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17-6-2009

 

Il metodo psicanalitico consente di interrogare le cose in modo tale da svolgerle fino alle estreme conseguenze, vi faccio un esempio visto che sono sempre cari gli esempi, a me non piacciono molto gli esempi, preferisco l’astrazione pura però supponiamo che io affermi che l’esistenza abbia un senso, supponiamo che faccia questa affermazione, è un’affermazione abbastanza comune, molte persone sarebbero disposte a sottoscriverla e per molte persone è un dato di fatto, che cosa accade se applichiamo il metodo psicanalitico? Accade questo: innanzi tutto ciascuno dei termini che viene utilizzato non va da sé e c’è a questo punto anche la consapevolezza che la scelta di una definizione di ciascuno di questi elementi sarà tutt’altro che indifferente rispetto ai risultati dell’elaborazione, per esempio se io definisco il senso in un certo modo allora questa considerazione che la vita ha un senso avrà una certa direzione, se io definisco il senso in un altro modo avrà un’altra direzione e quindi sono consapevole del fatto che il modo in cui io deciderò che cos’è il senso deciderà anche di ciò che concluderò per esempio. Quando si pone una affermazione la prima domanda che viene quasi automatica è: perché? Cioè perché mi trovo ad affermare una cosa del genere? E i motivi per cui una persona afferma una cosa del genere possono essere molti, o perché l’ha sentito dire, perché lo ha letto da qualche parte ed è da parte di una persona autorevole, perché ritiene in cuor suo che se ogni effetto ha una causa e ogni causa ha un effetto allora anche l’esistenza avrà una causa e un effetto oppure ancora che le cose si configurano sempre in un certo modo da che mondo è mondo e quindi c’è come una sorta di direzione in tutto ciò, e sono le risposte più comuni in effetti. La questione è che ciascuna di queste risposte merita di essere presa in considerazione. Supponiamo che io affermi che l’esistenza ha sicuramente un senso. Ci sono delle possibilità che io sappia sostenere questa affermazione, che non sia solo così un ghiribizzo, e come si sostiene un’affermazione? Questo potrebbe non essere semplice, non è semplice nel momento in cui questa affermazione viene messa al vaglio, abbiamo detto prima “perché per esempio l’esistenza deve avere un senso?” da dove viene quest’altra affermazione? Ha un motivo? E di nuovo siamo al punto di partenza anche perché quando una persona crede qualche cosa o ha un’intuizione o suppone di averla da quel momento in poi tutto ciò che osserva, che vede, che incontra andrà inesorabilmente a confermare ciò che crede, questo è abbastanza comune, per cui qualunque cosa vedrà la indurrà a pensare “quindi ecco è proprio così”, ma la domanda principale è perché dovrebbe essere così? Ieri ho fatto un accenno molto breve ma adesso vediamo di precisarlo. Cos’è il senso? Ciascuno naturalmente può fornire una definizione, ne sono state fornite tantissime come potete immaginare da linguisti, da filosofi, da logici, ognuno ha proposto la sua definizione, la questione però può andare oltre e cioè che cosa ho fatto esattamente quando ho fornito una definizione? Certo la metafisica si sbarazza di domande del genere perché suppone che questo elemento, qualunque esso sia, stia da qualche parte e non resti che individuarlo, trovarlo e una volta trovato coglierlo in tutte le proprietà e quindi dare una definizione appropriata, ma supporre che un elemento stia da qualche parte di fatto non è sostenibile né provabile, lo si può pensare, oppure si affronta la questione in termini più radicali e vale a dire che la definizione di un termine comporta la costruzione di altre proposizioni e queste proposizioni a un certo punto vengono accolte come definizioni e da quel momento in poi quella cosa sarà ciò che la definizione ha stabilito che sia. Il processo a questo punto diventa quasi un automatismo, ogni volta che interviene il termine “senso” quella persona è indotta a considerarlo in un certo modo e quindi a immaginare che il senso esista, che sia una certa cosa anche se difficilmente sa dire che cosa sia e questa certa cosa viene adoperata, come dire che sa usare questa parola, cioè sa metterla al posto giusto