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Heidegger, Seminario di Zollikon

 

18 gennaio 2017

 

Siamo a pag. 187. L’esperimento e la costruzione teorica sono, dunque, delle procedure, coappartenentisi reciprocamente, dell’indagine della natura, e questi due modi di indagine vengono chiamati metodo. Metodo è, nella ricerca, il modo di procedere, la maniera in cui una ricerca procede nella investigazione del suo ambito oggettuale. Questo concetto del metodo, in quanto modo di procedere, lo chiamiamo la rappresentazione strumentale del metodo. Cioè, non il metodo ma il concetto del metodo è una rappresentazione strumentale del metodo. Qual è l’autentico senso del metodo? Il metodo è solo uno strumento della ricerca nella scienza della natura, o è qui qualcosa di più? Il metodo è solo un mezzo della ricerca, il quale è utile alla realizzazione di questa, o il metodo è qualcosa di più? In Nietzsche si trova la proposizione: “Non è la vittoria della scienza ciò che contraddistingue il nostro XIX secolo, bensì la vittoria del metodo scientifico sulla scienza” (Der Wille zur Macht, Nr. 466, fr. scritto nel 1888, nell’ultimo anno prima del tracollo di Nietzsche). Che cosa è detto con questa proposizione? Che il metodo non solo sta al servizio della scienza, bensì, in un certo modo, sopra di essa. La scienza viene dominata dal metodo. Che cosa si intende con ciò? Null’altro se non che solamente il metodo determina che cosa debba essere oggetto della scienza e in che modo soltanto sia esso accessibile, vale a dire, sia determinato nella sua oggettualità. A questo punto la scienza diventa ancella del metodo, il metodo al di sopra di ogni cosa, cioè il modo con cui si approcciano gli oggetti, e il modo con cui si approcciano è quello che ci ha spiegato, e cioè si approcciano solo e soltanto quegli oggetti che compaiono all’interno di quell’ambito già prestabilito di una serie di supposizioni e presupposizioni. Più avanti a pag. 188. Per il fisico, la natura si mostra solo nel senso di oggetti, quali egli li indaga attraverso il suo metodo, allorché il carattere d’essere della natura è determinato., fin da principio, in quanto oggettività. Cioè, è già predeterminato, il concetto di oggetto viene prima di ogni possibile metodo. Ciò, però, significa che non si dà alcuna indagine scientifica di un ambito oggettuale senza una espressa o inespressa ontologia. Perché? Perché l’ontologia dice: questo c’è ed è quello che io penso che sia. E questa è l’ontologia: l’asserzione di qualche cosa che c’è, sena nessuna dimostrazione, senza nessuna verifica, c’è e basta, questa è la supposizione. Questo ce lo ha insegnato già Kant. Dobbiamo solo sapere che in Kant il termine di trascendentale è meramente un altro termine per ontologico; ontologico, certamente, nel senso di un’ontologia per la quale l’essente-presente si è tramutato nell’oggetto. L’essente-presente, cioè ciò che appare, si è trasformato in oggetto, cioè in qualche cosa di manipolabile per me che sono soggetto. Alla scienza e alla scientificità appartiene non solo il metodo in quanto procedimento, bensì, nel contempo, la determinazione della oggettività del suo oggetto. È questo che appartiene in prima istanza alla scienza, e cioè lo stabilire che una certa cosa è l’oggetto e, quindi, è quella che è, punto e basta. Nel significato moderno, metodo non ha solo il senso di un procedimento di elaborazione degli oggetti, bensì di supposizione trascendentale della oggettività degli oggetti. Eccolo qua. È questo il senso di metodo che viene inteso con l’espressione di Nietzsche “vittoria del metodo sulla scienza”. È il metodo che dice che quello è un oggetto, non è la scienza, ma è il metodo che afferma questo, che fa questa supposizione: questo è questo, ontologicamente. Ora, come sta la cosa con i tre rimproveri di ostilità alla scienza, all’oggetto, al concetto? Resta ancora