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18-3-2015

 

LIBERTÀ E POTERE 7

 

Vi dirò alcune cose sulla questione della tecnica di Heidegger. Uno scritto importante, e non farò, come faccio di solito, una lettura commentata ma ve lo racconto, leggendo magari qualche brano. Una lettura di Heidegger che tiene conto, così come occorrerebbe fare, simultaneamente di tantissime altre cose, come se avessimo sempre a fianco del testo di Heidegger, ma di qualunque altro, il testo di semiotica, di linguistica, di retorica, di logica, di filosofia del linguaggio e altro ancora. Tutte queste cose occorrerebbe che fossero presenti sempre e simultaneamente, questo per rendere non solo la lettura sempre più proficua ma anche perché è questo che caratterizza la Scienza della parola e fornisce a essa la potenza di pensiero che gli è peculiare: tenere conto sempre di tutte queste altre discipline simultaneamente. Ciò che scrive Heidegger intorno alla questione della tecnica muove da una definizione che lui avanza piuttosto semplice, e cioè indica la tecnica come una produzione di mezzi in vista di fini, una produzione attuata dall’uomo. Questa definizione lo porta a considerare che ciò che è prodotto come mezzo in vista di fini rappresenta, rispetto a questi fini, la causa, e allora si interroga anche sulla causa, cioè si domanda che cos’è una causa, visto che la causa produce fini, e evoca le quattro cause di cui parla Aristotele: la causa materiale, la causa formale, la causa finale e la causa efficiente. Queste cause però Heidegger le intende in modo particolare e soprattutto ricorda il termine che i greci utilizzavano per indicare la causa. “Causa” è il termine latino e si intende un qualche cosa che produce degli effetti, mentre la parola greca che Heidegger evoca è la parola “αἰτία” che viene tradotta generalmente come “causa” come “cagione” però Heidegger nota che questo termine, “αἰτία”, ha un’accezione più complessa perché non è soltanto la “causa” in accezione latina ma anche la “responsabilità”, cioè queste quattro cause di cui parla evocando Aristotele è responsabile dell’apparire di qualche cosa, apparire di ciò che viene prodotto ovviamente. Parla di responsabilità per un discorso che lui intende fare, riprendendo un altro termine greco e cioè “poίesij”, produzione. La produzione in questo caso è ciò che mette in atto queste cause. Heidegger fa l’esempio dell’orafo che costruisce il calice per distinguere tutti i vari momenti: la causa materiale è l’argento di cui è fatto il calice, la causa formale è la forma del calice, la causa finale è l’uso che si farà di questo calice in una cerimonia religiosa e l’ultima la causa efficiente è colui che produce effettivamente, l’orafo che produce il calice. Dice Heidegger a proposito della responsabilità che queste cause liberano questo qualche cosa dalla non esistenza, dalla non essenza e lo portano all’apparenza, cioè lo fanno esistere, che è una questione per Heidegger continuamente presente e lui dice: – che cosa sia portare alla luce, alla presenza ce lo dice Platone nel passo del Simposio “ogni far avvenire di ciò che, qualunque cosa sia, dalla non presenza passa e si avanza alla presenza, è “poίesij” “produzione” dice che questa poίesij è particolare perché qualunque cosa è produzione cioè è un portare alla luce, un far venire alla luce, letteralmente “portare alla disvelatezza” però la differenza tra il modo in cui si produce la φύσις, cioè la natura e ciò cioè il modo in cui si produce la “τέχνη”, di cui parlerà adesso, è che, per Heidegger, la natura si produce da sé, l’albero si produce da solo mentre un tavolo no, un tavolo è una produzione operata dall’uomo, e la “τέχνη” indica esattamente questo, vale a dire ciò che viene prodotto dall’uomo per l’uomo. Questa parola “τέχνη” viene dal greco. Tecnikόn indica ciò che appartiene alla τέχνη. Circa il significato di questo ultimo termine dobbiamo badare a due cose innanzi tutto τέχνη non è solo il nome del fare artigianale e della capacità relativa ma anche dell’arte superiore e delle belle arti, la “τέχνη” appartiene alla pro-duzione, alla poίesij, è qualcosa di poietico, da qui poesia ovviamente il secondo punto da considerare circa la parola “τέχνη” è ancora più importante, dalle origini fino a Platone, la parola “τέχνη” si accompagnava alla parola “ἐπιστήμη”, entrambe sono termini che indicano il conoscere nel senso più ampio, significano il saperne di qualcosa, l’intendersene, il conoscere dà apertura, cosa abbastanza evidente, in quanto aprente esso è un disvelamento. Aristotele in una trattazione particolare distingue la ἐπιστήμη e la τέχνη in base al che cosa e al modo del loro disvelare, la τέχνη è un modo aλήθεια, esso disvela ciò che non si produce da se stesso e che ancora non sta davanti a noi e che perciò può apparire e riuscire ora in un modo ora in un altro - appunto l’opera dell’uomo - chi costruisce una casa, una nave eccetera fa appunto questo. – quindi in questo senso la τέχνη è un produrre. Quindi la tecnica è un modo del disvelare: la tecnica dispiega il suo essere nell’ambito in cui accadono disvelare e disvelatezza. Dove accade l’aλήθεια, la verità, perché aλήθεια è letteralmente il disvelamento a-lήθεια”, e quindi a questo punto dopo avere considerato l’accezione antica greca del termine “τέχνη” passa invece a considerare la tecnica moderna, che a suo avviso non ha più questo carattere di disvelatezza e di apertura che consente all’uomo di trovarsi di fronte a qualcosa di originario e interrogante, ha perso questa capacità di interrogare la tecnica moderna però quando parla di tecnica