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18-5-2004

 

Lo stimolo e la risposta

 

Dobbiamo continuare ad affinare l’ars retorica, fra l’altro martedì prossimo saremo all’oratorio San Filippo… una volta i preti utilizzavano questa tecnica, quando c’erano delle persone che dovevano esporre delle cose e queste cose rischiavano di essere pericolose, facevano intervenire una persona di loro fiducia, una persona polemica, combattiva, sanguigna, in modo da creare una sorta di affrontamento fra l’oratore e questo signore, a quel punto interviene il prete a portare la pace. Questa era una tecnica piuttosto utilizzata, magari è cambiato tutto da allora ma era una tecnica piuttosto in voga. Detto questo torniamo alla questione del linguaggio, al punto in cui siamo, per esempio obiezioni del tipo che la sensazione di freddo, caldo o qualunque altra cosa siano fuori dal linguaggio dovrebbe potere essere eliminata, ora vediamo come, ci sono vari modi. Un modo come sapete è quello di condurre il vostro interlocutore a contraddirsi. Come avviene questo fatto? La sensazione del corpo, perché ci sia una sensazione del corpo occorre che ci sia il corpo ovviamente e che io sappia di averne uno, perché se non so di avere un corpo allora questa sensazione non mi appartiene, sapere di avere un corpo comporta che tutto ciò che il mio discorso attribuisce a qualcosa che accade, venga inserita all’interno di un sistema tale per cui ciò che io dico di avvertire abbia la possibilità di riferirlo al mio corpo. In sostanza devo avere imparato che questa cosa è il mio corpo, allora a questa condizione posso dire di sentire freddo, per esempio, ma come imparo ad avere un corpo? A sapere di avere un corpo? Mi è stato detto ovviamente ma non solo, tutto ciò che il discorso di cui sono fatto può attribuire a sé, a questo “io” delinea o delimita la nozione di corpo, in definitiva non è altro che un’attribuzione del discorso o meglio, una attribuzione che il discorso fa a sé tale da distinguerlo da altri discorsi per cui io so che il discorso che sto facendo adesso è il mio discorso e non quello di Cesare, come faccio a saperlo? Dicevamo che il discorso non è altro che il linguaggio in essere, dunque tutto ciò che questo discorso che io indico come mio, cioè un discorso che ha la possibilità di distinguersi dagli altri, tutto ciò che questo discorso attribuisce a sé si delinea come corpo, il mio corpo, il mio pensiero. È una necessità dicevamo, il linguaggio deve, in questo coso il discorso cioè la sua applicazione, deve potere distinguersi da qualunque altro per funzionare, perché se non potesse distinguersi allora ci sarebbe un’occasione in cui non è possibile distinguere un elemento da un altro, e sappiamo che il linguaggio per funzionare deve potere compiere questa operazione, cioè distingue un elemento da un altro. Se un singolo elemento potesse significare tutti gli altri il linguaggio cesserebbe di funzionare, allo stesso modo il discorso. Non solo quindi un elemento del linguaggio ma il discorso, cioè la sua attuazione, il suo porsi in essere, deve distinguersi da qualunque altro, ma dicevamo che occorre che io sappia che ho un corpo, naturalmente potrebbe sempre dire qualcuno che sento lo stesso anche se non so che è il mio corpo, ma questa considerazione in realtà è abbastanza banale. Poniamo la cosa in termini più radicali e cioè una cosa mi urta, io rilevo questa variazione di stato e dico che c’è stato una botta, quale criterio utilizzo per stabilire una cosa del genere? Il corpo avverte sempre le variazioni di stato? Quasi sempre, in alcuni casi no, però generalmente sì, per esempio negli stati di incoscienza per così dire non avverto niente, occorre che io sia cosciente cioè devo sapere, devo sapere di esserci, devo sapere di esistere, devo sapere di essere qualcosa, in questo caso questo sapere è quello che mi consente, dicevamo prima, di attribuire a me, cioè al mio discorso, una serie di eventi, ma se non lo so, facciamo questa ipotesi per assurdo, se non sapessi che questo corpo che mi porto appresso è mio allora potrei sentire male? È una questione… sì, certo, potremmo anche dire che il corpo essendo un sistema provvisto di sensori rileva una variazione di stato, ma per chi? Se io non so che questo è il mio corpo? Il provare dolore viene affermato essere qualcosa che è fuori dal linguaggio, e così appare, ma appare a condizione che si sappia molto poco del linguaggio, ché se no risulta più difficile per il motivo che io posso affermare che il corpo prova dolore fuori dal linguaggio però non ho modo di provarlo, e se mi invento una dimostrazione tale per cui riesco a dimostrare che il corpo prova dolore anche senza linguaggio questa dimostrazione l’ho fatta attraverso il linguaggio anche se è una dimostrazione ostensiva: mi do una martellata e dico ahi! E allora cosa ci dimostra questo?