la trattazione del terzo rimprovero, del rimprovero di ostilità al concetto. Ora, che cosa significa concetto? Il termine latino per Begriff (concetto) è conceptus. In ciò vi è il verbo capere = afferrare, comprendere. I Greci, che manifestamente non erano tanto incapaci nel pensare, non conoscono ancora il “concetto”. Non sarebbe, dunque, affatto un disonore, nel caso si fosse ostili al concetto. Com’è la cosa presso i Greci? Attraverso che cosa viene stabilito un concetto in quanto un concetto? Attraverso una definizione. Che cos’è una definizione? Per esempio, il tavolo viene definito in quanto cosa d’uso. Cosa d’uso è, in tal caso, una determinazione generale. Anche un bicchiere e una matita sono delle cose d’uso. Una definizione dà, dunque, innanzitutto, la determinazione più generale prossimamente superiore, il genere. Per determinare il tavolo in quanto l’oggetto d’uso che esso è, deve venire indicato a quale uso serva. L’indicazione di questo particolare uso, differente dall’utilità della matita e del bicchiere, la si chiama differenza specifica. Definitio fit per genus proximum (l’oggetto d’uso) et differentiam specificam (il tavolo). (pagg. 188-189) Cioè, la definizione deve avvenire per il genere più prossimo e per la differenza specifica. Nella definizione viene asserito qualcosa di generale e qualcosa di particolare circa l’ente, cioè circa l’oggetto. Questa asserzione è un modo in cui l’oggetto, cioè l’ente, viene circoscritto e delimitato rispetto all’altro ente, per esempio, il tavolo rispetto al bicchiere e alla matita. Hanno usi diversi, ovviamente. In greco, definizione si dice όρισμόϛ. È la stessa parola del nostro Horizont (orizzonte), che vuol dire: il limite del campo visivo, semplicemente delimitazione, circonlimitazione. Quello che riesco a vedere. Ciò che verrà successivamente chiamato concetto, si dice in greco semplicemente λόγοϛ, ciò che all’ente di volta in volta attuale, in quanto apparente in questo e quel modo, deve venire attribuito in quanto suo είδοϛ, suo apparire. Cioè, tutto ciò che il λόγοϛ attribuisce a ciò che appare, questo sarebbe il concetto per il greco: dire di ciò che appare. Il che non ha nulla a che fare con il prendere, non c’è nessuna apprensione in questo caso, nel greco. In contrapposizione a λόγοϛ, nella parola latina conceptus v’è sempre un procedere dell’uomo verso l’ente. Ora, la logica distingue diverse specie di concetti. Essa conosce concetti che noi attingiamo dall’esperienza, per esempio il concetto di tavolo. Questo è un concetto empirico. La causalità, detto kantianamente, non è un concetto a posteriori, un concetto empirico, bensì un concetto a priori. La causa è un concetto a priori, non si deduce da altro. Ciò vuol dire che esso non è estratto dall’esperienza, bensì è attinto dalla soggettività. (pag. 189) Passiamo al Seminario dell1 e 3 marzo 1966 in casa Boss a pag. 194. Si dice che la definizione data dalla fisica sarebbe antiquata e, in secondo luogo, priva di importanza per la psicoterapia. Quale carattere hanno queste due asserzioni? La critica manifestata significa che ciò che è stato esposto non sarebbe più valido, sarebbe inessenziale. Se uno dice che la definizione della fisica non è adeguata alla psicoterapia significa che le definizione della fisica sono inessenziali. Che cosa vuol dire critica? La parola viene dal greco κρίυειυ, che vuol dire distinguere. Dare a qualcosa rilievo rispetto a qualcosa, per lo più a qualcosa di superiore rispetto a qualcosa di inferiore. Nella logica, questo procedimento si chiama un giudizio, una giudicazione. Entrambe le asserzioni contengono una critica negativa. Una critica positiva ha lo scopo di promuovere la cosa di cui ne va. Essa è sempre un rinvio a nuove possibilità proprie della cosa. Per comprendere bene che cosa è stato detto nel precedente seminario, intorno alla fisica, è necessario ricordare