moderna qui introduce un termine tedesco, questo termine è “Gestell” che è composto da ge e stell, stell è il porre, si usa Gestell per indicare un attrezzo, un aggeggio, qualche cosa che viene costruito per un qualche altra cosa, “stell” è il porre infatti il verbo “forstellen” è rappresentare, “for” davanti “stellen”, porre davanti, da cui “forstellung”, la rappresentazione. Usa questo termine per indicare in modo più appropriato ciò che per i latini era l’“instrumentum” lo strumento, cosa che serve a qualche cosa ma il Gestell, per Heidegger, ha una connotazione un po’ particolare, indica il qualche cosa, che lui dice, si impone, si impone nel senso che si impone come un qualche cosa che non è più un oggetto ma è un oggetto funzionale a qualcosa, fa l’esempio dell’aeroplano: un aeroplano pronto al decollo sulla pista è un oggetto, Gegenstand, ma non è soltanto questo, questo aeroplano è ciò che stando per partire è qualche cosa che è funzionale al trasportare qualche cosa cioè quell’aeroplano è il trasportare qualche cosa che sta per avvenire, non è più soltanto un oggetto. Questa questione in Heidegger è sempre o molto spesso presente, cioè una considerazione di un qualche cosa che non è mai soltanto quella cosa ma è sempre un qualche cosa che comunque rinvia o più propriamente si muove verso a un’altra cosa, pensate alla nozione di “essere” che è esemplare in Heidegger, cioè l’“essere” per Heidegger dopo duemila anni di storia non è più qualche cosa immobile, fermo, da prendere e che garantisce ogni cosa ma diventa l’essere per qualche cosa, l’essere progettato, e il progettarsi è l’idea di avere sempre qualche cosa da fare, l’“essere” è tale perché vuole progettare qualcosa, perché vuole fare qualcosa, perché vuole modificare qualche cosa, è sempre un “essere per” e soprattutto è sempre un poter essere qualche cosa d’altro rispetto a ciò che è, per cui l’essere vedete che non è più quella cosa fissa e immobile ma è sempre qualcosa che è spostato verso il fare qualche cos’altro. Dunque dicevo del “Gestell” questo imporsi di qualche cosa come un qualche cosa che è sempre funzionale a qualche cos’altro cioè non è più ciò che è. Che è importante per Heidegger perché a questo punto con il “Gestell” non c’è più la domanda circa il “che cos’è qualche cosa?”, badate bene la domanda “che cos’è?” τί ἐστί” che evoca spesso Heidegger non è propriamente soltanto la domanda metafisica fondamentale ma è anche il porre questo qualche cosa come questione, cioè “problematizzarlo” cioè porlo come problema anziché come ente e basta, dunque dicevo del Gestell che comporta per Heidegger un problema o ha comportato per via della metafisica, anche se qui la questione della metafisica non è direttamente coinvolta, perché è sempre presente in Heidegger e cioè il problema è che l’uomo perdendo di vista il “che cos’è qualche cosa” cioè perdendo di vista il domandare rispetto all’oggetto, immagina che tutto, ogni cosa sia il mondo, il mondo inteso come la totalità degli enti, immagina sia disponibile, cioè sia più propriamente funzione di qualche altra cosa, non c’è più il “che cos’è”, cercare di interrogarlo, considerarlo eccetera ma il vederlo unicamente come funzione di qualche altra cosa, e l’uomo stesso, dice Heidegger, senza accorgersene, si è ritrovato a essere in questa posizione di Gestell, cioè di un qualche cosa, di un attrezzo funzionale a qualche altra cosa. La questione della tecnica naturalmente è connessa con la scienza, però dice una cosa interessante: Il comportamento “impiegante” dell’uomo (“impiegante” nell’accezione di cui dicevo prima cioè di intendere qualunque cosa come Gestell) si manifesta anzi tutto nell’apparire nella moderna scienza esatta della natura. Il suo modo di rappresentazione cerca di afferrare la natura come un insieme organizzato di forze calcolabili, la fisica moderna non è sperimentale per il fatto che interroga la natura con la messa in opera di apparecchi tecnici, all’opposto proprio perché la fisica, e ciò già come pura teoria, richiede alla natura di presentarsi come un insieme pre-calcolabile di forze, per questo è impiegato l’esperimento per domandare se e come la natura così richiesta si dia … perciò la fisica per quanto possa rinunciare al tipo di conoscenza “forstellung” esclusivamente rivolta agli oggetti che fino a poco tempo fa sembrava l’unico valido, a una cosa non potrà rinunciare mai (- qui ecco che interviene la metafisica) cioè al fatto che la natura si dia in un qualche modo definibile in base al calcolo e rimanga impiegabile come un sistema di informazioni. Questa notazione di Heidegger è importante, pone la questione della scienza come una questione prettamente metafisica, nel senso che la scienza pre-suppone ciò che indaga, non interroga, non ha la più pallida idea di che cosa sia, lo pre-suppone, questo modo di operare è il modo che per Heidegger è la metafisica. Ciò che diceva prima è curioso, perché in effetti la scienza non potrebbe progredire senza la tecnica perché ha bisogno di tutti gli strumenti tecnici per fare qualunque cosa, senza la tecnica ormai non si fa nulla, quindi sembrerebbe che la scienza precorra la tecnica, anche perché, lo dice lui stesso, ci sono alcuni secoli di differenza tra la nascita della scienza, con Galilei praticamente, e la tecnica che è una cosa relativamente recente, eppure dice Heidegger è come se a ritroso la tecnica consentisse alla scienza di mostrarsi per quello che è, e cioè un qualche cosa che necessita di una tecnica, vale a dire di pensare il Gestell, di pensare qualche cosa come funzione di altro …

Stefania: puoi ripeterlo questo?

