16 luglio 1998
La volta scorsa ho precisato che il dire che nulla è fuori dalla parola è una figura retorica, un modo per indicare che non c’è la possibilità di fare alcunché, non è che questo nulla sia un quid che è lì fuori dalla parola che è in attesa di essere scoperto... Non trovate nessun modo migliore che una figura retorica per indicare una cosa del genere. Lo stesso nulla che si utilizza quando si dice: “non hai capito nulla “ o “non ho detto nulla” è soltanto un rafforzativo... (...) Dicevi che la questione centrale è connessa con la nozione di esistenza. Dell’esistenza cosa potremmo dire così di primo acchito? (...) Certo, potremmo dire che l’esistenza non esiste fuori dal gioco in cui è inserito. Avevamo detto tempo fa dell’esistenza, su cui come ben sai si sono interrogati in molti, molti si sono cimentati con questo significante e in effetti anche qui la questione fondamentale da affrontare è il fatto che ciò che necessariamente è e l’esistenza è appunto un significante, un elemento linguistico; tu puoi anche chiederti se l’esistenza esista oppure no, tornando al punto di partenza e di nuovo tu ti chiedi ma allora l’esistenza? È uno dei quei termini che non ha possibilità di venire fuori da una aporia del genere, anche perché se ti chiedi che cos’è già alludi a qualcosa che esiste, quindi dai per acquisito che esiste (...) sì chi ha qualche questione? (Il nulla contrapposto a qualcosa che non vedo. È un significante che deve pure esistere per poter dire che qualcosa non c’è...) C’è qualcosa che possa dirsi del nulla, di necessario, che risulta necessario non dire? È una questione, ancora non sappiamo se è così però che cosa necessariamente occorre che sia per potere essere utilizzato questo significante? Sì, quindi dobbiamo dire che quando diciamo nulla intendiamo necessariamente un qualche cosa che nega, ma nega che cosa esattamente? E qui c’è un intoppo perché se diciamo che nega qualunque cosa (noi abbiamo appena detto che nulla è qualcosa che nega qualunque cosa) e quindi ci troviamo in qualche difficoltà. Però, in effetti, come Fredegiso pone la questione in termini linguistici è molto prossima a cose che anche Wittgenstein ha sostenuto molto tempo dopo, ponendola in termini linguistici; effettivamente è semplice perché nulla è come se dicesse che se stesso non esiste, violando il famoso principio aristotelico, perché non può affermarsi negandosi, ma è esattamente quello che dovrebbe fare. Per questo ho indicato il nulla appunto come il famoso paradosso, qualcosa che è fuori dalla parola e che necessariamente per affermarsi deve negarsi e per negarsi deve affermarsi, e quindi è la forma del paradosso propriamente. La questione del nulla ha mostrato, così come Roberto ha sottolineato prima, una questione che è fondamentale per quanto riguarda qualunque discorso tutto sommato, qualunque modo di porre il discorso e cioè l’impossibilità, intendo dire logica, di non tenere conto dell’esistenza del linguaggio, come se questa questione che abbiamo accennato del nulla fosse una sorta di emblema, vale a dire qualcosa che per affermarsi è costretto a negarsi e viceversa così come qualunque affermazione che si pone come affermazione necessaria, salvo quella che riguarda l’attinenza al linguaggio, subisce lo stesso andamento e cioè se vuole affermarsi come necessaria inesorabilmente è costretta a negarsi e viceversa. Questa è una questione bizzarra e abbastanza curiosa perché potrebbe essere, riprendendo una questione di qualche tempo fa, una via anche per elaborare la domanda che ci ponemmo e cioè come possa avvenire l’eventualità di non potere tenere conto dell’esistenza del linguaggio mentre si parla, cosa che invece sappiamo avvenire continuamente. La questione incuriosisce perché ciò che abbiamo elaborato ultimamente sembra effettivamente impedire che sia possibile una cosa del genere, mentre invece continua ad accadere, e ciò che dicevamo del nulla sembra emblematico a questo riguardo. È come se qualunque affermazione, qualunque elemento, seguisse la stessa vicenda: può affermarsi soltanto negando se stesso, può affermarsi in definitiva soltanto negandosi. Intendo dire che nulla è se e soltanto se non è, questa potrebbe essere la sua formulazione più precisa, e cioè la formulazione appunto del paradosso. Ma provate a considerare qualunque affermazione, di qualunque tipo e per qualunque motivo la si faccia, come una affermazione che ha le stesse prerogative, cioè può affermarsi se e soltanto se può negarsi. C’è l’eventualità che qualunque atto linguistico abbia questa forma, questa struttura, cosa che rende immediatamente conto di che cosa avviene quando si fa una affermazione: ciò che avviene non è altro che l’enunciazione di regole di un gioco linguistico o ciò che si produce come effetto dall’implicazione di queste regole, né può essere altro, inesorabilmente. Quindi, potremmo dire che “nulla” è ciò che necessariamente per affermarsi deve negarsi. Ma come dicevo è la questione che riguarda ciascun atto linguistico, in definitiva, cioè subisce la stessa vicenda salvo ovviamente questi enunciati che abbiamo indicato come necessari, perché sono enunciati che indicano soltanto la struttura attraverso la quale funziona il linguaggio e quindi sono la condizione per potere pensare e dire qualunque cosa. Ma al di là di questi, con i quali per altro è possibile fare molto poco se non tenere conto che la struttura del linguaggio è inesorabile e che non c’è alcunché che possa darsi al di fuori della parola. Ciò che ci impegna è intendere la seconda parte della frase che ponevo tempo fa e cioè tutto ciò che questo comporta e cioè intendere che cosa comporta esattamente nel discorso, così come si diceva tempo fa, attraverso quale struttura può avvenire una affermazione