INDIETRO

 

16-4-2008

 

Dal testo di Henri Jules Poincaré[1] “Il valore della scienza” (1905)

 

1. Contingenza e determinismo

 

Non ho intenzione di trattare in questa sede il problema della contingenza delle leggi della natura, che è evidentemen­te insolubile e su cui si è già tanto scritto.

Vorrei soltanto far notare quanti significati diversi sono stati attribuiti al termine contingenza e quanto sarebbe utile distinguerli.

Nell'esaminare una legge particolare qualunque possia­mo essere certi in anticipo che sarà solo approssimativa: è infatti dedotta da verifiche sperimentali che sono e non pos­sono che essere approssimate. Ci si deve sempre aspettare che misure più precise ci costringano ad aggiungere nuovi termini alle nostre formule; per esempio è ciò che è capitato alla legge di Mariotte.

Inoltre l'enunciato di una qualsiasi legge è forzatamente incompleto. Esso dovrebbe infatti comprendere l'enumerazio­ne di tutti gli antecedenti che rendono possibile produrre un dato conseguente. Dovrei innanzitutto descrivere tutte le con­dizioni dell'esperimento da eseguire e l'enunciato della legge sarebbe: se tutte le condizioni sono soddisfatte tale fenome­no avrà luogo.

Saremo però sicuri di non aver dimenticato alcuna con­dizione solo quando si sarà descritto lo stato dell'intero uni­verso all'istante t; infatti tutte le parti dell'universo possono esercitare un'influenza più o meno grande sul fenomeno che deve prodursi all'istante t+ dt.

Ora è chiaro che una simile descrizione non rientra nell'enunciato della legge; in caso contrario la legge diverrebbe inapplicabile; se si esigessero contemporaneamente tante condizioni, si avrebbero ben poche possibilità che possano tutte realizzarsi.

Non avendo mai la certezza di non aver dimenticato qualche condizione essenziale, non si potrà più dire: se si realizzano tali condizioni, si produrrà tale fenomeno; si po­trà soltanto dire: se si realizzano tali condizioni è probabile che si produca qualcosa di simile a tale fenomeno.

/…/

Se le leggi naturali attuali non fossero le stesse dell'età del carbonifero non potremmo mai saperlo, perché possiamo conoscere di questo periodo solo ciò che deduciamo nell'ipotesi della permanenza di que­ste leggi.

Si potrebbe forse pensare che una simile ipotesi conduca a risultati contraddittori e che si dovrà abbandonarla. Per esempio, per quanto riguarda l'origine della vita, si può con­cludere che sono sempre esistiti degli esseri viventi poiché il mondo attuale ci mostra sempre la vita generata dalla vita; ma anche che la vita non è sempre stata presente in quanto l'applicazione delle leggi attuali della fisica allo stato presen­te del nostro globo ci insegna che il nostro globo è stato un tempo talmente caldo da rendere l'esistenza della vita impos­sibile. Contraddizioni di questo genere possono sempre esse­re eliminate in due modi: si può supporre che le leggi attuali della natura non siano esattamente quelle ammesse, oppure che le leggi della natura siano attualmente quelle ammesse, ma che non sia sempre stato così.

/…/

Le leggi sperimentali sono solo approssimate e quelle che ci sembrano esatte sono state artifi­cialmente trasformate in ciò che prima ho chiamato un prin­cipio. La trasformazione è stata eseguita liberamente ed es­sendo il capriccio ispiratore eminentemente contingente, ab­biamo comunicato questa stessa contingenza alla legge. È vero che abbiamo il diritto di affermare che il determinismo suppone la libertà, perché diventiamo deterministi libera­mente. Forse qualcuno penserà che ciò dia ampio spazio al nominalismo e che l'introduzione di questo nuovo significa­to del termine contingenza non aiuterà molto a risolvere tutti questi problemi che sorgono spontaneamente e che so­no già stati in parte discussi.

Non voglio affatto ricercare qui i fondamenti del princi­pio di induzione; so molto bene che non ci riuscirei; è altrettanto difficile giustificarlo che farne a meno. Voglio soltanto mostrare in che modo gli scienziati lo applicano e perché sono obbligati ad applicarlo.

Quando si riproduce lo stesso antecedente deve ugual­mente riprodursi lo stesso conseguente; tale è l'enunciato ordinario. Ma in questa forma il principio non potrebbe servire a nulla. Per affermare che si è riprodotto lo stesso antecedente si dovrebbero essere riprodotte tutte le circostan­ze, poiché nessuna è del tutto indifferente, ed esse si sarebbe­ro dovute riprodurre esattamente. Non verificandosi ciò mai, il principio non potrà avere alcuna applicazione.

