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M. Heidegger, Essere e Tempo

 

17 maggio 2017

 

Siamo al paragrafo 31, L’Esser-ci come comprensione, a pag. 176. Qui Heidegger incomincia a occuparsi della comprensione, che è una questione importante. Da tutto ciò che stimo leggendo, e da ciò che abbiamo letto in precedenza, risulta che la comprensione non potrà che essere il modo in cui ci si apre alle cose, non è un procedimento che avviene dopo. La comprensione è il trovarsi di fronte al manifestarsi di qualche cosa e accoglierlo, anche perché, in un certo senso, non può non accoglierlo. Potremmo dire una cosa che forse rende più semplice ciò che stiamo leggendo, e cioè: ciascun è il mondo in cui si trova. Ogni volta che, usando i suoi termini, mi prendo cura di qualcosa lo modifico, lo modifico perché la mia attenzione, il mio darmi da fare, il mio volere fare qualcosa, in qualche modo lo modifica, quindi, si modifica il mondo, ma il mondo sono io e, pertanto, modificando quella cosa modifico me stesso. Questo, in genere, viene inteso come il circolo ermeneutico, cioè, io modifico quella cosa e quella cosa modifica me che modifico quella cosa. Entro certi limiti, sì, però c’è qualche cosa di più, mostra che qualunque cosa l’Esserci, la persona, il parlante, faccia modifica il suo mondo ma modifica se stesso perché è lui questo mondo che modifica. Detto questo, Heidegger dice La situazione emotiva è una delle strutture esistenziali in cui l’essere del “Ci” si mantiene. Quando lui parla dell’essere del Ci sta indicando il fatto che il parlante è nel mondo, l’essere del Ci è questo: il parlante è nel mondo. La situazione emotiva è una delle situazioni in cui il parlante si mantiene costantemente, come se non potesse mai essere fuori da una situazione emotiva, che noi abbiamo colta come quella situazione in cui io, sì, modifico il mondo ma lo modifico per la volontà di potenza, sennò perché mai dovrei modificarlo? Si pensi alla domanda “perché gli uomini fanno cose continuamente?” o “perché parlano?”, che è la stessa cosa, perché fanno tutto ciò? Per la volontà di potenza. Questa modifica il mondo e nel modificare il mondo, cioè, nel mettere in atto la volontà di potenza, possiamo situare la situazione emotiva. La situazione emotiva è modificare il mondo, quindi, mettere in atto la volontà di potenza. Questo essere… il parlante, questo essere nel mondo. … è cooriginariamente costituito dalla comprensione. La comprensione non è qualche cosa che si aggiunge, che viene dopo, dal momento in cui io mi rapporto alle cose; no, è già lì, nell’essere nel mondo c’è già la comprensione. La comprensione è come se fosse già da sempre. Potremmo anche dire che la comprensione è l’essere nel linguaggio, perché è solo nel linguaggio che io posso rapportarmi alle cose, posso mettermi in relazione con le cose, quindi, essere una relazione. La situazione emotiva ha sempre la sua comprensione… una qualunque situazione emotiva, un qualunque modificare il mondo, ha una comprensione, cioè procede da un essere in connessione con il mondo. … anche se, magari, tende a deprimerla. Anche se, magari, tende a non accorgersene oppure a non volerlo fare, comunque, in ogni caso, c’è sempre la comprensione. Questa situazione emotiva ha sempre a che fare con la comprensione; è la situazione in cui modifico il mondo e modificare il mondo non è altro che avere il progetto, perché il progetto è modificare qualcosa, e questa cosa comporta la comprensione, e cioè l’apertura verso qualche cosa, la possibilità di aprirmi verso qualcosa. Sono tutte cose sulle quali lui insiste, adesso parlerà della possibilità, le possibilità sono quelle aperture che produce il linguaggio. Il fatto che interpretiamo la comprensione come un esistenziale fondamentale sta a significare che questo fenomeno è concepito come modo fondamentale dell’essere dell’Esserci. (pagg. 