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16-3-2000

 

Su cosa avete lavorato questa settimana?

Intervento: sulla questione della responsabilità…

Sì e quali considerazioni avete fatto sulla responsabilità?

Intervento: si diceva che il linguaggio costruisce questa responsabilità, quindi sempre proposizioni occorre che siano quelle che si vuole considerare, e in quanto tale il responsabile cioè il linguaggio perde tutta quella drammaticità per cui si usa e se ne usa nel discorso comune, tanto che essere responsabili di ciò che si dice comporta considerare ciò che si dice… si tratta di rendere implicito questo io sono responsabile di ciò che dico in quanto sono io che costruisco quello che dico…laddove c’è responsabilità è il linguaggio che gioca e quindi può elaborare ciascuna questione che interviene

Cesare ci sono considerazioni?

Intervento: è continua questa responsabilità… il fatto stesso di parlare comporta la responsabilità

Sì la responsabilità può anche dirsi così cioè qualunque elemento linguistico ha come referente un altro elemento linguistico e quindi non può che rispondere a un altro, di un altro elemento linguistico… Sandro ha aggiunto qualche elemento intorno a questa questione su cui stiamo dibattendo?

Intervento: le ho scritto, un flash “il linguaggio dice se stesso” il linguaggio dice, perché quando si dice “produce continuamente se stesso” ovviamente si ha a che fare con delle proposizioni necessarie, e quando si dice “dice” si immagina che il linguaggio possa dire altro, ha un’altra connotazione, cioè il verbo dire rispetto al termine produrre, che è corretto ma in una formalizzazione ritengo che sia più preciso…la questione della responsabilità è impedire che si possa pensare qualcosa fuori dal linguaggio. Quindi la questione che il linguaggio dice se stesso, non altro, se dice se stesso esclude questa possibilità…

