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18-3-1999

 

La ragione (la fede il martedì precedente)

Dunque giovedì scorso abbiamo detto della fede, qual è era l’argomentazione Cesare?

Intervento: la fede è necessaria perché non ci sarebbe comunità ma caos… la fede come utile non come dogma

E invece adesso dobbiamo sostenere la ragione, sostenere la ragione della ragione, una figura retorica nota come polittoto…come definirebbe Cesare la ragione? (…) è una facoltà di definire rapporti logici, questa è la definizione più banale quella del dizionario “la facoltà di definire rapporti logici” noi ci atteniamo alla definizione del dizionario quella più corrente, quella più comune…ma se della fede abbiamo detto, sostenuto che riguarda l’utile, cioè è necessaria la fede per un’utilità sociale, il fatto di giungere a questa conclusione cioè che è un utile della società, comporta che cosa? Una serie di considerazioni, e quindi una serie di passaggi in cui definisco i rapporti logici, quindi io giungo a stabilire che la fede è necessaria attraverso la ragione. E quindi per potere stabilire una cosa del genere è necessario che io possegga la ragione. Ma non soltanto, adesso dobbiamo fare l’elogio alla ragione, perché in effetti la fede, consideriamo le due posizioni fondamentali, quella di Agostino e quella di Tommaso, Agostino neoplatonico ritiene che la ragione segua alla fede, prima c’è una fede viene data da dio e poi l’uomo attraverso la ragione la giustifica; invece Tommaso qualche secolo dopo, che riprende Aristotele anziché Platone, riprendendo Aristotele punta ad una logica, e quindi afferma che “no, non c’è prima la fede e poi la ratio, prima la ragione attraverso la ragione arriviamo alla fede, però entrambe le posizioni anche quella di Agostino, il quale afferma che prima c’è la fede o stabiliamo che la fede è emanata da dio e quindi giungiamo a quella nozione di fede assolutamente dogmatica, come diceva Cesare facilmente attaccabile poi…oppure la fede di dio la accolgo, accolgo la fede e se la accolgo di nuovo questo accoglimento avviene attraverso una serie di considerazioni e quindi della ragione, dunque intanto abbiamo visto che la ragione appare necessaria per poter accogliere la fede e quindi la precede, che è già un buon punto di partenza ma vediamo quali altre virtù possiede la ragione, sopra la fede. La fede intesa anche, utilizziamo anche questo aspetto, quello che abbiamo sottolineato giovedì scorso cioè l’utilità, la fede afferma che è importante, è utile che le persone credano qualcosa per tenerle insieme, già! Ma stanno insieme per via della fede o per via della ragione? Intendo dire questo, supponiamo che abbiano pure una fede ma questa fede che le tiene unite deve essere mantenuta, deve essere creduta anche se con un uso e che cosa consente un’operazione del genere? Cioè intendo dire questo, gli umani stanno insieme perché attraverso il ragionamento giungono a concludere che occorre questo aggeggio chiamato fede per stare insieme ma è ragione che li fa concludere in questo modo non la fede, è la razio, la loro capacità, si diceva prima, di stabilire connessioni, rapporti logici, fra le cose per cui se gli umani senza fede si disgregano allora con la fede stanno insieme, e allora in questo caso la fede non è altro che una sorta di artificio della ragione, artificio che la ragione usa, una specie di nobile menzogna al pari di quella di Platone. Ma non è soltanto questo che cosa distingue gli uomini dagli animali? Proprio questa capacità di stabilire, ritenere, considerare, giudicare, rapporti logici, cosa consente agli umani di progredire il loro pensiero e quindi la tecnica e infinite altre cose, se non la ragione. La ragione è la stessa cosa che consente agli umani di potersi definire tali, di potere anche definirsi credenti, credere senza la ragione, non potrebbero definirsi né fedeli, né credenti, né nessun altra cosa, tutto ciò che gli umani hanno costruito sia la tecnica come il pensiero non è altro che il frutto di considerazioni, quindi di connessioni logiche, “se questo allora quest’altro, ma quest’altro, dunque quest’altro ancora” un funzionamento semplice ma necessario, perché gli umani possano pensare qualunque cosa, possano per esempio decidere se credere una cosa oppure no, solo la