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17 agosto 2022

 

I Presocratici di Diels-Kranz

 

Questa sera dobbiamo concludere il discorso sugli atomisti. Abbiamo terminato con Democrito, abbiamo ancora qualcosa con gli atomisti minori, i quali, di fatto, non è che aggiungano granché rispetto a ciò che ha già detto Democrito. A pag. 1483. Qui si parla di Nessa. Parmenide, Melisso fu suo allievo, e di questi fu allievo Zenone, del quale fu allievo Leucippo, di cui fu allievo Democrito, di cui furono allievi Protagora e Nessa. Di Nessa, fu scolaro Metrodoro, di cui fu scolaro Diogene, che per scolaro ebbe Anassarco, il cui allievo Pirrone guadagnò la celebrità. /…/ Anassagora udì Diogene di Smirne, il quale fu allievo di Metrodoro di Chio, che diceva di non sapere neppure questo, cioè di non sapere alcunché. Contrariamente a Socrate, il quale diceva di sapere di non sapere, lui dice: no, non so nemmeno questo, non so nemmeno di non sapere. Passiamo a Metrodoro di Chio. A pag. 1485. Metrodoro di Chio sostiene che il tutto è eterno, qualora fosse generato, lo sarebbe a partire dal non-essere. Questo perché fuori del tutto non c’è niente. Egli dice, inoltre, che il tutto è infinito, in quanto è eterno, non avendo un principio da cui sarebbe derivato, né un limite né una fine. È chiaro che se dico che il tutto deriva da qualcosa, questo vuol dire che c’è qualcosa prima del tutto. Il tutto non partecipa neppure del movimento, dato che è impossibile che si muova ciò che non muta luogo; e tale mutamento di luogo non potrebbe avvenire se non come passaggio al pieno o al vuoto. A pag. 1491. Metrodoro di Chio affermò che nessuno sa alcunché, e che, a dire il vero, quel che ci pare di conoscere non lo sappiamo con esattezza, né bisogna prestar fede alle sensazioni. Infatti, tutto è in quanto appare. /…/ Il celebre Metrodoro di Chio, che ha provato grandissima ammirazione per Democrito, all’inizio del suo scritto Sulla natura dice così: “io nego il fatto che noi sappiamo se sappiamo qualcosa oppure niente, e se non sappiamo neppure di sapere o di non sapere, e se esista qualcosa o nulla”. È la devastazione totale del sapere. A pag. 1493. Tra questi, troviamo Metrodoro di Chio e Protagora di Abdera. Metrodoro, poi, è definito allievo di Democrito, e pare aver posto quali principi il pieno e il vuoto, che corrispondono rispettivamente all’essere e al non-essere. Componendo lo scritto Sulla natura, esordì in questa maniera: “nessuno di noi sa alcunché e neppure questo, cioè se sappiamo o non sappiamo né se sappiamo o non sappiamo di sapere che cosa esiste né, in generale, se esista qualcosa oppure no”. Un simile esordio fu successivamente fonte di ispirazione negativa per Pirrone. Nel proseguimento dell’opera, Metrodoro aggiunge quanto segue: “Tutto è <tutto> ciò che si conosce”. È una questione ripresa da Democrito ed è una questione importante perché, in effetti, mostra come già da sempre gli umani abbiano avuto il sentore che non ci sia alcun senso nelle cose. Democrito diceva che tutto è costituito da atomi che si combinano tra loro e formano le cose, ma il modo in cui si combinano è totalmente casuale, non c’è nessuna legge, non c’è nulla che lo ordini; è tutto puramente casuale, quindi, imprevedibile, assolutamente accidentale, cioè, non è possibile reperire alcun principio di ragione, non c’è nessuna ragione. D’altra parte, come dargli torto? C’è qualche ragione per cui il mondo esista, tutto il sistema solare esista e noi stessi esistiamo? Assolutamente no. L’unica cosa, dice Democrito, è che occorre che esistano gli atomi, cioè, occorre che esista qualche cosa perché noi possiamo fare tutte queste considerazioni, occorre cioè che esista il linguaggio. È il linguaggio che ci consente di dire che esiste qualcosa e di interrogare questo qualcosa. Certo, è necessario che qualcosa sia, ma perché qualcosa sia è