Sì, storicamente la scienza precede la tecnica, invece per Heidegger, vi leggo qui il passo preciso “è all’opposto perché la fisica già come pura teoria richiede alla natura di presentarsi come un insieme pre-calcolabile di forze, per questo è impiegato l’esperimento, per domandare se, e come la natura così richiesta si dia”, questo esperimento è già il modo di impiegare qualche cosa, è come se la scienza senza saperlo fosse già stata da sempre una tecnica, o avesse già da sempre avuto necessità della tecnica cioè di impiegare qualche cosa per potere costruire anche soltanto la teoria scientifica, è questo che sta dicendo Heidegger e aggiunge poco dopo: perché l’essenza della tecnica moderna risiede nella imposizione che essa deve adoperare le scienze esatte - cioè dice la tecnica moderna impone qualche cosa, impone cioè il fatto che qualunque cosa con cui ha a che fare sia un mezzo, un “Gestell”, uno strumento …

Stefania: scusa un momento, lui dice che la tecnica moderna ha perso questa capacità, la scienza …

Sì, non interroga più, ma adopera le cose con cui ha a che fare …

Stefania: però qui adesso dice che a ritroso la scienza nasce con la tecnica …

Ha bisogno della tecnica perché la scienza comunque anche nella sua teoria necessita dell’esperimento, il quale esperimento è già una tecnica, è già l’impiego di un qualche cosa in vista di altro quindi non è già più un qualche cosa che è considerato per se stesso ma è sempre un qualche cosa in funzione di altro. È questo che fa dire ad Heidegger che la tecnica “precede” tra virgolette perché storicamente non è così, precede la scienza, perché la scienza da sempre, da quando esiste, ha avuto bisogno dell’esperimento, di un qualche cosa, di un aggeggio qualunque …

Stefania: ma allora non riesco a capire dove sta la differenza tra la tecnica moderna e quella antica? Se la tecnica precede, da quando la scienza?

Da Galilei, la scienza generalmente, così come è pensata oggi, la si fa incominciare da lì, cioè la si fa incominciare da quando incomincia l’esperimento. A questo punto i introduce una questione che apparentemente potrebbe c’entrare poco e invece c’entra e cioè la questione della libertà: Sembra che l’uomo moderno sia costretto a rapportarsi con le cose, almeno sembra, unicamente in questo modo della tecnica moderna – tanto per distinguerla dalla τέχνη antica – quindi ha perso la libertà, - la libertà di che cosa? La libertà di interrogare, la libertà di pensare e dice: L’uomo è governato dal destino del disvelamento – sarebbe il destino dell’aλήθεια, della verità, dell’apparire di ciò che appare – non si tratta mai della fatalità di una costrizione, l’uomo diventa libero solo nella misura in cui, appunto, appartiene all’ambito del destino e così diventa un “ascoltante”, non però un servo, l’essenza della libertà – adesso qui dice che cosa intende con “libertà” – l’essenza della libertà non è originariamente connessa alla volontà o meno o soltanto alla causalità del volere umano, - cioè sta dicendo che la libertà non è qualcosa che si può volere – la libertà custodisce ciò che è libero, nel senso di ciò che è illuminato aperto, cioè nel senso del disvelato, è l’accadere del disvelamento ossia della verità, ciò con cui la libertà ha la parentela più stretta e più profonda, ogni disvelare rientra in un custodire e in un celare nascosto, e sempre in atto di nascondersi, è però appunto ciò che è libero, ogni disvelamento viene dal libero, va verso il libero, e porta nel libero, la libertà del libero non risiede né nella sregolatezza dell’arbitrio né nell’essere sottomesso soltanto a leggi, la libertà è il nascondimento illuminante aprente nella cui apertura si dispiega quel velo che nasconde l’essere essenziale di ogni verità e che fa apparire il velo in quanto nascondente (…)

Simona: puoi semplificarlo?