176-177) Quando lui parla di esistenziale, anziché di categoriale, sta dicendo che non è qualche cosa come le categorie che si aggiunge ma come un qualche cosa che è strutturale, anche se lui non usa questo termine, ma che non può non esserci in qualunque operare della persona. Invece la “comprensione” nel senso di un possibile modo di conoscere fra altri, distinto, ad esempio, dallo “spiegare”, deve essere interpretata, unitamente allo “spiegare” stesso, come un derivato esistenziale, della comprensione primaria costituente l’essere del Ci in generale. Se noi poniamo la comprensione come un possibile modo di conoscere, dice, non è di questo che sto parlando, ma è come un derivato, come dire che anche questa comprensione, intesa come modo di spiegare o di intendere le cose, è qualcosa che è derivato dalla comprensione primaria, cioè, dall’essere aperto al mondo. La ricerca finora svolta si è già imbattuta in questo conoscere originario, senza tuttavia assumerlo esplicitamente a tema. Che l’Esserci, esistendo, sia il suo Ci, significa il primo luogo: il mondo “ci” è, e il suo esser-ci è l’in-essere. Il mondo “ci” è, nel senso che quel mondo sono io, e il suo modo di essere è di essere nel mondo e il suo esser-ci è l’in-essere, il suo modo di essere è di essere nel mondo, non ha altri modi di essere. Potete riferire tutto questo al parlante, l’Esserci è il parlante. Tale in-essere, a sua volta, “ci” è come ciò in-vista-di-cui l’Esserci è. Questo in-essere, cioè, essere nel mondo, dice, a sua volta ci si dà come l’in-vista-di-cui è fatto l’Esserci, che è sempre in vista di qualche cosa, il progetto, l’essere continuamente progettato. Qui, in un certo senso, ritorna al circolo ermeneutico, cioè, al fatto di essere nel mondo comporta che mi ritorni costantemente qualche cosa con cui devo fare i conti e dal quale il mio Esserci è costantemente costituito. Come dicevo prima, io mi rapporto al mondo, nel mio progetto cambio qualche cosa del mondo, cambiando questo qualche cosa del ondo modifico me stesso. Faccio un esempio: se io metto qui questo aggeggio, ho cambiato il mondo, cambiando il mondo ho cambiato anche me. Nella comprensione dell’in-vista-di-cui è con-aperta la significatività che in esso si fonda. L’in-vista-di-cui è sempre l’essere rivolti verso un qualche cosa ma verso un qualche cosa “per” qualche cosa, nel senso che si vuolee fare qualche cosa. L’apertura della comprensione, in quanto apertura dell’in-vista-di-cui e della significatività, concerne cooriginariamente l’intero essere-nel-mondo. Sta incominciando a dirci che la comprensione è apertura. La significatività è ciò rispetto-a-cui il mondo è aperto come tale. La significatività non è niente altro che la relazione. Che l’in-vista-di-cui e la significatività siano aperti nell’Esserci, significa che l’Esserci è un ente per il quale, in quanto essere-nel-mondo, ne va di se stesso. Cioè, è sempre in vista di qualche cosa. C’è l’apertura, questa apertura consente di essere in vista di qualche cosa, l’essere in vista di qualche cosa comporta il progetto, quindi, di modificare il mondo e, modificando il mondo, io mi ritrovo a dovere prendere atto che tutto ciò che sta accadendo è qualcosa per cui ne va di me, a essere io messo in gioco. Nel discorso ontico usiamo talvolta l’espressione “comprendere qualcosa” nel senso di “essere in grado di affrontare qualcosa”, “esserne all’altezza”, “saper fare”, “potere”. È il modo comune, corrente, di intendere la comprensione, di potere, letteralmente comprendere significa prendere, l’afferrare, quindi, l’esercitare un potere su qualcosa. Ciò che nella comprensione costituisce il potuto come esistenziale non è una cosa, ma l’essere in quanto esistere. Sta dicendo che ciò che è in gioco nella comprensione non è l’oggetto della comprensione, come si potrebbe pensare cartesianamente e come l’etimo stesso