qual era il tema dell’ora. Trattavamo del metodo, più precisamente, di ciò che caratterizza il metodo della moderna scienza della natura. Metodo non intende qui semplicemente e indeterminatamente: “procedimento”. Metodo è il modo in cui l’ente, in questo caso la natura, viene tematizzato. Cioè, il modo con cui approccia, a scopo investigativo, l’ente. Ciò accade in quanto essa venga rappresentata come oggetto-stante-di-contro, come obietto. Gegenstand, l’oggetto che sta di contro, di contro a un soggetto, ovviamente. La rappresentazione moderna della natura, la sua oggettivizzazione, ora, però, è guidata dall’intenzione di rappresentare i processi naturali in modo tale che essi siano precalcolabili nel loro decorso e divengano così controllabili. (pagg. 194-195) Questo per Heidegger è l’obiettivo della scienza: la calcolabilità, quindi, la predittività, quindi, la controllabilità. Pertanto, non aveva torto Nietzsche quando diceva “badate che tutta la ricerca della verità, la ricerca della scienza, tutto questo non è fatto da anime belle, è volontà di potenza, è volontà di controllo, di avere potere su qualcosa, è solo questo”. L’oggettivizzazione, determinata in tal modo, della natura è, perciò, il progetto della natura in quanto ambito oggettuale calcolabile. I passi decisivi per il dispiegamento di questo progetto della natura nella totale dominabilità, li hanno compiuti Galilei e Newton. Normativo diventa il come la natura venga rappresentata, non il che cosa. Ecco la questione del metodo. Cioè, il metodo giunge a dire come si fanno le cose, come si deve calcolare, come si deve approcciare qualcosa, ma di questo qualcosa non dice assolutamente niente, lo suppone, suppone che sia quello che è, perché se non fosse quello che è sarebbe in grossissime difficoltà, l’oggetto gli si sottrarrebbe da sotto mano. Se io dovessi cominciare a pensare che quell’oggetto è quello che è, perché io lo sto guardando, perché è qui sul tavolo, perché è ad un’altezza di 80 cm., perché c’è Cesare di fronte e Sandro alla sua sinistra, perché me l’hanno regalato in una certa occasione, perché la sua forma mi ricorda una certa cosa, questa cosa qua è tutte queste cose mentre io la osservo, che tra l’altro si modificano mentre ne parlo; allora, quest’oggetto non è più quello che è. Come faccio, allora, a manipolarlo, a dominarlo? Non lo posso fare.

Intervento: In effetti, la fisica moderna ha incontrato qualche difficoltà con l’estremamente piccolo.

Sì, certo. Non so se si riferisce alla meccanica dei quanti, certo.

Proseguiamo.  Lo sviluppo della scienza, così impostata, conduce al fatto che il modo di procedere nei confronti della natura determini la scienza sempre più univocamente. Gli oggetti sono sempre più fissati, in quanto, come diceva prima, Gegenstand, ciò che sta di contro. È così che Nietzsche allora può dire: “Non la vittoria della scienza è ciò che contraddistingue il nostro XIX secolo, bensì la vittoria del metodo scientifico sulla scienza”. Ma questa “vittoria del metodo” è preceduta da una lunga battaglia, in cui il metodo caratterizzato spinge verso la sua preminenza onnideterminante nella scienza. Dice che non è avvenuto così per caso, c’è stato un percorso che ha condotto a questo. Cartesio, in particolare, è quello che ha inventato il soggetto e l’oggetto, ha inventato un oggetto che sta di contro a un soggetto, per cui quell’oggetto è un oggetto.

Intervento: se posso azzardare un’analogia, mi sembra che ciò che è accaduto nella scienza con il prevalere del metodo sulla scienza sia simile a ciò che è accaduto in ambito politico e sociale, dove la burocrazia ha prevalso sul progetto politico. La burocrazia, in effetti, è un metodo. La scienza è ciò che corrisponde, in ambito politico, al progetto.

Sì, mi sembra un’analogia calzante. La burocrazia come metodo di organizzazione e funzionamento della macchina. È vero.

