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17 settembre 1998

 

Ultimamente stiamo discutendo intorno all’eventualità che gli assiomi, i punti fermi su cui il discorso poggia per procedere, non siano altro che le regole del discorso che si va facendo in quel caso. Si dice generalmente “io dico questo, io posso dire questo e infatti lo dico, dunque sono io a decidere ciò che dico, e quindi sono io che decido la direzione del discorso, pertanto sono io che organizzo il linguaggio secondo l’occorrenza”, mentre da tempo andiamo sostenendo qualcosa di differente e cioè che non sono io a controllare il linguaggio. Ma “io”, questo io che parla è un effetto del linguaggio, ma allora come avviene che se io dico “matita” ho deciso di dire matita anziché accendino e questa è una decisione il cui risultato è stato raggiunto? Parrebbe che sia io a controllare la cosa e non il linguaggio, come dire che non è il linguaggio che decide se io dirò matita o accendino ma sono io a deciderlo. Lungo questa linea si potrebbe giungere a considerare che il linguaggio è uno strumento dell’io o qualcosa del genere. Però, si diceva già con Cesare, pur essendo una questione molto diffusa questa di supporre che l’Io corrisponda a qualche cosa che ha una certa volontà e che decide il da farsi in una direzione oppure in un’altra, questo io di cui si parla pare essere, così di primo acchito, una costruzione del linguaggio in quanto senza tale struttura non potrei mai affermare “io faccio o non faccio” e pertanto dire che io decido una certa cosa non è altro che applicare una regola ben precisa, una regola che utilizza delle preposizioni. In questo caso la proposizione che afferma “io decido” è una proposizione che si attiene a una regola la quale stabilisce che costruendo una tale proposizione ciò che ne segue è fatto in modo tale per cui posso fare seguire a questo significante “io” altre proposizioni con dei verbi che attuano certi propositi. In effetti, la cosa potrebbe molto più semplicemente essere svolta affermando che questo io di cui sto parlando non può essere altro che una costruzione del linguaggio, cioè senza il linguaggio non potrebbe esistere in nessun modo e quindi tutto ciò che segue, sia il significante io, sia tutto ciò che questo io predica, non può essere nient’altro che una costruzione del linguaggio... (Ma anche il dire che è una costruzione del linguaggio è...) È metafisica, dilla tutta (...) La questione va presa in modo leggermente differente e cioè non chiedendosi se una tale affermazione possa essere provata ma se possa essere negata. Allora il discorso cambia perché non può essere provata, così come l’affermazione che tutti gli umani in quanto parlanti parlano non può essere provata, ma non può semplicemente essere negata perché negandola accadono una serie di problemi che bloccano tutto il procedimento. No, perché la questione del linguaggio così come la stiamo ponendo è ancora al di qua di qualunque prova o confutazione possibile. Abbiamo affermato in svariate circostanze che qualunque prova ha comunque come condizione l’esistenza del linguaggio per potere farsi e poi l’esistenza di un criterio di deduzione, ma ciò che a noi importa e a cui ci atteniamo, per proseguire questa linea direttrice, è la costruzione di proposizioni che non siano negabili in nessun modo. Ora, queste proposizioni non sono provabili come non sono confutabili, così come qualunque altra cosa ovviamente perché qualunque prova ricade in una serie infinita di aporie da cui non usciamo più, per cui non è questo il problema, quanto il fatto che non sia negabile, cioè non sia eludibile, diciamo, per cui affermare che sono costituito dal linguaggio non è negabile. Tenendo conto di tutto ciò che abbiamo detto, non è provabile, certo, ciascun criterio di prova come sappiamo benissimo richiede altri criteri di prova all’infinito, non aggiunge nulla di fatto; questo criterio di non negabilità invece è molto più maneggevole, semplice da usare, pratico, efficace e potente… (Così come quanto uno afferma “dio esiste” non è provabile però non è negabile...) Io posso negarlo benissimo, dico che invece non esiste e questa negazione ha tanta legittimità quanto quell’altra, mentre se io affermo che gli umani in quanto parlanti parlano non posso negarlo perché per farlo sono costretto a compiere ciò stesso che dico di non potere fare, e mi trovo in un blocco totale...