della parola sembra suggerire, non è una cosa ciò che riguarda il comprendere ma è l’essere in quanto esistere. Il comprendere non è altro che l’esistenza stessa, questa apertura è ciò che consente di esistere, cioè, di esistere nel mondo. Nella comprensione è insito, esistenzialmente, il modo di essere dell’Esserci in quanto poter-essere. È importante intendere questa apertura della comprensione perché… apre a che cosa? Apre alla possibilità. Per Heidegger questo è importante, il progetto è sempre un qualche cosa verso cui sono gettato, cioè, verso una possibilità, non importa quale. Tenete conto che la possibilità è un qualche cosa che ho di fronte e che mi muove a fare delle cose, in un senso o nell’altro, e l’Esserci, l’uomo, il parlante, per Heidegger è colui che si trova sempre di fronte a delle possibilità, cioè, a una scelta tra tutte le cose possibili da fare. L’Esserci non è una semplice-presenza che, in più, possiede il requisito di potere qualcosa, ma è primariamente un esser-possibile. Dice che L’Esserci non è che ha questa capacità di potere incontrare delle possibilità, lui è questa possibilità, cioè, l’Esserci è la possibilità, è l’apertura che quindi comporta delle possibilità, è questo l’Esserci. L’Esserci non ha possibilità di fare, è la possibilità stessa. L’Esserci è sempre ciò che può essere e nel modo in cui è la sua possibilità. L’Esserci è sempre ciò che può essere, quindi, non è mai soltanto ciò che è ma, soprattutto, è ciò che può essere. Questo è il modo di Heidegger di pensare l’essere, quindi, con una grande distanza da come è sempre stato pensato l’essere, e cioè come un’essenza, come qualcosa di fisso, di immobile, di fermo. Ponendo l’Esserci, come possibilità vuole dire quindi che questo essere è quello che è perché è sempre in vista di qualcosa, è questo che lo definisce in quanto essere, è in quanto è in vista di, non in quanto è. È sempre in relazione con qualche cosa, non può se non essere in relazione con qualcosa. Cosa che la semiotica ha precisato rispetto al linguaggio: ciascun elemento è quello che è sempre in vista di un altro elemento linguistico, non può essere se non in vista di, è la stessa cosa che sta dicendo Heidegger. L’esser-possibile che l’Esserci esistenzialmente sempre è si distingue tanto dalla vuota possibilità logica quanto dalla contingenza di una semplice-presenza, nel senso di qualcosa che possa “accadergli”. Insiste molto su questo, la possibilità non è qualcosa che possa accadermi ma sono io l’essere questa possibilità, l’essere una apertura, quindi, una possibilità, nel senso che io sono in quanto in vista di qualche cosa, in quanto voglio fare qualche cosa. Come categoria modale della semplice-presenza, la possibilità significa il non ancora reale e il non mai necessario. Essa definisce soltanto ciò che è possibile, ed è quindi a un livello ontologico inferiore alla realtà e alla necessità. (pagg. 177-178) Sta dicendo come si pone modalmente anche nella logica modale, c’è il necessario, il possibile, l’impossibile e il contingente. La possibilità come esistenziale è invece la determinazione ontologica positiva dell’Esserci, la prima e la più originaria. Determinazione ontologica positiva, cioè l’essere dell’Esserci è determinato dalla possibilità, per cui non è qualcosa che gli si aggiunge ma è questa possibilità. La possibilità come esistenziale non significa un poter-essere indeterminato nel senso dell’“indifferenza del libero arbitrio”. L’Esserci, in quanto emotivamente situato, è già sempre insediato in determinate possibilità e, in quanto è quel poter-essere che è, ne ha già sempre lasciate perdere alcune; rinuncia incessantemente a possibilità del suo essere, riesce a coglierne talune oppure fallisce. Ciò significa che l’Esserci è un essere-possibile consegnato a se stesso, una possibilità gettata da cima a fondo. L’Esserci è la possibilità