Intervento: potremmo dire che l’ho imparato anche questo

Certamente, ma la questione fondamentale è che non possiamo uscire dal linguaggio, e questo l’abbiamo visto in varie occasioni, non potendo uscire dal linguaggio qualunque cosa io costruisca, per esempio il fatto che il dolore è fuori dal linguaggio, siccome non posso uscire dal linguaggio rimane una costruzione del linguaggio, l’affermare che provo dolore anche senza linguaggio, e quindi rientra all’interno di una struttura anche questa affermazione. A quali condizioni un’affermazione come questa che dice che il dolore è fuori dal linguaggio, è vera? Quale criterio utilizzerò? Naturalmente qui si risponderebbe “lo sento” ovviamente questo sentire non è altro che un led che segnala un malfunzionamento, un rilevatore, nient’altro che questo, però come tutti i segnalatori occorre che segnali qualcosa per qualcuno, e cioè che ci sia un sistema che decodifica un’informazione e la trasforma in una proposizione, perché in caso contrario rimane un’informazione priva di qualunque utilizzo…

Intervento: non c’è la conclusione

Non c’è la conclusione però c’è l’antecedente, e sappiamo che se c’è un antecedente c’è anche un conseguente e questo ci riporta alla struttura del linguaggio che è quel criterio fondamentale che viene utilizzato per stabilire se qualcosa è vero o è falso, e quindi tutto dipende da questo sistema che chiamiamo linguaggio, certo il dolore generalmente non viene sottoposto a un criterio verofunzionale, ma c’è un motivo per cui risulta automaticamente vero, lo abbiamo anche visto ma lo ripetiamo: tutto ciò che il discorso, il mio discorso produce esiste necessariamente in quanto elemento linguistico, esistendo necessariamente non può essere negato perché il linguaggio non può costruire un elemento e affermare che quello non è un elemento linguistico, cioè non può fare in modo che cessi di esistere, una volta che esiste e cioè che è un elemento linguistico da quel momento in poi lo è definitivamente. Non può farlo perché non può negare se stesso, non può stabilire un elemento e negarlo, lo può fare retoricamente ma questo è un altro discorso. Dunque tutto ciò che il mio discorso afferma è automaticamente vero, è vero perché esiste e se esiste è vero poiché soltanto ciò che non esiste all’interno del linguaggio viene stabilito come ciò che non esiste, che non può esistere, oppure ciò che impedisce al linguaggio di proseguire…

Intervento: non ho inteso questo… ciò che non esiste nel linguaggio non esiste

Ciò che impedisce al linguaggio di proseguire è ciò che indichiamo come falso…

Intervento: però il falso esiste comunque anche se lo indichiamo con falso

Certamente, infatti la forma più radicale di arresto di linguaggio è il paradosso che dice che una certa cosa esiste ma che anche non esiste, e questo non significa niente per il linguaggio e quindi non può proseguire in quella direzione, se afferma che qualcosa non esiste, sempre logicamente, non in ambito retorico, il discorso si arresta, si trova di fronte a un paradosso: l’ho stabilito e quindi c’è, non posso dire che non c’è, viola il principio del terzo escluso, o c’è o non c’è non si dà un’altra possibilità o è vero o è falso. Ecco allora che il mio discorso, una volta che ha detto qualcosa, che ha affermato qualcosa, considera ciò che ha affermato “vero”, questa cosa che ho detta esiste e quindi è vera, può, come accade, che in seguito questa cosa io affermi che è falsa ma cosa è avvenuto nel frattempo? Ho accolto un gioco all’interno del quale esistono delle regole che impediscono la mossa precedente e allora in quel caso vero o più propriamente falso significa nient’altro che questo: vietato dalle regole del gioco, potremmo qui distinguere due tipi di vero, un vero logico e un vero retorico, il vero logico è quello che consente unicamente al discorso di proseguire, il falso logico ciò che il discorso rileva come impedimento per proseguire e quindi si arresta e chiama questo falso, invece un vero e rispettivamente un falso retorici non significano nient’altro che consentito o vietato dalle regole di quel gioco. Questo rende conto del fatto che in molti casi si afferma qualcosa e quindi la si afferma come assolutamente vera e dopo si cambia idea, il linguaggio non può fare una cosa del genere logicamente, non può affermare che qualcosa esiste e poi negarne l’esistenza in termini logici, retoricamente sì, perché basta che accolga un certo gioco, una delle regole di un gioco e allora se una certa mossa è consentita allora è vera, se non è consentita è falsa. È ovvio che questo aspetto retorico trae la sua esistenza, la sua forza dalla questione logica, da ciò che il linguaggio può fare oppure no, non può negare se stesso, è l’unica cosa che il linguaggio non può fare, che è un altro modo per dire che non può uscire da se stesso. Non può negare se stesso, negando se stesso costruisce una proposizione paradossale e il discorso si blocca, non ha più nessuna direzione e logicamente non lo può fare, potremmo dire che è l’unica cosa che non può fare, mentre retoricamente sì.