quando occorre. Una elaborazione teorica non può fermarsi qui, deve procedere, è il suo compito, non può non farlo e quindi di fronte a questo termine “senso” per esempio, dopo avere elaborato tutto ciò che ovviamente è stato detto intorno a questa nozione da filosofi, linguisti, filosofi del linguaggio, logici etc. considera più attentamente la questione, vale a dire si chiede ed esige una risposta “che cosa ho fatto quando ho dato una definizione di senso?” certo ho costruito proposizioni, ma soltanto questo? O c’è dell’altro? Se c’è dell’altro che cos’è? E questa è una domanda fatidica perché a parte una costruzione di proposizioni di fatto non c’è nient’altro, sequenze di proposizioni, potremmo dirla con Wittgenstein: atti linguistici. Utili naturalmente, perché se definisco il senso per esempio come una direzione, come la direzione che prende il discorso allora lo considererò in un certo modo, se lo considero come il significato ultimo delle cose la direzione sarà differente, ma c’è un modo ultimo per considerarlo? Cioè necessario? Oppure no? Se sì, quale? Non c’è naturalmente nessun modo che non possa essere confutato, o a fronte del quale non possa essere messa un’altra definizione altrettanto legittima, ci si trova a questo punto di fronte a un termine che si espande quasi all’infinito e allora si incomincia a pensare che questo termine di fatto non abbia un’unica definizione, ma più propriamente che a questo termine sia possibile attribuire qualunque definizione, qualunque definizione utilizzabile, ma il senso di per sé non c’è se non in queste innumerevoli definizioni ed è a questo punto che in ambito teorico si incomincia ad andare più cauti nell’affermare certe cose, per esempio: l’esistenza ha un senso? Bene, cioè “ha” che cosa esattamente? Visto che qualunque definizione dia di senso in ogni caso sarà sempre arbitraria. Allora dicevo, la domanda a questo punto è ferrea, non ammette più deroghe, cioè che cosa ho fatto dicendo che l’esistenza ha un senso? Cioè ha che cosa, esattamente? Qui si apre come una sorta di voragine, naturalmente la stessa sorte seguirà al termine esistenza è ovvio, il problema non è tanto che a questo punto ogni cosa scompare, svanisce in una sorta di esplosione inarrestabile, ma molto più semplicemente si constata, si incomincia a considerare il funzionamento di ciò che chiamiamo linguaggio, d’altra parte qualunque definizione io dia di esistenza, per esempio, questa definizione procede da che cosa? Da ciò che io credo, da ciò che ho imparato, da ciò che mi pare in definitiva, dai miei pensieri, certo posso anche immaginare che l’esistenza esista di per sé, molti lo fanno ma il problema sorge quando si pone la domanda circa l’esistenza, e cioè che cosa significa che “esiste”? Significa ciò che io voglio che significhi naturalmente e questo per qualunque altro termine, qui può avvenire una sorta di smarrimento di fronte all’impossibilità di fermare alcunché, di fronte al proliferare, come diceva tanti anni fa un semiologo, tale Hjelmslev, questa infinita proliferazione di semiotiche cioè di segni che rinviano ad altri segni senza possibilità di arrestarsi da nessuna parte. Certo, è così in effetti, qualunque cosa non può che rinviare ad altro inesorabilmente e questo la mette in una condizione tale da non potere avere il suo significato, se non un significato che viene attribuito ma in quanto decisione, cioè io decido che quella certa cosa significhi questo, ma in modo del tutto arbitrario e consapevolmente arbitrario. Questo smarrimento cessa rapidamente di fronte alla ineluttabile considerazione che questo è il funzionamento del linguaggio e cioè di quella stessa cosa che mi ha consentito di fare tutti questi pensieri ,e allora mi soffermo sul significato: se nessun elemento ha un significato tuttavia viene utilizzato continuamente a questo punto la questione può essere risolta facilmente nel senso che attribuisco al termine significato questo, e cioè il fatto di essere un elemento linguistico, se è un elemento linguistico è un significato cioè è utilizzabile. Naturalmente questa definizione procede da una decisione, non è necessaria, però questa decisione si attiene a qualche cosa che incomincia a essere prossima al