che non tiene assolutamente conto delle condizioni attraverso e per la quale può avvenire? Riuscendo a compiere questo in effetti, se mai riuscissimo, forse ci riusciremo, avremo fatto qualcosa di molto più formidabile di tutto ciò che sia mai stato fatto negli ultimi tre mila anni e sicuramente molto più esplosivo... È da qualche tempo che la questione mi interroga e ciascuna volta che la si approccia si mostra sempre molto difficile; in teoria va affrontata dal luogo comune e che il luogo comune presenta riguardo al nulla... intende qualcosa certamente ma che cosa esattamente? Abbiamo visto Fredegiso e Wittgenstein del nulla non dicono assolutamente nulla, appunto nel senso che non hanno i termini, le condizioni per poter affrontare la questione in modo da dire qualcosa di un qualche interesse, e questo è il luogo comune. Ma per via di quale struttura avviene che alcuni, anche non sprovveduti per altro, verso una questione così semplice, tutto sommato, così straordinariamente semplice, così semplice da non poter essere vista… Prendete per esempio la questione che abbiamo affrontato prima del nulla, ciò che per esistere deve necessariamente negarsi, cioè per affermarsi deve necessariamente negarsi, una banalità, è la sua definizione, poi in definitiva, ma che io sappia nessuno l’ha mai affermato, perché? Eppure, è semplice.(Non capisco l’importanza) Ce l’ha, ce l’ha perché è intendere una struttura che impedisce l’accesso a una cosa così semplice, può essere invece di straordinario interesse per costruire proposizioni che abbattono questo impedimento all’accesso… (...) Sì, certo, si parte dai luoghi comuni ma poi dai luoghi comuni è possibile, riflettendo, giungere a qualcosa che riguarda una sorta di logica che indica il come avviene che all’interno del linguaggio qualcosa sbarri l’accesso alla possibilità di intendere che utilizzando il linguaggio si sta facendo propriamente questo, questo potrebbe essere interessante è una questione che ormai da anni mi interroga. Prendi per esempio ciò che ho scritto ne La seconda sofistica (...) Tuttavia, la via che mi ha condotto a proposizioni assolutamente necessarie ha preso le mosse da questioni assolutamente arbitrarie, poi dall’arbitrario ho cominciato ad accorgermi che erano arbitrarie, allora a quel punto ho cominciato a domandarmi se ci fosse possibile costruire qualcosa che non fosse così assolutamente arbitrario. Il punto di partenza a volte è molto banale, delle volte invece dà l’occasione di riflettere in modo più preciso... (Agostino e il principio di non contraddizione...) Viola il principio di non contraddizione... ma può farlo? Può un elemento violare il principio di non contraddizione? Può un elemento essere se stesso e altro da sé? Lì cominci a riflettere sulle cose, se sì come e se no perché? E allora rifletti e comincia pensare che se è altro da sé come lo sai? Occorre che ci sia un sé perché sia altro da sé, quindi occorre che ci sia almeno un elemento che sia identico a sé per potere affermare che è altro da sé, se no non è altro da niente, no? (...) Tuttavia, pensa al paradosso e di che cosa è fatto il paradosso, di questo abbiamo accennato in vare occasioni, anche a quali condizioni si produce un paradosso, se è possibile eliminare un paradosso senza utilizzare lo stesso sistema di Russell o utilizzandolo forse in modo più radicale. Dal momento che tutti questi paradossi giocano sul fatto che un elemento interviene una volta in una certa accezione e la seconda in un’altra, e quindi si produce il paradosso, però se effettivamente tu consideri che sono giochi linguistici differenti il paradosso cessa di esistere. Ma i paradossi più formidabili, il fondamento stesso del paradosso, sono quelli che muovono dall’eventualità che un elemento fuori dalla parola sia chiamato a giustificare se stesso. Un po’ come il nulla, domandarsi che cosa è il nulla o qualunque altra cosa è come porre un elemento fuori dalla parola e di là chiedergli di giustificarsi, di dire che cos’è, come se dovesse dire lui che cosa realmente è e lì sorgono i paradossi perché qualunque cosa tu gli faccia dire gliela fai dire tu e quindi generalmente torni al punto di partenza. Ma ecco, dell’eventualità di intendere che cosa impedisce l’accesso al linguaggio, questo potrebbe anche essere un paradosso, tutto sommato posto in un certo modo, e cioè il fatto che ciascuno non possa utilizzare il linguaggio e generalmente non possa saperlo, in genere avviene così... Che una affermazione che non tenga conto della condizione attraverso cui si afferma ha la struttura del paradosso e questo potrebbe fare intendere come avviene che all’interno del linguaggio, e in definitiva di qualunque discorso, si creino una serie notevolissima di problemi parlando, problemi che forse potrebbero risolversi immediatamente se ci fosse la possibilità di tener conto di questo aspetto. (...) Dalle persone che intervengono alle conferenze le domande d’acchito non tengono minimamente conto di ciò che io dico. Generalmente, occorre un certo periodo di tempo perché di qualcosa incominci a tenersene conto, sicuramente non perché le cose che dico sono difficili, parlo in effetti in un modo molto semplice, ma qualcosa è come se impedisse che potessero essere intese (...) Se io affermo per esempio durante una conferenza che “nulla è fuori dalla parola” e fornisco gli elementi per potere considerare che le cose sono necessariamente così, questo non viene assolutamente tenuto in conto. Se io dico invece ad una persona, alla stessa persona, fornendo prove altrettanto convincenti che suo padre, che quello che lui crede essere suo padre non è suo padre ma è un altro, allora da quel momento lui cambia moltissimo le cose che pensa. Perché nel primo caso non succede niente e nel secondo sì?