(...) No, una negazione che possa farsi, io posso negare l’esistenza dio dicendo che non esiste, e il negare questo non crea nessun intoppo né produce nessuna aporia, né nessuno scoglio, né alcun paradosso, tutto fila liscio. Sì, posso provare che esiste, posso provare che non esiste, la questione è che questa affermazione come qualunque altra (a parte quelle che sono strettamente connesse con l’uso del linguaggio) sono negabili, cioè è sempre possibile costruire una proposizione che la nega, mentre le proposizioni strettamente connesse con il linguaggio no, perché se negano il linguaggio, con che cosa negano? (....) Che poi se volessimo stabilire come metafisica tutto ciò che riguarda la ricerca di fondamenti assoluti e imprescindibili, potremmo dire che questa metafisica è molto robusta. In effetti, ciò che la metafisica ha sempre cercato l’abbiamo trovato, è chiaro che a questo punto forse parlare di metafisica non ha molto senso né soprattutto molto interesse. È un po’ come il discorso dell’ontologia o della religione, volendo applicare le categorie che abbiamo reperite a questi aspetti, a queste nozioni, potremmo costruire una metafisica formidabile, non so quale vantaggio potremmo trarne tuttavia. Tu ne vedi uno? Ecco, stavamo dicendo? ... dell’io certo, questione che posta in questi termini può apparire molto semplice, e in effetti lo è, però se si considera che è da alcune migliaia di anni che questa questione è dibattuta in termini talvolta anche di qualche interesse, nel luogo comune poi ha una portata non indifferente, perché può risultare bizzarro che sia il linguaggio a controllare ciò che io decido, poi in definitiva risulta in questi termini la questione, da qui chiaramente le accuse di metafisica... Come si diceva tempo fa, è il linguaggio che produce se stesso: il motore immoto... il motore immoto non è altri che il linguaggio, l’abbiamo detto in varie occasioni, cioè l’unico movimento di cui possiamo dire che funziona da sé, non è mosso da altri che da sé e ha come ultimo obiettivo quello di riprodurre se stesso, nient’altro che questo. Ora, questo non comporta che ciascuno sia parlato dal linguaggio, questa affermazione non significa niente, ma ciascuno è costituito, non è altro che ciò che dice, ciò che il linguaggio man mano costruisce con gli strumenti di cui dispone... Quando lei dice “ho creato un gioco” cosa sta dicendo esattamente? (...) ecco lei mi dà il destro per precisare la questione, dicendo “io” che cosa dico esattamente? A che cosa mi riferisco? Di cosa sto parlando? (...) Un significante a cui ho attribuito una serie di elementi, ma perché a un significante siano attribuiti degli elementi occorre che ci siano delle regole che stabiliscano una cosa del genere, quindi è un gioco linguistico che mi consente di dire “io faccio” e a partire da questo gioco posso proseguire secondo una direzione stabilita. Si diceva l’altra volta che tutto ciò che costituisce le regole del gioco che si va facendo, costituisce anche quelli che sono i punti fermi su cui il discorso poggia per potere proseguire, non può uscire dalle regole del suo gioco in nessun modo, può porne altre, può inserirne altre e questo sicuramente ma all’interno di quel gioco, proprio per definizione, perché non sarebbe più quel gioco ma sarebbe un altro… (L’Io è necessario.) Diciamo che nel gioco in cui è inserito sì, ha una funzione come tutti gli elementi all’interno di un gioco linguistico, di shifters, operatori deittici, cioè quegli elementi che consentono al discorso di orientarsi in una certa direzione, dicendo io faccio...il discorso è già orientato su una certa persona che sta parlando che propone di fare certe cose... shifters li chiama Jakobson, per esempio, il differenziale dell’automobile ha la funzione di shifters, cioè cambia la direzione del moto... (La direzione del linguaggio non mi dà la possibilità