necessario che ci sia il linguaggio, solo allora c’è qualcosa, sennò non c’è nulla. Questo rende conto dell’avversione che nell’antichità ha avuto Democrito. Dicevamo la volta scorsa che Platone ha cercato tutti i suoi libri per bruciarli, ma poi gli hanno detto che oramai erano in circolazione, che non sarebbe servito a nulla bruciare quel libro quando ce ne sono mille in giro. Era una cosa che Platone non poteva assolutamente sopportare. Ponendo le cose in modo assolutamente casuale e accidentale, toglie di mezzo la figura del demiurgo, del costruttore, che per Platone era invece fondamentale: tutto è ordinato da un demiurgo. Soltanto se c’è un demiurgo possiamo dire che c’è un ordine nelle cose, sennò questo ordine da dove arriva, chi l’ha stabilito? È demiurgo colui che ordina, quindi, crea il cosmo, e il cosmo è ordine; se togliamo il demiurgo allora non c’è più nessuna possibilità di avere un ordine, quindi, un riferimento, quindi, una legge. Questo creò allora dei grossi problemi, ancora oggi, anche se in effetti la fisica moderna, quella più recente, si è accostata in qualche modo alla posizione di Democrito, per cui non c’è più l’idea che tutto sia ordinato in un qualche modo ma c’è l’eventualità che tutto si sia prodotto in modo accidentale, quindi, per niente: tutto ciò che esiste, esiste per niente. Tuttavia, per molti accogliere questo non è facile. Democrito rimane un punto fermo, è qualcosa di assolutamente differente da tutti gli altri presocratici, perché nessuno aveva posta la questione in termini così radicali, affermando che tutto sorge in modo totalmente casuale e accidentale e che non c’è nessun ordine, nessuna legge, nessun demiurgo, cioè, nessun dio. La funzione di dio è quella di mettere ordine nelle cose, crea creando ordine. Con Democrito invece no, non c’è nulla, ci sono, sì, le cose, ma in modo totalmente accidentale. L’autore di cui a questo punto ci occuperemo è Eraclito di Efeso. Siamo sempre nel V secolo a.C. Eraclito è importante, forse colui che ha raggiunto il massimo vertice del pensiero, opinione condivisa anche da Hegel, il quale diceva che tutto ciò che ha scritto nella Logica è debitore di Eraclito e di aver accolte tutte le proposizioni di Eraclito. Tra poco vedremo perché. È il massimo pensatore nel senso che è colui che per primo, e forse anche l’unico, ha inteso la simultaneità di essere e non-essere. Nessuno lo aveva fatto prima di lui e nessuno lo farà dopo di lui, se non Hegel appunto. Hegel ha ripreso Eraclito articolandolo, ma di fatto, se ci si pensa bene, né nella Fenomenologia dello spirito e neanche nella Logica va oltre quello che ha detto Eraclito; lo articola, lo elabora, lo svolge, lo rende forse per alcuni aspetti più preciso, ma non è andato oltre. E la domanda da porsi è se sia possibile andare oltre, perché Eraclito ha posto, senza saperlo naturalmente, la questione centrale del funzionamento del linguaggio, cioè la simultaneità tra il dire e ciò che il dire dice, quindi, fra un elemento e il suo negativo, perché ciò che il mio dire dice non è il mio dire, è la sua negazione. Siamo a pag. 329. Eraclito in un passo dice che tutto scorre e nulla permane, e paragonando le cose alla corrente di un fiume, dice che non si potrebbe entrare due volte nel medesimo fiume. Eraclito eliminava la quiete e la stasi dell’universo, perché quiete e stasi sono proprie dei morti; invece attribuiva movimento a tutte le cose: movimento eterno alle cose eterne, movimento corruttibile alle cose corruttibili. Ma ho saltato una cosa che volevo leggervi. A pag. 319. Le sue opinioni filosofiche erano, nel complesso, le seguenti: tutte le realtà sono costituite dal fuoco e in questo si risolvono. Tutti gli eventi accadono secondo il fato, e gli esseri sono tra loro armonizzati mediante un conflitto degli opposti. Vedremo poi che non è propriamente un conflitto degli opposti, è