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18-5-2016

 

Eraclito di M. Heidegger, pag. 148: La definizione dell’essere umano che afferma che l’uomo è l’essere vivente che ha il λόγος, esprime il tratto che contraddistingue l’uomo, il cui destino è la storia universale dell’umanità caratterizzata in senso di occidentale. Noi conosciamo la definizione greca nelle formulazioni che sono state date successivamente homo est animal rationale, l’uomo è l’essere vivente razionale il λόγος è diventato ratio, e la ratio si è trasformata si è trasformata in ragione (ci sta dicendo che il passaggio che ha subito il λόγος dal pensiero greco antico pre socratico, pre metafisico del λόγος come un aspetto dell’essere e cioè come ciò che raccoglie ciò che appare, da λγειν raccogliere, mettere insieme, λόγος viene da lì, e la proposta che fa Heidegger è di intendere il λόγος in senso antico, come ciò che nell’essere raccoglie, al pari dell’λήθεια, raccogliendo dà una forma e ce la fa apparire così come ci appare. Poi, con il latino, il λόγος si è trasformato in ratio, che non era presente presso il greco antico e quindi in ragione. Non è molto lontano sia come passaggi sia come intendimento da quel passaggio che è stato compiuto dall’λήθεια del greco antico all’adeguamento, e poi alla verità imperiale, quella che serve al comando, anche la ragione serve al comando, se io ho ragione e tutti voi avete torto allora dovete adeguarvi a quello che dico io perché io ho ragione) La caratteristica della facoltà razionale è il pensiero, l’uomo in quanto animal rationale è l’animale pensante, secondo l’espressione di Rilke, egli è l’animale che accerchia le cose con le trappole, che si apposta intorno ad esse per catturarle (che fa pensare immediatamente alla scienza che isola l’elemento per poterlo catturare) Possiamo dire che la definizione citata è la determinazione metafisica dell’essenza dell’uomo, l’uomo che si trova sotto il dominio della metafisica esprime in questo modo la sua essenza (catturare l’oggetto cioè avere il potere sull’oggetto) non molto tempo fa Nietzsche l’ultimo pensatore della metafisica ha fatto sua questa definizione dell’essenza dell’uomo: l’uomo è l’animale intelligente, l’animale che conosce. Un saggio scritto dal ventinovenne Nietzsche a Basilea nel 1873 ma pubblicata solo nel 1903 dopo la sua morte inizia con queste parole: In un angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c’era una volta un astro su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza, fu il minuto più tracotante e menzognero della storia del mondo ma tutto ciò durò soltanto un minuto, dopo pochi respiri della natura la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire (qui è Heidegger che parla) eppure, eppure questa interpretazione dell’uomo fu per il vero Nietzsche, per il Nietzsche posteriore fu una anticipazione, in seguito Nietzsche vi ha contrapposto la dottrina dell’eterno ritorno dell’identico, nel periodo in cui Nietzsche compone il suo Zarathustra e si avvicina al suo unico pensiero, ogni pensatore pensa un unico pensiero, riconosce che l’uomo quale è stato finora l’animal rationale è certamente un animale ma è un animale non ancora determinato nella sua essenza, occorre allora cogliere in modo determinante l’essenza della ratio che determina l’animale uomo seguendo la direzione che emerge a tratti già nel pensiero moderno, l’essenza della ragione vale a dire della soggettività (interessante che ponga la questione della ragione insieme con la soggettività. La soggettività come l’oggettività è un concetto relativamente) non è più costituita solamente dal pensiero e dall’intelletto ma dalla volontà; perché è nella volontà di volere se stessi, che giunge a compimento il porsi su se stesso proprio dell’uomo, vale a dire la soggettività (che è il volere se stessi, il volere volere, questa è la soggettività sta dicendo Heidegger) secondo Nietzsche però la volontà è volontà di potenza, l’uomo è l’animale che è caratterizzato dalla volontà di potenza, intesa come volontà pensante e in questo modo egli risulta determinato nella sua essenza metafisica, l’uomo questo animale che vuole è quindi secondo Nietzsche un rapace, come è vicina a questa definizione l’immagine rilkiana dell’animale che pone trappole e si apposta per catturare la preda. L’uomo pensato in questi termini come è colui che è voluto e vuole se stesso, va oltre l’uomo quale è stato finora concepito, si colloca al di là dell’animale puramente intelligente in quanto va oltre l’uomo quale è stato finora, il futuro uomo della metafisica è l’oltre uomo “Übermensch” l’uomo come uomo della volontà di potenza. Se quindi il λόγος è diventato ratio, la ratio è diventata ragione e quest’ultima è diventata volontà pensante, e se questa volontà, intesa come volontà di potenza, costituisce l’essenza dell’uomo