funzionamento del linguaggio e cioè di ciò stesso che mi sta consentendo in questo istante di fare queste considerazioni. A questo punto è inevitabile una considerazione sulla struttura della considerazione stessa, come dicevamo brevemente anche ieri sera, e cioè come faccio a pensare? Non è difficile rispondere a questa domanda, è ovvio che muovo da qualche cosa che all’interno del mio discorso viene stabilito come premessa, attraverso dei passaggi giungo a una conclusione, è molto semplice, il problema sta nella premessa naturalmente, ciò che abbiamo fatto in questo momento è considerare la premessa da cui parte il mio discorso, l’esempio era dell’esistenza che ha un senso per esempio, in questo caso ci sono delle premesse se non addirittura l’esistenza stessa come premessa generale, cioè la certezza che l’esistenza sia da qualche parte, quello che abbiamo fatto in questi pochi minuti è interrogare la premessa da cui siamo partiti e ci siamo accorti che la premessa da cui siamo partiti non è sostenibile, cosa significa questo? Che dobbiamo abbandonarla? Non necessariamente, la abbandoniamo come certezza, cioè come credenza, non crediamo più che sia così necessariamente, ma questo non significa che non l’usiamo più naturalmente, possiamo usarla ma con tutt’altra consapevolezza, o se preferite con minore ingenuità che è esattamente ciò che avviene in una analisi dove la persona si trova ad affrontare quelle cose che ritiene talmente certe da non dovere in nessun modo essere messe in discussione, chi metterebbe in discussione l’esistenza stessa? E soprattutto perché mai? Se non fosse spinto da un’inarrestabile, inesorabile ricerca teorica che lo costringe invece a chiedere conto di tutto, cioè non da per acquisito, per certo, nulla, è questa la sua chance, la sua fortuna perché nel momento stesso in cui un qualunque elemento viene dato per acquisito, per certo e cioè fuori dal linguaggio, e non inserito quindi il suo senso all’interno di una combinazione linguistica, da quel momento in poi tutto ciò che seguirà sarà vincolato a questa superstizione inesorabilmente. Prendete un qualunque testo teorico, nelle prime tre pagine generalmente ci sono tutte le asserzioni sulle quali verrà sostenuto tutto ciò che ne seguirà, se queste asserzioni risultano essere necessarie allora è probabile che ciò che segue sarà altrettanto necessario, ma se risultano arbitrarie e cioè senza fondamento e infondabili allora al pari tutto ciò che ne seguirà sarà altrettanto arbitrario, cosa significa questo? Che non sono tenuto a credere a una cosa del genere perché è soltanto una opinione, niente di più, e un’opinione di fatto non ha nessun interesse perché  è un’ipotesi che aspetta di essere verificata, quindi deve potere cessare di essere un’opinione, se rimane un’opinione che non può in nessun modo mai essere verificata non ha nessun interesse, non più di quante ne abbia una superstizione, una credenza, spesso si sente dire “la mia opinione è questa!”, va bene e allora? Se questa opinione non ha nessuna possibilità di verificarsi che cosa la distingue da una superstizione? Molto poco, procedere dunque lungo questa via straordinaria lungo la quale si abbandonano alcune cose ma ciò che si incontra è assolutamente straordinario, si scopre un universo assolutamente inatteso, le cose che si immaginavano, che si credevano si alterano, si modificano, non sono più le stesse e non sono più le stesse perché la persona non ci crede più, non può crederci più, non può crederci più perché ha constatato, potremmo dire di persona, l’infondabilità per cui a questa cosa cessa di credere ma nel momento in cui ha appreso il funzionamento del linguaggio e cioè ha constatato che qualunque elemento linguistico ha questa prerogativa, e cioè che non esiste da qualche parte ma è preso all’interno di una combinatoria e da questa combinatoria trae il senso, allora non ha neanche più l’esigenza di svolgere qualunque cosa perché oramai conosce come funziona il meccanismo generale e cioè il linguaggio, ed è a questo punto che una qualunque cosa cessa di essere una certezza, una premessa maggiore sulla quale costruire non soltanto tutta una serie di sillogismi, ma in moltissimi casi la propria esistenza, costruita su