dell’affermazione che il linguaggio è il soggetto.) Forse la questione è più semplice di quanto può apparire, le affermazioni che stabiliscono la non negabilità dell’esistenza del linguaggio sono affermazioni retoriche e in quanto tali sono affermazioni e così l’affermazione che pone il linguaggio come soggetto è comunque una proposizione retorica e all’interno di questa puoi affermare che il linguaggio esiste, che il linguaggio fa tutta una serie di operazioni; la legittimità è fornita dal fatto che comunque per produrre, per costruire queste proposizioni, sei in ambito retorico e in ambito retorico questa affermazione è negabile. (....) Vedi, ciò da cui siamo partiti non è propriamente una negazione ma da una domanda e cioè: che cosa ci consente di potere compiere una qualunque considerazione, una qualunque riflessione, una qualunque affermazione e negazione? L’esistenza del linguaggio. Ora, consideriamola una considerazione più che affermazione, perché affermazione può avere in effetti una connotazione molto forte e può condurre ad intoppi piuttosto seri. Dunque, muovendo da una considerazione come questa, cioè che non è possibile uscire dal linguaggio o che comunque il linguaggio è la condizione per poter parlare, ecco che questa considerazione è apparsa essere non negabile, ma non negabile in che modo? Io posso dire in effetti c’è uscita dal linguaggio, quindi avrei negato la proposizione precedente affermando la contraria; il problema è che negare una operazione del genere conduce a un paradosso insolubile perché io mi trovo a utilizzare, per compiere una certa operazione, ciò stesso che questa operazione tende a eliminare, in questo modo non lo posso fare. Però, ho inteso la questione che tu ti poni. Vediamo se si può trovare una soluzione soddisfacente... Mettiamola così, dire che il linguaggio è la condizione per qualunque operazione, compresa questa che si sta facendo adesso, è affermabile, asseribile quando si vuole ed è anche negabile, l’unico problema è che il negarla comporta un paradosso insolubile, affermarla no, posso negarla di fatto, l’abbiamo fatto, ma questa negazione del linguaggio è immediatamente sbarrata da un paradosso, che è quello che abbiamo detto prima, come dire da quella via non posso più fare niente, mi impedisce qualunque mossa, una posizione di scacco matto. Affermarlo, invece, non conduce a nessun intoppo, non c’è nessun blocco, nessun arresto delle inferenze e quindi può proseguire, come dire in questa direzione puoi andare… (Questa affermazione è comunque l’unica possibile.) Sì, perché qualunque affermazione o negazione è comunque sempre in ambito retorico... certamente non ce ne sono altre... potrebbe essere una limitazione però poi di fatto non lo è, perché in effetti ti indica la direzione in cui puoi proseguire, nell’altra no, nell’altra ti si sbarra immediatamente... (Nell’altra direzione subentra il discorso religioso…) Neanche, nel senso che è bloccata immediatamente, perché mi trovo nell’impossibilità di compiere questa affermazione, cioè non posso provare che il linguaggio non esiste, in nessun modo, se non utilizzandolo, in questo senso è un paradosso che non è solubile. In effetti, già nella Seconda Sofistica lo indicavo, per parafrasare Saddam, come  “la madre di tutti i paradossi”. Sì, è una questione importante quella che sollevate perché spesso ci si ritrova in questa sorta di oscillazione in un ambito che è logico e in un ambito che è retorico, però abbiamo precisato che parlando si è inesorabilmente in ambito retorico e comunque l’ambito logico lo si può trarre retoricamente, è ovvio, come qualcosa che è necessario che sia perché tutto il sistema retorico funzioni, se no non funziona più niente. Rispetto a ciò che andiamo dicendo, a ciò che viene utilizzato nel discorso, punto fermo chiamiamolo così provvisoriamente per potere proseguire, cioè le regole del gioco, c’è stato qualche pensiero in questi giorni? (Stavo interrogandomi sul linguaggio “metafisico”…) Sì, possiamo anche dire se vogliamo, poniamo il linguaggio come entità metafisica, l’abbiamo detto e allora? Chiaramente, si tratterebbe di riflettere un istante