e anzi l’essenza dell’essenza in quanto tale nella sua totalità, ecco allora che anche la logica, in quanto dottrina del λόγος, ha un’importanza altrettanto universale quanto la fisica e l’etica (qui fa un accenno alla questione della cosa, poi la vedremo più avanti, ma perché la cosa? Perché la cosa è ciò sulla quale si impone il potere, sulla quale si vuole dominare, volere il potere sulle cose, sugli enti, sulle cose, sulle cose fisiche, τ φυσικ) Che cosa appartenga alla cosa in questione non lo decide la cosa stessa, il suo fondamento oggettivo e la sua verità, bensì la disciplina alla quale la cosa è stata assegnata come oggetto della disciplina stessa (come dire che la cosa è quella che la disciplina che la considera vuole che sia) pag. 154: Con la suddivisione della filosofia in fisica, etica e logica (questa suddivisione tradizionale) viene attuata una semplificazione, inizia così un processo che consiste nel fatto che la disciplina ha il sopravvento sulla cosa nella disciplina tratta (dice che la fisica si occupa delle leggi della natura, del movimento eccetera, però ci dice che con questa suddivisione si incomincia a pensare in un altro modo: la fisica incomincia ad avere il sopravvento, fisica come modo di pensare, su ciò stesso di cui si occupa, diventa più importante) ciò che è proprio della cosa non lo stabilisce più la cosa stessa la sua legge essenziale e il suo fondamento essenziale ancora nascosto (qui bisogna fare, se no non si intende bene, un richiamo. Heidegger in questo momento ha di mira un certo discorso, per il greco antico, il pensatore greco antico pre socratico, pre metafisico, la cosa si manifesta; che cos’è l’essere se non il manifestarsi dell’ente o meglio la condizione del manifestarsi dell’ente? Quell’apertura attraverso la quale l’ente si manifesta, cioè è quel significato da cui il significante sorge. Quindi per Heidegger e per il pensatore antico, la cosa si manifesta non da sé, nel senso che husserlianamente ci sarebbe una percezione diretta della cosa, ma la cosa sorge dal significato, e sorgendo si raccoglie, questo raccoglimento è il λόγος, è il fatto che lo dice, e in questo modo appare, si manifesta, si disvela a ciascuno. Ora invece ci sta dicendo che con la fisica, cioè con questa suddivisione della filosofia in fisica, etica e logica non c’è più questo modo di rapportarsi alla cosa, a ciò che ci viene incontro, vi ripeto questa frase: “ciò che è proprio della cosa non lo stabilisce più la cosa stessa”. La cosa stessa qui è da intendere: ciò che il significato consente di venir fuori, di apparire, il significato, cioè l’essere. Potete pensarla così: il significato come una rete di combinazioni, di connessioni dalla quale sorge un significante, quindi questo significante sorge sempre da un qualche cosa che è una rete di combinazioni, questo sorgere è un sorgere da una combinatoria, da una rete di connessioni, quindi questa cosa sorge ma è sempre comunque dipendente da una rete di connessioni, che è esattamente ciò che dice Heidegger quando dice che l’ente non c’è senza l’essere, è l’essere che dà all’ente la sua enticità. Ciò che accade a un certo punto, dice Heidegger, è che la cosa stessa, la cosa che si incontra, diventa le proprietà della. Allora noi pensiamo la cosa attraverso le leggi della fisica che ne indicano le eventuali proprietà, quindi pensiamo la cosa attraverso la fisica e la cosa non ci viene più incontro, se non attraverso e mediata dalle leggi della fisica, quindi noi vediamo le cose attraverso le leggi della fisica) Ciò che appartiene alla cosa viene stabilita attraverso dei punti di vista e a seconda delle direzioni verso cui si indirizza la ricerca, vale a dire a seconda degli obiettivi che la disciplina stessa si pone come scopo della sua esistenza, e che considera al tempo stesso come le sole possibili vie di oggettivazione della cosa stessa (sta dicendo che è inevitabile che ciascuno veda la cosa se non attraverso il suo progetto, la questione è che non si accorge che la vede attraverso il suo progetto, pensa che le cose che fanno parte del suo progetto siano la cosa stessa, siano le proprietà della cosa, in questo abbaglio vivono gli umani, secondo Heidegger) E che cosa vuol dire tutto questo per la logica e per quello di cui essa si occupa per il λόγος? Significa in primo luogo che la logica viene praticata differenziandosi dalle altre discipline filosofiche (differenziandosi dalle altre discipline) ma che proprio a causa di questo intreccio con queste altre discipline non è più libera di stabilire i propri compiti e il suo modo di procedere (sta dicendo che la logica, come la fisica, viene considerata come avulsa dall’essere. Per il pensatore antico λόγος, θος, εδος, e λήθεια, sono aspetti dell’essere, cioè i modi in cui l’essere si manifesta quindi sono presi in questa connessione fra