Allora vediamo di aggiungere qualche elemento alla questione della domanda che è importante, importante sia per quanto riguarda l’aspetto teorico sia per quanto riguarda la questione pratica, analitica, perché se voi considerate bene le cose che avvengono, che avvengono anche nel mondo in generale o che avvengono comunque in ciascuna persona, la domanda ha sempre una posizione di primo piano ciascuno si trova sempre a domandare a se o ad altri e dicevamo che non è sempre esattamente per ottenere una risposta in effetti e questa è una questione interessante di cui si diceva la volta scorsa, qualunque domanda che si faccia è comunque una domanda retorica, l’unica domanda che non è retorica, è una questione logica, è una procedura linguistica e cioè il fatto che ciascun elemento linguistico “domanda” tra virgolette cioè rinvia necessariamente, richiede un altro elemento in quanto non può non esserci un altro elemento a fianco. Però l’aspetto che più ci interessava era il primo e cioè l’aspetto retorico e cioè qualunque domanda come domanda retorica e cioè che si attende, questo domandare qualche cosa, qualcosa che non necessariamente è connesso con ciò che domanda. Cosa vuol dire in altri termini? Vuol dire che ciascuna domanda è formulata in un certo modo ma ciò che si attende, adesso sto parlando in ambito retorico, ciò che si attende è connesso con il gioco che sta facendo ed è questo gioco che decide di ciò che si attende, non la formulazione stessa (cioè lei vuole dire che quando domanda intervengono degli elementi, mettiamo che questi elementi che intervengono non siano coerenti, vengano giudicati non coerenti col gioco di cui ci si domanda. A questo punto questo elemento che sorte subisce? Perché se viene giudicato non coerente, quindi non facente parte di un certo gioco, questo elemento per una regola che abbiamo fissato, essendo un rinvio viene accolto, però viene giudicato non facente parte di quel gioco e se viene giudicato non facente parte di quel gioco si instaura un ulteriore gioco per cui questo elemento deve necessariamente far parte di quel gioco…) faccio un esempio, una persona inizia un’analisi perché ha un problema, qualunque non ha nessuna importanza, la domanda che fa è di essere sbarazzato del problema, ora sapete bene che se questo avvenisse propriamente, ammesso che possa avvenire ma se avvenisse la persona non sarebbe affatto soddisfatta di questa risposta, ora la domanda che è fatta in questo caso, di essere sollevati da un problema, si deve intendere quindi riferita a un gioco particolare e cioè il fatto che domandi questo, il fatto di essere risollevati da un problema, non esime affatto dal domandarsi che cosa mi sta chiedendo, in effetti, domandandomi questo, è vero che la formulazione è quella e quindi di questo occorre pure tenere conto ma questo non significa affatto di dovere rispondere a quella questione, la difficoltà sta nell’intendere in che modo viene posta retoricamente una domanda, intendo anche che cosa si attende esattamente ma non soltanto, quando voi riflettete da dove viene una certa domanda, questione che poi in analisi si pone molto spesso, direttamente o indirettamente, è come se vi steste domandando in effetti a quale gioco si riferisce questa domanda, o in quale gioco va inserita, perché non è così automatico il saperlo e dal momento in cui sapete a quale gioco si riferisce la domanda, voi potete anche sapere perché ha fatto quella domanda, sapendo perché ha fatto quella domanda, a questo punto sapete anche che cosa è il gioco e cioè qual è il gioco esattamente, questione fondamentale in un’analisi ma non soltanto, soprattutto in un’analisi, intendere qual è il gioco che l’analizzante va facendo, vi pongo questa domanda che può apparire molto banale ma …in realtà non è così semplice, tenete conto che è una questione che non conosce neppure l’analizzante, neppure lui sa quale gioco sta facendo, come si fa a sapere qual è il gioco che si sta facendo in quel momento? Potremmo dirla così, nello stesso modo in cui si sa quale gioco si sta facendo in qualunque altra circostanza, se vedete delle persone che stanno giocando non sapete a cosa stanno giocando e se chiedete che gioco stanno giocando e vi dicono un nome strano che non vi dice assolutamente niente, quando vi spiegheranno le regole di questo gioco allora saprete che gioco stanno giocando, ed ecco la questione, quali sono le regole di un gioco? Un gioco qualunque… abbiamo detto tante volte che sono quelle che vietano dei passaggi, che vietano delle mosse, queste sono delle regole e cioè vi spiegheranno queste persone che cosa dovete fare e soprattutto che cosa non dovete fare, ora in un discorso qualunque la cosa funziona esattamente allo stesso modo perché di fronte a un discorso questo discorso mostra le regole le quali indicano al parlante che cosa può fare e che cosa non può fare, che cosa può dire e che cosa non può dire, cosa non può dire per esempio perché rispetto a quel gioco per esempio è un non senso. Nel discorso che voi ascoltate in un’analisi mi sto riferendo, in modo particolare, tutto ciò che è inteso come divieto, come proibizione, sapete che le regole proibiscono certe mosse, è enunciato come ciò che è ovvio, ciò che è scontato, questa regola che è essenziale, la trovate in qualunque discorso, qualunque discorso non può essere esente da regole, anche il discorso che stiamo facendo, la Seconda Sofistica, è mossa da regole e il fatto che esistano delle regole è una procedura, tant’è che non possono non esserci delle regole, non possono cioè essere consentite tutte le mosse, se no il gioco, il linguaggio stesso si dissolverebbe. Dunque tutto ciò che è ovvio, tutto ciò che è scontato, tutto ciò che per la persona è tale, costituisce una regola del suo gioco, e cioè ciò che non è consentito, paradossalmente ciò che è ovvio è ciò che non è consentito ma ciò che non è consentito mettere in discussione. Sarebbe possibile addirittura fare una mappa ascoltando un discorso di tutto ciò che non è consentito, così come nel gioco del poker “puoi prendere sei carte?” “no, non lo puoi fare!”, è vietato… e così trovate in un discorso degli elementi che funzionano esattamente allo stesso modo, “puoi fare questa cosa anziché quell’altra?” “no, questa non si può fare”. Ora ovviamente non è generalmente espresso in termini così categorici, il più delle volte, molto spesso è espresso come non posso fare, ma è la stessa cosa, la trovate sotto questa forma generalmente “non posso” “vorrei ma non posso” però questo non posso, stabilisce una regola del linguaggio, una regola del gioco effettivamente, ora a questo punto avete di fronte a voi tutta una serie di elementi che una persona non può fare, esattamente come nel gioco delle carte, pari, pari, cioè per potere giocare il suo gioco occorre che certe mosse non si possano fare, per giocare a poker occorre che non si possano dare sei carte, se no si arrabbiano e