/…/

Le sensazioni sono quindi intrasmissibili, o piuttosto tut­to ciò che in esse è qualità pura resterà perennemente intra­smissibile e impenetrabile, mentre la stessa cosa non accade per le relazioni tra le sensazioni. Da questo punto di vista tutto ciò che è oggettivo è sprovvisto di ogni qualità e non è che pura relazione. Non arriverò certo ad affermare che l'oggettività è solo pura quantità (sarebbe particolarizzare troppo la natura delle relazioni in questione), ma si può comprendere chi è arrivato ad affermare che il mondo è solo un'equazione differenziale. Pur avendo delle riserve su quest'ultima affermazione paradossale, dobbiamo nondimeno ammettere che è oggettivo solo ciò che è trasmissibile e di conseguenza che solo le relazioni tra le sensazioni possono avere un valore oggettivo. C'è chi dice che l'emozione estetica, che è comune a tutti gli uomini, è la prova che anche le qualità delle nostre sensazioni sono identiche per tutti gli uomini e quindi oggettive. Ma se ci si riflette, si vede che la dimostrazione non è conclusiva; ciò che è provato è che l'emozione è provocata in Giovanni e in Piero da sensazioni alle quali entrambi danno lo stesso nome o da corrispondenti combinazioni di queste sensazioni. Può accadere che questa emozione si associa in Giovanni alla sensazione A che Giovanni chiama ros­sa, mentre parallelamente è associata in Piero alla sensazione B che Piero chiama rossa; o meglio, che questa emozione è provocata non dalle qualità stesse delle sensazioni, ma dall'armoniosa combinazione delle loro relazioni di cui subiamo inconsciamente l'impressione. Tale sensazione è bella non perché possiede tale qualità, ma perché occupa tale posto nella trama delle nostre associa­zioni d'idee, in modo che non si può eccitarla senza mettere in moto il «recettore» che è all'altro capo del filo e che corrisponde all'emozione artistica. Che ci si ponga dal punto di vista morale, estetico o scientifico, è sempre la stessa cosa. È oggettivo solo quello che è identico per tutti, ma si può parlare di una simile identità solo se il confronto è possibile e se può essere tradot­to in «moneta di scambio» trasmissibile da una mente all'al­tra. Avrà un valore oggettivo solo ciò che sarà trasmissibile per mezzo del «discorso», ossia intellegibile.

Si tratta però solo di un lato del problema. Un insieme assolutamente disordinato non avrebbe alcun valore oggetti­vo in quanto sarebbe inintelligibile, ma anche un insieme ben ordinato può non averne alcuno se non corrisponde a sensazioni effettivamente provate. Mi sembra superfluo ricordare tale condizione e non l'avrei richiamata se non si fosse sostenuto recentemente che la fisica non è una scienza speri­mentale. Pur non avendo questa opinione alcuna possibilità di essere adottata né dai fisici né dai filosofi, conviene essere avvertiti per non scivolare sul pendio che vi condurrebbe. Ci sono quindi due condizioni da soddisfare e se la prima sepa­ra la realtà' dal sogno, la seconda la distingue dal romanzo.

Cos'è la scienza? L'ho spiegato nel paragrafo preceden­te: è innanzitutto una classificazione, un modo di collegare eventi che le apparenze separavano nonostante fossero legati da qualche parentela naturale e nascosta. La scienza in altri termini è un sistema di relazioni. Come abbiamo appena detto, solo nelle relazioni deve essere ricercata l'oggettività; sarebbe vano cercarla negli esseri considerati isolati gli uni dagli altri.

Dire che la scienza non può avere valore oggettivo perché ci fa conoscere solo i rapporti, significa ragionare alla rovescia visto che proprio i rapporti sono gli unici a poter essere considerati oggettivi.

Per esempio gli oggetti esterni per i quali è stato inventa­to il termine oggetto, sono appunto oggetti e non apparenze fuggevoli ed impercettibili, in quanto non sono solo gruppi di sensazioni, ma gruppi cementati da un legame costante. Questo legame è l'unico a costituire in essi l'oggetto, ed esso è un rapporto.

