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17-1-2007

 

Non, P e non P; P oppure non P. Non contraddizione e terzo escluso. Non è possibile che una cosa neghi se stessa, non lo può fare, non può un elemento del linguaggio negare se stesso perché per negarsi deve porre come istanza la propria esistenza e a partire da questa negarsi, per questo il linguaggio non può negare ciò che è un elemento linguistico, non lo può fare in nessun modo, se lo facesse il linguaggio cesserebbe di esistere.

Da Freud a Wittgenstein: la logica della Psicanalisi. Perché da Freud a Wittgenstein? La prima cosa che occorre considerare è che Freud ci ha insegnato ad ascoltare, ascoltare discorsi. Ci ha insegnato che ciò che le persone dicono implicano altre cose, sono connesse con altre cose che riguardano la loro storia, la loro vicenda, e Wittgenstein invece ci ha mostrato che cosa ascoltare. La questione è che Freud ha immaginato che si dovesse ascoltare qualcosa che riguardava il passato delle persone, qualcosa che, per dirla in modo molto rozzo, era andato storto nella loro storia, nel loro percorso, e dunque andava a cercare che cosa? Il fatto psichico, il fatto passato, qualcosa che aveva impedito alla persona un corretto procedere. Dove andava a cercarlo prevalentemente? Nella sessualità, come dicevamo la volta scorsa, però dicevo ci ha insegnato ad ascoltare e l’ascolto è importante, certo quello proposto da Freud non è sufficiente, non è sufficiente perché si tratta non soltanto di ascoltare ciò che la persona andava dicendo, ma applicare il metodo che lui stava inventando a ciò stesso che stava facendo, cioè ascoltare allo stesso modo la teoria che mano a mano andava costruendo, per intendere da dove venisse questa teoria, che cosa la sosteneva. Dunque essendoci formati come analisti siamo stati addestrati ad ascoltare discorsi, vale a dire ad intendere che cosa sostiene un certo discorso, dove muove, quali le fantasie che lo sostengono e soprattutto addestrati a non soffermarci a delle spiegazioni, a delle giustificazioni, ma a proseguire sempre. Io, a differenza di Freud e di tutti quelli che lo hanno seguito, ho applicato questa tecnica alla stessa teoria di Freud o di Lacan o di Verdiglione a seconda dei casi, e cosa ha comportato questo? Ha comportato il domandare alla stessa teoria di Freud ciò stesso che come analista mi trovavo a domandare a degli analizzanti, e cioè perché pensavano quello che pensavano, perché Freud scriveva le cose che scriveva? Certo lui da delle giustificazioni, delle motivazioni ma fino a che punto sono valide? Sono sostenibili? Qualunque analizzante dà delle giustificazioni a qualunque cosa faccia. Fu a questo punto che cercando un fondamento alla teoria di Freud, ascoltandola esattamente così come si ascolta un analizzante, ci siamo trovati di fronte alla necessità di avere un criterio per potere stabilire che cosa accogliere e che cosa no, ecco che è comparso Wittgenstein. Non soltanto lui ovviamente, però in parte anche lui, cosa ci ha mostrato Wittgenstein? Che non ci sono fatti psicologici, psichici, ché ciascuna cosa è riducibile, è riconducibile a giochi linguistici e che ciascun gioco linguistico prosegue cercando di raggiungere la verità. Wittgenstein, come tutti i logici, ha compiuto un’operazione per un verso bizzarra al punto che ci è apparso che la logica, tutta questa costruzione faraonica messa in piedi da Aristotele, di fatto non significasse assolutamente niente, fosse totalmente inutile poiché si tratta soltanto di costruire dei giochi, di artifici a partire da assiomi, cioè da regole stabilite vere, e vedere quante proposizioni vere è possibile costruire all’interno di un sistema date certe regole, oppure altri come hanno fatto Wittgenstein, Austin, e Toulmin, mostrare i limiti della logica, mostrare cioè che in fondo tutte queste operazioni che vengono compiute che validità hanno? Lo stesso Wittgenstein, dicendo che in fondo quando compio una dimostrazione tutto ciò cui posso essere sicuro una volta che le ho terminate è di essermi attenuto alle regole di quella dimostrazione, nient’altro che questo, quando ho finito di fare le parole crociate l’unica cosa di cui sono sicuro è che ho risposto bene a tutte le caselline, e allora? Tutto questo ha portato a delle considerazioni intorno alla logica poco lusinghiere, in fondo la logica ha sempre avuto un grosso problema che non ha mai potuto né può in nessun modo risolvere: da una parte la forma dell’argomentazione e dall’altra l’argomentazione. La forma “se A allora B, se B allora C, allora se A allora C” e l’argomentazione “se Pietro e Paolo sono Apostoli e se gli Apostoli sono dodici allora Pietro e Paolo sono dodici” hanno esattamente la stessa forma, ma nel primo caso se tutte le tre variabili sono vere allora la formula è vera sempre, ma è vera la forma non l’argomentazione, tant’è che Pietro e Paolo come ciascuno di voi può facilmente intuire non sono dodici, quindi in questo caso l’argomentazione è falsa, ma la forma è vera perché è vero che Pietro e Paolo fossero Apostoli, lo sono stati, è vero anche che gli apostoli fossero dodici, ma non è vera la conseguenza. C’è dunque una sorta di discrepanza, la forma logica per quanto corretta sia non garantisce della verità dell’argomentazione. La logica è sorretta su delle intuizioni, tutto ciò che si è costruito in questi ultimi duemila anni è sorretto su delle intuizioni non dimostrabili. Aristotele nel I Libro della Metafisica scrisse il suo incipit: tutti gli uomini per natura tendono al sapere. Volete sapere come Aristotele dimostra una cosa del genere? Ché lui dice di avere una dimostrazione certa, perché gli uomini, dice sempre Aristotele, non possono rinunciare alle passioni, nessuno rinuncia alle passioni perché sono amate da tutti. Porre una cosa del genere come premessa di una dimostrazione pare assai problematico, e giunge a considerare che in effetti le sensazioni forniscono il sapere e questo sapere dove giunge? Dice Aristotele:

 

Chi è nell'incertezza e nella meraviglia crede di essere nell'ignoranza (perciò anche chi ha propensione per le leggende (., in un certo qual modo, filosofo, giacché il mito è un insieme di cose meravigliose 18); e quindi, se è vero che gli uomini si diedero filosofare con lo scopo di sfuggire all'ignoranza, è evidente che- 20 ssi perseguivano la scienza col puro scopo di sapere e non per qualche bisogno pratico. E ne è testimonianza anche il corso degli venti, giacché solo quando furono a loro disposizione tutti i mezzi indispensabili alla vita e < quelli> che procurano benessere agiatezza, gli uomini incominciarono a darsi ad una tale sorta di indagine scientifica 19. È chiaro, allora, che noi ci dedichiamo a tale indagine senza mirare ad alcun bisogno che ad essa sia estraneo- 25 , ma, come noi chiamiamo libero un uomo che vive per sé e non per un altro, così anche consideriamo tale scienza come la Sola che sia libera, giacché essa soltanto esiste di per sé ". Perciò giustamente si può anche ritenere che il possesso di essa è cosa sovrumana, giacché per molti aspetti la natura dell'uomo è schiava…

 

Dunque il sapere fine a se stesso è quello che non serve, non serve a niente e quindi non è schiavo di qualche cos’altro, questo è il sapere supremo. Su questa affermazione si è costruito tutto, tutta la logica, ma non ci dice perché lo fa, dice che è così per natura, come dire che tutta la logica è costruita su questa affermazione senza rendersi conto che non è affatto per natura ma perché non possono non farlo, perché ciò che si cerca in realtà è la verità perché è il linguaggio a costringere a cercare la verità. Nella chiusa di un testo di Carruccio, che si occupa di storia della logica e della metamatematica, dice questo:

 

Le costruzioni delle nuove logiche, di cui abbiamo rievo­cato le lontane origini, e tracciate nelle grandi linee le attuali strutture, si presentano, da un punto di vista formale, nitide e precise. Tuttavia, considerate da un punto di vista gnoseologico, suscitano gravi ed importanti problemi al nostro pensiero filosofico.