un’integrazione, quella che poi Hegel chiamerà Aufhebung. Tutto quanto è pieno di anime e di demoni. Ha parlato anche di tutti i processi che si costituiscono e si svolgono nell’universo, e ha detto che, in quanto a grandezza, il sole è tale e quale appare. E afferma anche: “dell’anima… che ha”, che l’opinione è un morbo sacro, disse anche che la visione inganna. Talvolta, nel suo scritto, si esprime in maniera chiara e immediatamente comprensibile… Lui era soprannominato “l’oscuro”. …in modo che anche il più ottuso possa capire facilmente e ottenere un’elevazione dell’anima. D’altra parte, la concisione e la densità del suo stile sono incomparabili. Sue dottrine particolari sono le seguenti. Il fuoco è elemento, e tutte le realtà sono una modificazione del fuoco, che nascono per condensazione e rarefazione. Ma non espone nulla in modo chiaro. Tutte le realtà, inoltre, si generano mediante gli opposti, e la totalità delle cose fluisce a guisa di un fiume. Il tutto è limitato ed è un solo cosmo. L’universo nasce dal fuoco e di nuovo si risolve nel fuoco, secondo cicli determinati, con alternanza costante, per tutta quanta l’eternità. Occorre dire che molto spesso parlavano attraverso miti, ricordiamoci che siamo sempre ventisei secoli fa. E questo avviene secondo necessità. Degli opposti, quello che conduce alla nascita si chiama guerra e conflitto, mentre quello che porta alla conflagrazione e alla risoluzione nel fuoco si chiama concordia e pace. Quindi, le cose nascono dalla guerra e dal conflitto, mentre tutto ciò che porta alla conflagrazione, alla risoluzione nel fuoco, si chiama concordia e pace. A pag. 331. Eraclito sosteneva che il fuoco periodico è il dio eterno, e che il destino è la ragione (λόγος) che produce le cose che sono, per concorso degli opposti. Eraclito diceva che tutte le cose sono secondo il destino, e che il destino è la stessa cosa che la necessità. Eraclito sosteneva la tesi che l’essenza del destino è il λόγος che si estende nella realtà del tutto. Il λόγος è praticamente la realtà del tutto. Questa realtà è il corpo etereo, seme da cui deriva generazione dell’universo e periodo stabilito secondo misura. Ma questa realtà è il λόγος. /…/ Alcune Muse ioniche e siciliane (Eraclito e Empedocle) ritennero che la cosa più sicura consiste nell’affermare che l’essere è molteplice e uno, e che è tenuto insieme dalla Contesa e dall’Amicizia. “Discordando, infatti, sempre concorda” dicono le Muse più forti, mentre quelle più miti giunsero ad ammettere che le cose sono in generale così, ma che l’universo è, in alternanza, ora uno e in Amicizia per opera di Afrodite, ora molteplice e in conflitto per opera della Contesa. Come cominciamo a vedere, la questione del conflitto, del πόλεμος, è presente continuamente. Certo, Contesa, πόλεμος, Amicizia, lui usa anche il termine φιλα, ma sono due opposti che sono simultanei. Platone fa dire a Eraclito una cosa che non dice, e cioè che ci sono momenti in cui prevale uno e momenti in cui prevale l’altro. No, Eraclito questo non l’ha mai detto, per Eraclito sono sempre simultanei, è Platone che cerca di aggiustare le cose a suo modo. A pag. 337. Pertanto, nella misura in cui partecipiamo della memoria della ragione (λόγος) siamo nella verità, ma nella misura in cui noi ci allontaniamo dalla ragione (λόγος) comune, siamo nel falso. Quindi, fin che siamo nel linguaggio siamo nella verità, quando pensiamo di essere fuori siamo nel falso. Ora, anche per queste cose nella maniera più esplicita Eraclito dichiara criterio di verità il λόγος comune, e che le cose che appaiono a tutti in comune sono degne di fede in quanto giudicate dal λόγος comune, mentre quelle che appaiono a ciascuno singolarmente sono false. Che cos’è il λόγος comune? È la chiacchiera, è il discorso comune. Quindi, il criterio di verità è il λόγος comune, la chiacchiera, è l’unico criterio. Si