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17-7-2013

 

Intervento: nell’ultimo incontro diceva che ciò che differenzia gli umani da una macchina è la fantasia di potere perché gli umani sono questa fantasia e questa fantasia è ciò che viene trasmessa da umano a umano, come se questa fantasia di potere avesse la necessità a iterare il sistema, si trasmette con le prime informazioni che danno l’avvio alla pensabilità… gli umani sono addestrati al potere che avranno sulle “cose” man mano che continuano a ricevere informazioni per via della necessità del riconoscimento…

È una questione importante questa, che connette la questione del significato e del funzionamento del linguaggio con la necessità di affermare qualcosa e quindi imporlo, in prima istanza nella catena stessa, prima di imporlo a qualcun altro. Si tratta di considerare che il linguaggio muove per affermazioni, ogni affermazione che interviene sancisce la conclusione di una sequenza; una sequenza viene conclusa per avviarne un’altra naturalmente, ma nel momento in cui si conclude questa sequenza qualcosa si stabilisce. Questo ha degli effetti, tanto nella combinatoria in cui tale conclusione interviene che nel discorso in cui è intervenuta la conclusione che produrrà poi come effetto, il più delle volte, quella cosa che si chiama agire, comportarsi, fare, eccetera. Mi stavo interrogando sulla connessione tra il significato e una affermazione, partendo dall’idea, per il momento ancora un’ipotesi da valutare, che il linguaggio effettivamente sia una sequenza di significati, però qui con significato occorre intendere non soltanto l’uso che si fa di un certo elemento, come diceva Wittgenstein, non soltanto l’uso ma anche la sua utilizzabilità. Perché un elemento linguistico possa essere un significato, e se è un elemento linguistico è un significato, occorre che sia utilizzabile, per essere utilizzabile occorre che sia riconosciuto dal sistema in cui è inserito come un qualcosa, per il momento che cosa esattamente è irrilevante, però è un qualche cosa cioè è un elemento, un ente, un quid. Come accade che un qualche cosa sia riconosciuto da un sistema come un qualche cosa? E qui interviene un discorso che abbiamo fatto altre volte intorno al funzionamento di una macchina; perché una macchina possa riconoscere una certa cosa come una certa cosa deve avere un’istruzione che gli consenta di farlo, come è fatta questa istruzione? È semplice, è fatta di un rinvio, cioè l’istruzione dice: “quando incontri una cosa fatta in un certo modo allora se è fatta in quel certo modo allora questa cosa rinvia ad un’altra”, e cioè una macchina è addestrata, programmata, a riconoscere un elemento come tale se questo qualcosa rinvia a un’altra cosa. Questa istruzione consente agli umani ma anche alle macchine di “sapere”, mettiamolo tra virgolette per il momento, “sapere” che qualche cosa è un qualche cosa per il fatto che questo qualche cosa rinvii o possa rinviare a un altro elemento, come dire che è un elemento sincategorematico, cioè un elemento che significa in relazione a altri elementi. Si può considerare che all’interno di un sistema qualunque elemento possa essere considerato sincategorematico, e cioè come un elemento che è tale perché in connessione con altri. Abbiamo detto varie volte che un elemento linguistico, una parola, un significante, isolato da tutti gli altri significanti è nulla perché non rinvia a nulla, e questo è importante, cioè il fatto che sia nulla perché non rinvia a nulla. Già De Saussure l’aveva inteso quando parlava sia del significante che del significato come elementi che esistono perché stanno in un rapporto differenziale, il significante con tutti gli altri significanti, il significato con tutti gli altri significati. Dunque è questa la questione che mi interessa porre, e cioè il fatto che un elemento viene riconosciuto dal sistema perché questo elemento è già, per così dire in connessione con altri elementi. Dire che nel momento in cui viene inserito un elemento, questo elemento è già connesso con altri è come dire che è nel momento in cui il linguaggio