ragione glielo consente, ma veniamo più nello specifico, all’utile, vediamo se è proprio così utile, come decido che qualcosa è utile o più utile di qualcosa? In base a quale criterio? In base a quale criterio stabilisco che gli umani sono più facilmente governabili o più facilmente restano uniti se c’è un motivo, come lo so? Chi me l’ha detto, se lo so, lo so attraverso il ragionamento, come so che questo ragionamento è corretto? E non sgangherato? Come può accadere, uno giunge a una conclusione assolutamente.. e se ci riflette un pochino si accorge che fa acqua da tutte le parti, ma allora questa affermazione che gli umani se hanno fede stanno insieme meglio o più uniti, è una affermazione che procede effettivamente da un ragionamento, e quindi è la conclusione di un ragionamento corretto o è una superstizione? Come so, torno ancora sulla questione che una cosa è utile o è più utile di un’altra per saperlo occorre che sappia condurre un ragionamento molto bene in modo che la mia conclusione risulti corretta e non squinternata, per cui se affermo che la fede è utile devo sapere intanto che cosa è l’utile oppure no? Occorre che lo sappia, come lo so? E come so che ciò che penso che sia utile, la cosa migliore più efficace, più precisa, più coerente, come lo so? Anziché come dicevo prima una superstizione qualunque? Come dire che “gli umani se hanno fede vanno insieme meglio e più uniti” vale come “se attraversa un gatto nero allora porta sfortuna” come lo so? Soltanto attraverso la razio cioè il ragionamento giungo a concludere che una certa cosa è utile, anche questa per esempio, ma se il ragionamento non è corretto questa conclusione risulterà sgangherata, insostenibile, possiamo nella migliore delle ipotesi rovesciare la questione sempre attenendoci all’utilità che non è affatto utile può esserlo a qualcuno, può essere molto utile, utile per esempio a chi ha in animo di governare e allora in assoluta malafede, in accezione peggiore del termine, impone un’argomentazione del genere “che la fede è necessaria per tenerci uniti contro il nemico” ma lui come lo ha saputo, come può sostenere una cosa del genere? Logicamente? lo fa per un tornaconto “perché se tutti stanno buoni, nessuno alza la testa, lui rimane seduto sul suo trono” e di lì non si muove…e allora la ragione cosa fa? La ragione è quella che consente di accorgersi di alcune cose come questa che riguarda la fede, non ha nessuna utilità sociale ma rappresenta l’utile per qualcuno il quale ha tutto l’interesse a fare in modo che invece che i più credano che sia una utilità sociale, quindi la ragione consente di non credere una “palla” di simili proporzioni, ma di cominciare a porsi delle questioni, cioè cominciare per esempio a domandarsi ma è proprio così? E se sì perché? (Ad esempio) la ragione può fare infinite cose oltre a questa, che già non è poco, per esempio, porsi in modo meno ingenuo di fronte a una infinità di affermazioni, può insegnare a metterle alla prova e cioè interrogarle queste affermazioni, anziché bersele….ecco muovendo in questo modo consente ad una persona, non avendo la necessità di credere qualunque cosa, di essere più libero, di poter giocare con le cose senza crederci. Si può dire a vantaggio della ragione molte altre cose, si può rendere il discorso retoricamente anche più pomposo, però l’essenziale questo esercizio che stiamo facendo cioè costruire delle argomentazioni che appaiono solide, che non lo sono affatto, l’abilità sta in questo costruire argomentazioni che appaiono solide e invece sono costruite su niente… Cesare deve costruire un’argomentazione a vantaggio della ragione, appunto dovete contraddire tutto quello che ho detto (a vantaggio della fede allora?) lasciamo stare queste questioni perché sosteneva Cesare che è più facile confutare una posizione dogmatica? ( sì perché dogmatica perché viene posto un elemento fuori dal linguaggio il che è difficile dimostralo) ma una posizione dogmatica è quella che dice che non interessa se ciò che io credo è provabile oppure no, io ci credo (ovviamente è arbitraria) ma non è mia intenzione farlo (non è logico non ha una logica che lo sostiene) no, ma ci credo lo stesso, (ciascuna cosa la costruiamo tramite il linguaggio) chi ci ha dato il linguaggio se non dio? (…) o viene dal nulla il