Dice che la libertà non procede da un volere ma ciò che è libero è il manifestarsi, l’apparire delle cose, le cose appaiono e non sono vincolate ad alcunché, lasciarle apparire nella loro libertà è ciò che Heidegger intende con libertà. A questo punto ciò che a noi interessa è questo aspetto particolare, il fatto che nella tecnica moderna, l’uomo cessa di interrogare le cose in modo autentico, parla di ascolto qui e forse non è del tutto casuale, ponendosi dunque in questo modo “interrogante” nei confronti delle cose: inserire questo elemento all’interno di una problematizzazione, di una questione, di un’interrogazione. Cessando di fare questo si rapporta alle cose unicamente come se queste cose fossero sempre in vista di altro; la produzione, nell’accezione già antica di poίesij è sempre una produzione dell’uomo per l’uomo. Prima distingueva tra la produzione, la φύσις che è l’alberello che si produce, lui usa il fiore che sboccia, la τέχνη invece riguarda l’aspetto della poίesij che concerne l’uomo, cioè l’uomo produce qualche cosa  per l’uomo, ma in questo atto in cui l’uomo produce per l’uomo, secondo Heidegger, l’uomo si dimentica di interrogare la cosa con cui ha a che fare per cui diventa unicamente il Gestell, cioè lo strumento che serve per qualche altra cosa e non è più qualcosa da interrogare, cioè chiedergli “che cosa sei?”. È il discorso che facevo prima rispetto alla scienza, Heidegger dice che la scienza non pensa, non sta dicendo che la scienza è stupida, non è in questo senso, non pensa perché fa altro letteralmente cioè la scienza si occupa di costruire dei modelli di comportamento delle cose ma non si interroga, non interroga più la cosa, non la pone più come un problema ma come pre-supposto. I problemi che sono presenti oggi in parte erano presenti anche ai tempi di Heidegger, era già presente una elaborazione teorica a partire da Marx, soprattutto con la scuola di Francoforte, sull’alienazione dell’uomo, è il discorso marxista, che poi è proseguito con i francofortesi, Horkheimer, Adorno e soprattutto il più famoso è diventato Marcuse, il suo testo più celebre L’uomo a una dimensione elabora proprio: l’uomo è alienato per Marx dai mezzi di produzione eccetera, per Heidegger è alienato dal suo proprio pensiero, alienato dalla possibilità di interrogare cioè di pensare la “cosa” se non nel modo del Gestell, dello strumento in vista di un’altra cosa, per questo qualcuno aveva ravvisato una prossimità tra Marx e Heidegger, anche se ovviamente muovendo da presupposti totalmente differenti. Dunque l’uomo moderno non è più in condizione di interrogare, cioè di pensare “la cosa”, ma qui occorre compiere quel passo di cui dicevo all’inizio, e cioè tenere conto anche di altre cose. C’è uno scritto del ‘64 che si chiama La fine della filosofia e il compito del pensiero, in questo scritto Heidegger fa una notazione interessante che riguarda ciò che stiamo dicendo e lo riprenderemo tra pochissimo, dice che i Greci hanno pensato moltissime cose, e infatti dice che la filosofia non è che è incominciata piccola e poi si è sviluppata, la filosofia è nata grande, è da verificare se morirà grande o se morirà piccola, questo è ancora tutto da verificare, se poi teniamo conto di ciò che sempre Heidegger dice e cioè che la filosofia è conclusa, nasce con Platone e muore con Nietzsche, ma dice dunque che i Greci si sono trovati sì a un pensiero grandioso certo, tuttavia, tuttavia non hanno pensato ciò che originariamente era da pensare, e cioè non hanno pensato a una parola, questo lo dice Heidegger, una parola fondamentale e per non aver pensato questo, il non averlo pensato è ciò che ha consentito di pensare tutto ciò che è stato pensato dopo, cioè la metafisica. Questa parola che non è stata pensata dai Greci, secondo Heidegger nel modo più autentico, è la parola aλήθεια, disvelamento. Disvelamento, qualcosa che disvelandosi si ri-vela, si vela ancora nel momento in cui si disvela, che è propriamente ciò che Heidegger dice rispetto all’essere, è l’essere che disvelandosi si ri-vela. Ora ciò che disvelandosi si rivela è l’essere per Heidegger certo, ma c’è una notazione che può farsi e qui occorre tenere conto anche di altre discipline, come dicevamo prima, in particolare della semiotica e indirettamente della psicanalisi: che cos’è che consente all’essere di manifestarsi? Come si manifesta questo essere? Uno dei modi, dice Heidegger stesso, è il lόgos. Lόgos non è per lui soltanto la parola, il discorso come generalmente viene tradotto, ma è ciò che raccoglie ciò che si disvela, ciò che appare, ciò che lo raccoglie quindi lo rende perspicuo. Uno dei modi dunque del manifestarsi dell’essere è il lόgos. Però c’è una questione da porre e cioè che per potere pensare l’essere e il suo disvelarsi ri-velantesi, perché questo possa darsi, occorre quella cosa che Heidegger ha intuito ma non ha portato alle estreme conseguenze, e cioè occorre il linguaggio, la parola. È nella parola che può accadere l’essere, e cioè l’apparire di qualunque cosa, se è qualcosa, lui dice che il linguaggio è la dimora dell’essere, ma forse è qualcosa di più, e Heidegger non è andato oltre. L’essere necessita della parola per darsi, e necessita della parola perché senza parola non può essere detto, non può essere neanche interrogato, non può essere pensato, per pensare qualche cosa occorre la parola, il pensiero si svolge attraverso argomentazioni, sequenze, premessa, passaggi, conclusione, in genere avviene così, allora se l’essere necessita del lόgos in accezione più ampia per potere dirsi e pensarsi, allora se una qualche cosa precede un’altra questa prima ne è la condizione, questa condizione a questo punto possiamo dire che è la parola. È la parola che produce il pensiero dell’essere, cioè la possibilità stessa di pensarlo e quindi di interrogarlo e di conseguenza verrebbe fatto di pensare anche di manifestarsi. Perché ciò che si manifesta, si manifesta perché esiste un lόgos che raccoglie ciò che si manifesta e fa in modo che questo qualcosa che si manifesta sia pensabile, se così non fosse allora l’essere sarebbe fuori dal lόgos, cioè dalla parola, e in nessun modo potrebbe pro-gettarsi. Per pro-gettarsi necessita appunto di un progetto, di un’idea, di un pensiero, di qualche cosa che vuole uscire da una situazione per entrare in un’altra, ma senza parola questo non potrebbe verificarsi, se questo non si verificasse allora l’essere non sarebbe più questo “poter essere”, il Dasein, l’esserci qui e adesso, tenendo conto di tutto ciò che sta avvenendo e che è avvenuto ma sarebbe qualche cosa di immobile, di statico, esattamente ciò che Heidegger nega che sia, e cioè non ci sarebbe più quella differenza ontologica su cui ha costruito tutta la sua filosofia: la differenza tra l’ente e l’essere. A questo punto l’essere apparirebbe come un ente, al pari di qualunque altro ente, non più come l’essere di cui parla Heidegger che non è un ente, non lo è per Heidegger ovviamente. Ma ora facciamo il passo successivo che è quello forse più importante: questa domanda che secondo Heidegger gli antichi non si sono mai posti e che ha consentito la nascita della metafisica, cioè di tutto il pensiero occidentale così come è adesso, dunque anche della tecnica, anzi la tecnica è forse la manifestazione più evidente di tutto ciò, ciò che non è stato pensato, per Heidegger l’aλήθεια e cioè il disvelante ri-velantesi.

