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16-12-1999

 

L’altro come destinatario si diceva, ciascuna parola ha un destinatario ha ed è un destinatario, da qui parrebbe l’importanza che si dà alla parola e all’altro, quando parla l’altro e alle sue considerazioni, che quindi questa sovrapposizione che avviene rende conto del fatto che l’altro sia così importante ma abbiamo visto che non è affatto necessario strutturalmente, necessario che ci sia non l’altro ma altri come interlocutori, la parola non ha bisogno che ci sia qualcun altro, la parola dicevamo non necessita di nulla, in quanto la struttura di cui è fatta è autosufficiente, tuttavia c’è una questione che merita di essere considerata. Da moltissimo tempo abbiamo detto che parlare fra sé e sé e parlare ad altri, sono cose differenti, più spesso una persona pensa delle cose però poi quando si tratta di dirle intervengono difficoltà, abbiamo detto un miliardo di volte, il famoso Agostino quando uno mi chiede cos’è il tempo….come se la parola espressa avesse delle virtù differenti, che io pensi semplicemente o che verbalizzi comunque sono proposizioni, però per secoli ci hanno detto che non è la stessa cosa….e che soltanto parlando alcune cose si chiariscono si spiegano ecc. c’è l’eventualità che per secoli abbiano raccontato un sacco di balle, può accadere che sia differente pensare dal parlare e che anche Agostino si sia trovato in difficoltà dice “quando nessuno mi chiede cos’è il tempo lo so…” Non è vero, non lo sa, non è che non lo sa perché nessuno glielo chiede, non lo sa proprio, non lo sa se glielo chiedono né se non glielo chiedono, non lo sa comunque, la questione è che parlando, cioè verbalizzando, usiamo questi termini per intenderci, sono costretto perché l’altro intenda a inserire dei passaggi che invece pensando fra me e me posso evitare perché non ho da chiarirlo all’altro, per cui accade che pensando fra me e me salti tutta una serie di passaggi che risultano problematici e giungono rapidamente alla conclusione che se pure mi sembra plausibile invece è squinternata e allora non è la questione che parlare sia differente oppure sia più complicato ecc…è che uno non sa pensare, se non sa pensare ecco che allora pensando salterà tutta una serie di passaggi o li darà per acquisiti mentre non lo sono affatto, ma se è in condizione di pensare tutti questi passaggi anche pensando fra sé e sé ci sono e quindi non è né più facile né più difficile, sono esattamente la stessa cosa, quindi è una sciocchezza dire che se nessuno me lo chiede lo so, non è vero, non lo sa! Questione non indifferente anche perché in una pratica analitica una persona è costretta a parlare, costretta fra virgolette, si è detto per anni, dunque una persona parla perché finché pensa non possiamo controllare il suo pensiero ma la sua parola sì, nel senso che ci rendiamo conto di quello che sta dicendo e ci rendiamo conto che sta saltando dei passaggi o sta combinando dei pasticci, dei pasticci fra le varie inferenze ecco che allora facciamo in modo che cominci a pensare in un modo un po’ diverso ed ad accorgersi che alcuni passaggi non sono affatto legittimi, questo è il motivo per cui occorre parlare se no l’analista non sente, se pensa non sente, nella telepatia ancora non siamo specializzati, solo per questo per potere intendere tutti i passaggi scombinati che la persona mette in atto e intervenire e l’obiettivo è che in effetti pensi così come parla, allo stesso modo cioè senza saltare passaggi e proseguire in modo assolutamente rigoroso. Cosa che generalmente pensando non si fa, non lo si fa neanche quando si parla il più delle volte per cui l’unica differenza è questa, non ce ne sono altre. È stato detto che in analisi occorre la parola perché la voce, perché non significa niente, non c’entra nulla, uno può pensare esattamente come parla con lo stesso rigore e con la stessa precisione, occorre che lo sappia fare non c’entra