linguaggio, può qualcosa venire dal nulla? (…) è la stessa che abbiamo posta prima rispetto a dio, quindi crederebbe nel linguaggio, come credere in dio, che differenza fa? (io credo in ciò che sto dicendo non importa chi mi abbia dato il linguaggio…) credo in dio non importa se non lo posso provare (sì però è arbitrario al massimo) anche ciò che sostiene lei, lei può stabilire da dove viene il linguaggio? No. (no, però ciò che fa il linguaggio sì) io posso dire ciò che fa dio ma non posso dire da dove viene, non posso provarlo, lei ha appena detto che non può provare che il linguaggio venga da qualche parte, quindi viene dal nulla esattamente come io non posso provare da dove viene dio, siamo pari perché la sua argomentazione è migliore della mia? (l’ingiustizia di dio che fa morire un bambino innocente, non si può usare contro la fede?) la questione è antica la questione del male, dio può volere il male? Nel medioevo si sono dati un gran da fare intorno a queste cose, perché dovevano rafforzare un fondamento logico del cristianesimo, quindi la questione è questa perché esiste il male? E quindi dio lo vuole o dio non ha creato il male e quindi non ha creato tutto oppure ha creato anche il male, ma può creare il male lui che è il sommo bene? (…) la questione non era semplice i migliori pensatori, tra cui Agostino, si sono dedicati a risolvere questi quesiti, perché dovevano rispondere a queste persone che chiedevano “ma dio se è sommo bene come può volere il male?” se non lo vuole c’è qualcosa che gli sfugge e quindi non è perfetto, delle due l’una, è un po’ la questione che ha trovato Gödel nei suoi studi rispetto alla matematica, o è completa e allora è contraddittoria oppure non è contraddittoria e allora è incompleta, il teorema di Gödel… (io non voglio fondare nulla mi attengo solo agli strumenti che mi dà la ragione, che mi dà il linguaggio e mi attengo a ciò che io sto dicendo, senza pormi il problema, però sono io che pongo la domanda da dove viene il linguaggio perché il linguaggio non risponde sicuramente) perché non risponde il linguaggio a questa domanda? (perché non risponde il linguaggio?) fa tutto e questo no? (…) perché si perde in un bicchier d’acqua? Quando si trova in condizioni del genere e cioè non riesce a cavarsi da un dilemma allora lei sposti la questione ponendosi questa domanda “che cos’è una domanda?” “Che cos’è una risposta?” Io dicevo prima, facendo le parti di un fondamentalista “neppure il linguaggio sa rispondere a questa domanda da dove viene, cos’è una domanda” “la domanda è una proposizione che attende un’altra proposizione” cioè dicendo questo dico (la domanda è una proposizione che attende un’altra proposizione) già sempre proposizioni sono e quindi la domanda non può che trovare un’altra proposizione, il linguaggio non può rinviare che altro linguaggio, cioè a se stesso, e dunque porsi la domanda “da dove viene il linguaggio” non può uscire dal linguaggio per via del fatto che la risposta sarà una proposizione e quindi un atto linguistico, per questo possiamo anche considerare che questa domanda è un non senso, come se chiedesse al linguaggio di rispondere in un modo che non è linguaggio, che non può fare, non può uscire da se stesso, né gli umani possono uscire dal linguaggio e quindi chiedere al linguaggio di rispondere non è insensato, lui lo fa ma con un’altra proposizione, invece il fervente cattolico, (io in quella istanza particolarissima, ché non sono un fervente cattolico) questo non lo può fare cioè lui chiede al linguaggio di rispondere, (dio) e immagina che questa risposta sì, chiaramente, se è una risposta è una proposizione ma venga da qualche cosa che non è linguaggio e allora a questo punto sì, può porre la questione di un elemento fuori dal linguaggio come sa che è sempre un elemento fuori dal linguaggio? può concludere soltanto o decidere e bell’é fatto, tenere conto tenere d’occhio la questione, soprattutto in un agone dialettico ad esempio il caso limite dove c’è la necessità di questa abilità, tenere d’occhio tutti gli elementi per poter trarre da qualunque elemento il massimo vantaggio possibile… le cose che vi dicevo cioè che la mia fede è pari alla sua non è esattamente così dal momento che lei si attiene soltanto a ciò che si dice e a ciò che non può non