Allorché, nel precedente seminario, si discuteva della fisica classica, ciò non accadeva con l’intenzione di caratterizzare questa in quanto classica, bensì in quanto fisica, vale a dire riguardo a ciò che vale anche della moderna fisica nucleare in quanto fisica. Siamo nel 1966, quindi, avevano già fatto scoppiare le bombe atomiche, si facevano esperimenti in continuazione. Poi, si sono accorti che c’era qualche problema. Solo se prima è stato messo in evidenza in modo sufficientemente chiaro il generale tratto fondamentale della fisica classica e di quella atomica, si può in generale trattare la questione di secondo quale riguardo entrambe, fatta salva la loro medesimezza, si distinguano in quanto fisica. Un’obiezione era che la fisica atomica è diversa dalla fisica classica. Certo, ma la fisica è sempre la stessa, la fisica è sempre un modo di approcciare l’oggetto, qualunque esso sia, che sia un atomo di uranio che sia un ceppo di legno, il modo di approcciarlo è lo stesso. Poco più avanti. La rappresentazione oggettiva di questi decorsi è guidata dal principio di causalità, che Kant, nella sua Kritik der reinen Vernunft, A 189, determina attraverso la seguente proposizione: “Tutto ciò che accade (inizia ad essere) presuppone qualcosa, a cui segue secondo una regola”. Per Kant queste regole erano determinate dal pensiero. Per la fisica sono tutte quella serie di presupposizioni ontologiche che danno per acquisito che l’oggetto c’è e sia quello che è. Riguardo al metodo della precalcolabilità, ciò significa: lo stato avvenire è fissabile univocamente a partire dallo stato di un sistema in un determinato tempo (il presente). Se io so dove è adesso un certo punto, so qual è il sistema all’interno del quale è sistemato, e conosco altre cose, so dove sarà questo punto tra dieci minuti. Heisenberg ha formulato questo principio nel modo seguente (Zeitschrift für Physik, Bd. 43/1927, pag. 197): “Se conosciamo il presente precisamente, possiamo calcolare il futuro”. Sì, sempre però partendo da un sistema ontologico, e cioè dalla supposizione che le cose siano quelle che io voglio che siano o credo che siano. Ora, dice Heisenberg, è “falsa non la conseguenza, bensì il presupposto. Di principio, non possiamo conoscere il presente in tutti i suoi punti di determinazione”. Heisenberg non era mica scemo. Dice che non possiamo conoscere tutti i punti che determinano l’oggetto, cioè non possiamo conoscere l’oggetto. Tutti i punti, cioè tutti quegli elementi che fanno di quell’oggetto quella cosa che io chiamo oggetto. Facevo prima l’esempio del posacenere, è fatto di miliardi di cose, per essere quella cosa lì deve essere tutte quelle cose che elencavo, tutte le sue relazioni. Aveva ragione Hjelmslev: l’oggetto è la intersezione di un fascio di relazioni. Questa non conoscenza è fondata nella relazione di indeterminazione della meccanica quantistica, la quale dice che noi possiamo misurare precisamente sempre solo il luogo o l’impulso di una particella, ma non entrambe le cose contemporaneamente. È stato Heisenberg a verificare una cosa del genere. Da questa circostanza di fatto, Heisenberg ha allora concluso che con ciò sarebbe “stabilita definitivamente la non validità della legge causale”. Se non posso determinare tutti i punti non posso determinare che questo sia la causa di quello. Su questa tesi si basa in parte ancora oggi il discorso della “acausalità”. Cioè, dell’assenza di causa, perché non la posso determinare. Ma attraverso la relazione di indeterminazione non viene invalidata la legge causale e con essa la precalcolabilità. Se fosse così, non si sarebbe mai potuti pervenire alla costruzione e alla fabbricazione della bomba atomica, e in generale ad alcuna tecnica atomica. Non ha neanche tutti i torti. È anche il problema che abbiamo incontrato nel linguaggio, cioè l’impossibilità di determinare qualcosa. Eppure, se io continuo a parlare, vuol dire che l’ho determinato in