parte sempre e comunque dalla chiacchiera, e questo è il discorso comune, non si può non partire da lì, per cui è questo il vero, ma non tanto nel senso di criterio di verità, come vorrà poi Aristotele, ma come ciò che dobbiamo accogliere per poterlo utilizzare, per potere parlare. Invece, Aristotele voleva porlo come criterio di verità, il che è ben altra cosa. A pag. 339. Eraclito biasima il poeta Omero che scrisse: “Perisca la discordia degli dei e degli uomini”; perché se non ci fosse l’acuto e il grave non ci sarebbe armonia e se non ci fossero la femmina e il maschio non ci sarebbero esseri viventi. Dopo il verso omerico Eraclito dice infatti che tutto scomparirebbe. A parte la questione dell’armonia e dei viventi, non ci sarebbe linguaggio. Se non ci fossero questi due opposti continuamente presenti e simultanei, il linguaggio non esisterebbe, quindi, non esisterebbe nulla. Numenio loda Eraclito che rimprovera Omero perché ha augurato morte e distruzione ai mali della vita, in quanto non aveva capito che, in tal modo, era di suo gradimento che il mondo venisse distrutto, se la materia, che è causa dei mali, venisse distrutta. Non si è accorto che se togliamo questo, che lui credeva causa di distruzione… Non è causa di distruzione, è causa della vita, è causa dell’esistenza. A pag. 341. Frammenti. 1. Di questo λόγος che è sempre gli uomini sono incapaci di comprensione, né prima di aver sentito parlarne, né dopo aver sentito parlarne la prima volta; e anche se tutte le cose avvengono secondo questo λόγος, essi si mostrano inesperti, quando si cimentano in parole e in azioni, quali quelle che io presento, distinguendo ciascuna cosa secondo la propria natura, e spiegando come essa è. Ma gli altri uomini non sanno ciò che fanno da svegli, così come dimenticano ciò che fanno dormendo. 2. Perciò bisogna seguire ciò che è uguale per tutti, ossia che è comune. Infatti, ciò che è uguale per tutti coincide con ciò che è comune. Ma anche se il λόγος è uguale per tutti, la maggior parte degli uomini vive come se avesse un proprio intendimento. La chiacchiera è uguale per tutti, ciascuno nasce e vive nella chiacchiera, ma ciascuno immagina che la sua chiacchiera costituisca la propria verità. È questo ciò di cui nessuno si accorge: che quello che crede essere la propria verità, di fatto, non è che la chiacchiera comune. A pag. 343. 6. Come dice Eraclito, non solo il sole è nuovo ogni giorno, ma è sempre nuovo di continuo. 7. Se tutte le cose che sono diventassero fumo, a conoscerle sarebbero i nasi. 8. Eraclito dice che ciò che è opposto si concilia, che dalle cose in contrasto nasce l’armonia più bella, e che tutto si genera per via di contesa. Si è accorto che il linguaggio funziona così, che c’è un elemento… Molto tempo dopo Hegel parlerà di in sé e per sé, e dopo ancora de Saussure introdurrà il significante e il significato, dove ciascuno nega l’altro, sono in opposizione ma simultanei. Simultaneità qui va intesa in un modo ben preciso, che se non ci fosse un elemento non ci sarebbe neppure l’altro, necessariamente: se togliamo uno togliamo l’altro. Questo si deve intendere con simultaneità, non un essere presenti nello stesso momento… anche, sì, ma non è questo il punto. Il fatto centrale è che nella struttura del linguaggio non li posso separare, perché sarebbe come volere separare il dire da ciò che il dire dice, e come li separo? Sono la stessa cosa ma non sono la stessa cosa – ecco la questione di Eraclito – e non possono essere la stessa cosa. 10. E forse la natura agogna i contrari, e da questi e non dai simili trae l’accordo; e come per esempio ha congiunto il maschio alla femmina e non ciascuno dei due sessi al proprio simile, così ha congiunto la concordia originaria mediante i contrari e non mediante i simili. E si vede bene che anche l’arte, imitando la natura, fa questo. Infatti, l’arte della