niente la voce, esattamente come avviene quando pensa, non c’è nessuna differenza, uno sa pensare, sa parlare… (L’uditorio…) questa è un’altra questione, per quanto attiene all’interlocutore può essere determinante io non vado a dire a un carabiniere che è un cretino anche se lo penso, perché l’uditorio in questo caso è determinante per ciò che io dico, però il discorso è differente tenere conto dell’uditorio, qui tenere conto della questione del discorso fra sé e sé e del discorso invece verbalizzato, per secoli si è pensato che fossero cose assolutamente diverse, invece no, non lo sono affatto (…) l’uditorio interviene in altro modo, altre questioni intervengono a questo punto, cosa dice Sandro? (la questione dell’uditorio non è che non ci sia un uditorio almeno immaginato) no uno può pensare le cose immaginando di avere come uditorio ho detto spesse volte un logico matematico, un linguista e un sofista e quindi c’è l’uditorio e magari anche più interessante di uno reale (questo comporta far intervenire già un’immagine quella del linguista ecc..) un’immagine non sono argomentazioni… (quando si pensa quasi senza rendersi conto di pensare, quando si pensa continuamente, come interviene in questo caso l’uditorio?) intende cosa pensa, in ogni caso il pensare sono proposizioni che si snodano e che sono per altre proposizioni è qualcosa che si vuole raggiungere o costruire una scena o qualunque cosa, uno si trova a pensare così senza accorgersi, così come accade di parlare, la più parte delle persone non si accorge affatto che parla e ciascuna proposizione segue un andamento come se ci fosse comunque una direzione che poi è data man mano dalle proposizioni che intervengono, l’uditorio (è un altro modo per dire altro) sì, sì però uno si aspetta quasi dalle proposizioni che seguono la conferma di quelle che precedono, in questo caso sono altre proposizioni che hanno questa funzione. Questo è forse l’aspetto più interessante che abbiamo detto questa sera il fatto che l’analisi comporta che la persona parli per potere intendere quali connessioni, quali inferenze sono da considerare meglio, diciamola così, se una persona è in condizioni di pensare in effetti non cambia nulla che esponga oppure che pensi, non è né più facile né più difficile, è la stessa cosa, sì (l’analista è chi non può non accorgersi di come sta giocando la sua parola in ciascun istante ma come accade che le regole a volte funzionino e a volte non funzioni?) cos’è che distrae in quel caso? C’è qualcosa che attrae di più , è come un gioco che si immagina più divertente (però credo che tutti tengano conto di ciò che dicono, ciascuno ha sempre in mente l’obiettivo) non sempre e necessariamente, come dicono in veneto le “ciacole” uno comincia a chiacchierare di qua e di là, sì potremmo dire che l’obiettivo è la soddisfazione, per esempio parlar male di questo o di quell’altro certo, non è una costruzione mirato (non mirata ma sanno che stanno parlando) nel senso che sì se glielo chiede dicono che “sì stanno parlando” però non tengono conto, quando dico che non si tiene conto del fatto che si sta parlando, non significa non soltanto il non accorgersi effettivamente che sta producendo un discorso ecc. che se uno glielo chiede dice “sì sto parlando” ma intendo dire il rendersi conto di ciò che si sta producendo con la parola e soprattutto ciò che si sta dicendo è una produzione linguistica nient’altro che questo (…) quando io dico del rendersi conto di ciò che si dice intendo ascoltare il proprio discorso e quindi tenere conto del gioco che si sta facendo, del gioco che è in atto con tutte le sue regole ecc…una persona se non è proprio fuori di testa si rende conto, sa che sta parlando, Beatrice diceva di fare in modo che una persona possa accorgersi di quello che dice anziché questi momenti di smarrimento, uno si smarrisce, però come avviene questo smarrimento? Tenendo conto di ciò che si diceva all’interno di una