qualche modo. Vediamo come la risolve Heidegger. Non viene invalidato il principio causale, dalla validità del quale dipende dall’inizio alla fine la fisica in quanto tale, diviene impossibile solo un calcolo preventivo univocamente e completamente preciso. Ma un calcolo impreciso è possibile. Infatti, lo dice adesso. Così, nella bomba atomica, è precalcolabile solo un limite superiore e inferiore della potenza dell’esplosione, tuttavia, di principio, la precalcolabilità continua a sussistere, giacché senza di essa sarebbe impossibile ogni costruzione tecnica. In effetti, è vero, quando costruirono la bomba atomica, non sapevano assolutamente quali sarebbero stati gli effetti. L’ultima bomba esplosa la fecero i russi, la chiamarono Zar, era la più potente che sia mai stata fatta esplodere, 50 megatoni. In teoria, questo è un aneddoto, il progetto era di una bomba atomica da 100 megatoni, poi chi l’ha costruita materialmente ha pensato di dimezzare la potenza perché aveva intravisto delle catastrofi imprevedibili, non calcolabili, e cioè che l’esplosione sarebbe stata talmente alta da andare oltre l’atmosfera, rendendo quindi impossibile ogni verifica, non si poteva più fare nulla, oltre al fatto che gli effetti devastanti non erano più calcolabili, pur essendo loro a fabbricare tutto quanto. Successivamente, Heisenberg ha abbandonato il confondente discorso dell’acausalità. Non si dà alcuna “immagine acausale del mondo”. A riprova, è sufficiente rinviare alle ricerche, che sono in corso, sulla tecnica di mutazione genetica in riferimento all’uomo (cfr. ora: F. WAGNER, Die Wissenschaft und die gefährdete Welt, cit. pp. 225 ss., 462 ss.). Nella fisica nucleare resta conservato ciò che la caratterizza in quanto fisica, ciò che, perciò, essa ha in comune in quanto fisica con la fisica classica. Che è sempre l’obiettivizzazione dell’oggetto. Nel precedente seminario, ciò che importava nella trattazione della fisica classica era soltanto la caratterizzazione “della scienza” in quanto tale. Questa trattazione era provocata dalla tesi secondo cui l’analisi psichiatrica dell’esserci sarebbe “ostile alla scienza”. La presa di posizione rispetto a questa tesi presuppone che sia chiaro che cosa qui “scienza” debba significare, vale a dire, da che cosa sia contraddistinto il rapportarsi scientifico all’oggetto tematico. (pagg. 196-197) Tu mi dici che ciò che io dico è contro la scienza, ma intanto definiamo “scienza”. Tema della fisica è la natura inanimata. Tema della psichiatria e della psicoterapia è l’uomo. Come deve venire determinato il carattere di scienza della psichiatria e dei fondamenti teorici della prassi psicoterapeutica? Se all’analisi dell’esserci… perché questa è la proposta che faceva Heidegger tramite Boss e Biswanger, che avevano letto i suoi scritti, di come approcciare i cosiddetti disturbi, disagi, attraverso l’analisi dell’esserci, dice lui. Se all’analisi dell’esserci viene rimproverata una ostilità alla scienza, questo rimprovero presuppone, in tal caso, che scienza voglia dire scienza nel senso della fisica. E cioè che obbiettiva qualche cosa. Se, perciò, la scienza dell’uomo deve soddisfare alle esigenze fondamentali della scienza moderna, essa deve attenersi al principio della preminenza del metodo nel senso del progetto di precalcolabilità. Quindi, prevedere ciò che l’uomo farà. L’inevitabile risultato di questa scienza dell’uomo sarebbe la costruzione tecnica della macchina umana. Cioè, pensava all’uomo come una macchina. Molti segni fanno presagire che la siffatta esplorazione scientifica e produzione dell’uomo venga già effettualmente esercitata sotto coazione della trattata “vittoria del metodo sulla scienza” e col fanatismo dell’incondizionata volontà di progresso per il progresso. Se trattassimo l’uomo con i criteri della scienza moderna, non solo considereremmo l’uomo alla stregua di una macchina qualunque, cioè qualcosa di precalcolabile, di prevedibile, ma