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16 gennaio 2019

 

La struttura originaria di E. Severino

 

Cos’ha a che fare la struttura originaria con Hegel? Tantissimo. Ciò che pone Hegel è che ciascun elemento è quello che è non per se stesso ma in quanto è insieme con la sua negazione. Questi due elementi, messi insieme, la loro relazione, costituiscono un altro elemento; non sono più due ma sono un terzo, la sintesi. In questa sintesi ciascuno dei due permane, non scompare. Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito faceva l’esempio del boccio, del fiore e del frutto, questi tre momenti dove non è che uno scompare, ma è sempre in funzione di quell’altro: non c’è il fiore senza il boccio, così come non c’è il frutto senza il fiore e senza il boccio. Ma che cosa ha a che fare la struttura originaria, cioè l’affermazione dell’incontraddittorio, con il pensiero di Hegel? Ciò che si pone come l’incontraddittorio è il concreto, dice Severino. Se prendiamo la frase “questa lampada che è sul tavolo”, il concreto è il modo con cui qualcosa appare nel momento in cui appare, e appare come un intero, come un tutto: ma questo tutto, questo intero, non è che viene dal nulla, viene dall’immediato, che è ciò che appare immediatamente. Capitolo IX, La mediatezza dell’immediato, ma come fa a essere mediatezza dell’immediato? Se è immediato non è mediato, e viceversa, o uno o l’altro; quindi, è contraddittorio. Come dire che porre, nella frase “questa lampada che è sul tavolo”, la lampada, senza tutto ciò che appare insieme con la lampada, sarebbe contraddittorio, perché questa lampada, in quanto astratto, non è “questa lampada che è sul tavolo”. Questa è la prima cosa. Seconda: ciò che mi appare come concreto, “questa lampada che è sul tavolo”, comporta, sì, l’immediatezza dell’apparire della cosa, ma questa immediatezza di per sé, senza tutte le “mediazioni”, tutte le relazioni, tutte le combinatorie di cui è fatto, non ci sarebbe. Quindi, c’è una mediatezza nell’immediato, ci sono relazioni nell’immediato; sono queste relazioni che fanno di ciò che mi appare, del fenomeno, quel fenomeno. Per dirla in modo molto banale, se per assurdo io fossi fuori dal linguaggio non mi apparirebbe niente, perché non ci sarebbero tutte le relazioni, tutte le mediazioni, tutte le connessioni, le combinazioni, che mi consentono di vedere qualcosa come fenomeno, come l‘apparire di qualche cosa, non saprei nemmeno che qualche cosa è qualche cosa. La questione a questo punto, è che questa immediatezza compare attraverso la mediatezza, cioè, attraverso le relazioni. Il comparire dell’immediatezza, attraverso delle relazioni, comporta un’altra relazione tra ciò che sono le relazioni tra tutte queste cose, che fanno apparire il fenomeno, e il fenomeno stesso. L’insieme di queste due cose è ciò che Severino chiama il concreto e che Hegel chiama la sintesi. La sintesi è il concreto in cui tutte queste cose sono sintetizzate tra loro, cioè è il risultato, è il prodotto di ciò che mi appare, che di per sé è nulla se non ci fossero tutte le relazioni. Però tutte queste relazioni, di cui il fenomeno è fatto, sono la negazione del fenomeno, perché non sono il fenomeno. Il fenomeno è l’apparire puro e semplice, immediato, e tutte queste relazioni di cui è fatto non sono questo apparire immediato ma sono altro e, quindi, sono la negazione dell’apparire. Ecco perché diceva nelle pagine precedenti che l’immediato, ciò che appare, è il massimo della contraddizione: perché ciò che mi appare necessita, per essere ciò che mi appare, di qualche cosa che è altro rispetto a ciò che mi appare, cioè, di tutte le relazioni di cui è fatto. Giungere a intendere che la relazione tra queste due cose, cioè tutte le relazioni, le mediazioni, di cui una cosa è fatta, e il suo apparire, e, quindi, tra una cosa e ciò che questa cosa non è, la relazione tra queste due cose comporta, come dicevo prima, il concreto. Per togliere la negazione occorre che io tolga ciò che nell’apparire interviene come qualche cosa d’altro rispetto all’apparire. Ma in che modo lo tolgo? Qui non si tratta tanto di togliere come nel caso del non essere rispetto