su questo termine metafisica, se ha qualche senso o interesse. Volendo potremmo anche forse provare che è necessario che sia, salvo confutarlo il giorno dopo. Dunque, dicevamo la volta scorsa che ciascuno, anche il luogo comune, tutto il luogo comune, perché parlando partiamo da questo, poggia su degli elementi; questi elementi non sono altro che regole o elementi tratti dalle regole del gioco che va facendo … (....) Potremmo dire che una qualunque protasi di una qualsiasi inferenza è necessariamente una regola di un gioco? (Di primo acchito sembrerebbe di sì.) Ché potremmo anche considerarlo una protasi (...) Sì e no, che ci sia una apodosi è necessario che sia, quale no, ché, muovendo da qualunque proposizione, qualunque inferenza, l’antecedente dice “se c’è qualcosa allora...”, un po’ come avviene nel sillogismo anapodittico, che caro fu agli stoici, se A allora B ma A dunque B, che è poi la forma del sillogismo più praticato fra le umane genti... (...) In un qualunque discorso la protasi stabilisce una regola del gioco; nel caso dell’esempio precedente la regola del gioco è questa, che se è buio è notte ma è buio quindi è notte, questa è l’inferenza che se ne trae ... però l’ipotesi che ciascuna protasi in ciascun discorso sia fatto delle regole del gioco che si sta facendo è suggestiva e condurrebbe a un’affermazione, che potrebbe apparire un po’ azzardata, e cioè che un qualunque discorso che si va facendo, l’unico scopo, obiettivo, intendimento, non è altro che il produrre le regole del gioco, in questione nient’altro che questo, cioè di proporle, di ripeterle all’infinito, non facendo nient’altro che questo. (…) No. se varia ... la variazione di un gioco comporta la configurazione di un altro gioco, se io cambio le regole del poker non è più il poker che tutti quanti giocano, è un’altra cosa, lo chiamo pocher con ch, ho soppresso la k magari, ma non può più farsi... (A volte delle proposizioni possono avere degli altri significati, degli altri usi, il che in base all’uso della proposizione può essere un gioco diverso…) È in base al gioco differente che la proposizione o il significante assume una connotazione differente, è diverso il significante fuoco se pronunciato da me che chiedo a uno di accendermi la sigaretta o da chi comanda un plotone di esecuzione... (È uguale ma nel contesto è diversa…) Morfologicamente uguale, sì certo. (In certe proposizioni certe parole, certi segmenti possono avere diversi significati, dipende da quale gioco è inserita.) Certo, inserendo lo stesso elemento in un altro gioco… (Sarà sempre una regola che si ripeterà all’infinito e fino a nuovo ordine.) Certo, e così funziona. Pensa alle leggi, a quando c’è un nuovo ordine e allora a seconda dei casi cambia la legge, si gioca allora un altro gioco, ma se è quello il gioco e quelle le regole allora, per definizione, deve essere fatta in quel modo se no è un altro gioco. In effetti, anche la fantascienza aveva immaginato un computer che impedisse lo spegnimento della macchina suddetta: si spegne il computer, va bene, però il computer controlla tutta la rete dell’energia elettrica in Torino, quindi non si spegne; poi un altro computer che controlla anche questo, che controlla la rete di tutta l’energia elettrica del pianeta, lo spegniamo? E poi come lo riaccendiamo, con che cosa se per esempio non c’è più corrente elettrica? Con che cosa gli diamo l’avvio? Quindi non può spegnersi mai, per nessun motivo... Nel caso del linguaggio in effetti potremmo dire che qualora si spegnesse cesserebbe di porsi il problema, non potresti neanche più proporti di spegnerlo o di riaccenderlo... (...) Sì, dipende dai giochi che si fanno, alcuni giochi hanno regole che possono essere trasgredite, sono giochi che all’interno hanno altri giochi che consentono una cosa del genere ma di fatto, se consideri la cosa in termini molto rigorosi, no, il gioco ha delle regole che non possono essere trasgredite, perché se trasgredisci queste regole cessi di potere fare quel gioco, perché sono le regole che fanno esistere quel gioco, se le togli il gioco cessa, si dissolve nel nulla. Quindi, la questione su cui