pittura, mescolando insieme i colori bianchi e neri e gialli e rossi, produce immagini in armonia con i modelli; l’arte della musica, mescolando insieme suoni acuti e gravi, lunghi e corti, realizza con voci diverse un’armonia unica;… Questo è un bell’esempio che fa dell’armonia nella musica, nel senso che mette insieme un acuto e un grave e crea un qualche cosa, ma dove non posso più distinguere l’acuto dal grave. Anche se sono distinti, infatti uno è il grave e l’altro l’acuto, nel momento in cui si fondono insieme, ciò che si produce è un’altra cosa. Ci vorranno anche qui tantissimi secoli prima che Peirce dica che tra due elementi c’è la relazione: quando due elementi sono in relazione, non sono più quei due elementi ma sono una relazione: la relazione è il terzo elemento. Ed è effettivamente questo il significato che ha anche ciò che viene affermato da Eraclito l’oscuro; congiungimenti: intero e non intero, concorde discorde, armonico disarmonico, da tutte le cose l’uno dall’uno tutte le cose. Εν πάντα εἰναι, diceva lui. 12. A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove. E anche le anime esalano dalle acque. 16. Qualcuno potrebbe forse nascondersi alla luce sensibile, ma alla luce intelligibile è impossibile nascondersi, o, come dice Eraclito: a ciò che non tramonta mai, come ci si potrebbe nascondere? Heidegger, se vi ricordate, si era soffermato a lungo su questo passo. A ciò che non tramonta mai, come ci si potrebbe nascondere? Se vogliamo dirla in modo molto spiccio: come possiamo uscire dal linguaggio? Come possiamo nasconderci al linguaggio? In che modo, con che cosa, se non con il linguaggio? A pag. 347. 17. Non comprendono queste cose molti di coloro che si imbattono in esse, e neppure le capiscono dopo che le hanno apprese, anche se credono di capirle. 18. Se uno non spera, non potrà trovare l’insperabile, perché esso è difficile da trovare e impervio. È un ricalcare la questione che poneva Hegel rispetto alla “fatica del concetto”: pensare è difficile, impegnativo e faticoso, pochi sono in grado di farlo. 20. Eraclito sembra disprezzare la nascita, quando dice: Dopo che sono nati, vogliono vivere e avere un destino di morte – o piuttosto riposare –, e lasciare dei figli, in modo che ci siano altri destini di morte. Potrebbe apparire un po’ pessimista, ma dopotutto come dargli torto? Ciascuno che nasce è condannato a morte, se io metto al mondo un figlio, condanno lui stesso a morte. 23. Gli uomini non conoscerebbero neppure il nome della Giustizia, se non ci fossero cose ingiuste. Se non ci fossero cose ingiuste: sì, certo, ma il nome Giustizia è appunto un nome. Le cose di per sé, come direbbe Democrito, non sono né giuste né ingiuste, sono niente, sono accidentali, accadono così, senza alcun motivo. E, allora, noi le ordiniamo attraverso le leggi ed ecco che allora possono diventare giuste o ingiuste. A pag. 349. Gli uomini migliori preferiscono una sola cosa a tutte le altre, ossia la gloria eterna alle cose mortali; i più, invece, amano saziarsi come le bestie. Lui chiaramente sta pensando al pensiero. Gli uomini autentici preferiscono una sola cosa, il pensiero; tutto il resto è irrilevante, sono cose da bestie, come dice lui. 32. L’Uno, l’unico sapiente, non vuole e vuole essere chiamato Zeus. Anche su questo frammento si era soffermato Heidegger. L’Uno, che mette maiuscolo, è l’unico sapiente, perché? Perché l’Uno contiene il tutto, quindi, sa tutto. Ma questo Uno che cos’è? Non è che il dire che il dire non esiste senza il ciò che il dire dice. Conosce il tutto, cioè, se sta dicendo vuol dire che è nel linguaggio, e se è nel linguaggio vuol dire che il linguaggio è presente, è qui e adesso. Questo è ciò che è sfuggito a Severino quando dice che avverrà un giorno in cui tutti gli astratti parteciperanno del concreto. Sì, ma quando? No, il tutto è già qui adesso, il concreto è già qui, sennò non esisterebbe nessun astratto. A pag. 351. 