Intervento: il discorso si blocca però… non è che può bloccarsi il discorso rinvia comunque

È ciò che stiamo dicendo, è ovvio che non esiste un linguaggio che si muova solo in ambito logico, senza retorica, abbiamo detto in varie occasioni che di fatto tutto ciò che si dice è all’interno di una struttura retorica, la logica è l’impianto…

Intervento: dei comandi

Esattamente, per cui ecco che in un qualunque gioco, se una mossa non è consentita viene chiamata falsa, perché il linguaggio la direzione che non può proseguire la chiama falsa, perché di lì non va, così come in un qualunque gioco, poi è ovvio che non può darsi la logica da sola, non c’è nessun modo per isolarla dalla retorica, esattamente così come non c’è nessun modo di isolare un gioco dalle sue regole perché il gioco è fatto di quelle regole, non lo posso isolare dalle regole in nessun modo…

Intervento: per esempio il gioco che noi facciamo che ha come premessa una proposizione che in nessun modo è negabile, al momento in cui arriviamo a porre la questione in modo paradossale il discorso si blocca, si blocca e prosegue in questo modo prosegue fin tanto che non ha trovato una proposizione necessaria

Si, per nostro discorso, quello che facciamo, affermare una proposizione che risulta arbitraria è una mossa non consentita e quindi il discorso non prosegue…

Intervento: fintanto che non trova la necessità

Esatto, e allora lì conclude per potere proseguire, finché non la trova non conclude continua a girare…

Intervento: finché non trova il conseguente dell’antecedente, la risposta necessaria