certezze che sono fondate su niente. Da questo procedono alcune considerazioni che possono trarsi: se una persona crede in una certa cosa è probabile che difenda questa cosa perché la crede vera naturalmente, se no non la crederebbe, e la difende da chi mette in discussione questa cosa e cioè ha qualcosa da difendere: la propria verità, poi il modo in cui la difende questo varia da una persona all’altra ma in ogni caso avrà qualcosa da difendere, perché per lui non è un elemento linguistico ma un dato di fatto, la realtà delle cose, accorgersi che non è esattamente così è il primo passo ma è esattamente ciò che accade lungo l’analisi dove, sì certo, non sono magari in gioco concetti come l’esistenza, concetti fondamentali della filosofia ma concetti, e quindi premesse che la persona ha fatto proprie e che vincolano tutti i suoi pensieri, tutte le sue scelte, tutte le sue decisioni; ciascuno è pilotato dalle proprie fantasie, è inevitabile, potremmo dire che la differenza sta nel fatto che una persona se ne accorga oppure no, se se ne accorge allora sa per esempio perché si trova a fare, a pensare le cose che sta facendo o pensando, se no, no, agisce mosso da una necessità che ritiene insita nelle cose e si muoverà di conseguenza. Importante in tutto ciò è che ciò che si acquisisce mano a mano lungo questo percorso è la libertà assoluta, senza limiti, dalle proprie credenze, dalle proprie superstizioni, dalle cose che si ritengono essere vere, non c’è più la necessità di credere vero qualcosa, di appoggiarsi a qualche cosa che si spaccia per vero come qualunque teoria. Prendete la teoria di Freud, ciò che afferma è sostenibile? Se si in base a che cosa? Alle sue osservazione certo, ma le osservazioni di Eleonora sono diverse e quindi può costruire una teoria differente, tant’è che ci sono tantissime teorie psicanalitiche, ma provate ad andare oltre queste teorie psicanalitiche: Freud afferma l’esistenza dell’inconscio, supponiamo invece che io affermi che non c’è, e adesso che facciamo? Come facevano una volta con la spada nel “iudicium dei” chi vinceva era quello che aveva ragione perché dio era con lui. Anche senza arrivare a questi estremi naturalmente rimane il fatto che ciascuno, così come nelle religioni, sostiene la sua causa, la sostiene ma in realtà senza saperla sostenere e cioè non sa dire perché è esattamente così, la persona che è fortemente superstiziosa non sa dire perché se il gatto nero attraversa la strada succederà il malanno ma ci crede con una forza inverosimile, senza sapere dire perché. L’osservazione come abbiamo già detto varie volte non è un granché come criterio, però si tratta di trovarlo il criterio, e il criterio non può essere fatto di nient’altro che di ciò stesso che consente di costruire qualunque criterio, cioè la condizione stessa di qualunque criterio, cioè il linguaggio, come è fatto il linguaggio? È una struttura semplicissima, istruzioni per la costruzione di proposizioni e per sapere che cos’è necessario e cioè che cosa non può non esserci perché se non ci fosse allora non ci sarebbe né questa cosa né nessun altra, è sufficiente porsi qualche semplice domanda, per esempio, se ciascuna parola significasse simultaneamente tutte le altre sarebbe possibile parlare oppure no? La risposta è no, è ovvio, non sarebbe in nessun modo possibile quindi a questo punto abbiamo già un elemento che è necessario, cioè non può non esserci, e cioè che ciascun elemento linguistico deve essere distinguibile da ciascun altro per esempio, deve essere se stesso e deve essere differente da altri e non può essere se stesso e il contrario di sé allo stesso tempo come già Aristotele circa duemila anni fa aveva intuito, senza portare tuttavia la cosa alle estreme conseguenze. Questi non sono dei precetti morali o delle ipostasi ma semplicemente delle regole senza le quali questo gioco che si chiama linguaggio cessa di esistere, e se cessa di esistere il linguaggio cessano di esistere anche gli umani, per esempio, cessa di esistere qualunque cosa, cessa di esistere la nozione stessa di esistenza, esisterebbe lo stesso l’esistenza senza linguaggio? È una domanda che non ha nessun senso ovviamente, nessun interesse perché non ha nessuna possibile risposta …