elaborazione come stiamo facendo una persona sia più attratta da un altro gioco, che distrae cioè svia, per cui anziché pensare che ciò che sto dicendo è mosso da certe regole che posso individuare che non porta a nulla se non a compiere ciò che le regole dettano (l’elemento che distrae laddove interviene una elaborazione teorica, un’elaborazione teorica di ciò che produce e si produce parlando) generalmente è sempre un elemento religioso (laddove già funziona il gioco e interviene questo elemento, parlo di elementi certamente linguistici però che sono legati in un certo modo per cui le regole del gioco funzionano, quelle della S.S. , tanto continuamente si sa che si sta giocando un certo gioco e quindi il proprio discorso è pronto ad intervenire e quindi a immettere in questo elemento che sta intervenendo, un ossessione, pronto ad aggiungere elementi, però questo elemento ossessivo è difficile smuoverlo) sì cosa lo fa permanere? (è come se l’ossessione si incuneasse nel discorso che vado facendo, non trovo modo di sconnettere delle proposizioni per cui questo elemento è quello che è) ma cosa impedisce che queste connessioni possano svincolarsi? (cosa impedisce io non lo intendo, l’unica cosa che viene in mente è cosa mi serve questa confusione, questo pasticcio continuo, che in linea di massima funziona benissimo e non ha bisogno di ossessioni, a cosa mi serve? e qui intervengono altre ossessioni) è un disastro, Cesare si incuneano altre ossessioni? Però c’è una questione, bisogna andarla a cercare però c’è, la questione che si pone soprattutto in una analisi, sembra che una persona non intenda assolutamente ciò che si sta dicendo, come se ciò che si dice fosse agganciato ad un'altra cosa che impedisce di intendere ciò che si sta dicendo per esempio, perché questa cosa è sempre presente (esatto questo elemento si sovrappone ad altri elementi) allora in questo caso non c’è che da affrontare questo elemento che sovrasta ogni altra cosa anche perché se no si gira in tondo, e cosa succede in alcune strutture di discorso che questo elemento che sovrasta quando viene affrontato, è a sua volta sovrastato da un altro e così via all’infinito… (sparisce) allora qui se ci si mette a correre dietro all’uno e all’altro non si viene fuori, e allora occorre riflettere su questo meccanismo per cui si pone una questione al momento in cui la questione viene affrontata cosa succede che un altro elemento la sovrasta e si impone e allora talvolta può accadere di essere tratti in inganno e quindi considerare questo altro elemento, però appena si considera questo elemento ne interviene un altro che si sovrappone, è tipico del discorso schizofrenico, quindi si tratta di intendere questo meccanismo e per cui non è possibile, come una sorta di fuoco di sbarramento, qualunque questione di un certo rilievo che si imponga immediatamente viene schermata, esplode, si letteralmente esplode in infinite altre, per cui non è possibile considerarla si dissolve, ma si dissolve non nel senso che scompare la questione, che è risolta tutt’altro semplicemente (come una bomba che fa tanti proiettili) e allora qui la questione della tecnica analitica non è semplice però si tratta in molti casi di alla continua frammentazione della questione, dipende dalle circostanze, di fermare, di bloccare la seduta in modo che ci sia, questo non subito chiaramente non alla prima seduta, come dire che l’intervento dell’analista gioca o compie quella operazione che il discorso dell’analizzante non riesce a compiere, cioè fermare questo processo che viene arrestato in questo caso dal termine della seduta. Ora non solo questo ovviamente però questo è un modo e poi dipende dalla situazione, in altri casi è possibile insistere sul dettaglio impedendo alla persona di frammentarsi, riconducendola continuamente alla questione da cui si è distolta, però è da verificare e considerare ciascuna volta perché questa seconda operazione può risultare