Chiedersi quale sia il valore oggettivo della scienza non significa chiedersi se la scienza ci fa conoscere l'autentica natura delle cose, ma se ci fa conoscere gli autentici rapporti delle cose.

/…/

Lo spazio assoluto non esiste; le due proposizioni con­traddittorie: «la terra gira» e «la Terra non gira» non sono da un punto di vista cinematico una più vera dell'altra. Affermare l'una negando l'altra, in senso cinematico, vorreb­be dire ammettere l'esistenza dello spazio assoluto.

Ma se una ci rivela rapporti veri che l'altra nasconde, si potrà nondimeno considerare questa fisicamente più vera dell'altra poiché ha un contenuto più ricco. Al riguardo nessun dubbio è possibile.

/…/

Tutto ciò che non è pensiero è puro nulla perché possia­mo pensare solo il pensiero, e tutte le parole di cui disponia­mo per parlare delle cose possono solo esprimere dei pensie­ri; dire che c'è altro al di fuori del pensiero, è un'affermazio­ne priva di senso.

tE tuttavia – strana contraddizione per coloro che credono al tempo – la storia geologica ci mostra che la vita non è che un breve episodio tra due eternità di morte e che in questo stesso episodio il pensiero cosciente è durato e durerà solo un istante. Il pensiero non è che un lampo in mezzo ad una lunga notte.

Ma questo lampo è proprio tutto.

 

È curioso che uno dei massimi filosofi della scienza concluda in questo modo un suo testo sui fondamenti della scienza, quali considerazioni trarre da una cosa del genere? Lui parla del pensiero è ovvio e il pensiero è fatto di relazioni, di connessioni, di inferenze le relazioni sono inferenze “se questo allora quest’altro”, per tutto questo libro, io vi ho soltanto letto alcuni passi dalle ultime pagine, considera che di fatto l’oggettività della scienza consiste unicamente nel fatto che è possibile stabilire certe relazioni, queste relazioni, queste connessioni sono di fatto l’oggettività, la cosa in sé, e questo molto kantianamente rimane inaccessibile…

Intervento: lui non ne parla neanche…

No lui non ne parla, questa è una mia estrapolazione, faccio dire che kantianamente la cosa in sé non si dà, ma è soltanto stabilita dalle connessioni che consentono di trarre delle inferenze. Una volta tratte queste inferenze ecco che compare l’oggettività, compare, come lui stesso ha detto, compare l’oggetto in quanto tale, tolte queste connessioni l’oggetto non c’è più, sta dicendo questo che è curioso se pensate che scriveva nel 1905, certo ci sono delle ingenuità ma d’altra parte gliele possiamo anche concedere, in effetti dice: è vero che resterà comoda la scienza, la scienza non certifica niente è comoda, è utile ovviamente ma ci ha già detto prima che non potrà mai dirci che cos’è il caldo, che cos’è il freddo, cos’è la vita, cos’è la temperatura, cos’è l’elettricità non potrà farlo ma soltanto mostrarci delle relazioni basta solo questo lui dice “è vero che resterà comoda per i nostri discendenti, è vero infine che tutto questo non può essere solo per caso” e questa è un’ingenuità ché detta da Poincaré può lasciare interdetti, cosa vuole dire che non può essere solo per caso? Che ci deve essere un dio da qualche parte? O come disse Einstein, scrivendo a Born, che occorre pure immaginare che dio non giochi ai dadi? E cioè che ci sia una legge che governa tutto quanto, questa è un’ingenuità, come dire? Affidarsi come facevano gli antichi tragediografi che quando ad un certo punto non sapevano più come cavare d’impaccio l’eroe facevano comparire il deus ex machina, cioè trasportato da alcuni che lo tiravano, appunto ex machina che arriva con la macchina, compariva in scena e risolveva lui il problema, deus ex machina, è invalso nell’uso corrente a indicare con il deus ex machina l’intervento di qualche cosa che salva la situazione…

Intervento: quando parla dell’oggettività data dalle relazioni verrebbe da pensare che da qual momento c’è l’oggetto che è pur un qualche cosa…

Se non ci fosse questa ultima considerazione si potrebbe pensare questo, però tutto ciò che non è pensiero è puro nulla, lui dice così…

Intervento: il discorso scientifico stabilisce alcune serie di relazioni e da quel momento esiste qualcosa…

E invece Poincaré dice queste relazioni esistono perché sono relazioni del pensiero, è qui la questione straordinaria…