Stefania: ma in realtà che cosa? in basa a che cosa lui asserisce che i pensatori greci non abbiano mai fatto i conti con …?

Io praticamente ho saltato tutto ciò che dice in questo saggio …

Stefania: lo chiedo a te.

Il discorso che fa Heidegger è molto semplice, a un certo punto dice questo: il pensiero ha costruito la filosofia e costruendo la filosofia, in pratica con Platone, ma inizialmente pensava che i presocratici in particolare Parmenide e Eraclito fossero al di qua della metafisica, poi si accorge che non è così, addirittura va in cerca del testo di Omero e chiede a degli amici filologi se già in Omero la parola aλήθεια aveva quel significato oppure era già intesa come l’ὀρθότης, cioè come l’adæquatio rei et intellectus, cioè l’adeguamento della parola alla cosa, e gli dicono che sembra che già in Omero sia intesa così, e allora Heidegger fa questa considerazione: ciò che è da pensare, cioè l’essere autentico e non ciò che è funzione di un’altra cosa, che è la metafisica, questo pensare l’essere autentico, cioè l’interrogare che cos’è qualcosa, anziché porlo immediatamente come funzione di qualche altra cosa, questa è l’aλήθεια, è la verità per Heidegger, ed è questo che i filosofi non hanno pensato cioè non hanno posto la questione dell’essere come un problema ma metafisicamente lo hanno posto come un ente fra gli altri enti da utilizzare in quanto ente …

Stefania: non lo capisco questo … la mia domanda è se potevi esemplificare questa cosa che Heidegger dice riguardo ai pensatori greci …

A un certo punto dice che sorge la metafisica, ma non è proprio colpa di Platone, non è che dobbiamo attribuirgli tutte le responsabilità, è che non poteva fare altro perché oramai era già preso in un pensiero, che per i greci era ancora la poίesij, cioè la produzione e cioè ciò che è prodotto dagli umani per gli umani, è questo il passaggio fondamentale che permette la costruzione della metafisica, cioè l’idea di un qualche cosa che è al servizio dell’uomo; l’uomo stesso, nella tecnica moderna, diventa al servizio dell’uomo, cioè l’uomo come strumento. Ciò che importa qui a Heidegger è notare come si sia persa con la metafisica già da subito la possibilità di interrogare, il “che cos’è?” il “τί ἐστί” con la metafisica non c’è più, c’è soltanto, adesso la dico in modo molto semplice, il “a che cosa serve questo, come posso utilizzarlo, come posso manipolarlo”. Sono i passaggi che il pensiero degli umani ha compiuto fino a oggi attraverso tre parole che usa Heidegger rispetto all’ente, e cioè la conoscenza, la manipolazione, l’elaborazione dell’ente, questo descrive la metafisica. La domanda per Heidegger è fondamentale perché è soltanto attraverso questa domanda che c’è il pensare autentico, non è più un pensare quello della chiacchiera che si rivolge unicamente all’utile ma a qualche cosa che è fondamentale per gli umani, e cioè ciò che riguarda la loro stessa essenza …

Stefania: la mentalità utilitaristica sarebbe partita da subito?

Sì, già con Platone, poi si domanda se forse con Parmenide, Eraclito ci fosse il pensare autentico, ma si accorge che anche loro pensano l’aλήθεια già nel modo in cui lo pensiamo, noi cioè come adeguamento della parola alla cosa …

Stefania: mi sembra che siano cose cui posso dare credito c’è una sintonia …

Lui parte da Platone principalmente, e in Platone potrebbe apparire anche abbastanza evidente ma anche in Aristotele, puoi porla così: perché è sorta la metafisica? Che cosa è accaduto? Forse lo accennavo nel primo incontro, accennavo qualche cosa dei due mondi e cioè ciò che appare e ciò che è vero ma che è sempre da un’altra parte, sempre altrove, sempre da cercare mai qui, è stato il primo passo per il pensiero metafisico, cioè l’idea che la verità non sia qui ma sia altrove, sempre da cercare, poi tutto il cristianesimo c’è andato a nozze. Se è potuta sorgere la metafisica allora, dice Heidegger, qualche cosa non è stato pensato, perché se fosse stato pensato, se fosse stata pensata l’aλήθεια come disvelamento, cioè come l’apparire di qualche cosa il pensiero sarebbe rimasto nell’autentico.