dirsi, mentre io sostenendo la fede in dio mi attengo a ciò che dico e a ciò che può non dirsi benissimo (…) ma lei rilanci la questione quando è possibile sempre rilanciare sull’interlocutore la stessa questione, quando dice da dove viene questo o che cos’è questo? Che cosa vuol dire questo? Da dove viene il “da dove viene” se non dal linguaggio? E ha risolto buona parte del problema, come dire ha portato la cosa verso livelli di buon gioco a proseguirla in modo più semplice, più efficace. (…) se si sta considerando se si sta facendo discussioni che facciamo qui spesso teoretica allora non ha interesse fare una cosa del genere, c’è interesse invece a riflettere su una questione, nei suoi aspetti indagarla e poi esaminarla ma retoricamente invece è la cosa migliore… a questo punto è l’altro che dovrà cavarsi d’impaccio o comunque impegnarsi a trovare qualcosa. Così vede che ci sono buoni motivi per sostenere la ragione. La questione dell’utile poi quale sono le sue prerogative in base a quale criterio quello che stabilisco io oppure lo traggo da che cosa? (lo traggo dal luogo comune…) sì per qualunque argomentazione venga addotta a vantaggio di questo è confutabile, è utile “la storia insegna…” la storia insegna a massacrarci da sempre, questo mi autorizza ad estrarre la rivoltella e a spararti in bocca, in nome della storia? No. Allora questa mettiamola da parte e uno alla volta gli togli tutti gli argomenti (a essere solidali…) dunque la solidarietà (serve a fare fronte comune…) come potremmo definire la solidarietà di primo acchito? (…) possiamo dire che è una volontà, intanto, (…) perché se non lo vuole (…) la volontà di condividere qualche cosa, che cosa esattamente? (il destino avverso se no perché dovrei essere solidale, si può essere solidale anche in un piacere?) no la solidarietà ha quasi sempre a che fare con la difficoltà, condividere la difficoltà altrui cercando insieme con l’altro di risolvere il problema, solidarietà in accezione più comune (solido) quindi diventare solidale, come la parola dice, far fronte comune di fronte alla difficoltà, qui c’è la difficoltà. io sono con te e l’affrontiamo insieme (…) chi saprebbe costruire un discorso contro la solidarietà, declamandone la nefandezza, l’inutilità e la follia (…) abbiamo indicato la solidarietà in termini più generali, sono solidale solo con quelli che la pensano come me, per esempio, la solidarietà è uno dei luoghi comuni più… (…) ma prendiamo questa nozione che diceva prima Elisabetta, del cattolico fervente cattolico, la solidarietà è ciò a cui occorre tendere perché non è altro che tendere una mano a colui che è in difficoltà, aiutarlo trarsi d’impaccio, dobbiamo costruire un discorso che invece sostiene esattamente il contrario, la solidarietà non è affatto questo e se anche fosse questo sarebbe comunque una maledizione (…) non tanto condividere la sofferenza quanto aiutare l’altro a superare, per esempio una vecchiettina che deve attraversare la strada, un corso dove le macchine sfrecciano, è incerta non vede, e lì arriva Cesare e vede, ora il gesto di solidarietà nei confronti della vecchiettina cosa fa? prende la vecchiettina e la fa attraversare (…) come costruire un’argomentazione che giunge ad affermare che la solidarietà è un malanno sociale? Si può fare intanto? È un luogo comune e come tale deve essere confutato, intanto teniamo conto di una sorta di definizione cioè condividere la difficoltà altrui nel senso di aiutarlo a risolvere un problema, come potremmo cominciare (…) dipende da che definizione facciamo passare di solidarietà, è indispensabile quando si vuole provare una certa cosa inserire una definizione di questa cosa che è utile a far la prova che vogliamo svolgere e non solo deve essere utile ma deve essere accolta cioè fare in modo che l’altro l’accolga, una volta che l’ha accolta poi andiamo avanti ma occorre fargli accogliere qualche cosa che a noi serve per raggiungere una conclusione che deve raggiungere quindi far rientrare nella definizione di solidarietà anche questo aspetto perché no? Occorre che ci sia sempre una definizione più generica possibile tanto che l’interlocutore non abbia nulla da eccepire, però ci deve essere (…) condividere la difficoltà dell’altro, una bella argomentazione su come sia dannosa la solidarietà.