Intervento: diceva Pascal che forse era meglio essere una cane …

Questa è un’opinione sua personalissima che io non condivido affatto, in ogni caso anche in questa occasione il fatto di affermare una cosa del genere per scherzo o sul serio comunque rende conto di qualcosa che appartiene ai suoi pensieri, che non sono affatto condivisi da chi sta parlando. Aldilà di questo rimane l’entusiasmo che a un certo punto si instaura procedendo lungo questa via, è come se tutto diventasse a un tempo straordinariamente semplice e anche complesso, ma soprattutto straordinariamente semplice, ogni cosa è prodotta da questa struttura che chiamiamo linguaggio, il linguaggio costruisce qualunque proposizione e di conseguenza qualunque domanda e così come costruisce qualunque domanda può costruire qualunque risposta, e cessa di colpo tutto ciò che per gli umani ha costituito da sempre una grande fascinazione e cioè il mistero, l’enigma, tutto ciò scompare, scompare lasciando gli umani orfani di questa cosa che non ha spiegazione e non avendo spiegazione da la possibilità di costruire tutte le spiegazioni che a uno pare opportuno costruire, toglie certo l’enigma e il mistero, ma in cambio offre una quantità sterminata di possibilità e di elementi e anche possibilità di pensiero, di pensare molto più rapidamente e in modo molto più efficace: ogni cosa diventa straordinariamente semplice, naturalmente già dall’inizio si pose “ma fuori dal linguaggio che cosa c’è?”, cosa c’è prima, cosa c’è dopo? Naturalmente per rispondere a questa domanda bisognerebbe uscire dal linguaggio e da lì considerare che cosa accade ma con che cosa lo considero? Ecco posso naturalmente fare delle congetture, il mio discorso può farlo e le ha fatte congetture infinite, ha costruito gli dei per esempio, i quali dovrebbero rispondere da lassù di ciò di cui gli umani non sono in condizione di rispondere, ma perché non sono in condizioni di rispondere? C’è un motivo e anche questo diventa molto semplice: tutto ciò che gli umani hanno costruito, per esempio, come paradossi che sono insolubili, li chiamavano appunto “insolubilia” cioè cose che non hanno soluzione in realtà a quali condizioni qualcosa non ha una possibile risposta o se ce l’ha è paradossale? Quando si immagina che questa cosa sia fuori dal linguaggio e da lì debba rispondere di sé, a questo punto incominciano a crearsi paradossi a cascata, all’infinito, se invece inserisco questa cosa lì dov’è, all’interno del linguaggio, ecco che risponde immediatamente e senza nessun problema, scompaiono anche i paradossi insieme ai misteri e agli enigmi e torno a dirvi tutto diventa straordinariamente semplice. In fondo era come l’uovo di Colombo, accorgersi di ciò che gli umani hanno sempre avuto sotto gli occhi, sotto il naso da quando esistono anzi, da quando hanno incominciato a pensarsi esistenti, e cioè quella cosa che ha consentito loro di pensarsi esistenti era così ovvio, così semplice, senza la quale cosa non si sarebbero mai potuti pensare né esistenti né nessuna altra cosa, bastava soltanto accorgersene e riflettere sul modo in cui funziona: il linguaggio deve concludere con un’affermazione vera, diciamola così in modo molto spiccio, perché soltanto una proposizione vera può proseguire tant’è che se uno incontra una proposizione che rileva essere falsa cessa di utilizzarla, vi siete mai chiesti perché? Perché è il linguaggio stesso che impedisce di utilizzarla, per la sua struttura, non è che sia proibita dalla morale sessuale civile o dal medico, semplicemente è il linguaggio che impedisce di andare in quella direzione perché è il suo funzionamento, come dicevamo altre volte, se prosegue in quella direzione chiama quella direzione vera, se non può proseguire in quella direzione perché per esempio contraddice la premessa da cui è partito chiama quella direzione falsa. Non c’è nulla di misterioso né di strano in tutto ciò ed è anche il motivo per cui gli