L’esistenza di logiche diverse, innegabile in quanto tali lo­giche sono state costruite, desta ben comprensibili per­plessità, andando contro la tradizionale ed intuitiva opi­nione secondo la quale la logica è una sola e valida per tutte le menti.

Di fronte a questa situazione gli atteggiamenti possibili del pensiero sono diversi e suscettibili di varie sfumature. Secondo il convenzionalismo logico di R. Carnap (inqua­drato nel neopositivismo e nel neo-empirismo derivanti dal Circolo di Vienna) nessun sistema di regole di deduzione deve considerarsi privilegiato; in logica non esistono impe­rativi categorici; il compito del logico consiste nello svilup­pare i sistemi possibili sulla base di convenzioni libera­mente poste.

Per F. Severi invece, in un ordine d’idee conforme alle tradizioni più diffuse fra i pensatori matematici, le nuove logiche sono soltanto capitoli di algebre astratte, mentre la vera logica è soltanto quella tradizionale. Questa conce­zione trova conferma nel fatto che le nuove logiche (come abbiamo visto in taluni casi, e potrebbe stabilirsi in altri) sono interpretabili nella logica bivalente tradizionale.

Considerando la questione da un altro punto di vista, pos­siamo osservare che anche se, in linea di principio, non si attribuisce una posizione privilegiata alla logica tradizio­nale, si presenta tuttavia una fondamentale questione. Esi­ste una logica λ mediante la quale all’interno di ciascuna logica particolare L si attua la corretta applicazione delle regole di deduzione proprie di L? Se questa logica λ, come ci suggerisce la nostra intuizione, esiste, essa è immanente in ogni ragionamento corretto ed è nello stesso tempo trascendente, in quanto è al di là di ogni logica particolare, può chiamarsi la Logica Suprema, non può ridursi ad un sistema di assiomi e di regole di deduzione, perché in tal caso diventerebbe una logica particolare. Ma esiste la Lo­gica Suprema? La domanda è difficile e coinvolge i più gravi e profondi problemi del mondo del pensiero. Ci limi­tiamo alle seguenti osservazioni. Non è possibile dare una dimostrazione di carattere deduttivo dell’esistenza della Logica Suprema, in quanto la dimostrazione in questione per raggiungere il suo obbiettivo non potrebbe basarsi sopra una logica particolare, e allora dovendosi svolgere nell’am­bito della Logica Suprema, dovrebbe postulare proprio l’esistenza da dimostrarsi. Si cadrebbe quindi in un circolo vizioso.

D’altra parte nemmeno si potrebbe dimostrare che la Lo­gica Suprema non esiste, perché questa dimostrazione d’ine­sistenza (come quella d’esistenza di cui si è detto) non potrebbe svolgersi in una logica particolare e quindi dovrebbe basarsi su quella Logica, di cui si vorrebbe dimostrare che non esiste... . Si cadrebbe dunque nell’assurdo.

Concludiamo che l’esistenza della Logica Suprema può essere accettata (non senza buoni motivi) ma soltanto in base all’intuizione.

 