succede un macello, i giocatori di poker poi sono suscettibili, permalosi… a questo punto voi sapete che, dicevo, per potere fare questo gioco ha bisogno di queste restrizioni, queste cose che non può fare, ma non è che siccome fa questo gioco allora non può fare certe cose, no, è perché non può fare queste cose che può fare quel gioco, diverso, (non ho capito) l’obiettivo è fare quel gioco, il non poterle fare sono soltanto delle regole, non il contrario, sono le regole per potere fare quel gioco, così non gioco a poker per poter dire che non posso dare sei carte, ma non posso dare sei carte se voglio giocare a poker… è chiaro adesso? E questo è fondamentale da intendere in una analisi soprattutto, la persona che viene da voi per una domanda di analisi in realtà vi sta chiedendo di poter continuare il suo gioco, qual è l’impedimento che trova? Il fatto che continuare questo gioco urta qualche volta con altre regole ma l’intendimento è quello di proseguirlo come ciascuna persona al mondo, il suo obiettivo è quello di proseguire il suo gioco anche se dice di volerlo interrompere, ma la questione è paradossale dice “non voglio più fare questo” e non lo fare! Che cosa te lo impone? A questo punto possiamo tornare alla questione da cui siamo partiti cioè come intendere una domanda, una persona che viene da voi dice voglio smettere di stare male, questione paradossale perché se uno non volesse stare male non starebbe, nessuno può costringerlo, perché lo fa? E allora ecco la questione che sorge immediatamente dopo “non posso non stare male” e allora avete due formulazioni, l’una “voglio stare bene” l’altra “non posso stare male” allora come intendere queste due formulazioni? Visto che ci sono tutte due occorre prenderle in considerazione, provate a inserirle entrambe nello stesso gioco, che cosa succede? L’una come abbiamo visto mostra qual è la regola per potere continuare a giocare cioè per potere continuare a stare male, l’altra invece che cosa dice? Noi sappiamo che vuole stare male e sappiamo che dice di volere stare bene, come metterle insieme in questi due giochi? È molto semplice, abbiamo visto in varie altre occasioni, se questa persona vuole stare male ed è quello che fa, allora perché ci racconta che vuole stare bene se non, molto semplicemente, perché affermando di volere stare bene ci dice che non è una sua responsabilità lo stare male, che enuncia in questo modo “non posso non stare male” ma questo non posso non stare male è soltanto una regola del gioco per continuare a giocare. In effetti non è che l’analisi persuada una persona, oppure andando a pescare cose antiche risolva la questione non è affatto così, è una balla colossale, inventata da Freud, non succede assolutamente niente andando a rinvangare il passato ecc. una volta lo dissi, forse in una conferenza: l’analisi così come è intesa tradizionalmente cioè non come la stiamo facendo ha degli effetti terapeutici in quanto si pone come religione, è questo che ha effetti terapeutici, e cioè si passa da una superstizione ad un’altra, in effetti l’analisi o comunque la Seconda Sofistica non si cura affatto che la persona stia bene o stia male, la persona sta come gli pare, se gli va di star male sta male, il fatto che venga lì a dirvi che vuole stare bene non significa assolutamente niente, per l’analista, è soltanto una persona che incomincia a parlare, incominciando a parlare c’è l’eventualità, se l’analista è un’analista avveduto che la persona si accorga che sta dicendo cose che non hanno nessun senso, né in un verso né nell’altro, che voglia stare bene né che voglia stare male. Come quando chiedono “sei felice o sei infelice?” non sono né felice né infelice, che razza di domanda, non significa assolutamente niente e quando cessa di avere un qualunque senso, cioè non è più utilizzabile che effettivamente la questione cambia totalmente registro e allora non sta male per dirla in termini spicci, non gliene importa niente, non ha più nessuna importanza né stare bene né stare male, cioè sta facendo delle cose che interessano, che man mano si svolgono, si elaborano ma stare bene o stare male non è più…non significa più niente, non è più una cosa utilizzabile, non si sa più cosa farsene, mentre tutta la psicanalisi come sapete si è sempre molto appoggiata su queste cose molto religiose, bene/male comunque sempre la stessa storia, non c’è né bene né male, è ovvio che chi inizia un’analisi di tutto ciò non sa assolutamente nulla e viene da voi o da me a seconda dei casi per un equivoco, perché pensa che io o voi all’occorrenza risolviate questo problema e cioè in termini così molto spicci, le forniate un’autorizzazione a continuare a fare quello che fa oppure le forniate un’altra religione, più confacente con il vivere civile però in effetti non è esattamente questo che andiamo facendo, per cui una persona sta male, sta bene va bene è come dicevo assolutamente indifferente, sì dicevo viene per un equivoco certo, però in effetti poi proseguendo ha l’occasione di accorgersi di cosa sta accadendo nel discorso, poi suo, ciascuno non è altro che il discorso che sta facendo che lo voglia o no, che lo sappia oppure no….ecco quindi l’importanza qual è (nell’analisi per molto tempo il sintomo è il traino) è l’equivoco che consente all’analisi di proseguire, certo d’altra parte se una persona è fortemente religiosa al punto da porre questioni del genere, come la quasi totalità delle persone occorre muovere da lì, utilizzare questa religiosità a vantaggio del discorso, del linguaggio e fare in modo che questa persona si trovi a considerare una serie di questioni (che non sono un miracolo) certo non sarebbe pensabile una persona che viene da me perché inizia un’analisi e che io gli racconti questioni linguistiche, mi guarda come se fossi un ufo, “giustamente” tra virgolette perché rispetto alla sua fantasia mi direbbe non “sono venuto qui per questo, sono venuto qui per guarire” si aspetta l’aspirina, che non verrà, però bisogna tenere conto di ciò che domanda e quindi devo tenere conto che sì se sta male è perché lo vuole ma anche che dice di non volerlo e dice di non volerlo come abbiamo visto per una questione di responsabilità, se io non lo voglio non ne sono responsabile e quindi posso continuare a stare male, se potessi accorgermi che sono io che lo voglio il gioco non sarebbe più divertente e cessa di farlo ecco perché l’analisi funziona, non diverte più non produce tutta quella eccitazione, quell’erotismo e quindi uno può dedicarsi a fare altre cose, oppure con quell’erotismo, quello che gli pare… (per porre il gioco dell’analista con colui che ha a che fare con persone che della parola non sanno nulla, almeno quando cominciano un’analisi, e che hanno a che fare con i luoghi comuni più comuni, anche con quei luoghi che la psicanalisi con le sue interpretazioni ha costruito…in una pratica analitica già da subito occorre porre l’accento su ciò che si dice)

