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16-10-2013

 

Occorrerebbe a questo punto stabilire una traccia, una direzione al lavoro che sta facendo Eleonora. Il primo punto, come abbiamo già detto, muove da Wittgenstein, soprattutto dalle Ricerche filosofiche. Non è indifferente che Wittgenstein inizi le sue ricerche con una citazione da Sant’Agostino tratto dalle Confessioni, dove in poche parole Sant’Agostino esibisce la sua teoria semantica che consiste unicamente nel fatto che il significato di una parola è la sua denotazione, cioè la cosa, l’oggetto che denota. Alcuni sostengono che la critica a Sant’Agostino da parte di Wittgenstein, sia in realtà una critica a se stesso nel Tractatus. Le Ricerche filosofiche costituiscono in buona parte una obiezione a questa posizione e un’argomentazione a favore della tesi che lui sostiene nelle Ricerche e cioè che il significato sia, per farla breve, sia l’uso, il significato di una parola è l’uso che di questa parola si fa. C’è una questione importante in questo perché per utilizzare questa posizione di Wittgenstein e cioè considerare che il significato della parole corrisponda al loro uso, è importante che questo uso venga imparato, perché se non si impara non andiamo da nessuna parte, e per imparare l’uso occorre attenersi a delle regole, queste regole sono quelle che consentono la costruzione di significati in modo corretto. Una delle questioni è: “come so che sto seguendo correttamente questa regola?”, che è un problema che viene in seconda battuta, in quanto la prima battuta è “come faccio a impararle queste regole?” quindi la cosa importante qui è trovare quelle argomentazioni che mostrino come si imparino le regole del linguaggio, che detta in modo più spiccio è: “com’è che si impara a parlare?”. Questione molto semplice ma in realtà non è proprio così, per imparare a parlare, e sottolineo questo verbo “imparare”, occorre che ci sia da parte di chi apprende la possibilità, la capacità di apprendere, cioè di sapere che intanto gli si sta insegnando qualcosa, che queste cose che gli si stanno insegnando hanno un significato e che vanno prese in un certo modo. Per insegnare generalmente si utilizzano due sistemi, o quello argomentativo o quello ostensivo, cioè si mostra quello che si fa. Vi faccio un esempio. Se io dovessi insegnare a Eleonora a sostituire la cartuccia di questa penna allora potrei utilizzare entrambe queste cose, sia la dimostrazione ostensiva, cioè facendo vedere come si fa, sia descrivendo quello che sto facendo, e allora le direi: prima cosa, estrarre il cappuccio, lo dico e lo faccio, seconda cosa svitare la parte superiore della stilografica, lo dico e lo sto facendo, estrarre la cartuccia vuota, inserire la cartuccia piena sperando che non faccia danni, riavvitare la suddetta parte superiore della stilografica e reinserire il cappuccio, a questo punto l’operazione è stata eseguita correttamente, ora che cosa ho fatto propriamente? Avrei insegnato a Eleonora a compiere un’operazione, in questa caso sostituire una cartuccia di una stilografica, però perché questa operazione possa riuscire è necessario che Eleonora già abbia un patrimonio di conoscenze notevole, deve conoscere tantissime cose, deve conoscere intanto che cos’è una stilografica, sapere distinguere il cappuccio dalla parte inferiore, sapere cos’è una cartuccia, sapere cosa vuole dire “inserire” “estrarre” “avvitare” eccetera, deve conoscere tantissime cose per potere seguire questa spiegazione, cioè per potere applicare le regole che sono applicare nel caso della sostituzione della cartuccia di una stilografica, tutte queste cose Eleonora come le ha imparate? Perché per sapere che cos’è un “cappuccio” deve avere avuto altre informazioni, queste altre informazioni però per significare qualcosa per Eleonora devono procedere da altre ancora e cioè in ogni caso per potere insegnare qualcosa a Eleonora in modo che lei impari una regola come questa semplicissima, occorre che, almeno così appare, che Eleonora sia già nel linguaggio, cioè sappia già tutte quelle cose che le sono necessarie per apprendere una regola, un’istruzione. Questo per molti ha costituito un problema teorico, cioè per imparare a parlare occorre già sapere parlare, questa è la conclusione cui giungono taluni. A questo punto si pone il problema fatidico che è questo che dicevo prima, cioè “come si imparano le regole?” o più propriamente “come si impara a parlare?”