lo trasformeremmo in una macchina. Perché è questo il progetto, a questo punto: trasformare l’uomo in macchina. Cosa già avvenuta, dice, col fanatismo dell’incondizionata volontà di progresso per il progresso. Qui ancora riecheggiano alcune questioni che sono quelle che gli fecero abbracciare negli anni ’20 il nazismo. Non il progresso per il progresso, una ipervalutazione della tecnica, ma un ritorno al pensiero autentico, originario, quello del pensiero greco. Certamente, posto che la scientificità di una scienza non debba venire commisurata, in modo dogmaticamente unilaterale, al carattere di scienza della fisica moderna… Dice, non necessariamente la scienza deve essere la scienza moderna, che il concetto di scienza debba essere per forza quello. … sorge, allora, la questione di in che e in che modo sia in generale determinabile l’essenza della scienza. Di poi, si dovrebbe porre la questione di per quale via si possa fondare e costruire una scienza dell’uomo, la quale possa servire da fondamento sufficiente per una psichiatria e per una fondazione teorica della prassi psicoterapeutica. Sta soltanto dicendo che bisogna pensare la scienza in un altro modo se vogliamo riferire la scienza alla psichiatria o alla psicoterapia, non scimmiottando la scienza moderna, che oggi è dominata dalla tecnica. Se, al contempo, badiamo che la scienza in quanto tale è un agire ed un’opera dell’uomo, si mostra un peculiare intreccio della questione circa una scienza dell’uomo con la questione circa l’uomo, soltanto attraverso il cui esser uomo la scienza diviene possibile. La scienza è fatta dall’uomo, non è qualcosa che viene dal nulla. Quindi, una scienza fatta dall’uomo è, dice Heidegger, una cosa strana, perché una scienza fatta dall’uomo è necessariamente dell’uomo. Dai chiarimenti ora tentati, dovrebbe, infine, essere diventato chiaro che coloro, i quali contro la “analisi dell’esserci” facciano valere il rimprovero dell’ostilità alla scienza, non sono sufficientemente istruiti circa il carattere  distintivo della scienza moderna nel senso della fisica, né sono affatto in grado di determinare il carattere di scienza di una scienza dell’uomo, in particolare della psichiatria, in modo tale che venga in luce la chiara delimitazione rispetto al metodo scientifico della fisica. (pagg. 197-198) se non siete capaci di distinguere l’essenza della scienza dalla scienza moderna siete dei non istruiti, incapaci, stupidi e inutili. Non la dice così ma questo è il senso. La delucidazione della fisica in quanto scienza non doveva, tuttavia, servire solo e neanche in primo luogo a respingere i rimproveri contro la “analisi dell’esserci”. Si trattava, piuttosto, di portare dinanzi allo sguardo la scienza oggi normativa, in modo tale che, rispetto ad essa, diventasse visibile la possibilità di una scienza di tipo diverso, cioè di quella dell’uomo. È la questione di sempre: la psicoanalisi è una scienza o non è una scienza? Dipende da cosa si intende con scienza. Tutto qui. È chiaro che se con scienza si intende la scienza fisica, la psicoanalisi non è una scienza, fortunatamente. Poco dopo. Nella scienza, centrata sulla calcolabilità, si aspira alla univocità, in quanto altrimenti non sarebbe possibile alcun calcolabilità. Se poi il concetto “univoco” così acquisito corrisponda anche alla cosa, nella scienza della natura non se ne pone la questione. Cioè, io stabilisco che questo è così, perché? È così, tanto basta. E più non dimandare, diceva Dante. Ora, come si deve procedere per rendere accessibile la molteplicità dei significati di “stress”? Adesso considera questa parola, stress, che era cara alla psichiatria, ancora adesso a dir il vero. Stress vuol dire sollecitazione, caricamento, anche lo scaricamento può essere un caricamento. In che è fondato lo stato di cose per cui un certa misura di caricamento agisce in modo da mantenere in vita? Ciò si fonda nel rapporto estatico. Rapporto