Sandro: penso che la questione è un po’ complicata per esempio nel testo su Nietzsche Heidegger ne parla questa questione del mondo vero e del mondo apparente e dice “se noi eliminiamo il mondo vero come idea, (sparisce anche quell’altro) non è che rimane il mondo apparente (no) perché il mondo vero e il mondo apparente esistono entrambi in questa contrapposizione, per cui se tu ritiri il mondo vero non è che ti rimane il mondo apparente, rimane qualche cos’altro” che era quello da interrogare e che in effetti sul quale si interroga anche Nietzsche e dice che è proprio questo dualismo che ha costruito l’idea della trascendenza e dell’immanenza. Sandro: ma se non esiste il mondo vero perché è una fantasia ovviamente … e quindi la costruzione di Nietzsche è intorno al che cosa potrebbe essere cioè qualcosa di autentico se no si rimane presi in questo delirio …

Il compito dell’Ultra Uomo è di indicare proprio questa via …

Sandro: perché noi immaginiamo che esista questo al di là e questo al di qua, per cui se eliminiamo l’al di là rimaniamo solo con l’al di qua, no, perché l’al di qua esiste se esiste questa idea dell’al di là, in questa contrapposizione …

Stefania: io metto un punto interrogativo su questa idea di autenticità perché nella prospettiva di andare oltre il dualismo …

Sandro: non si sa, perché costruendo questa cosa, la stiamo costruendo proprio perché siamo eredi della metafisica e quindi utilizziamo gli stessi termini, gli stessi termini della metafisica, è questo il grosso problema, nel modo stesso in cui noi riflettiamo intorno a queste cose utilizziamo gli stessi schemi, gli stessi modelli, gli stessi parametri, le stesse categorie e quindi è difficile … l’Ultra Uomo è colui che si libera di queste cose …

Per Heidegger per esempio lo sbocco è nella poesia, per questo scrive un saggio interessante su Hölderlin perché vede nella poesia un qualche cosa che ha conservato il concetto antico di poίesij, cioè di quella produzione che non è necessariamente la produzione per qualche cosa, ma è una produzione per se stessa e cioè per …