Sì anche se è un subito da intendersi, non necessariamente occorre farlo cronologicamente molto presto, dipende ogni caso è assolutamente particolare, lì sta all’ascolto dell’analista intendere quando è il momento di incominciare a porre delle questioni, quando è il momento che la persona vada avanti fino a che è lui stesso si trova di fronte a una questione che cerca di evitare per esempio, lì dipende di volta in volta è impossibile stabilire un criterio generale (prima parlava del gioco che una persona va facendo ma se con il gioco non ci si confronta, come fa ad accorgersi di quello che sta facendo con il suo dire) bisogna lasciarglielo giocare questo gioco solo così c’è la possibilità di inserire mano a mano le regole di quel gioco, se non lo gioca… (così rispetto ai capisaldi della psicanalisi, lei una volta citava i luoghi comuni o fantasie in auge nel discorso occidentale, che sono codificati dal discorso analitico la fantasia di potenza e le fantasie erotiche connesse con al fantasia di potenza, ora se questa persona continua a parlarne e ad interessarsi a questa fantasia che trova continue conferme nel discorso comune, quindi trova delle giustificazioni, delle verifiche per arrivare al senso che… continuando a parlare di questo gioco questo gioco ritorna… come fa a cambiare disco, modo di parlare se non ha un impianto teorico che…) l’analisi si svolge proprio per porre le condizioni perché possa inserirsi questo aspetto attraverso il riconoscimento di alcune regole che stanno funzionando, per mostrare come queste regole sono regole di un gioco che sta facendo (occorre che questa persona si interessi alle regole del gioco, per cui non c’è interesse per quel gioco) sì scompare quando ci si accorge che si è responsabili di quel gioco, allora non diverte più giocarlo (io per esempio quando ho cominciato l’analisi l’interrogazione sui termini felicità, dolore, libertà) esatto perché un gioco talvolta può proseguire a condizione che questi termini non siano messi in discussione e allora costituiscono questi termini le regole del gioco (…) sì questo è un modo per cominciare a riflettere su questioni e cioè porre l’accento su elementi che costituiscono delle regole del gioco, uno dice una certa cosa senza essersi mai interrogato su cosa sta dicendo e può continuare a fare un certo gioco a condizione che continui ad interrogarsi se no il gioco cambia…