Tutte le logiche che sono state costruite dopo Aristotele, le logiche modali, le logiche paraconsistenti, fino ad arrivare a Jaskowski, tutte quante sono debitrici della logica tradizionale, cioè quella fondamentale, binaria: vero/falso. È vero che esiste la logica trivalente, l’ha inventata Aristotele: è possibile, dato che non è né vero né falso: è vero o falso che domani pioverà? È possibile. Quindi c’è un terzo valore di verità ma questo terzo valore se non avesse nessuna possibilità di essere ricondotto al vero e al falso non significherebbe niente, cioè se non sapremo mai se domani pioverà o no, lo stesso porci questa domanda non significherebbe niente se non avesse nessuna possibilità di essere risolto in un modo o nell’altro. Allora la questione è questa: è possibile costruire infinite logiche, basta che siano consistenti, basta che siano coerenti, ma tutte queste logiche è come se dipendessero da qualche cosa che è indescrivibile e che è la condizione di tutte queste logiche, che è esattamente ciò che noi abbiamo costruito, né più né meno, è ciò che è mancato da Aristotele in poi, è il primum movens, quell’elemento che rende conto del perché si pensa nel modo in cui si pensa, esattamente ciò che cerca l’analista: sapere perché una persona pensa le cose che pensa. Una persona ha costruito nel corso della sua esistenza tutta una serie di giochi linguistici ai quali si attiene, consapevole oppure no che sia anzi, il più delle volte assolutamente inconsapevole, chiama i giochi linguistici la realtà delle cose. Attenendosi a questi giochi linguistici ne costruisce altri, o per confermare i precedenti o per negarli o per confutarli, costruisce quella cosa enorme fatta di sequenze di giochi linguistici che è nota come il suo pensiero, le cose in cui crede, le sue superstizioni, le sue paure, le sue angosce, i suoi desideri, le sue speranze e tutto ciò di cui è fatto, ma perché pensa le cose che pensa? Certo il primo passo è accorgersi di quali giochi linguistici ha costruiti, quali sono i giochi linguistici di cui si è servito per costruire tutto ciò ma qual è il fondamento, è lì che noi arriviamo perché possiamo farlo, e cioè costruisce le cose che costruisce unicamente perché il linguaggio lo costringe a costruire proposizioni che risultino vere all’interno del gioco che sta facendo, e quella superlogica di cui parla il nostro amico non è altro che il linguaggio, e non c’è bisogno di ricorrere a un’ipostasi. Supporre una ipostasi è in fondo l’idea del motore immoto di Aristotele, che è stata tradotta dai padri della chiesa come dio. Ciò che non ha più nulla al di sopra di lui, ciò che non è servo di nessuno, ecco il pensiero fine a se stesso: il linguaggio, il linguaggio che pensa se stesso, ciò che noi abbiamo compiuto…

Intervento: la questione del fondamento in termini retorici rispetto alla conferenza… che deve trovare qualche cosa che consenta di sapere, di avere delle certezze, immaginare di poter dire la verità… l’equivoco di fondo di quale è stato il percorso di pensiero…

Tutta la logica è fondata sull’intuizione, pensate alle tavole di verità, nella logica formale si sono costruite delle tavole di verità e a queste Wittgenstein ha dato un contributo, per esempio la formula A è A, oppure, A oppure B, o uno o l’altro, a quali condizioni è vero? Se A è falso e B è vero la congiunzione sarà vera? Intuitivamente sì, ma che fondamento ha? L’intuizione, perché appare così al ragionare corretto, appare così, però cosa significa che appare così? Chi ci costringe? Ecco quella logica suprema, di cui parlava Carruccio…

Intervento:…

Kronecker pensava qualcosa del genere, pensava che i numeri non mentissero perché era stato dio a darli e quindi non potevano mentire, questo in seguito ad alcuni problemi che aveva riscontrato Cantor a proposito delle serie di numeri interi, ecco dunque l’intuizione, esiste una logica che sta alla base di tutte le logiche possibili, di tutti i mondi possibili, i mondi possibili non sono nient’altro che delle formule verificabili, che possono essere o vere o false, questo è un mondo possibile, tutti i mondi possibili dunque sono governati da questa superlogica, questa cosa che da qualche parte c’è, nessuno sa bene dove sia ma ciascuno lo riscontra quando non può farne a meno, e non può farne a meno anche per costruire tutte le varie logiche, che è quello che abbiamo sempre detto…

Intervento: estroflettere questa cosa comporta retoricamente costruire una proposizione che è vera se e solo se lo è la sua contraria…

I principi aristotelici sono quelli che servono al pensiero pensate al terzo escluso: o B oppure non B, delle due l’una, non c’è salvezza. Perché? Questo ci induce a considerare ancora il funzionamento del linguaggio, perché ancora dobbiamo parlarne, ciò che sappiamo è fondamentale…

Intervento: anche quando si installa il linguaggio devono essere all’opera questi principi, perché se non il linguaggio non funziona… è quando incomincia la distinzione che gli elementi si connettono tra di loro…