Intervento: nel luogo comune dal momento in cui si stabiliscono queste relazioni, dal momento in cui vengono fatte, da quel momento in poi l’oggetto esiste di per sé, nessuno parlava della temperatura prima che qualcuno la misurasse, si immagina che questa temperatura sia un valore che esiste di per sé cioè che prima non si conosceva ma che adesso si conosce cioè è sempre esistita…

Sì perché c’è una nozione di esistenza molto ingenua, ne parlavamo con Daniela l’altro giorno: un’affermazione di questo tipo “le cose esistono comunque” nessun filosofo della scienza la farebbe mai, né un logico, ora una conclusione del genere mostra che il pensiero scientifico, parlo del pensiero scientifico, non del luogo comune, ha inteso che è il pensiero che produce le relazioni, l’oggetto non è nient’altro che relazioni quindi l’oggetto è prodotto dal pensiero né più né meno. È chiaro che manca a Poincaré tutta la questione del linguaggio, non poteva ancora parlarne. De Saussure nasceva in quegli anni però qui a questo punto si impianta tutta la questione del da dove viene il pensiero, come è costruito, e a questo punto ecco che sorge l’Associazione Scienza della Parola che risponde a questa domanda fondamentale, perché se no tutto rimane ancora vincolato a qualcosa di effimero, un pensiero che non si sa bene come funzioni, che cosa sia e da dove venga, noi abbiamo stabilito invece che cos’è, da dove viene, come funziona in modo assolutamente preciso e quindi possiamo dare a questa come a molte altre affermazioni uno statuto logico molto preciso…

Intervento: quando parla del caso?

Sì. vi rileggo la frase: si dirà che la scienza è solo una classificazione e che una classificazione non può essere vera – lui dice la scienza non è altro che una classificazione di relazioni, questo fa la scienza – quindi non può essere vera ma certo è vero che essa è comoda, è vero che lo è e non solo lo è per me ma per tutti gli uomini è vero che resterà comoda per i nostri discendenti è vero infine che tutto ciò non può essere solo per caso. – sembra alludere a qualche cosa che governa un tutto, per questo evocavo la famosa lettera di Einstein a Born quando dice che dobbiamo ammettere, perché tutto ciò stia in piedi, che dio non giochi ai dadi, ma perché una cosa del genere? Anche questo è importante da intendere. Sembra contrastare la sua ultima dichiarazione abbastanza esplicita, molto esplicita per noi oggi, però in effetti non avendo le basi per stabilire di cosa è fatto il pensiero, qual è la sua struttura questo può essere riferito al pensiero che non può essere solo per caso, perché si pensa così, perché è naturale pensare così, verrebbe da mettergli in bocca queste parole, anche se non lo dice però sembra alludere a qualcosa del genere, un po’ come fanno i logici quando si interrogano sui fondamenti di ciò che fanno e cioè è il pensiero che funziona così perché si pensa naturalmente così, Tutte queste cose possono essere utilizzate anche in una conferenza, anche retoricamente visto che il più delle volte ci viene posto sempre questa considerazione, che rileva soltanto l’ingenuità di chi non si è mai interrogato su queste questioni e che solo a questa condizione può concludere una cosa del genere, se no non sarebbe possibile, se la legge è sperimentale qualunque sperimentazione si basa sull’induzione, non può basarsi sulla deduzione se è sperimentale, la deduzione non è sperimentale, essendo sperimentale e fondandosi quindi sull’induzione si fonda su qualche cosa che di per sé non ha un valore logico, è comoda, ce lo dice nel modo più chiaro, è comoda certo, è utile così come sono utili gli infiniti giochi linguistici che ciascuno fa durante l’arco della giornata e tutte le operazioni che compie sono una sequenza enorme di giochi linguistici che mette in atto continuamente, ciascuno di questi giochi ha le sue regole, e quindi quando si parla di vero ci si attiene a una verità che è decisa dalle regole di quel particolare gioco linguistico, ecco perché in un analisi, per esempio, è sempre necessario come vado dicendo da sempre, riportare, ricondurre ciò che il discorso dell’analizzante vorrebbe porre come universale cioè vero in assoluto, vero all’interno di quel gioco particolare e quindi ricondurlo là da dove arriva, da quello specifico gioco che ha creato tutto quanto, da quel gioco particolare,  che non è universale, non è valido sempre e ovunque, è valido all’interno di quello specifico gioco determinato da quelle regole, al di fuori di questo non significa niente. Certo qui Daniela potrebbe fare degli interventi, visto che sta leggendo il libro di Marconi che avevamo molto brevemente commentato qualche tempo fa, che parla appunto della filosofia della scienza, qui Daniela avrebbe, se lo volesse, buon gioco per intervenire con delle considerazioni, a mio avviso quello che sta dicendo qui Poincaré va oltre le cose che venivano dette in quel libro…