viene trasmesso da un umano a un altro, oppure da una macchina a un’altra macchina che è la stessa cosa, trasmettendo le informazioni e le istruzioni trasmette anche la necessità che un elemento sia tale, cioè è un elemento linguistico, se e soltanto se è in connessione con altri elementi linguistici. Già altri l’hanno rilevato molto tempo prima di noi, però qui c’è un aspetto in più che ci interessa perché ci fa intendere che, come già abbiamo detto anni fa però adesso possiamo dirlo in modo più preciso, perché un elemento sia un elemento linguistico, e se è un elemento è un elemento linguistico, se no non sarebbe nulla, occorre che sia un significato, non che abbia un significato, ma che lo sia, e cioè che sia già connesso con altri elementi linguistici. Per questo sarà molto importante la connessione che tu farai Eleonora nella tua tesi fra la filosofia analitica e la semiotica, perché per esempio nella filosofia analitica una proposizione è analitica unicamente per il significato dei singoli elementi; nella tradizione analitica si considera questo, se è vera solo per il significato dei singoli elementi non per le loro connessioni allora è una proposizione analitica vera. La filosofia analitica si occupa di concetti come il vero, il significato, la significazione, la relazione eccetera la relazione tra elementi, condizione di verità tra elementi eccetera mentre la filosofia continentale no, o non propriamente, non ha comunque questo come suo obiettivo principale mentre quella analitica sì. La filosofia analitica si occupa per dirla in una parola, delle condizioni di verità delle proposizioni. A questo punto la questione del significato cambia notevolmente rispetto tanto a quanto ne dice la semiotica che a quanto ne dice la filosofia analitica, perché? Perché questo elemento che interviene, che viene riconosciuto perché connesso con altri, è un’informazione, e per essere un’informazione deve dire delle cose, perché queste cose possano dirsi, devono potere dirsi e quindi dicendosi sono altre cose, sono altre parole che intervengono. Un elemento deve essere necessariamente connesso con un altro elemento, almeno con il suo significato, ma se abbiamo appena detto che un elemento non ha un significato ma è un significato, allora stiamo dicendo che un significato è tale perché connesso con altri significati inesorabilmente. Per questo ho posto il linguaggio come una connessione, una rete di significati legati fra loro da particelle logiche, ma questa rete di significati è tale perché ciascun elemento, proprio in quanto è un significato è un rinvio; un significato è un rinvio, né più né men. Tutto questo ci induce a riflettere meglio sul funzionamento del linguaggio, su questa rete di elementi che è una rete particolare, dove ciascun elemento deve essere individuato per essere utilizzato, cioè deve essere quello che è, ma cosa diciamo dicendo che è quello che è? Che è isolato dagli altri? Ovviamente no, non può essere isolato dagli altri, se una parola la isoliamo da tutte le altre possibili e immaginabili non è più niente, è un suono che non dice nulla, una parola per potere essere utilizzata si deve individuare, ma come? Se è connessa con tutti gli altri elementi appare contraddittorio, o si individua, cioè è quello che è e non altro da sé, principio di non contraddizione, oppure è altro da sé, ma se è altro da sé non è più individuabile, non è più isolabile, non è più utilizzabile. Come risolviamo la questione? Come hanno fatto con le macchine? Perché il problema si è posto, in realtà non si è posto perché l’hanno aggirato, ma si sarebbe anche potuto porre, e cioè un elemento viene individuato perché qualcuno dice che è quello. Il problema, cioè l’apparente contraddizione, sorge se si suppone che l’elemento sia quello che è per virtù propria, allora si crea il problema perché se è quello che è allora non può essere il prodotto di una rete differenziale con altri elementi ma deve essere quello che è ontologicamente, ma un re di fiori è quello che è ontologicamente o perché qualcuno ha deciso che è quello e tanto basta? La stessa cosa vale