umani cercano da sempre la verità da quando esistono, da quando c’è traccia di loro, hanno sempre cercato la verità ma non soltanto i filosofi che si sono persi dietro questo, ma ciascuno nella giornata, quotidianamente: farò bene? farò male? faccio questo? faccio quest’altro? Ciascuno vuole sapere qual è la direzione giusta, quella vera, perché? Non sarà forse per via di ciò di cui è fatto, e cioè il linguaggio, che lo “costringe” costringe tra virgolette a fare una cosa del genere? È il linguaggio che costringe a concludere con una affermazione vera sempre e comunque per potere proseguire, perché se no non può proseguire. Cercare la verità, perché? Che me ne faccio? Niente, per la volontà di sapere, perché vorrebbe sapere? Naturalmente c’è sempre l’escamotage biologica “è nella natura delle cose” risposta che naturalmente non dice assolutamente nulla. La natura delle cose ci riporta esattamente al punto da cui siamo partiti e cioè all’esistenza o a qualunque altro concetto, che cos’è la natura esattamente? È esattamente ciò io penso che sia, adesso, fra dieci minuti magari io penso un’altra cosa e quindi sarà un’altra cosa e così via per cui questi concetti perdono e anche rapidamente la loro importanza e anche la loro utilizzabilità, si abbandonano così come si abbandonano cose che non conducono da nessuna parte se non a superstizioni, a giochi che di fatto non hanno più nessun interesse e allora l’interesse si sposta sempre di più, inesorabilmente, verso quello che, facendo il verso ai linguisti, potremmo chiamare metagioco e cioè appunto il linguaggio, e questa volta per fare il verso agli informatici questo sistema operativo, sistema operativo perché è quello che fa funzionare ogni cosa e che è molto semplice in realtà. Ieri facevamo una connessione con il codice genetico il quale è una semplice istruzione, per che cosa? Certo posso dire qualunque cosa anche “perché lo voglio io” nessuno di voi potrebbe dimostrare che non è così, naturalmente non ha nessun interesse una risposta del genere. Una volta dicevano: perché dio lo vuole, ha la stessa valenza, in effetti se uno volesse potrebbe anche affermare che la psicanalisi è una scienza oppure affermare che la psicanalisi non è una scienza, basta giocare con il termine scienza. La definizione di scienza, quella più banale, più semplice è quella che indica con scientifico qualunque evento che sia riproducibile da chiunque in qualunque caso, ma perché uno dovrebbe accogliere questa definizione? Perché? Chi l’ha detto? È una decisione, si decide che con “scienza” chiamo questo, va bene, è ovvio si può giocare come dicevo prima col termine, con la definizione di scienza e piegarla a volontà e fare rientrare nella scienza qualunque cosa oppure escludere dalla scienza qualunque cosa, se per esempio la scienza deve essere un percorso assolutamente esatto, certo, occorre che gli strumenti che utilizza siano altrettanto esatti e certi e quindi non possono essere l’osservazione che non è affatto né esatta né certa e non può essere il calcolo numerico che non è fondabile su niente, e allora di cosa ci avvaliamo? Ma questo non significa che non si usino le cose naturalmente, ciascuno usa l’aspirina se ha mal di testa, ciò che sto dicendo può essere riassunto in una semplice formulazione, e cioè la differenza fra l’agire il discorso e quindi il linguaggio oppure subirlo: lo si agisce quando lo si conosce, si sa di che cosa è fatto, si sa come funziona, si sa che ciascuno muove da proprie fantasie e conosce queste fantasie e sa come funzionano oppure lo subisce, non sa nulla delle sue fantasie e scambia le sue fantasie per una verità universale, perché è sempre così per ciascuno, la fantasia è sempre un universale così come qualunque affermazione teorica si pone sempre come universale, anche quella che vorrebbe essere la più aperta e più disponibile è comunque sempre universale, è inevitabile, se no non avrebbe nessuna validità.