. È un problema che viene nominato, però mai posto in modo esplicito anche perché tutte le discussioni e le disquisizioni che vengono fatte nell’ambito della filosofia analitica, per esempio intorno al concetto di “significato” per sapere qual è il significato del significato, cioè per sapere quando parliamo di significato di cosa stiamo parlando, tutte queste disquisizioni non tengono conto di questo fatto e cioè che tutte le argomentazioni che vengono utilizzate per elaborare, per intendere che cosa sia il significato già prevedono che ci siano dei significati, cioè per sapere che cos’è un significato già devo sapere cos’è il significato. Se ci atteniamo a Wittgenstein, queste parole che utilizzo per argomentare intorno al significato le sto usando, ne conosco l’uso, e per Wittgenstein il “significato” è conoscerne l’uso, quindi di fatto per potere argomentare e sapere che cos’è un significato è necessario che io sappia già che cos’è il significato, e cioè lo stia già usando. Il passo successivo è sbrogliarsi da questa posizione, che altrimenti diventa una posizione autobloccante, cioè non posso sapere che cos’è un significato, non posso neanche interrogarmi su che cosa sia un significato se già non conosco il significato, cioè non so usare le parole. Da questo punto in poi tecnicamente non potremmo andare da nessuna parte, questo problema com’è che viene risolto? Non viene risolto, viene semplicemente ignorato, cioè si fa come se non ci fosse e allora ecco che è possibile costruire elaboratissime e sofisticatissime considerazioni intorno al significato del significato, perché non ci si pone questa questione, la si ignora, semplicemente, si ignora questa sorta di impossibilità a procedere, potrebbe anche dirsi “non luogo a procedere”, non luogo a procedere perché si trova in una empasse senza soluzione. È come dicevamo prima, che è la stessa cosa, e cioè per imparare a parlare devo già sapere parlare, per sapere che cos’è un significato devo già sapere che cos’è un significato. Se vogliamo uscire da questa posizione siamo costretti a utilizzare il lavoro che è stato fatto molti anni fa da Turing, da Von Neumann e da altri, i quali si sono trovati nella condizione di dovere trasformare un pezzo di ferro in qualche cosa che pensa, e cioè coloro che hanno inventato e costruito i computer, trasformando un pezzo di ferro, di plastica, di cartone, di rame, di acciaio e di tutto quello che c’è dentro in qualche cosa che pensa, che parla, che esegue delle operazioni, fa grosso modo tutto ciò che fanno gli umani. Questi signori hanno utilizzato ovviamente, dico ovviamente perché non avevano altri riferimenti se non il modo in cui pensano gli umani, ma come avviene il pensiero degli umani, per riprodurlo? Bene, alcune affermazioni sono vere altre sono false, quelle vere vengono utilizzate quelle false scartate, quindi bisogna trovare un modo perché la macchina sia in grado di riconoscere le affermazioni vere da quelle false. Con gli umani c’è un vantaggio nel senso che sono già provvisti di fili elettrici e interruttori: nervi e neuroni, le macchine no, bisogna metterceli dentro. È stato necessario trovare un sistema molto semplice per distinguere le affermazioni vere da quelle false, quelle vere le chiamiamo 1, quelle false le chiamiamo 0, 1/0 - vero/falso, questo rende le cose molto più semplici e così anche il calcolo per sapere se una congiunzione di due affermazioni vere, Per esempio la congiunzione di due affermazioni vere producono un’affermazione vera, una congiunzione di un’affermazione vera e una falsa producono un’affermazione falsa, basta fare passare corrente oppure no, se passa corrente è vero, se non passa è falso. Interruttori, transistor poi assemblati fino a diventare dei microchip e poi assemblati per diventare dei sistemi integrati eccetera, in questo modo è stato possibile ricostruire il modo in cui gli umani pensano, pensano qualunque cosa, dal che cosa comperare quando si va a fare la spesa, se scatenare la terza guerra mondiale, o fare una dichiarazione d’amore, qualunque cosa pensino è irrilevante, sono sempre sequenze. A questo punto si sarebbe risolto il problema di questa argomentazione che diventava circolare “per imparare a parlare devo sapere parlare, per sapere che cos’è un significato devo già sapere che cos’è un significato” perché a questo punto, ecco, torna il verbo “imparare” che si porta appresso una connotazione abbastanza pesante e cioè quella connotazione che dice che chi impara deve già sapere delle cose, mentre se noi parliamo di “trasmissione” allora è più semplice, è più semplice perché la trasmissione non prevede che l’altra parte sappia già delle cose o, meglio ancora, sa quelle cose che gli ho messo dentro, cioè gli ho inserito, appunto degli interruttori e dei circuiti in modo da renderlo in condizioni di potere ricevere delle istruzioni, queste istruzioni lui sa che sono istruzioni perché è stato costruito, programmato, in modo di sapere che certe sequenze sono