40. Il sapere molte cose non insegna a pensare in modo retto; altrimenti lo avrebbe insegnato a Esiodo, a Pitagora, e altresì a Senofane e a Ecateo. Come dire che non basta sapere molte cose se non le si fanno lavorare, se non si connettono le cose, cioè, se non ci si accorge che queste cose sono quelle che sono ma anche il contrario di ciò che sono. Quindi, l’erudizione non significa nulla, è un cumulo di cose che non significano niente. Se qualcuno non sa cosa farsene è come se non le avesse, è come se fosse totalmente ignorante. 41. Esiste una sola sapienza: riconoscere l’intelligenza che governa tutte le cose attraverso tutte le cose. Riconoscere l’intelligenza che governa: riconoscere il linguaggio, riconoscere che siamo fatti di linguaggio, questa è l’unica intelligenza. 45. I confini dell’anima non li potrai mai raggiungere, per quanto tu proceda fino in fondo nel percorrere le sue strade: così profonda è la ragione (λόγος). Quando parlano di anima, ψυχής in questo caso, loro intendevano il pensiero. I confini del pensiero non li puoi raggiungere, perché non c’è un limite al linguaggio, non c’è un limite a ciò che si può dire, a ciò che si può costruire, inventare, anche perché tutto è già compreso nel linguaggio. Questo ci richiama di nuovo a Severino: tutto è già compreso nel linguaggio ma, potrebbe dire lui, non è ancora stato detto. Sì, è così infatti, non è ancora stato detto; quindi, lui direbbe che quando tutto sarà stato detto allora ci sarà il tutto, il concreto. Non si accorge di nuovo che perché qualcosa possa essere detto occorre che il tutto sia già qui, presente: solo a questa condizione qualcosa può essere detto. 49 a. Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo. Vedete come interviene continuamente questa questione degli opposti simultanei: siamo e non siamo. Non è che adesso siamo e tra un po’ non siamo più o adesso non siamo ma saremo: siamo e non siamo. 50. Eraclito afferma che il tutto è diviso indiviso, generato ingenerato, ortale immortale, λόγος eterno, padre figlio, dio giusto, e dice: Non dando ascolto a me, ma alla ragione (λόγος), è saggio ammettere che tutto è uno. Questo è il frammento in cui c’è il famoso ἒν πάντα εἰναι. Non dando ragione a me ma alla ragione, al λόγος, cioè, non date ascolto a me, a quello che vi dico, ma prestate orecchio al linguaggio, al λόγος che è in atto, e allora riuscirete a comprendere che tutto è uno. Solo se comprenderete il linguaggio, non quello che dico io, che sono affermazioni, interessanti oppure no, ma sono comunque, direbbe Severino, degli astratti. Invece, è il concreto cui occorre pensare quando si ascolta, perché senza questo concreto non ci sarebbe l’astratto. 53. Il Conflitto (Polemos) è padre di tutte le cose e di tutte re; gli uni li ha fatti essere dei, gli alti uomini, gli uomini, gli uni schiavi e gli altri liberi. Lui metteva insieme questi due opposti per dire che è questo conflitto che c’è nell’atto di parola, che produce tutto e il suo contrario. A pag. 355. Eraclito dice: Gli uomini cadono in inganno nel conoscere le cose evidenti, come Omero, il più sapiente dei Greci. Infatti, alcuni ragazzi lo ingannarono mentre uccidevano pidocchi, dicendo: quelle cose che abbiamo visto e preso le lasciamo dietro di noi, invece quelle che non abbiamo visto e né preso le portiamo con noi. Questo per dire come sia facile cadere in inganno nel conoscere le cose più evidenti. Infatti, non è evidente che ciascuna cosa sia anche la sua negazione, che una cosa sia quella che è, che esista in quanto non è anche quella che è. È difficile, è un pensiero oscuro, come voleva lui, ma fino a un certo punto. In realtà, è oscuro se non si intende la questione del linguaggio, se lo si intende allora queste opposizioni, che lui pone continuamente, diventano evidenti, così come è evidente che il dire non è separabile da ciò che il dire dice: non li posso separare, sono la stessa cosa, ma sono distinti. 