ha fatto la logica, cosa diceva Russel? Che la logica parla di niente, è quella disciplina dove non si parla di niente.