estatico, ricordate, è quello dell’esserci, ex-stare, stare fuori, l’uomo è sempre gettato fuori, perché gettato nel progetto. Esso è una struttura fondamentale dell’esser uomo. In essa è fondato quell’essere-aperto, conformemente a cui l’uomo ha già sempre rivolta la parola dall’ente che egli stesso non è. La parola che gli viene dall’ente, che non è un’antropomorfizzazione dell’ente che diventa qualcuno, ma è l’ente che gli si rivolge nel senso che, apparendo, può apparire perché lui si trova nel suo progetto, e quindi è all’interno del progetto che tutto quanto può accadere, e allora, all’interno di questo progetto, le cose gli si fanno incontro, fornendo delle parole, dicendo delle cose, che è poi lui che le dice in realtà, non è l’ente in quanto tale, ovviamente. Senza questo esser rivoltagli la parola, l’uomo non potrebbe esistere. Non potrebbe esistere se non fosse preso all’interno di un progetto, all’interno del quale le cose gli si fanno incontro attraverso la parola, attraverso il logos. Questa è la questione centrale: le cose si fanno incontro attraverso la parola, si fanno incontro dicendole. Lo diceva da qualche altra parte, è il logos che consente alle cose di venirmi incontro, cioè la parola, senza il logos non succede niente. Poco dopo. Se si intende lo stimolo nel senso di una “affezione”, attraverso cui l’uomo sia sollecitato pressantemente da qualcosa, risulta chiaro che nel termine di “stimolo dello stress” viene detta due volte la stessa cosa. Ciò che stimola, può certo venire inteso in un senso diverso, sempre a seconda dell’ambito in cui esso accade. Nell’astratta dimensione dell’isolata sensazione sensoria, stimolare (per esempio, un astratto stimolo sonoro) significa qualcosa di diverso che nell’ambito del soggiornare quotidiano dell’uomo nel suo mondo, di cui, per esempio, un dintorno incantevole lo attrae, vale a dire, lo invita a permanere. Parla di due stimoli. Uno, è lo stimolo sonoro: uno fa boom e ha avuto uno stimolo. Altro e diverso da uno stimolo che viene da un paesaggio che lo attrae, che lo circonda e che lo attrae. In questi modi dello stimolo si mostrano diversi modi della sollecitazione, vale a dire, di “stress”. Questo rimane costantemente orientato alla situazione di volta in volta attuale, vale a dire, all’essere-nel-mondo fattuale di volta in volta attuale, in cui l’uomo esistente non cade solo per caso, in cui, piuttosto, egli è essenzialmente e perciò sempre costantemente. (pag. 199) Cioè, non è che questa cosa accade, sta parlando dell’essere-presente, non è che accade l’essere-presente di qualche cosa, ma ci sta dicendo che questo essere-presente è già sempre costantemente, in quanto già da sempre, nel senso della temporalità… come dire che qualcosa in un certo senso è da sempre nel progetto e lo è da sempre perché interviene in un certo momento ma storicizzandosi, cioè portandosi appresso tutto ciò di cui è fatta quella cosa lì. È sempre lo stesso concetto, quell’elemento non è isolabile, l’elemento è sempre in relazione con tutto il progetto. Infatti, dice L’essere-nel-mondo lo esperiamo in quanto tratto fondamentale dell’esser uomo… L’uomo è in quanto è nel mondo, non è isolato neppure lui, non è un ente isolabile dal resto del mondo. … esso non viene assunto solo ipoteticamente allo scopo di interpretare l’esser uomo… Qui c’è in buona parte il discorso con Sartre che, invece, lo intendeva così. … questo che da interpretare è proprio, a partire da se stesso, già sempre percepibile in quanto essere-nel-mondo. Cioè, questo che sarebbe da interpretare, l’uomo, è già da sempre percepibile in quanto essere-nel-mondo, è quello che è perché è nel mondo, non è che lo interpretiamo in quanto è nel mondo, usiamo l’essere-nel-mondo come modello interpretativo. No, è quello che è perché è nel mondo. Se si volesse rappresentare la situazione in quanto tale in modo tale che essa sia determinata dalle tre componenti “io, corpo-inanimato, mondo”, si