inutile in alcuni casi, perché la frammentazione è talmente rapida, talmente insistente che non conduce da nessuna parte, allora in quel caso è preferibile interrompere la seduta e fermare su quella questione, non è semplice l’analisi del discorso schizofrenico (può ripetere la frammentazione) faccia conto di porre una questione, immagini che io le chieda intorno a questa questione e quindi la inviti a elaborarla, al momento stesso in cui glielo chiedo questa questione viene spiazzata da un’altra, immediatamente oppure questa questione della mamma che ha tolto la marmellata si scopone in mamma, tolto, marmellata e anche latte a volte, ciascuna di queste a sua volta, può essere scomposta in infinite altre, ora si rende conto che in un sistema del genere è difficile intendere qualche cosa, perché è una frammentazione continua, oppure viene la questione schiacciata da un’altra sovrapposta allora si impone quest’altra, allora affrontiamo quest’altra e un’altra si impone e così via all’infinito (come se non tenesse conto di questa proposizione da cui parte la domanda) no perché si dissolve, non vorrei fosse confuso il dissolversi, si scompone, si frammenta in miriadi di cose, come una specie di fuoco di artificio ogni fuoco si frammenta in infiniti altri, o le bombe a grappoli… (interviene per esempio la mamma è cattiva perché non mi lascia mangiare la marmellata, e interviene un desiderio di morte per la mamma che non mi lascia mangiare la marmellata, a quel punto la proposizione non dice più nulla e il discorso continua con la marmellata che è di ribes…) è chiaro che sta qui la difficoltà dell’analisi del discorso schizofrenico cioè porre le cose in modo tale per cui si rompa le scatole il discorso schizofrenico, per cui sia possibile ad un certo punto considerare la questione e svolgerla anziché girare (è chiaro che questa persona non si rende conto che il suo peccato di morte nei confronti della mamma rimane lì perché se va a pensare alla marmellata…) Freud parlava del famoso inconscio a cielo aperto perché molte questioni vengono enunciate per cui parrebbe come in alcuni casi il discorso isterico che una persona enunci proprio la questione di cui si tratta, questione che la enuncia ma finisce lì non va oltre (non sa affrontare quello?) potremmo anche così però è un’impossibilità è il discorso stesso (…) è come se questo discorso fosse continuamente trascinato da un significante che accade, ne accade uno e viene immediatamente sedotto da questo significante poi si compone un altro significante e di questi uno qualunque, poi non è mai uno qualunque però c’è una connessione però questa connessione bisogna costruirla (bisogna costruirla, ma il discorso si frammenta proprio perché non sa costruirla perché è sempre implicito il divieto morale, il peccato per cui non posso costruire la connessione ) infatti non c’è moltissimo senso di colpa nel discorso schizofrenico per breve tempo poi è subito distratto da un’altra cosa (scompare ma è sempre presente) (ma è questo scomparire che è sempre presente che non intendo) scompare perché di colpo è attratto da un altro elemento, però la questione ovviamente rimane per cui magari fa un lungo giro e poi ritorna lì, però la difficoltà sta costruire un discorso dove la questione di cui si tratta possa essere affrontata, è solo questa la difficoltà del discorso schizofrenico e non è poco, quando si parla della psicotizzazione del discorso schizofrenico la difficoltà di entrare in connessione con questo discorso perché sembra assolutamente inaccessibile, dipende da questo che è sedotto dalle sue parole e non c’è nient’altro, vive di queste parole… (come se avesse imparato a distogliersi così) è un modo… (questa sofferenza o questo senso di colpa crea il discorso schizofrenico, questa esplosione dei significanti pare funzionale e questa deviazione continua serve a continuare il suo piacere) le è mai capitato un discorso schizofrenico in analisi?