istruzioni e vanno trattate in un certo modo, quindi una trasmissione di dati e di istruzioni per processare questi dati, processare i dati significa elaborarli, significa cioè che da delle sequenze è possibile costruire delle nuove sequenze, assemblandole secondo delle regole stabilite. Ora la domanda che deve porsi Eleonora è questa: “il linguaggio funziona soltanto così?”, e cioè gli umani funzionano soltanto così o c’è dell’altro? E se c’è che cos’è? Questa è una domanda importante perché se c’è dell’altro occorre trovarlo e sapere individuarlo e sapere dire di che cosa si tratta, come funziona eccetera, se invece la questione è tutta qui allora la cosa diventa interessante perché a questo punto tutto ciò che gli umani fanno, pensano, dicono eccetera, è la conseguenza di istruzioni e di dati che sono stati immessi al momento in cui si sono trasmesse queste informazioni, non solo, ma l’opportunità di sapere se certe affermazioni, certe sequenze, certi segmenti di proposizioni sono veri oppure falsi, tutto questo si svolge all’interno del sistema. Dunque se c’è soltanto questo negli umani, nel senso che non si reperisce altro, allora la cosa diventa grave per un verso, ma straordinariamente interessante per l’altro, e cioè tutto ciò che gli umani fanno, pensano, costruiscono non ha altro riferimento se non ciò che è regolamentato all’interno del sistema. Questo pone altre questioni ovviamente perché se così è allora anche quella cosa che per esempio chiamiamo “realtà”, “il mondo esterno” eccetera, c’è in quanto è inserito all’interno del sistema, è un dato, ma perché possa essere un dato occorre che prima ci siano delle informazioni che lo riconoscono come un dato, questa “realtà” così detta deve significare qualcosa, cioè deve rinviare a qualche cos’altro per potere essere qualche cosa, se non rinviasse a nulla, cioè non fosse un segno, sarebbe nulla, dunque deve rinviare a qualcosa, se rinvia a qualche cosa è un segno che come tale è all’interno del sistema linguistico. Ma lasciamo da parte questa questione che per il momento ci interessa poco, atteniamoci invece a questo programma che vede qualunque attività degli umani, che sia teorica, cognitiva, esperienziale come un gioco linguistico, questo è l’altro punto fondamentale: qualunque cosa gli umani facciano o non facciano, sarà un gioco linguistico, un gioco linguistico nell’accezione che abbiamo indicato e cioè una costruzione di sequenze costruite attenendosi alle regole per costruirle, regole immesse nel sistema quindi solo quelle proposizioni costruite in quel modo saranno riconosciute dal sistema come proposizioni e quindi utilizzabili per costruire sequenze. Fino a qui ciò che abbiamo fatto è mostrare che partendo dalla domanda “come si impara a parlare?” o “come si impara a seguire una regola?” precede quell’altra “come so se sto seguendo una regola?”. Come so se sto seguendo correttamente una regola? È molto semplice, una regola è un’istruzione o una sequenza di istruzioni, come funziona il sistema di verifica all’interno di un sistema? Considerate la macchina, come sa una macchina se ha eseguito correttamente un programma? Lo sa nella misura in cui tutte le operazioni che svolge per eseguire una istruzione sono quelle mosse previste dalla regola stessa, dalla stessa istruzione, se compare per qualche motivo un’operazione che non è prevista dalla regola ecco che allora stabilisce che l’istruzione non è stata eseguita correttamente. Questo è ciò che avviene nelle macchine, infatti si bloccano, si bloccano perché sono state programmate per fermarsi in questo caso. Se per esempio voi installate dei programmi, e poi ne disinstallate uno, disinstallandolo, per una qualche connessione, qualche link, disinstallate, senza volere, un frammento di un altro programma, questo altro programma può non funzionare più correttamente, il sistema se ne accorge perché questo programma non è più in condizione di eseguire tutte le operazioni che comportano l’eseguire una certa istruzione. Il risultato è che quel programma si blocca. Gli umani non si bloccano propriamente però fanno qualcosa di simile. Questo è il modo in cui una macchina sa se ha eseguito correttamente un’operazione oppure no, perché sa che per eseguire una certa istruzione deve compiere i passaggi a,b,c,d,e, se questi passaggi vengono compiuti allora ha eseguito l’operazione, se si blocca sulla b, per qualche motivo, allora la macchina sa che non ha eseguito correttamente l’operazione e chiede istruzioni, generalmente dice di reinstallare il programma, in questo modo va a correggere il segmento mancante per esempio. Il punto cui siamo giunti facendo queste considerazioni non è tanto che le macchine possano essere utili o