Volevo accennare queste cose intanto per proseguire il discorso di ieri ma non solo, proseguiremo intorno alla questione del metodo psicanalitico probabilmente per tutta l’estate quindi ne diremo ancora parecchie, intanto se qualcuno ha qualche questione sarò lieto di rispondere …

Intervento: io vorrei dire solo una cosa cioè la scienza così come è praticata nel discorso occidentale che non si è mai interrogata immagina che le cose siano naturali fuori dal linguaggio e finché le premesse saranno queste la scienza lavorerà continuamente con queste premesse e quindi non interrogandosi su che cos’è il fondamento per cui esiste la scienza cercherà all’infinito le cause per esempio della malattia senza considerare, per esempio, che se si potesse soltanto considerare che qualsiasi cosa appartiene al linguaggio e per esempio che il tumore è stato costruito dai parlanti, perché gli umani sono parlanti e in quanto parlanti possono dirsi umani, se non fosse stato costruito così come è stato costruito non avrebbe esistenza e quindi non sarebbe utilizzabile e quindi non costruirebbe tutte le storie che costruisce non potrebbe essere utilizzato e quindi non avrebbe l’esistenza di cui parlava Faioni e quindi ovviamente la scienza che non conosce il fondamento perché non l’ha mai interessata perché è sempre partita da un sapere stabilito che si basa o su dio o sulla natura ma che è sempre qualcosa di imponderabile qualcosa che l’intelligenza degli umani non potrà mai …

È un’argomentazione debole …

Intervento: una malattia è solo all’interno del linguaggio?

Andrebbe meglio articolata questa risposta. Intanto si apre una questione di straordinario interesse, e molti incominciano a occuparsi in modo serio della connessione fra la questione psichica e l’insorgenza di malattie e moltissimi anche medici incominciano ad accorgersene. Un certo George Mathé che lavora in un centro tumori vicino a Parigi a un certo punto si è accorto della notevole e straordinaria prossimità fra l’insorgenza di tumori al seno nella donna e l’abbandono della suddetta donna da parte di qualcuno al punto da indurlo ad assumere nella sua clinica degli psicanalisti, ma questo è un discorso aperto nel senso che c’è ancora tutto da considerare a questo riguardo, è un terreno totalmente inesplorato, certo di grandissimo interesse effettivamente così come è noto fino dai tempi di Aristotele che una persona triste e depressa, avvilita, si ammala più facilmente di una di ottimo umore, serena etc., perché? A questa domanda la medicina non può né sa rispondere naturalmente, eppure è una cosa antichissima, per questo dicevo che è un lavoro che sarà da fare perché di un interesse e di una portata anche notevole, però d’altra parte così come l’organismo può ammalarsi in base a dei pensieri non si capisce per quale motivo altri pensieri non lo possano sanare, per esempio …

Intervento: ma come?... se le malattie esistono per via del linguaggio? E la vecchiaia?