per il significato, se io decido che un certo significato vale una certa cosa, va benissimo, anche perché è così che funziona, ma dicendo che quel significato è quella certa cosa, anche soltanto affermando questo, o dando questo ordine “tu sei questo,” per esempio, mettiamo che tu dia un ordine a una carta da gioco “tu sei, e sarai un re di fiori” fino alla fine dei tempi e la carta obbedisce e sarà un re di fiori e si comporta da re di fiori, ma dando questo comando, per il solo fatto che hai potuto pensare di dare questo comando, è perché questo comando è inserito all’interno di un sistema, è all’interno di un sistema che tu decidi che una certa cosa è quella cosa, è una decisione, e va benissimo, decisione che non potrebbe mai prendersi se non ci fosse appunto una rete di connessioni, cioè un sistema linguistico entro il quale questo comando viene dato e all’occorrenza eseguito per esempio. Molte macchine hanno dei comandi vocali, però se io do un comando vocale a questo orologio qua che funziona ancora con la molla, se io do un comando vocale non succede niente, come mai non obbedisce? Non lo può fare perché la sua struttura non è stata inserita all’interno di un sistema come quello di un calcolatore che prevede la possibilità di rispondere, di reagire a certe situazioni, che sono state programmate naturalmente, dandogli delle informazioni, così come sono stati costruiti i calcolatori, cioè bisogna fornirgli delle istruzioni cioè dirgli che cosa deve fare. Gli umani sono già predisposti a questa cosa, se no probabilmente non sarebbe mai accaduto niente, però predisposti nel senso che hanno già un sistema di circuiti e interruttori che permette di funzionare in un certo modo, le macchine non ce l’hanno, si è dovuto metterglieli dentro. Ma la questione centrale è quella della connessione, della rete di connessioni fra elementi, potremmo dire di cui è fatto il linguaggio, ma che è linguaggio propriamente. Il linguaggio è questo: è una rete di connessioni tra elementi, ma questi elementi devono rispondere a certi requisiti e cioè devono essere connessi con altri elementi, quindi deve esserci la possibilità di connettere un elemento con un altro. Quando si trasmette il linguaggio si dice utilizzando la copula, “questo è questo” dicendo questo è questo, che è la forma più semplice di informazione, è una tautologia semplice, non presenta nessun problema affermare questo, ma dicendo in questo modo, dicendo “questo è questo” stiamo dicendo che “questo” rinvia a “questo”, nel caso specifico rinvia a se stesso, ma necessariamente anche se è se stesso deve rinviare almeno a se stesso. Sto dicendo che anche quando uno afferma che questo è questo, dice che questo rinvia a questo, che è sempre lo stesso, ma comunque rinvia, e questa è la prima modalità con cui viene trasmessa la necessità che ciascun elemento, per essere un elemento, deve essere connesso con altri, se no è niente anzi, se no non è mai stato niente, né sarà mai niente. Quando si parla di significato, si parla necessariamente di rinvii, e un significato non ha propriamente un suo significato, cioè il significato del significato è una domanda che non ha nessun senso, perché il significato è quello che la struttura del discorso in cui è inserita decide che sia, oppure che è stata trasmessa, il significato avviene per trasmissione, non c’è un motivo per cui una certa cosa è un significato o ha un particolare significato. Possiamo anche dire come fanno spesso i logici “il significato di una proposizione analitica è il criterio della sua verificazione” oppure possiamo dire “ il significato è l’uso di un certo termine” oppure “il significato di una parola è il riferimento all’oggetto a cui la parola si riferisce”, tutto queste storie non significano nulla, e non hanno nessun interesse perché non tengono conto della cosa più semplice, e cioè che questi significati sono soltanto delle istruzioni, dei comandi, come dire che quella carta è il 10 di fiori, posso verificare che è il 10 di fiori? Posso anche costruire una teoria che verifica che è il 10 di fiori, se ho voglia di farlo e se ho