si possono dire delle cose utili per sapere come pensano gli umani, anche certo, ma mostrano qualcosa di più radicale, e cioè che noi umani abbiamo costruito le macchine mettendo in atto qualche cosa che è necessario per il nostro funzionamento: tutte le istruzioni che forniamo alle macchine sono quelle stesse istruzioni che servono a noi per “funzionare” tra virgolette, qui funzionare traducetelo con parlare, pensare, prendere decisioni, fare tutto quello che fanno gli umani generalmente. Questo ci porterebbe a considerare che effettivamente, come dicevamo prima, tutto ciò che gli umani fanno è eseguire giochi linguistici, nient’altro che questo, affermazione piuttosto pesante e anche drammatica per alcuni versi, perché ci dice intanto che qualunque cosa venga considerata vera o falsa è tale solo all’interno di un sistema, perché fuori da questo sistema il vero o il falso non significano assolutamente niente, oltre al fatto che tutte queste considerazioni vanno applicate, cioè queste conclusioni cioè che tutto ciò che gli umani fanno è e non può non essere che un gioco linguistico, vanno applicate anche alle stesse considerazioni che hanno portato a queste conclusioni, e cioè tutto ciò che sto dicendo è un altro gioco linguistico. Allora l’idea che possa costruirsi un’argomentazione che possa dire come stanno le cose fuori dal linguaggio, a questo punto, non significa più niente, è niente. L’idea, la velleità da parte degli umani di potere giungere a una verità o stabilire o pensare di stabilire come stanno le cose o, e non da ultimo, dire che cos’è un significato, letteralmente non significa niente fuori dal sistema in cui tutte queste operazioni sono consentite. Questo porta alla distruzione immediata e totale di tutta la filosofia analitica. Ma perché dico questo riguardo alla filosofia analitica? La filosofia analitica, da quando esiste, da Frege in poi diciamo, ha tentato di stabilire dei criteri di verità, criteri di verità da applicare a delle affermazioni, quelle intorno al significato, alla verità stessa, intorno alla correttezza, intorno alla validità, ma tutte queste considerazioni, a questo punto, sono considerazioni fini a se stesse, nel senso che non hanno nessuna possibilità di stabilire che cos’è il significato, se il significato non è un qualche cosa che veleggia in qualche iperuranio. Se il significato non è questa cosa che veleggia in qualche iperuranio, allora ciò che dico del significato può essere vero all’interno del sistema, cioè del discorso che io ho costruito per definirlo, ma al di fuori di questo discorso che io ho costruito per definirlo non significa assolutamente niente. Dunque posso costruire infiniti discorsi, così come viene fatto per altro, ma sono fini a se stessi, non hanno un secondo fine; è ciò che dicevamo tempo fa rispetto al linguaggio, il linguaggio produce proposizioni, quindi discorsi, storie eccetera che sono fini a se stesse, non c’è un altro fine…

Intervento: però si pensa che ci sia…

Si può pensare qualunque cosa, ma il fatto di potere pensare anche questa cosa è una produzione che può porsi in atto perché esiste un sistema che consente la sua costruzione, e questo sistema ha una validità che è ristretta all’interno di quel sistema, non ha nessun riferimento fuori da se stesso. L’obiettivo finale cui Eleonora occorre che giunga, è la considerazione che gli umani si muovono, parlano perché sono fatti di giochi linguistici fini a se stessi, la cui verità è costruita dal sistema all’interno del quale questi giochi sono inseriti, e gli umani fanno questo da quando esistono. Quindi riassumendo io partirei dalla citazione che fa Wittgenstein all’inizio e poi da lì porre il problema, sì la teoria semantica esposta da Sant’Agostino, quindi il significato come “uso”, questo uso comporta il seguire delle regole se no non puoi usarlo, l’uso è già seguire delle regole, se io dico “usa questo accendino” tu sai che per usarlo cioè accendere qualche cosa devi sollevare il coperchietto, ruotare in senso orario la pietrina, dopo di che si accende la fiammetta, in questo modo hai eseguito una regola, questa regola ti dà il significato anche di accendino. Ma a questo punto non è tanto la questione del “come sai di eseguire correttamente una regola?”, questo lo vedremo dopo ma “come impari a seguire una regola”, e mostrare che non c’è di fatto una soluzione soddisfacente a questa domanda, non c’è, a meno che la questione si ponga in un altro modo e cioè nel modo in cui la posero Turing, Von Neumann, McCulloch un neurofisiologo e Walter Pitts un matematico. Seguendo costoro si riflette su come sia stato possibile costruire quella che Turing chiamava la macchina pensante, cioè trasformare un pezzo di materia