C’è una questione che a questo punto bisogna porre, perché si pone sempre quando si afferma che qualunque cosa appartiene al linguaggio “ma come è possibile?” certo non è così semplice …

Intervento: anche un bambino si ammala, per quello mi sembra un po’ difficile ma se fosse ben venga …

Intervento: fa parte del programma del discorso occidentale e quindi bisogna lavoraci molto sopra perché è una delle superstizioni più ancorate quella della malattia, della vita, della morte …

Affermando che qualsiasi cosa appartiene al linguaggio stiamo dicendo che se non si ponesse il linguaggio non si porrebbe tutto ciò che per gli umani esiste, per esempio per un topo esiste la malattia? No, esiste per noi, per lui anche se noi diciamo che muore a un certo punto tutto questo non c’è, non si pone, mi rendo conto che non è semplice la questione ma rimane il fatto che tutto ciò che per noi ha un senso, ha un significato, è tale perché siamo provvisti di linguaggio, altrimenti è vero che non esisterebbe neanche la morte, non esisterebbe la vita, ma non esisterebbero perché non si potrebbe considerare né l’una cosa né l’altra e a questo punto torniamo alla questione dell’esistenza: e allora la vita, la morte esisterebbero lo stesso? Questa domanda è un non senso. Posta in questi termini forse è un pochino più comprensibile, cioè non è che non esiste o esiste, ma non ha più nessuna risposta una domanda del genere, in questo senso le cose non esistono fuori dal linguaggio. Lidia ieri era agguerrita …

Intervento: il linguaggio è uno strumento a disposizione …

E se fosse qualcosa di più? Non ha mai considerato questa possibilità? Potrebbe meritare di essere presa in considerazione. In effetti è un luogo comune, per i linguisti stessi badi bene, uno strumento per descrivere qualche cosa che linguaggio non è, così la pensano, però se non fosse soltanto questo il linguaggio ma fosse qualcosa di più? Qualcosa di più prossimo a ciò che ho descritto questa sera e cioè non soltanto ciò che descrive le cose ma che le impone, c’è questa possibilità. Queste considerazioni ci hanno portati a un certo punto a volgerci verso la logica per un motivo particolare, la logica è abbastanza ferrea, non transige su alcune considerazioni, o si possono dimostrare e c’è un criterio che è ritenuto valido oppure qualunque affermazione non significa niente, e questo ci ha interessati parecchio perché anche la logica di fatto che cosa fa? Semplicemente ripete banalmente il modo in cui il linguaggio funziona: per esempio affermare che se A allora B e se B allora C allora se A allora C appare inevitabile per esempio, ma perché? Non è una cosa che è stata stabilita da qualcuno, i logici se la cavano dicendo che è il modo naturale di pensare, non vuole dire niente, è semplicemente il modo in cui funziona il linguaggio, che costringe per esempio a concludere questa sequenza nel modo in cui la conclude e cioè che se A allora C, non può farlo, non si può derogare su questo perché se potesse non concludere così allora sarebbe un grosso problema perché non si riuscirebbe più a pensare, cioè trarre conclusioni, perché le conclusioni sono fatte così e se noi togliamo di mezzo questo sistema con cosa concludiamo?

Intervento: tutto ciò che costruisce l’uomo è linguaggio, ma il temporale …

È possibile provare sia una cosa del genere sia il suo contrario, e questo è sempre un esercizio straordinario, quando una persona si trova a credere e ad affermare una certa cosa, provare a costruire un’argomentazione che provi esattamente il contrario, quando è sufficientemente abile a fare una cosa del genere, allora a quel punto sarà difficile che creda a qualche cosa perché sa sia provare che è vera e sia provare che è falsa, a quel punto non avrà più bisogno di compiere questa operazione e potrà dedicarsi ad altro ma soprattutto non crederà più in cose del genere, non ha più nessun interesse e soprattutto ancora non crederà ad altri che vogliono fargli credere una cosa qualunque, cosa che è altrettanto importante. Va bene, ci fermiamo qui per questa sera e proseguiremo mercoledì prossimo.