Nel caso del nostro discorso questa è la regola ovviamente…

Intervento: stiamo ponendo in atto il gioco della logica e della retorica

Che non si possono distinguere se non a scopo puramente didattico, per cui ecco che “vero” per il linguaggio è ciò che prosegue, la direzione lungo la quale prosegue, ora si tratta di intendere la questione del corpo come il discorso proprio, come un discorso che tiene conto di sé, tiene conto nel senso che sa che le cose che sta dicendo appartengono a sé. Potremmo dire che non c’è nessuna differenza tra il mio corpo e il mio discorso, nel senso che non li posso distinguere, non li posso distinguere perché se io parlo del mio corpo faccio un discorso, se io considero il mio corpo sono in un discorso, non potrei in nessun modo isolare il corpo dal mio discorso. Ora tutto ciò che questo discorso stabilisce che sia un’idea o sia una sensazione, a questo punto non fa nessuna differenza, viene immediatamente posto come vero cioè come qualcosa che esiste, che si da e quindi è vero, per questo non c’è nessun dubbio rispetto a una sensazione del proprio corpo, nessuno dubita, se ha sete, di averla lui o quell’altro. Così come non ha nessun dubbio se ha pensato qualcosa che questo pensiero l’ha pensato lui, gli appartiene. C’è una assoluta certezza rispetto al proprio pensiero così come rispetto al proprio corpo, come dire che è il discorso che non ha alcuna incertezza rispetto a ciò che lui stesso costruisce, afferma, inferisce, man mano che procede costruisce cose e queste cose sa che gli appartengono e non può non saperlo perché per il suo stesso funzionamento è costretto a saperlo, perché se non lo sapesse più il discorso, il linguaggio stesso cesserebbe di funzionare così come cesserebbe di funzionare se un qualunque elemento significasse di colpo qualunque altro, si blocca tutto. Ecco quindi che la certezza con la quale le persone affermano che se io sento il dolore lo sento comunque, è per questo motivo, come vi dicevo può affermarsi una cosa del genere soltanto se non si ha la più pallida idea di come funziona il linguaggio, e allora ecco che diventa una sorta di magia “lo sento e basta” tant’è che nessuno sa provarlo in realtà, perché non usa dovere provare delle sensazioni, cioè sottoporle a un criterio verofunzionale, e non usa per questo motivo che vi dicevo, perché qualunque cosa il mio discorso, quindi il mio corpo affermi, è automaticamente vero. Non c’è incertezza, l’incertezza può intervenire in seguito, se inserisco un altro gioco, allora è possibile che quella cosa che ho sentita possa essere negata, è possibile. Facciamo un esempio una persona pesta un piede a un’altra, quest’altra qualcosa ha sentito, ha avvertito una variazione di stato, cosa è successo esattamente? Adesso al di là di tutte le questioni neurofisiologiche, se ha la possibilità di inserire questo stimolo chiamiamolo così, questa variazione di stato all’interno di un sistema, ma questo sistema ha una funzione, una sorta di feed-back, occorre che prima il linguaggio faccia esistere il corpo, con tutto ciò che questo comporta, dopodiché, una volta che l’ha fatto esistere, allora il corpo si muove come se fosse fuori dal linguaggio, perché a quel punto, dal momento in cui il corpo è esistito e il linguaggio “ne ha fatta esperienza”, da quel momento esiste, esiste apparentemente indipendentemente dal linguaggio che l’ha costruito, da qui lo stupore delle persone quando diciamo che senza linguaggio non ci sarebbe neanche il corpo, il corpo esiste perché nel momento in cui il linguaggio lo fa esistere da quel momento esiste e bell’è fatto, indipendentemente da qualunque altra considerazione e non può più negarlo, perché abbiamo visto che ciò che esiste non può più essere negato, una volta che c’è, che fa parte del linguaggio, come dicevamo posso negarlo retoricamente ma negarlo retoricamente non significa che non esista nel linguaggio, è una negazione retorica, rispetto a un gioco questa mossa non è consentita ma il fatto che non è consentita non vuol dire che non esista, io non posso mettere gli scacchi dove gioco a poker, ma questo non significa che gli scacchi non esistano, anche se la mossa non lo consente. Il corpo si installa solo dopo il linguaggio, allora esiste per sempre per così dire, e non è altro che, come dicevo prima, il mio discorso, il mio discorso che rileva delle cose che il corpo gli invia ma il corpo può inviare delle cose perché esiste, ma il fatto che esista è una conseguenza dell’esistenza del linguaggio, il fatto che esiste il linguaggio non va senza conseguenze, per qualunque cosa, il corpo compreso. Ora naturalmente c’è la storiella dell’animale, se do un pestone ad un cane quello emette un guaito, e quindi io deduco da qui, siccome ho un corpo e ce l’ho grazie al linguaggio, allora posso dedurre che il cane abbia sentito male e cioè attribuisco a lui le cose che io ho provate, ma a questo punto è lo stesso discorso che possiamo fare rispetto al bicchiere che cade e si rompe…

Intervento: però lo possiamo fare anche rispetto a un altro uomo, questa è una delle difficoltà più grandi… questo mi porta al solipsismo perché è vero che io posso dedurre il male dell’altro ma per questa via è come se potessi in questo modo dedurre l’altro… allora il linguaggio ha costruito il corpo e allora ha costruito io così come ha costruito l’altro, gli altri nel senso che però è sempre un’inferenza, se posso inferire che tutto ciò lo costruisco io qualsiasi cosa mi attorni… linguaggio compreso? No questa è l’unica cosa… se però lo uso come un mezzo posso inferire anche il linguaggio

Sì ma c’è una confusione, quando dice: “io”, questo io è linguaggio, non può distinguere Beatrice Dall’Ara dal discorso in cui si trova, è sempre linguaggio che afferma che si tratta di solipsismo, attraverso una serie di concetti elaborati che ha acquisito e si domanda, il linguaggio, in questo caso il discorso di Beatrice, se tutto questo conduce al solipsismo, se tutto quanto è una costruzione del linguaggio, è il linguaggio che si sta chiedendo questo e lo può fare…

Intervento: se il linguaggio ha costruito visto che posso chiedermi una cosa del genere ha costruito un altro discorso che non sia il mio al quale io rispondo continuamente