loro in quanto debitori nei confronti dell’essere, quindi sempre presi all’interno di un “gioco”, chiamiamolo così. Quindi la logica “viene praticata differenziandosi dalle altre discipline”, è come se la logica non avesse più nulla a che fare con l’etica, nulla a che fare con la fisica, nulla a che fare con niente, è a sé stante, così come lo è diventata oggi, la logica è un gioco a sé stante che non ha più nulla a che fare con le altre) Secondo loro significa che la logica stessa mette in luce il λόγος solo nel modo che è più adeguato al suo orientamento problematico (cioè ai suoi interessi specifici, riprendo ciò che dicevamo prima, qualcosa di contingente, di immediato) per la logica il λόγος è il λγειν inteso come “asserire” come “giudicare” (ricordate che invece λγειν vuol dire “mettere insieme” “raccogliere” qui è diventato un “asserire” “giudicare”) e l’attività della ratio è azione della ragione (qui incomincia a mostrarci come la logica, dall’idea antica di λόγος sia diventata quello che è adesso, e cioè un modo per giudicare, per asserire, cosa che era assolutamente assente nel concetto di λόγος. La logica dice Heidegger “è la dottrina della ragione”. Bisogna fare attenzione, perché Heidegger non usa i termini a caso, parla di dottrina della ragione, la “dottrina” è un concetto abbastanza delimitato, indica una serie di asserzioni che devono definire un certo modo di vedere, di pensare, quindi parlare della logica come “dottrina della ragione” pone la logica come ciò che detta le leggi alla ragione) Il sopravvento della disciplina sulla cosa di cui tratta la disciplina stessa si consolida, non soltanto nelle scienze, ma soprattutto nella filosofia che in definitiva viene ricercata e sviluppata come scienza propria sulla base della sua vicinanza alle scienze (ancora ci dice “il sopravvento della disciplina sulla cosa” per quanto riguarda il λόγος, qual è il sopravvento della disciplina sulla cosa? È il sopravvento della logica su ciò di cui la logica tratta, cioè la logica pretende di legiferare sul pensiero) pag. 155: Il termine “metafisica” secondo quanto abbiamo detto che successivamente assume, mette in luce espressamente solo ciò che la fisica fondamentalmente è. La parola greca μετά  (di metafisica) può significare e significa qui “oltre”, “al di là” come ad esempio diciamo “passaggio dell’ente dato a ciò che definisce l’ente in quanto tale nella sua totalità vale a dire l’essere può significare e significa qui al di là cioè oltre, ma (dice, la fisica realizza con i pensieri il passaggio dall’ente dato a ciò che definisce l’ente in quanto tale cioè l’essere, quindi la fisica è ciò che ci mostra come l’ente debba la sua enticità all’essere) poiché nella sua intenzione originaria la fisica pensa l’essere a partire dall’ente e quindi si indirizza col pensiero verso ciò che è distinto dall’ente, la fisica in quanto tale è metafisica (la riprendiamo perché è una frase complessa “la fisica nella sua intenzione originaria pone l’essere a partire dall’ente” cioè da ciò che è la cosa, da ciò che si vede “e quindi si indirizza col pensiero verso ciò che è distinto dall’ente” perché vede le cose ma si chiede “che cos’è questa cosa? Quindi “si dirige con il pensiero verso ciò che è distinto dall’ente” ciò che lo fa essere quello che è, e quindi la fisica in quanto tale è metafisica, se la fisica si occupa dell’ente è inesorabilmente metafisica, perché è costretta a pensare che c’è qualche cosa al di là dell’ente che fa dell’ente quello che è, che dà un significato all’ente). Se la metafisica è fondamentalmente metafisica e se l’etica ottenuta per mezzo della suddivisione e sviluppatasi parallelamente insieme alla fisica (dunque) se la fisica pensa in modo altrettanto universale l’ente nella sua totalità anche se da un altro punto di vista dobbiamo concludere allora che anche l’etica pensa metafisicamente. Essa (l’etica) si interroga sull’essere di quell’ente che è l’uomo (la fisica si occupa degli enti, l’etica di un ente in particolare) di quell’ente che è l’uomo, in quanto l’uomo dimora in mezzo all’ente che si rapporta alla totalità dell’ente, questo comportamento è chiamato successivamente costume, e il comportamento si attiene ai costumi che sono sottoposti alla legge morale, perciò Kant volendo pensare il carattere essenziale dell’etica ossia della “dottrina dei costumi” la chiama semplicemente “metafisica dei costumi” (e quindi sta ponendo l’etica come una metafisica dei costumi) da tutto ciò possiamo ora supporre che la logica che è scaturita dalla stessa suddivisione insieme alla fisica e all’etica sia anch’essa metafisica, vale a dire la metafisica dell’asserire, dell’enunciare, del giudicare, del giudizio ossia la metafisica della ragione (questa è la definizione della logica che dà Heidegger, possiamo trarla così: la metafisica della ragione.