inerte in un qualche cosa che pensa. Dopo tutto anche tu eri un pezzo di materia inerte a cui occorreva insegnare a parlare, e in effetti oggi sai parlare, come è avvenuto questo miracolo? Tecnicamente non è possibile insegnare a qualcuno perché tu non puoi imparare a parlare se già non sai parlare. Dunque occorre trasformare un pezzo di materia, qualunque essa sia, che sia un pezzo di ciccia oppure un pezzo di ferro, trasformarlo in qualcosa che è in condizioni di elaborare dati, cioè costruire proposizioni correttamente e da queste proposizioni costruirne altre di nuove. Fare tutto quello che fanno gli umani e quindi, terzo punto, domandare: “gli umani sono soltanto questo? Cioè pensano soltanto in questo modo? O c’è dell’altro? Se c’è che cosa?”. Se sono soltanto questo allora gli umani sono soltanto i giochi linguistici che praticano continuamente secondo delle regole stabilite e non possono fare altro, e allora tutte le disquisizioni intorno al significato, alla Verità, al senso della vita eccetera, tutte queste disquisizioni possono essere considerate vere o false unicamente in base alle istruzioni fornite da quel gioco linguistico che si sta facendo e niente più di questo, che è esattamente ciò cui siamo giunti a considerare recentemente. Si tratta solo di giochi linguistici perché gli umani sono questi giochi linguistici e non c’è nient’altro al di fuori di questi giochi linguistici, quindi elaborare una teoria semantica è fare un gioco linguistico fine a se stesso, a meno che, come dicevamo, il “significato” non svolazzi in qualche iperuranio, cosa che però è da verificare.

Intervento: stavo pensando alla questione del problema che devo già sapere parlare per parlare … stavo pensando a come la mette Wittgenstein…

Della questione ne parla anche Sini, dicendo che è un problema che non ha soluzione, lo stesso De Saussure si pone la questione, ma poi parte con divagazioni sue più o meno psicologistiche ma senza dire assolutamente niente, cioè non c’è una soluzione a questo problema, se il problema è posto in questi termini non ha soluzione, se si parla di “apprendimento” che comporta da parte di chi deve apprendere un qualche cosa che deve già sapere per potere apprendere, cioè per potere compiere questa operazione di “apprendere”, allora se la poni così non ha soluzione. Wittgenstein ha scelto insieme con molti altri la via più semplice, e cioè ha ignorato la questione, però la questione rimane perché riguarda il modo in cui si impara qualche cosa, la possibilità stessa di imparare qualche cosa. Intervento: proprio in Alice e il Sofista lei afferma questo che gli “umani” da sempre sanno parlare e questa è la questione più complessa, l’idea è quella di Sant’Agostino che mostra un “infante” che non parla, dice lui, che non sa parlare, ma ascolta le parole di chi sta accanto a lui, ma l’idea è anche quella di Wittgenstein che utilizza le parole di Agostino, c’è un bambino in carne ed ossa che non parla e poi incomincia a parlare eccetera, anche noi per molto tempo quando affrontavamo questa questione interveniva il “bambino” eccetera, è come dire il linguaggio prima non c’era e poi ad un certo momento c’è, ma questo fa parte dell’addestramento metafisico come se fosse possibile entrare e uscire a piacere dal linguaggio, e continuano a funzionare regole, istruzioni che impongono nei discorsi la “cosa” che può essere un accendino oppure un bambino, una persona, un cane, ma i discorsi, il linguaggio, un sistema linguistico è fatto, è costruito da elementi linguistici e utilizza elementi linguistici nelle sue costruzioni non può utilizzare un bambino in carne ed ossa, un “bambino in carne ed ossa che non parla” è una figura retorica e questo è il vizio di pensiero, l’inganno madornale è trovarsi a considerare come impara il “bambino” a parlare parlando e non potendo non farlo, ma parlando si può considerare anche come e quali concetti utilizza il linguaggio per esempio il concetto di “realtà”.

Non solo, la questione che riguarda “come so di seguire correttamente una regola?” rinvia al modo in cui si impara o meglio in cui si trasmette, perché è nel modo in cui si trasmette che è “implicito” tra virgolette, poi è chiaro si tratterà di articolare la questione, la possibilità anche di verifica della proposizione: se ha imparato a usare una istruzione allora sa anche se la sta eseguendo correttamente, perché nelle istruzioni di quella regola ci sono le informazioni che glielo consentono, se no non saprebbe usarle in nessun modo, cioè ogni volta farebbe le cose più disparate, se non le fa è perché c’è un sistema di verifica, questo sistema di verifica fa parte delle istruzioni stesse che hanno consentito di utilizzare una certa regola.