dovrebbe, prima di tutto, domandare riguardo a quale unità dell’esser uomo queste componenti possano ami comparire in quanto tali. Sta dicendo semplicemente che questi tre aspetti non possono essere considerati isolatamente, non possono comparire in quanto tali, ma compaiono soltanto in quanto mondo, in quanto io-mondo. Questa unità è proprio l’essere-nel-mondo stesso… Questi tre elementi non possono scomporsi in nessun modo. L’io, il corpo-inanimato e il mondo, sono la stessa cosa. … che non è composto di componenti, e che, tuttavia, nella sua unità, può essere portato allo sguardo interpretativo secondo diversi riguardi. Questo è fondamentale in tutto il pensiero di Heidegger, questa cosa è una, l’uomo-mondo, l’uomo che è nel mondo, che è tale perché è nel mondo, è quello che è per via di tutte quelle relazioni che ha nel suo mondo, in quel momento. Poco dopo sempre a pag. 200. Si tratta del sentirsi, che noi intendiamo quando domandiamo all’altro: Come si sente?, vale a dire: Come sta? Questa domanda non si riferisce necessariamente solo allo “stato di salute corporeo-inanimato”. In alcuni casi, sì, quando lo stato di salute è vacante. Questa domanda può informarsi della situazione propriamente fattuale dell’altro. Un tale sentirsi, però, deve essere distinto da ciò che, in Sein und Zeit, viene interpretato in quanto situazione-emotiva. Quando uno chiede “come va?” non si riferisce soltanto al fatto se sente dolori ma a come vanno le cose in generale, a come va il suo essere-nel-mondo, direbbe Heidegger. Essa è l’essere-in-una-tonalità-affettiva,…  il trovarsi in una certa tonalità affettiva … determinante-tonalmente l’esserci, del suo rapporto, di volta in volta attuale, con il mondo, con il conesserci degli altri uomini e con se stesso. È connesso con tutte le relazioni che fanno di me quello che io sono, relazioni che avvengono, per esempio, in questo momento e che fanno di me quello che sono in questo momento, cosa della quale la psicoanalisi non tiene sempre conto. Questa è una questione, poi si preciserà sempre di più la sua posizione circa il disagio, potremmo dire circa la psiche, termine campato per aria. La psicoanalisi non tiene sempre e necessariamente conto di tutto ciò, immagina che ciò che la persona dice sia connessa con un’altra cosa. Certo, questo va bene, ma che questo essere connessa con quell’altra cosa sia avulsa della situazione immanente in cui la persona si sta trovando in quel momento. Come dire, adesso la faccio molto semplice, non tanto “perché stai dicendo questo?”, anche quello ma non soltanto, ma “perché lo stai dicendo qui, adesso?”. Quindi, non importa più soltanto il riferimento a un altro elemento, che può essere stato la scaturigine di ciò che sta dicendo adesso, potrebbe esserlo ma non lo sapremo mai, e comunque non importanza, perché almeno nella psicoanalisi più recente importa il fatto che comunque si sia posto un altro elemento, anche se non è la causa, è comunque una connessione, un rinvio, un rimando, ma anche e soprattutto per quanto riguarda l’analisi dell’esserci intendere perché lo sta dicendo in questo momento, cioè quali sono le relazioni che mi fanno essere quello che sono in questo momento e come determinano ciò che io sto dicendo, ciò che io sto ricordando, ciò che io sto fantasticando, ecc.

Intervento: Calcolo numerico è un gioco. Come si connette al fatto che la scienza debba produrre proposizioni vere.

Heidegger dice che a fondamento di tuto ciò c’è una ontologia ma inespressa, non saputa, ecco che cosa fa dire che questa cosa è quella che è. Certo, non posso provarlo, dimostrarlo, dicendo che questa cosa è quella che è sto dicendo niente, sto facendo un’affermazione metafisica. La scienza muove da questo perché non considera una cosa del genere, quindi non esiste, questo è questo, e bell’è fatto. Questo è ciò su cui si poggia tutta la scienza moderna, quella che, come diceva Heidegger, si basa sulla fisica.