dell’esser libero per il più proprio poter-essere. L’esser-possibile è trasparente a se stesso secondo modalità e gradi diversi. Cosa ci sta dicendo? L’Esserci è già da sempre insediato in determinate possibilità, il che è esattamente quello che ci dice quando parla dell’Esserci come elemento storico, cioè, io posso pensare oggi, quindi, trovarmi preso in possibilità che non sono le stesse in cui si trovava, per esempio, un uomo di mille anni fa. Quindi, le mie possibilità sono determinate storicamente, anche dalla mia storia, ovviamente. Dice L’Esserci è la possibilità dell’esser libero per il più proprio poter-essere. Qual è il più proprio poter-essere? Su questo Heidegger non è sempre molto preciso, perché il proprio poter-essere, in effetti, qualcuno potrebbe anche dire che ciò che vi è di più proprio, come possibilità dell’umano, è la sua morte, è l’unica possibilità che gli è propria, è sua perché nessun altro può provare la sua morte. Al di là di questo sarebbe, forse, più interessante intendere che la sua più propria possibilità è cogliere la storicità del suo Esserci e cogliere questa apertura, nella quale si insedia una possibilità, come un qualche cosa che consente all’Esserci di appropriarsi di sé. Tutte le possibilità che io ho di fronte sono possibilità storicamente determinate, muovendomi verso una di queste possibilità posso trovare qualche cosa che mi appartiene più propriamente perché è qualche cosa che è storicamente determinato, cioè, appartiene alla mia storia. Lui parlava del libero arbitrio, cioè, faccio quello che mi pare; no, non è così, perché io posso fare delle cose all’interno del discorso in cui mi trovo, discorso che è determinato da tutte le mie vicende, dal fatto di parlare la lingua italiana, dal fatto di essere in Italia nel 2017, con tutto ciò questo comporta. Io sono determinato da tutte queste cose, quindi, io posso cogliere una mia possibilità in modo più proprio se tengo conto di tutti questi aspetti, sono allora consapevole della mia scelta, una scelta che viene dal mio discorso. Una volta dicevamo della responsabilità, in questo modo io sono responsabile di una mia scelta, responsabile non nel senso che mi assumo civilmente o penalmente una responsabilità ma perché so che la possibilità che ho di fronte mi appartiene, non è una possibilità a caso ma mi appartiene, perché viene dall’apertura ma questa apertura non è altro che l’orizzonte entro cui io esisto. L’Esserci è in modo tale da aver o non aver sempre saputo essere in una certa determinata maniera. Questa è la comprensione perché l’Esserci, cioè io, sono determinato dalle possibilità che io accolgo. In quanto è questa comprensione… cioè, l’essere in una determinata maniera in cui io sono quando decido qualche cosa. … esso “sa” come stanno le cose a proposito di se stesso, cioè del suo poter-essere. Qui fa un’aggiunta che può essere importante. A proposito della comprensione l’Esserci sa come stanno le cose. Ma cosa vuole dire che sa come stanno le cose? Sa come stanno le cose a proposito di se stesso, cioè del suo poter-essere, sa, cioè, qual è la sua posizione rispetto al suo poter essere qualche cosa, perché la sua posizione è determinata dal poter essere di volta in volta delle cose. È un altro modo per dire che io posso determinarmi in quanto qui perché esiste un là, ed è questo “là” che mi dà la possibilità di pensarmi un essere “qui”, se non esistesse il “là” non ci sarebbe nemmeno il “qui”. L’Esserci sa di se stesso unicamente a partire dalla possibilità che ha, cioè, dal fatto di sapere di essere una possibilità. Secondo Heidegger, questa è l’unica cosa che l’Esserci sa con certezza, sa come stanno le cose, nel senso che sa che lui è in quanto possibilità. Questo “sapere” non scaturisce da una introspezione immanente, ma appartiene all’essere del Ci, che è essenzialmente comprensione. Dice che