tempo da perdere, ma dopo che ho fatto questo non sono andato molto lontano perché il 10 di fiori rimarrà sempre una decisione. Porre il significato come una istruzione è stato un passo notevole perché sbarazza di tutta la teoria del significato in effetti, la teoria del significato che cerca di comprendere che cosa sia effettivamente un significato o, come la semiotica, che cosa produca del significato. La filosofia analitica, meno quella continentale, si è data da fare per definire che cos’è il significato, che è una questione cruciale dove si analizzano le questioni, perché se non so qual è il significato di un certo elemento non vado da nessuna parte, per questo si sono chiesti: “qual è il significato del significato?”, o “come si definisce un significato?” perché se non so qual è un significato ciò che dirò manterrà questa stessa incertezza e vaghezza originaria. Come diceva Peirce da qualche parte “per essere sicuri di qualche cosa basta essere sufficientemente vaghi”, quando si è abbastanza vaghi si può essere sicuri perché non si intende la questione e quindi non c’è nessun problema. La posizione che per qualche verso è più prossima a ciò che andiamo dicendo da qualche tempo è, fra le varie, quella formalista, per esempio quella di Hilbert, e cioè quella posizione che considera che la logica sia soltanto un gioco fatto di variabili e di connettivi, ma un gioco, dove io decido quali variabili mettere, stabilisco io quale gioco fare, mi creo i miei assiomi e mi faccio i miei teoremi, che non significano niente fuori dal gioco stesso, per questo dicevo che è la posizione più vicina. Però in Hilbert questo vale unicamente per la logica, in particolare quella matematica. Nei discorsi, nel racconto, nelle varie storie, le cose appaiono più complesse e allora ecco la domanda fatidica: “la stella della sera e la stella del mattino” hanno lo stesso riferimento ma hanno un significato diverso, se dico “stella del mattino” intendo quella che c’è al mattino, se dico “stella della sera” intendo quella della sera però si riferiscono alla stessa cosa cioè quella stella che gli astronomi chiamano Sirio. Da qui parte tutta la teoria del riferimento di cui dovrai occuparti in particolare Lewis, Linsky eccetera e cioè come accade, in che modo una parola si riferisca all’oggetto al quale si riferisce, di che tipo di relazione si tratta? Non è una questione di così grande interesse però ci hanno lavorato in parecchi, sempre presupponendo che il significato sia tale, da bravi realisti, perché si riferisce a una cosa, ma siamo sicuri che si riferisce a una cosa? Per esempio nella logica formale no, se io parlo di una sfera cubica questa locuzione ha un significato? Per alcuni no, perché è un controsenso, quindi non ha nessun significato, però ciascuno dei due elementi ha un significato, come dire che due significati messi insieme producono una sequenza che non ha nessun significato, è possibile una cosa del genere? Qui ci sarebbe tutta una disquisizione intorno all’intenzionalità, per esempio il significato di questa locuzione di cerchio quadrato mettiamola più semplice, un cerchio quadrato può avere un’intenzionalità particolare cioè dimostrare una impossibilità, come gli oggetti impossibili di Meinong, sono oggetti che pure intervengono nella parola ma non hanno nessuna possibilità di esistenza, apparentemente, il cerchio quadrato appare come una contraddizione in termini, se è un cerchio non è quadrato. Intervento: questo perché lo vogliono riferire a qualcosa… non riusciamo a riferire a un’immagine. Hai detto bene, perché ci riferiamo comunque a dei significati che noi diamo per buoni e per acquisiti, solo a condizione che abbiamo stabiliti dei significati, che abbiamo acquisiti e che utilizziamo, a questa condizione, raffrontati a questi significati è auto contraddittorio, se no, no. Il fatto è che questi significati che ci servono da parametro sono dati come significati che si riferiscono a qualcosa che è quella ontologia semantica che stabilisce che esiste ciò che per esempio è verificabile, esiste solo ciò di cui è possibile costruire una prova.