Certo, distingue se stesso da altri discorsi, questo deve farlo per il suo stesso funzionamento, non può non sapere di se stesso…

Intervento: ecco ma quando ascolto un altro discorso per esempio il discorso di Luciano Faioni, questo altro che io deduco nel senso che è un’inferenza che traggo, io ascolto un altro discorso è chiaro che con il corpo di Luciano Faioni posso farne i conti in un certo modo perché le sensazioni che lui prova sono soltanto le mie sensazioni e quindi… però come posso trovare un criterio e che criterio trovo? È solo il discorso che noi andiamo facendo che ha la possibilità di costruire un discorso vero… sì mi sto interrogando quando in questo sistema linguistico, questa costruzione del linguaggio, possiamo inferire che il linguaggio è questa struttura che costruisce tutto ciò che esiste… la questione è questa noi parliamo del linguaggio e del suo funzionamento… partendo dalla costrizione logica possiamo considerare soltanto ciò che non si contraddice e quindi un po’ è il poter far mio il discorso dell’altro, come avviene nel discorso occidentale che si accoglie la verità che il gruppo “trasmette” ma in questo caso non vuol dire costruire proposizioni vere vuol dire utilizzare il linguaggio e basta, però al momento in cui vogliamo dare una dignità al linguaggio occorre che ciò che affermiamo sia vero necessariamente, sì è ovvio e quindi l’unico discorso a cui il linguaggio possa conformarsi, possa utilizzare è quello che andiamo facendo

Sì, per questo è l’unico discorso che non è autocontraddittorio, perché attenendosi unicamente alle regole del linguaggio evita di esserlo perché il linguaggio non può essere autocontraddittorio, e così il nostro discorso non può essere autocontraddittorio perché è fondato unicamente sulle regole del linguaggio…

Intervento: per cui tutta la questione della comunicazione, della pragmatica tutte queste cose qua non hanno più motivo… perché dato…

Sì, certo, e poi dipende dal gioco che il discorso prende allora ci saranno delle regole che vietano delle mosse e ne consentono delle altre per cui posso affermare certe cose e altre no, però aldilà di questo posso fare qualunque cosa. Il corpo è il discorso in effetti, non c’è modo di distinguerli…

Intervento: possiamo dire che anche il terrore esiste perché esiste il corpo

Certamente, così come la sete, è uguale, non c’è nessuna differenza, sono segnali che il corpo trasmette, che li trasmetta attraverso dei neuro trasmettitori o che li trasmetta attraverso dei significanti che differenza fa?

Intervento: considerando il discorso mi è difficile… la questione del software e cioè di come le persone reagiscano a certe proposizioni che hanno imparato e di fronte alle quali reagiscono rispondendo in un certo modo, cercavo di immettere la questione del corpo in questo programma tutto sommato perché il corpo reagisce a dei comandi per cui se si brucia prova dolore

Un led è solo un segnalatore…

Intervento: è qualcosa che dice guarda che ti stai bruciando e quindi spegni, scappa… fai quello che devi fare… si parla così tutto sommato…

La questione, Beatrice, forse è ancora più radicale: noi sappiamo che se ciascuno di noi mette la mano su un mozzicone di sigaretta acceso la ritrae immediatamente, cioè ha una reazione, ora che differenza c’è fra questo tipo di reazione e la reazione che ha una persona quando viene insultata malamente? Una reazione violenta mettiamo, nel primo caso si parla di automatismo, una reazione neuro vegetativa, nel secondo generalmente no, ma è così diverso? C’è una reazione, sono stimoli e il corpo, cioè il discorso, reagisce a degli stimoli qualunque essi siano, per questo dicevo prima che probabilmente non c’è nessuna differenza tra uno stimolo che viene dal corpo attraverso un neuro trasmettitore e lo stimolo che gli viene da un discorso altrui…

Intervento:…

Questa è una precisazione che non abbiamo mai fatta in termini così netti, per cui sì, ci sono degli stimoli certo, il corpo, cioè il discorso, reagisce a questi stimoli in quanto questi stimoli vengono elaborati da un sistema che decodifica e trasforma qualche cos’altro, qualunque sia lo stimolo…

Intervento:…

Lei mette la mano sul fuoco e la toglie, ma può anche tenercela, qualcuno la insulta, lei reagisce malissimo, può anche non farlo…