questo sapere, che l’Esserci ha di sé, questo sapere di essere una continua, incessante, inarrestabile possibilità, cioè di essere sempre in quanto in vista di, perché essere una possibilità non è altro che l’essere in vista di… dunque, questo sapere appartiene all’essere del Ci, che è essenzialmente comprensione. Ci sta dicendo che l’essere del Ci è la comprensione. Cosa vuole dire? Che io so di essere qui perché sono nel mondo e questo sapere di essere nel mondo, di essere nel Ci, è la comprensione. Sapere di essere nel mondo è sapere di essere nel progetto, sapere di essere possibilità: tutto questo è comprensione che, come vedete, non ha nulla a che fare con il capire qualche cosa, con il capire come è fatto un oggetto, non c’entra niente, ma è soltanto quella possibilità che l’Esserci ha di sapere di sé in quanto possibilità. La comprensione è l’essere esistenziale del poter-essere proprio dell’Esserci stesso… La comprensione è l’essere esistenziale, cioè, ciò che appartiene all’esistente, ciò che più propriamente appartiene all’uomo. E che cosa appartiene assolutamente all’uomo, a questo ente che può interrogare se stesso? Il poter essere proprio dell’Esserci stesso. Ciò che vi è di essenziale in questo Esserci, cioè nell’uomo, è il poter essere che è proprio dell’Esserci. Questo è ciò che è essenziale nell’uomo, questo è ciò che lo definisce: il suo essere e il suo poter essere. Tutto qui. E aggiunge ed è siffatta che questo essere rivela a se stesso come stanno le cose a proposito dell’essere che gli è proprio. Come stanno le cose riguardo a me, al mio poter essere. Come stanno le cose? Stanno così, che io sono un poter essere, io sono la possibilità. La comprensione, in quanto apertura, riguarda sere l’intera costituzione dell’essere-nel-mondo. (pagg.178-179) Come dire che non c’è altro modo di porsi, questa apertura riguarda sempre il mondo in cui sono nel mondo, non ce ne sono altri. Io sono nel mondo in quanto apertura, cioè in quanto possibilità, in quanto progetto gettato. Ma anche l’“unità” del molteplice elle semplici-presenze, la natura, è scopribile solo sul fondamento dell’apertura di una sua possibilità. Qui è preciso, sta dicendo che qualunque scienza, non solo della natura ma in generale, è possibile, è certamente una possibilità, ma scopre le cose che scopre a condizione che ci sia l’apertura della sua possibilità. La scienza non è così pura e semplice, descrittiva, uno sguardo puro sul mondo, come vorrebbe essere. No, ci sta dicendo che questo sguardo puro sul mondo non esiste, cioè, ciascuna volta, anche questo sguardo puro sul mondo, di cui la scienza si vanta di essere, non è niente altro che una possibilità fra le tante, come dire che si aperta una delle possibilità. Possibilità di che cosa? La possibilità è sempre di fare qualcosa, cioè, di modificare qualcosa, in altri termini, di imporre la propria volontà. La mia possibilità nei confronti del mondo, cioè, io sono questa possibilità, io sono questa esigenza di modificare le cose come voglio io. Quindi, anche la scienza, nel suo voler essere questo occhio puro sul mondo, non è altro che una delle possibilità aperte dalla volontà di potenza, perché il progetto è volontà di potenza. Dobbiamo, quindi, tenere conto che queste aperture consentono delle possibilità. Possibilità di che cosa? Di volontà di potenza. Io sono questa possibilità, cioè, la dico in modo forte, io sono volontà di potenza. Questo è ciò a cui si giunge: in quanto possibilità sono possibilità di intervenire sul mondo, di modificare le cose, quindi, di esercitare la mia volontà di potenza. Perché la comprensione, in tutte le dimensioni essenziali di ciò che è in essa apribile, procede sempre secondo possibilità? Perché la comprensione procede sempre per possibilità? Perché questa apertura non è fatta di altro che di possibilità? Risponde: Ciò dipende dal fatto che