In base a queste regole, certo. Dicevo ecco il passaggio da Freud e Wittgenstein, perché questi due signori? Ascoltare, chiedere perché ciascuno pensa le cose che pensa e giungere con Wittgenstein al fondamento mostra una via, poi noi l’abbiamo percorsa in ben altro modo, domandandoci perché necessariamente le persone pensano in un certo modo, poi a partire da questo modo possono costruire quello che vogliono, ma pensano necessariamente in quel modo e non possono pensare in nessun altro. Non, P e non P, ma P oppure non P, non è possibile che una cosa neghi se stessa, non lo può fare, non può un elemento del linguaggio negare se stesso perché per negarsi deve porre come istanza la propria esistenza e a partire da questa negarsi, per questo il linguaggio non può negare ciò che è un elemento linguistico, non lo può fare in nessun modo, se lo facesse si dissolverebbe, dissolvendosi il linguaggio cesserebbe di porsi il problema, questo come qualunque altro, non ci sarebbe neanche più la nozione di problema. Questo è come io avrei pensato, organizzato una conferenza di questo tipo, mercoledì prossimo possiamo aggiungere ancora degli elementi che possono esservi utili sulla questione ancora della logica, e di Freud, e intendere la questione che pone Gödel…

Intervento:…

Ciò che a noi interessa di Gödel non è tanto seguire tutti i suoi passaggi, piuttosto complessi, ma intendere qual è la questione che ha rilevata, e in particolare quali sono i problemi che date certe regole si incontrano inesorabilmente, non siamo dei matematici, né dei logici, né dei filosofi, siamo dei sofisti, che è molto diverso, ci occupiamo di come funziona il linguaggio non di tutti i giochini che può costruire e cioè ci occupiamo della “super logica”, delle condizioni non degli effetti.

Adesso sentiamo voi, io ho fatto un accenno a una possibile costruzione di un intervento con questo titolo, sarebbe il caso che ciascuno incominciasse a pensare a un argomento, non ci sono i titoli però ciascuno può partire da un argomento giusto perché gli altri ne tengano conto. Per esempio Cesare qual è la traccia?

Intervento: mi interessava il sapere…

Parta dall’incipit di Aristotele “tutti gli umani tendono per natura al sapere” e si chieda “perché?” chi l’ha detto? E che razza di dimostrazione è quella che lui ha data? Comunque vedete che è un bel titolo quello che abbiamo dato, consente di parlare parecchio, di prendere anche molte direzioni, quella sul sapere, quella più propriamente clinica, una che indaghi le condizioni del sapere, un’altra che muova da Wittgenstein, che faccia il percorso a ritroso, per esempio, muovendo da alcune considerazioni di Wittgenstein sulla psicologia e confrontarle con alcune affermazioni di Freud, si possono fare infinite cose…

Intervento:…

Sì certo, un’altra via potrebbe essere questa: perché Wittgenstein fa obiezione alla psicanalisi, anzi alla psicologia più propriamente, quali sono le sue argomentazioni, su che cosa si basano queste argomentazioni? Certo il presupposto è che non considera quelli che la psicologia chiama fatti psichici, non li considera tali. Se sapete usare la retorica o meglio ancora in questo caso l’eristica, la sapete usare bene, potete prendere Freud e dimostrare che Freud ha ragione e Wittgenstein ha torto, potete prendere Wittgenstein e dimostrare che Wittgenstein ha ragione e Freud ha torto, poi prendere entrambi e dimostrare che hanno torto, poi prendere entrambi e dimostrare che entrambi hanno ragione riconducendo l’uno all’altro, potete fare quello che volete. Ecco perché dicevo che siamo sofisti…

Intervento: gli umani cercano di mantenere l’incertezza, di mantenere il non sapere per arrivare al sapere…

Certo, lo dice lui nel I libro della Metafisica…

Intervento: come se questa questione dell’incertezza, questo dubbio serva a mantenere il non sapere e questo servisse a percorrere coerentemente questa direzione) (praticamente il problema…

Esattamente, se avesse detto in questo modo “gli umani hanno bisogno di costruire problemi per risolverli perché il linguaggio li costringe a fare così” noi arriveremmo con 2500 anni di ritardo, che non sono pochi. Va bene, ci fermiamo qui questa sera, mercoledì prossimo vedremo in quale misura ci è utile il lavoro di Gödel, se ci è utile, non è detto che lo sia.