Stefania: …

Beh Heidegger non direbbe così, perché non è per il puro piacere, è perché non può, come dire, è come se non potesse sottrarsi a ciò che gli appare come disvelatezza, appunto la verità, perché la disvelatezza, aλήθεια è una delle forme di verità. Ma ecco il passo successivo che volevo compiere è questo: questo “non pensato” degli antichi, questa, come la chiama Heidegger, “disvelatezza ri-velantesi”, lui la indica nell’essere però abbiamo visto che l’essere senza la parola è una nozione difficile da sostenere e allora se questo “impensato” noi lo poniamo come la parola, e qui naturalmente abbiamo a fianco anche la semiotica, abbiamo la linguistica, soprattutto De Saussure ma anche altro, allora a questo punto ciò che si disvela ri-velandosi è esattamente la parola, l’unica cosa che risponde a questo criterio, ché la parola si mostra per quello che è, per essere usata una parola deve essere quello che è, se io dico la parola “uomo” deve essere “uomo” perché se dico un’altra parola cambia tutto, ma ciò che si disvela in questo caso si ri-vela immediatamente, perché questo termine “uomo”, questo è la semiotica che lo pone, non esiste se non in rapporto con tutti gli altri termini, come dire che questa parola è se stessa necessariamente per poterla usare, e nell’istante in cui la uso è simultaneamente altro, cioè diventa tutte quelle altre cose che è simultaneamente, perché ciascuna parola è un rinvio incessante e inevitabile con infinite altre parole: la parola è questo, è un rinvio ad altre parole, tuttavia per potere essere usata deve essere quello che è, cioè si disvela per quello che è ma nel momento in cui si disvela si ri-vela mostrandosi come quello che è, ma anche in una relazione differenziale con tutti gli altri elementi, cioè con tutte le altre parole. Questo potrebbe essere l’impensato che ha costituito e costituisce ancora oggi la condizione del sorgere e del mantenimento della metafisica. Se questo impensato viene pensato e cioè, nella maniera di Heidegger, problematizzato, interrogato, posto come questione, se questo impensato dunque lo si interroga allora c’è la possibilità di trovarsi di fronte alla inevitabilità della parola in quanto identica a sé e altro da sé simultaneamente, e necessariamente potrei aggiungere. Questo in che modo scardina la metafisica? È semplice perché non c’è a questo punto altra parola al di sotto da ricercare, non c’è la verità, la parola più vera da andare a cercare, oppure sapere ciò che quella parola dice veramente, perché ciò che sta dicendo quella parola è simultaneamente infinite altre parole, quindi non si tratta più a questo punto di profondità come è caratteristico della metafisica ma di adiacenza, e cioè di connessioni. Ha perso la profondità, ma c’è un’implicazione ancora che merita di essere presa in considerazione, quella che forse scardina definitivamente non soltanto la metafisica ma la possibilità stessa della metafisica e cioè la considerazione che la parola, pur essendo se stessa è altra, anche in ciò che sto dicendo qui e adesso. Quali sono le implicazioni di una cosa del genere? Intanto delle considerazioni immediate rispetto alla teoria, alla costruzione di una teoria, una teoria a questo punto non ha più né può costituire un modello che definisce uno stato di cose ma è come se fosse ricondotta a quello che non può non essere, e cioè un gioco linguistico al pari di qualunque altro, un “gioco linguistico” vale a dire una combinazione di elementi concatenati tra loro in un certo modo, in base a certe regole che sono quelle della grammatica, della sintassi e del tipo di gioco che voglio fare in quel momento. Ovviamente anche tutto questo che sto dicendo è preso all’interno di questo, chiamiamolo “gioco”, uso il termine gioco sulla scorta di Wittgenstein, quindi in accezione strutturale e non soltanto ludica, strutturale cioè che indica una sequenza di elementi messi in relazione fra loro a partire e in base a delle regole che ne vincolano la posizione. A questo punto non c’è più la possibilità di costruire una metafisica perché non c’è più la possibilità di stabilire, di fermare alcunché, ciò che si ferma è soltanto qualche cosa che è fermato allo scopo di costruire un’altra cosa, perché questa cosa, questa parola essendo simultaneamente infinite altre parole non può che rinviare. Probabilmente anche questo ha fatto in modo che la tecnica moderna abbia potuto avere tanto successo, in effetti ciascuna parola è sempre connessa con un’altra, se non lo fosse non sarebbe una parola perché sarebbe fuori dal linguaggio, essendo sempre connessa con un’altra dà l’idea di questo rinviare continuo e funzionale, come se ciascuna parola fosse funzionale a quell’altra ma non lo è propriamente, non è funzionale perché ciascuna parola non è funzione di altro, il discorso, il dire non è in funzione di qualche cosa, se non in modo del tutto arbitrario e all’interno di un particolare gioco, se no di fatto non è funzionale a niente, perché le parole si costruiscono, così come i discorsi per niente, non c’è un fine ultimo per cui si costruisce un discorso perché non si può non costruire, ecco, se volete proprio cercare un fine ultimo a tutti i costi: perché non si può non costruire, perché non si può non parlare. A questo punto ecco che la questione che Heidegger pone intorno alla tecnica moderna acquista un altro rilievo oltre a quelli che mette in luce lui ovviamente, e cioè la produzione, la nascita della tecnica così come nella metafisica è un qualche cosa che non poteva non accadere, ciò che immagina Heidegger e cioè pensare quel “non pensato” sì, lo si può seguire certo, ma questo può farsi unicamente in seguito alla perdita dell’aλήθεια e cioè di ciò che si disvela, alla perdita di questo “impensato”, la dico in un altro modo: questo impensato è la condizione per pensare tutto ciò che è pensabile, ma fra tutto ciò che è pensabile c’è anche la possibilità di pensare ciò che è impensato e cioè di tornare indietro come direbbe Heidegger e riconsiderare questo elemento che non è stato pensato, e cioè il fatto che è la parola che costituisce e costruisce qualunque cosa incessantemente. Questo è il messaggio che potremmo fornire sulla scorta di Heidegger ma non soltanto, in buona parte viene anche dalla semiotica e cioè la considerazione finale: riportare ciascuna cosa là da dove arriva e cioè al linguaggio, quindi alla parola e riprendere l’interrogazione intorno alla parola come ciò che c’è di più autentico oltre che di più aurorale, e quindi degno di essere considerato.

Sandro: sarebbe interessante la questione del “fondo”

Sì io non l’ho introdotto per non complicare le cose, per lui il “fondo” non è che il Gestell, cioè qualche cosa che si manifesta sempre in funzione di un’altra cosa. Fa un discorso interessante rispetto a questa confusione che fa l’uomo e cioè immaginando, attraverso la tecnica, di potere controllare il mondo di fatto non si accorge che è lui stesso uno strumento, un “Gestell” di questa operazione e quindi, come dicevo prima, questo reintroduce tutta la questione dell’alienazione che negli anni 60/70 era uno dei termini principali che venivano utilizzati, l’alienazione, sia in termini marxiani sia in termini psicanalitici. Giovanni qualche considerazione su ciò che è stato detto?

Giovanni: non in generale più che altro nel passaggio un po’ rapido per quel che ho capito io, la parola “libertà” in questa lettura … mi chiedevo la libertà viene identificata in questo passaggio e cioè la “libertà di poter questionare” e secondo me rientriamo appunto nella domanda che continuavamo a farci le volte scorse, rientriamo nel discorso del “perché cerchiamo il potere?” la risposta è perché c’è la parola, più o meno sentendo questa lettura più o meno quello che sono riuscito a costruire è un processo di questo genere mi sembra di aver capito quindi “libertà”…

Sì, per Heidegger l’essere si manifesta, è ciò che appare letteralmente, lo consideri proprio nel modo più banale del termine, in qualunque cosa appaia, lì c’è dell’essere, quando questo le appare per esempio questo aggeggio qui è un ente, però non apparirebbe dice Heidegger se non ci fosse l’essere che lo fa apparire. La libertà per Heidegger è lasciare che le cose possano darsi, possano apparire senza porle immediatamente all’interno di un sistema di utilizzo, ponendole all’interno di questo sistema è come se si tappasse loro la bocca, adesso uso termini un po’ folcloristici, e quindi non hanno più l’occasione queste cose che appaiono di lasciarsi interrogare perché sono semplicemente utilizzate …

Giovanni: a questo punto questo questionare non capisco … cos’era questa dimensione di libertà di differente a quella di verità in questo caso?