Intervento:…

Sento la mano che brucia certo, perché ci sono questi neuro trasmettitori che mandano messaggi esattamente così come sento il bruciore di un insulto…

Intervento: nel linguaggio il luogo comune più praticato, più utilizzato è che appena sento caldo tolgo la mano… con l’insulto…

Poniamo una cosa più evidente, qualcuno la chiama per strada “Beatrice!” immediatamente si gira, così come immediatamente toglie la mano se sente bruciare può lasciare la mano che bruci, può non girarsi, può farlo. In questo modo ci si sbarazza di tutta la neurofisiologia, non della neurofisiologia in quanto tale ma del pensiero neurofisiologico il quale considera uno stimolo che avviene nel corpo come qualcosa di totalmente differente da uno stimolo che giunge attraverso un discorso, mentre sono esattamente la stessa cosa, perché il corpo che reagisce a questo stimolo è un discorso, e lo stimolo è tale perché inserito all’interno di un discorso, se no non sarebbe mai esistito né lo stimolo né tutto il resto…

Intervento: il sistema neurovegetativo portarlo all’atto linguistico

È un gioco che è stato costruito, quindi tutto ciò che trova la neurofisiologia lo trova in quel gioco che ha costruito, che ha inventato, non può fare altrimenti, così come la fisica trova le cose che sono pertinenti, coerenti con i giochi che sta facendo e non può trovare altro…

Intervento: è una questione notevole e molto importante

Dovremo lavorarci parecchio perché toglie di mezzo tutta la questione della “scienza” tra virgolette…

Intervento: ancora una questione riprendo una questione che avevo già posta, questa sera l’abbiamo sfiorata la questione allora quando mi trovo ad ascoltare delle cose in certi casi qualcosa di queste cose funzionano. È la questione dell’accogliere e quindi di poter affermare o negare una certa cosa. Laddove il linguaggio costruisce un elemento questo elemento esiste… laddove mi trovo ad accogliere un elemento perché se non l’accolgo “non lo sento” e quindi non esiste

A questo punto per il solo fatto che esiste viene inserito all’interno di un gioco e in base a quel gioco, alle regole di quel gioco deciderà se è una mossa consentita oppure no…

Intervento: il nostro discorso e lei mi aveva fatto l’esempio di Jung e del tipo della botta in testa che ascolta quello che diciamo però poi lo nega perché va a contraddire le premesse del suo discorso, il discorso che facciamo noi contraddice tutte le premesse inserite nella struttura del discorso occidentale per cui occorre fare tutto un lavoro… però in qualche modo per doverlo negare lui in qualche modo l’ha dovuto accogliere

Facevo questa distinzione fra accogliere e considerare qualcosa, cioè prendere in considerazione, l’accogliere è un po’ equivoco perché sembra porre l’accento sull’acconsentire “lei mi offre una mentina, io lo so che è una mentina, che esiste, ma io non la voglio”

Intervento: io parlavo dell’accogliere tipo c’è o non c’è, ascoltare ostrogoto oppure no… Göbbels aveva decretato che tante volte bisogna ripetere le cose perché questa cosa venga acquisita, cosa vuol dire acquisita? Che venga a far parte del discorso?

Venga ritenuta vera…

Intervento: in quel caso della botta in testa viene tenuta in caldo… è un antecedente che non ha conseguente? Come avviene la questione del poter dare l’assenso a una questione

Se viene posta come una verità allora viene confrontata con le proprie premesse, quelle del proprio discorso e, ovviamente, come nel nostro caso non collima con le premesse e allora viene esclusa, se invece collima con le premesse del discorso allora il discorso comincia a prendere una direzione…

Intervento: si diceva non posso credere vero ciò che so essere falso, e si diceva che questa regola ha effetto retroattivo cioè estende la verità a tutto ciò che precede cioè va ad intaccare la premessa che sostiene una certa questione

Può essere che una persona accolga provvisoriamente una cosa fino a verificarla se Cesare mi dice: “Le hanno rubato la macchina” io vado a verificare prima di accogliere in modo definitivo la sua affermazione, guardo se c’è oppure no…

Intervento: per negare qualcosa occorre che ci sia qualcosa

Questo è ovvio…

Intervento: per questo io dicevo che deve essere già un’affermazione

È chiaro che la persona si accorge che esiste il nostro discorso, se stiamo parlando se ne accorgono e capiscono anche, grosso modo, di cosa stiamo parlando, però lo nega perché le premesse del suo discorso vengono messe in discussione.