(no solo isterico, che è sempre molto produttivo) anche il discorso schizofrenico non è parco (la produzione del discorso isterico è una produzione continua e mira sempre a questo ad averlo sempre presente come se sapesse cos’è ma di cui non può intendere il senso, e questa produzione proprio per non affrontarlo, non si fa fermare no, è inarrestabile non si ferma per niente) è peggio che un bulldozer (a cosa serve? ) c’è una questione non marginale, abbiamo spesso detto che il discorso compie certe operazioni per un certo motivo, siamo sicuri che sia proprio così? È una domanda che sto ponendo cioè attribuiamo al discorso una intenzione, può anche essere ma la questione non è così semplice, non va così da sé, non è così automatico, (l’intenzione è sempre quella di trovare un rimedio a questa cosa) mi sto chiedendo se esiste un’intenzione nel discorso, forse sì, però sul momento non mi pare così automatico, merita di essere riflettuta la questione anche se abbiamo sempre detto che c’è una intenzione nel discorso come se si trattasse di qualche cosa che lo muove lo pilota, non lo so ancora lo pongo come questione in modo che ci riflettiamo, però, però mi sorge qualche dubbio (la bomba distrugge qualcosa che è ammassato, per quanto tanti siano ma sempre quelli sono gli elementi non ce ne sono moltissimi) e allora ? (l’elemento che si aggiunge è un corpuscolo estraneo di cui non so parlare) c’è qualche cosa può darsi che mi venga in mente qualcosa di terribile (come la mette Freud l’intenzione è del rimedio, ma non c’è nulla da rimediare, l’intenzione è successiva alla produzione, è un po’ come se si dovesse dare un’intenzione alla produzione ma la produzione di per sé non comporta intenzione) esatto (…) però rimane l’idea che sia un tentativo di qualche cosa, se non lo fosse, lo pongo come questione (perché ciò che possiamo chiamare disagio è in tentativo di rimediare a qualcosa) è questo su cui sto riflettendo, (io faccio prima ancora rispetto a questo cioè che la produzione non ha alcun nesso con il tentativo di guarigione, non c’è nulla da cui guarire è successivamente questo quando si vuole giustificare la produzione ed è allora che si enuncia l’intenzione come dire che devo giustificare la produzione, la produzione di per sé non ha intenzione) mi chiedo se queste siano invenzioni della psicanalisi (forse è un’invenzione della persona stessa, l’isteria gira in tondo per cercare qualche cosa che la costringa a fare ciò che sta facendo, cioè come dire che cos’è che mi sta obbligando a fare ciò che sto facendo? Come se cercasse il motore di ciò che sta facendo? Perché non lo trova? Se lo cercasse lo troverebbe ed è letteralmente una sua invenzione, cioè se parliamo in termini strutturali non c’è motore, il motore lo posso inventare…) (se no che senso aveva fare tutto quello che Aristotele ha fatto, ho inventato il motore immoto perché ci sia produzione) c’è qualche cosa come se mi suonasse male proprio rispetto all’intenzione, certo è difficile venirne fuori perché l’intenzione spiega un sacco di cose, perché tutta una serie di comportamenti, ci penso va bene, occorre rifletterci un momento perché può essere che ci sia qualcosa di notevole in tutto ciò (sbarazzarci del motivo economico) (anche quella questione del desiderio come strutturale) ma così come avevamo posto il desiderio come il tendere della parola verso un’altra, posta in questi termini non comporta nessun intoppo, certo…però considerare la questione dell’intenzione può far accorgere che la questione è un’altra (l’intenzione ha a che fare con un antecedente in questo caso, la questione del prima… ciò che trova non è mai quello che sta prima ma quello che sta dopo, per far proseguire il discorso) (può anche essere il verso del discorso, a volte uno si trova in un discorso e per vari motivi si accorge di non saperlo affrontare e via dicendo e devia come il discorso schizofrenico) no, no. Questo è un artificio retorico la difficoltà, sposta su una questione che gli è più consona, è pilotata proprio, ha difficoltà su un argomento e fa in modo che la direzione verta su un altro. Va bene adesso ci penso e martedì vi dico se dobbiamo mantenere questa cosa oppure no.