Sì, la libertà è la libertà in cui ciascuna cosa appare e non può essere condizionata, il fatto di inserirla all’interno di un sistema utilitaristico è un’operazione che gli umani fanno in seguito a questo e possono farla perché qualche cosa appare, se no non potrebbero fare niente, ma questa libertà è qualche cosa che non può né darsi né togliersi per Heidegger, è semplicemente la libertà delle cose di apparire, infatti dice che non è qualche cosa che ha a che fare con la volontà “io voglio essere libero” ma riguarda il modo in cui le cose appaiono …

Giovanni: mi immaginavo l’uomo libero a questo punto …

L’uomo libero dal pensare che qualunque cosa debba necessariamente servire a un’altra …

Domenica: quindi nella nostra cultura occidentale è pressoché impossibile …

Sì perché la nostra cultura occidentale è metafisica, è costruita su questo concetto, ed è per questo che Heidegger cerca di prendere le distanze dalla metafisica, cosa che è di una complicazione immane perché qualunque tipo di pensiero appare nella forma metafisica inesorabilmente, non è certamente semplice, diciamo che Heidegger ci ha provato …

Ferruccio: perché rimane cristallizzata …

In un certo senso sì.

Beatrice: e da qui, grazie a questa struttura metafisica l’esercizio di potere da parte dei parlanti, la possibilità di imporre ciò che si “vuole” essere vero.

Sì, ecco fuori da questo pensare metafisico, un po’ sulla scia di Heidegger, anche se non dice proprio così, diciamo non sarebbe possibile pensare di esercitare un potere sulle cose, sugli uomini, non sarebbe pensabile. Questo potrebbe essere un elemento interessante nell’elaborazione di Heidegger, potrebbe ma non è così sicuro …

Claudia: che cosa dovrebbe succedere al momento in cui l’essere appare?

Il fatto che l’essere appaia è ciò che per lo più per gli umani è assolutamente sconosciuto, perché gli umani si rapportano, sempre tenendo conto di Heidegger, si rapportano agli enti, alle cose, ma queste cose, si chiede Heidegger, in che modo si manifestano? Si manifestano da sole o si manifestano all’interno di un qualche cosa che le fa esistere non tanto come aggeggio, come oggetto, ma come un oggetto che in questo momento è qui, che sta sul tavolo, che io sto guardando e mi ricordo che l’ho comperato un giorno, che ha una sua funzione, che serve a qualche cosa, che mi serve per metterci le matite e magari una volta serviva per metterci un fiorellino, e quindi questo aggeggio, questo ente esiste all’interno di queste cose infinite, sono quelle che fanno sì che io mi rapporti a questo oggetto volendo fare qualche cosa, per esempio in questo caso alzarlo per mostrarvelo. Tutto ciò che riguarda il modo in cui questo aggeggio si inserisce all’interno di una “volontà” di qualche cosa, questo per Heidegger è l’essere, che lo fa apparire in quanto aggeggio, fatto in un certo modo, con le matite che mi servono, servono a qualcuno etc., per questo lui dice che l’essere è sempre un “progetto”, un progetto di fare qualche cosa, di pensare qualcosa, di modificare qualcosa, mentre l’essere è sempre stato pensato dalla metafisica come un qualche cosa di fisso, qualche cosa che sta da qualche altra parte e da lì garantisce tutto ciò che è presente. Per Heidegger è stato Platone a pensare l’essere in questi termini, per questo c’è qualche cosa anche di “aurorale” in Heidegger. Non tutti sarebbero d’accordo nell’appiattire Platone in ciò che lui vuole fargli dire, come spesso accade nei filosofi, altri lo accusano di avere compiuto una demolizione di alcune certezze, di alcune superstizioni presenti nel pensiero ma di non avere fornito quegli elementi sufficienti e necessari per fare il passo successivo, e cioè proporre una pars construens che è sempre la più complicata, perché finché si tratta di demolire, dice giustamente Stefania, sono capaci tutti. Ma i filosofi non forniscono una pars construens perché è la parte più suscettibile di obiezioni, critiche e problemi di ogni sorta …

Stefania: viene da pensare che la pars construens a partire da un pensiero come questo di Heidegger, è molto difficile perché una pars construens rischia di ricadere proprio in ciò che lui …

Ed è per questo che lui ha evitato di costruirla …

Sandro: lui dava la colpa al linguaggio il motivo per cui non è riuscito a costruirla …

Stefania: … Heidegger è andato molto vicino a ciò che gli orientali definiscono “meditazione” … Che significa una totale sospensione di qualsiasi “volontà” …

Heidegger si è occupato della filosofia orientale, poi a un certo punto l’ha abbandonata perché c’è un punto insuperabile di distacco: per lui l’essere è ciò che deve disvelarsi, è un qualche cosa che è sempre all’interno di un progettarsi,

 cioè di un fare qualche cosa, non è contemplativo per nulla, mentre per la filosofia orientale lo è, e contemplandolo si pone nuovamente all’interno di un sistema metafisico, cioè pre-suppone l’oggetto della sua contemplazione.