60. La via in su e la via in giù sono una sola e medesima via. Continua a fare esempi di opposizioni simultanee. Anche questo della via, che sembra una banalità, ma la via in su e la via in giù sono la stessa cosa e nello stesso tempo non sono la stessa cosa. Eppure, non sono divisibili, come posso dividerle queste due cose? Sono opposti ma indivisibili. A pag. 359. 70. Eraclito ha ritenuto in modo migliore che le opinioni degli uomini sono giocattoli di bambini. Ciò che gli uomini opinano, che credono, che pensano, tutto questo sono come i giocattoli dei bambini, cose con cui si dilettano, si baloccano, niente più di questo. 74. Non bisogna agire come figli dei nostri genitori, ossia, per dirla in maniera semplice, come abbiamo da loro imparato. Il pensiero teoretico non può, in effetti, imitare nessuno. Eraclito non imitava nessuno, non aveva “maestri”, anche se è chiaro che aveva letti tutti quanti, però, il suo pensiero aveva preso una via ben precisa che non teneva conto più di nessuno ma soltanto del suo pensiero. È facendo così che si riesce. A pag. 361. 80. Bisogna sapere che il conflitto è comune, che la giustizia è contesa, e che tutto accade per contesa e necessità. 85. Difficile è la lotta contro il desiderio, perché ciò che esso vuole lo compera a prezzo dell’anima. Questo potrebbe essere il motto della volontà di potenza. Difficile è la lotta contro il desiderio, desiderio di potere, perché ciò che esso vuole lo compera a prezzo dell’anima, anima da intendere sempre come pensiero, ψυχή come pensiero vivo. Quindi, la volontà di potenza desidera, vuole a questo prezzo: perdendo il pensiero. A pag. 363. 91. Non si può discendere due volte nel medesimo fiume, secondo Eraclito, e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato;… Tocco questo tavolo e poi lo ritocco: non è più la stessa cosa. … ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento, si disperde e di nuovo si raccoglie (anzi, non di nuovo né dopo, ma a un tempo si riunisce e si separa), viene e va. Qui lui si corregge, ma è una correzione importante: non di nuovo né dopo, ma a un tempo, cioè, simultaneamente. 93. Il signore, di cui è l’oracolo che si trova a Delfi, non dice né nasconde, ma allude. Come dire che non afferma né nega, non dice né il vero né il falso, semplicemente mostra una direzione, mostra ciò che è da pensare. Per usare le parole di Heidegger: qui c’è un problema, c’è qualcosa che deve essere pensato, e, quindi, pensatelo. A pag. 365. 102. Tutte le cose per la divinità sono belle, buone e giuste; invece gli uomini hanno considerato alcune cose ingiuste e altre giuste. Qui c’è di nuovo Democrito: le cose sono niente finché noi non stabiliamo un ordine, finché non le ordiniamo attraverso le nostre leggi. Le leggi servono a dare ordine. 103. Nella circonferenza del cerchio il principio e la fine coincidono. Non sono esempi buttati lì a caso, ma è un cercare in tutti i modi di dare un’idea della simultaneità, quella che poi nel Medioevo chiameranno coincidentia oppositorum, la coincidenza degli opposti. Questa coincidenza è una simultaneità, che non può togliersi in nessun modo. A pag. 367. 108. Detto di Eraclito: Nessuno di tutti coloro di cui ho sentito discorsi giunge a riconoscere che la sapienza è ben distinta da tutte le altre cose. Certo, la sapienza, ma occorre intendersi sulla sapienza. L’ha detto prima, la sapienza non è avere imparate tante cose che non servono a nulla; la sapienza, potremmo dire oggi, è il pensiero teoretico, cioè, un pensiero che pensa se stesso, che pensa alle proprie condizioni, pensa a ciò che consente al pensiero di pensare. Gentile ci è andato abbastanza vicino. 