Intervento…

Esattamente, infatti parlavamo proprio dell’oggettività. lì in quel libro ancora ingenuamente si cerca l’oggetto, l’oggettività, Poincaré la trova, dice che l’oggettività non è altro che le relazioni che fanno esistere l’oggetto e queste relazioni sono fatte di pensiero…

Intervento:…

Marconi non affermava nulla di fatto se non molto vagamente di essere un realista, ma dicendo questo dice molto poco. Ci fu nel Medioevo una disputa famosa tra realisti e nominalisti, la famosa disputa sugli universali, Guglielmo di Champeaux e Abelardo erano i due capisaldi ma partì da Roscellino, questa disputa verteva su questo: gli uni i realisti sostenevano che l’universale fosse qualche cosa di reale, di concreto, di universale cioè, per esempio, questo è un posacenere ma non è l’idea universale di posacenere è un posacenere particolare, c’è un’idea universale di posacenere che tutti hanno necessariamente, almeno tutti quelli che conoscono un posacenere pur non avendo in mente un posacenere specifico hanno un’idea universale di posacenere, questo universale per i realisti era qualcosa di materiale, di concreto, per i realisti estremi era l’idea di dio dalla quale idea di dio poi si formulano tutti i particolari, per gli altri sta nella forma, quelli moderati, c’è una forma che è comune a tutti e questa è reale, concreta e da questa forma poi succedono tutti i particolari; i nominalisti invece dicevano il contrario, cioè è l’idea di questa cosa che esiste, c’è soltanto l’idea e i nominalisti estremi indicavano qualunque cosa semplicemente come “flatus vocis” e cioè come una parola e cioè non c’è nulla di concreto, nulla di reale sono nomi, nient’altro che questo, e questa disputa è ancora presente oggi e il libro di Marconi ancora in qualche modo la riprende, qui lo stesso Poincaré teme di essere accusato di nominalismo, è sempre la vecchia disputa degli universali…

Intervento:  una volta invece se non si era relativisti non si era abbastanza alla moda invece…

Sì, anche nella scienza vanno le mode, ed è interessante la notazione che fa a un certo punto quando dice che praticamente la scienza, quella che riesce ad essere prioritaria sulle altre è quella che è più istruttiva cioè che dà più informazioni ché è più ricca, dice ad un certo punto, che non è molto lontano da quello che diceva Feyerabend, e anche lui potrebbe essere considerato un nominalista, che diceva che vince la teoria scientifica che è più persuasiva quindi potremmo, piegando un po’ e nessuno ce lo vieta quello che afferma Poincaré, che vince la teoria che è retoricamente più ricca cioè che offre più suggestioni, più immagini, più possibilità di giocare, questo sempre in ambito nominalista. Se volete un giorno potremmo risolvere la disputa degli universali…

Intervento…

È un buon esergo da mettere in un testo: tutto ciò che non è pensiero è puro nulla perché possiamo pensare solo il pensiero e tutte le parole di cui disponiamo per parlare delle cose possono solo esprimere dei pensieri dire che c’è altro al di fuori del pensiero è un’affermazione priva di senso e tuttavia strana contraddizione per coloro che credono al tempo come qualcosa di reale – i realisti del tempo, per riesumare la disputa sugli universali – la storia geologica ci mostra che la vita non è che un breve episodio tra due eternità di morte e che in questo stesso episodio il pensiero cosciente è durato e durerà solo un istante, il pensiero non è che un lampo in mezzo a una lunga notte ma questo lampo è proprio tutto.

 



[1] J.H. Poincaré (1854-1912), matematico e fisico-matematico, insegnò alla Sorbona dal 1885 alla morte, occupando le cattedre di meccanica fisica e sperimentale, fisica matematica e meccanica celeste, partecipando attiva­mente al dibattito filosofico ed epistemologico sull'interpretazione delle nuove teorie scientifiche e sui fondamenti delle scienze, e dando profon­do impulso alle ricerche nel campo della topologia con i suoi fondamen­tali studi sulle «varietà» e sugli spazi a n dimensioni, insieme a Klein, Moebius e Riemann.