merita di riflettere un istante è se effettivamente ciascun discorso in qualche modo non faccia nient’altro che ripetere all’infinito le regole di cui è fatto. Può ovviamente inserire delle altre regole, o dei nuovi giochi all’interno di un gioco, ma una volta che un gioco è stabilito… Per esempio, all’interno del poker possiamo inserire una nuova regola, come fanno gli americani che giocano con il sei, il cinque... un’aggiunta va bene... c’è questa eventualità che ciascun discorso non sia nient’altro che l’applicazione delle regole del suo gioco, nient’altro che questo. (…) Supponiamo che Roberto e io si stia giocando a poker, io ho tre assi e le altre due siano carte disparate, posso decidere se mantenermi così oppure se tentare il full, allora o sono servito oppure prendo altre due carte per vedere se mi entrano altri due re... questa decisione è possibile all’interno delle regole del gioco, certo, posso decidere una cosa oppure un’altra, questo è consentito; una cosa che invece non posso fare, per esempio, è di prendere le carte di Roberto, guardarmele e poi decidere il da farsi … questo non è consentito dalle regole del poker… (Nell’ambito del gioco sono d’accordo ma il dire che il linguaggio può ripetersi all’infinito, mi sembra allora che ci siano delle regole prestabilite, io so cosa dirò domani, dopodomani…) Perché mai? Perché dice una cosa del genere Cesare? (...) Però c’è un gioco che non può cessare di giocare che è quello del linguaggio il quale ha una possibilità infinita di combinazioni e quindi può giocare ... è come qualunque gioco, se le mosse fossero stabilite nessuno giocherebbe la seconda volta, perché si annoierebbe e invece c’è gente che gioca tutta la vita, non si stufa mai, perché ogni volta, pur essendo le regole del poker molto rigide, le combinazioni sono infinite e questo dà la possibilità di proseguire, ché ciascuna partita è sempre differente dalla precedente, e così con il linguaggio… perché le variabili, soprattutto nel linguaggio sono sterminate...(....) Ciò che stiamo dicendo è se qualunque discorso in definitiva non sia altro che una ripetizione delle regole del gioco che sta facendo, nient’altro che questo, cioè l’applicazione delle regole, tutto lì (...) Adesso diciamo che occorre rifletterci, diciamo che di primo acchito, diceva Cesare, appare insostenibile o sostenibile? (Allora quali sono le regole?) Sono le protasi di ciascuna inferenza, cioè gli antecedenti di tutte le inferenze che vengono compiute all’interno di quel gioco, questa era l’ipotesi che si stava facendo, si tratta di articolare il discorso, svolgere, hai visto mai? Cesare cosa pensa così assorto? (Se fosse così è qualcosa che ci è già dato…) Ciò che è dato è la struttura che ci consente di fare tutto questo e questo è “dato” fra virgolette, tutto il resto no. C’è una certa sinistra analogia con la religione, sì, dio ha creato il libero arbitrio (Però lui sa…) Sì, questa è una questione che in teologia forse pone qualche problema (....) Sì, c’è qualche riflessione che è in corso che possiamo saggiare? Possiamo anche fare il procedimento contrario, il linguaggio, il discorso in questo caso, potrebbe essere altro, altro da una applicazione così semplice e unica applicazione delle regole di cui è fatto che gli consente di esistere, potrebbe essere qualche altra cosa? (...) Forse ci sono aspetti un po’ più complessi che al momento ci sfuggono però riflettendoci meglio... Può affermare un discorso qualcosa che esuli dalle regole del gioco in cui si svolge? (...) Sì, l’unica possibilità è quella di poter inserire nuove regole... (...) (...) (...) Però, le cose stanno esattamente come vi ho detto e giovedì prossimo vi dirò perché... (Si ha a che fare con una struttura che tende alla riproducibilità…) Sì, certo, che si diano le regole di una procedura linguistica questo non può non darsi ma quali è un aspetto retorico, cioè di volta in volta viene stabilito, non è che si gioca soltanto a poker, si può giocare a tre sette, ecc., l’importante è giocare. Bene, ci vediamo giovedì prossimo e vi spiegherò perché le cose stanno esattamente così come vi ho detto, né più né meno....