112. L’essere sapienti è la virtù più grande: e la sapienza è dire il vero e agire dando ascolto alla natura. Dando ascolto alla natura, cioè, all’essere. Anche qui, certo, può apparire sibillino, L’essere sapienti è la virtù più grande: e la sapienza è dire il vero e agire dando ascolto alla natura, però, se lo si intende in un altro modo, diventa interessante. L’essere sapienti, sì, certo, è la virtù più grande, perché è dire il vero e dire il vero significa dire in concordanza con il funzionamento del linguaggio. Lui ha detto in più occasioni che è il λόγος il tutto, quindi, dire il vero è dire in concordanza con il tutto, ché il tutto non può essere falso, e il λόγος, essendo il tutto, è il vero; quindi, non si può non dire il vero. A pag. 369. 116. A tutti gli uomini è data possibilità di conoscere se stessi ed essere saggi. 119. Eraclito dice il demone per l’uomo è il suo carattere morale. Δαιμων in greco antico è sia il demone che il dio. Il demone come ciò che spinge, ciò che muove, è il suo carattere morale è ciò che crede, ciò che pensa, e ciò che crede e ciò che pensa è sempre comunque – questo Eraclito non poteva saperlo – progettato verso la volontà di potenza, verso il potere. A pag. 375. Tutte le cose sono le medesime e non le medesime: luce per Zeus e tenebra per Ade, luce per Ade e tenebra per Zeus: quelle cose si spostano qua e queste là; in ogni stagione e in ogni luogo, quelle svolgono le funzioni di queste e queste le funzioni di quelle. Gli uomini non hanno conoscenza di quello che fanno, e credono di conoscere quello che non fanno. A pag. 387. (23) la grammatica ha le seguenti caratteristiche combinazioni di figure (lettere), che sono segno indicatori della voce umana; capacità di ricordare cose passate, di indicare cose da compiere. Mediante sette figure (vocali) si ha la conoscenza. L’uomo compie queste stesse cose, sia l’uomo che conosce le lettere sia quello che non le conosce. Mediante sette figure si hanno anche le sensazioni per l’uomo: l’udire per i suoni, la vista per le cose che sono visibili, le narici per gli odori, la lingua per i gusti gradevoli e per quelli sgradevoli, la bocca per il linguaggio, il corpo per il tatto, per il fiato freddo e per quello caldo ci son due passaggi verso fuori e verso dentro. Gli uomini hanno conoscenza per mezzo di tali cose. Hanno conoscenza per mezzo delle lettere del linguaggio. È soltanto perché abbiamo il linguaggio che è possibile la conoscenza. /…/ Quando gli uomini vanno al mercato fanno le stesse cose: ingannano, sia quando vendono sia quando comprano, ed è ammirato chi inganna più di tutti. Quando bevono e si abbandonano alla follia, fanno le stesse cose. Corrono, lottano, combattono, rubano, ingannano, e uno solo fra tutti viene giudicato. L’arte dell’attore inganna coloro che lo sanno: altre cose dicono e altre pensano. Le medesime persone entrano ed escono di scena, e sono e non sono le stesse persone. Anche all’uomo succede di dire una cosa e di farne un’altra, e anche di essere se stesso e di non essere se stesso, e ora di avere un’opinione e ora un’altra. In tal modo, tutte le arti partecipano della natura umana. /…/ (9) Il principio di tutte le cose è uno, il termine di tutte le cose è uno, e lo stesso è il principio e il termine. (24) Il grande principio giunge fio alla parte estrema, dalla parte estrema giunge al grande principio: una sola natura essere e non-essere. Non fa che ripetere all’infinito questa cosa che, a suo parere, giustamente, è la questione centrale. A pag. 391. Intorno alla lira / che accorda / tutta il bel figlio di Zeus, Apollo, il principio e la fine / ha congiunto, e ha come plettro splendente la luce del sole. / …di tutte le cose il tempo / è l’ultimo e il primo, e in sé ha tutte le cose / ed è uno e non è: sempre va via da ciò che è / ed è presente, identico a se stesso, sulla via opposta. / il domani per noi è ieri, e ieri il domani. Non fa che insistere sempre su questa cosa, che per lui è quella fondamentale.