la comprensione ha in se stessa la struttura esistenziale che noi chiamiamo progetto. La comprensione, in quanto apertura, è il progetto. Infatti, dice ha in se stessa la struttura esistenziale… quando dice esistenziale vuole dire soltanto che appartiene all’uomo. ...che noi chiamiamo progetto. Quindi, il progetto è la possibilità che la comprensione apre. Il progettare non ha nulla a che vedere con l’escogitazione di un piano in conformità al quale l’Esserci edificherebbe il proprio essere… Non ha a che fare con l’escogitare un qualche cosa. …infatti l’Esserci si è già sempre progettato e, fintanto che è, resta progettante. Il progetto, come dice Heidegger, non è qualche cosa che io ho in mente, per esempio, di edificare un tempio o un accidente qualunque; il progetto è l’Esserci, il progetto sono io, cioè, io sono l’apertura di queste possibilità. Nel momento in cui sono nel mondo, da quel momento io sono il progetto, io sono qualche cosa che è in vista di, per fare delle cose, quindi, per esercitare la volontà di potenza. È chiaro che per intendere meglio tutto ciò occorrerebbe una riflessione intorno alla struttura del linguaggio, che Heidegger non fa, perché è da lì che viene il motivo per cui tutto ciò non può non accadere, perché è così che funziona il linguaggio, perché nel momento in cui io parlo sono già progettato, sono già in vista di qualche cosa, e l’in-vista di qualche cosa che io sono è la volontà di potenza. A pag. 180. La comprensione, in quanto progettare, è il modo di essere dell’Esserci in cui esso è le sue possibilità in quanto possibilità. Ce lo ripete all’infinito. La comprensione, in quanto progettare, è il modo di essere dell’Esserci, non ne ha altri. In virtù del modo di essere che è costituito da quell’esistenziale che è il progetto, l’Esserci è costantemente “più” di quanto di fatto sarebbe qualora lo si potesse o volesse prendere in esame nella sua sussistenza ontologica come semplice-presenza. Il fatto di essere questo progetto, di essere quindi in quanto in vista di, in quanto possibilità, tutto questo lo pone come un qualche cosa che è di più di una semplice presenza. È, in effetti, ridondante, però è curioso che lo sottolinei ancora, come dire che l’Esserci non è una semplice presenza. Esso però non è mai di più di quanto effettivamente sia, perché alla sua effettività appartiene essenzialmente il poter-essere. Non è neanche più di quanto effettivamente sia, però che cosa effettivamente è? È un poter essere, non è niente altro che questo, quindi, non è più di un poter essere. Soltanto perché l’essere del Ci riceve la costituzione dalla comprensione e dal carattere di progetto di essa, soltanto perché esso è ciò che diviene o non diviene, esso può, comprendendo, dire a se stesso: “Divieni ciò che sei!”. Qui dice: ma chi sei tu? Quello che ti progetti, liberandoti, quello che diventi. Questo l’ho segnato perché mi era parso importante da commentare. Soltanto perché l’essere del Ci, cioè io, che sono qui in questo momento, riceve la costituzione dalla comprensione, quindi, io sono costituito dalla comprensione, quindi, dall’apertura e dal carattere di progetto, in cui sono, soltanto perché esso è ciò che diviene o non diviene, cioè, soltanto perché io sono ciò che divengo o non divengo, quindi, io sono una possibilità, non una possibilità in atto ma una possibilità. Quindi, io posso dire comprendendo, cioè nell’apertura, che divengo ciò che sono, divengo nel senso che mi trovo a essere di volta in volta un qualche cosa che già sono, perché qualunque cosa io faccia o non faccia, questa è una possibilità e io sono la possibilità. Quindi, divengo ciò che sono nel senso che divengo un qualche cosa che già sono, non è che prima ci sia io e poi c’è la possibilità, io sono la possibilità. Che poi la metta in atto oppure no, questo è irrilevante, ma io divento quella cosa che già sono.