all’essere, anche, sì, ma non è soltanto questo perché, giungendo al concreto, di fatto, che cosa tolgo? Tolgo ciò che il fenomeno non è in quanto qualche cosa di astratto rispetto al fenomeno, all’apparire. È il discorso che faceva Severino: per affermare qualcosa devo togliere la sua contraria, solo che nel concreto come tolgo questa contraria? È la stessa questione che si pose Hegel, come la risolve? Hegel non era a digiuno della logica aristotelica, la conosceva perfettamente; quindi, sapeva molto bene che se una cosa è vera, la sua contraria non lo è. Quindi, come sappiamo, per Aristotele le due cose si annullano: dico che questa cosa non è questa cosa, per cui questa cosa scompare, è nulla. Questo per Aristotele. Per Hegel no, non è che scompare nel nulla, perché questa cosa che si oppone è la condizione perché il fenomeno sia il fenomeno. E, quindi, come si risolve? Si risolve nella sintesi; si risolve, per usare i termini di Severino, nel concreto, dove non è che viene tolta questa negazione, ma viene tolta in quanto astratta rispetto al concreto, per cui mi ritrovo ad avere il fenomeno, la tesi, la posizione, qualcosa accade, e poi, perché ci sia questa cosa, occorre che non sia una serie di altre cose. Perché Cesare sia Cesare occorre che non sia tutto ciò che non è Cesare, cioè l’universo intero tranne Cesare. Però, senza tutto questo universo, escluso Cesare, è la condizione perché ci sia Cesare, perché se Cesare non fosse immerso in questo universo di cose che lui non è, non sarebbe nemmeno lui. È la questione del significante di De Saussure: il significante esiste per una relazione differenziale con tutti gli altri significanti; togliete tutti gli altri significanti di questo mondo e quel significante che cos’è? Niente, assolutamente niente. Vedete, allora, la stretta connessione tra la posizione di Hegel e quella di Severino. Si intende anche perché Severino ha posto la questione della struttura originaria, cioè di un’affermazione incontraddittoria, “L’intero è l’intero”. A quali condizioni posso affermare che “L’intero è l‘intero”? Ponendo e togliendo la sua negazione, quella che dice che “L’intero non è l’intero”. La pongo per poterla togliere. E, quindi, vedete che anche la posizione di Hegel, che deve porre l’antitesi accanto alla tesi, è la stessa operazione che fa Severino o, meglio, è Severino che fa la stessa operazione di Hegel, essendo Hegel nato qualche anno prima. Devo porre l’antitesi perché la tesi sussista, ma ponendole entrambe creo, produco, come diceva Aristotele, una contraddizione e, quindi, si annulla tutto. Ma, dice Hegel, non si annulla tutto, perché ciò che mi appare è fatto di queste due cose, e cioè di ciò che Cesare è e di ciò che Cesare non è. Perché Cesare sia quello che è, qualunque cosa sia, è necessario che ci sia la sua antitesi. Cesare, cioè ciò che mi appare, è la sintesi di queste cose, perché non potrebbe darsi Cesare senza il non-Cesare. Vedete, quindi, che c’è la necessità di porre un’antitesi ma c’è anche la necessità di poterla togliere. Ecco cosa fa Severino in queste pagine, sta dicendo che devo potere togliere questa antitesi. Ci sono delle condizioni per cui non la posso togliere? Perché se non la posso togliere non c’è neanche la sintesi: se non potessi togliere da Cesare il non-Cesare – togliere in una certa accezione, naturalmente – ci troveremmo di fronte a una contraddizione aristotelica, come dire che Cesare è non-Cesare, e quindi è nulla. La necessità è di valutare tutte le situazioni, tutte le condizioni, per cui è possibile togliere la contraddizione, dopo averla posta naturalmente, per potere affermare che è incontraddittorio. L’incontraddittorio è il concreto, perché è l’intero così come mi appare. Siamo a pag. 365, Capitolo IX, La dialettica, paragrafo 1, La mediatezza dell’immediato. In questo paragrafo Severino riassume questa contraddizione, e cioè che l’immediato è tale perché c’è una mediazione, perché ci sono relazioni di cui questo immediato è fatto e senza queste mediazioni non c’è neanche l’immediato, non c’è niente, come avrebbe voluto Aristotele. Si è già osservato che l’identità di certezza e verità, che si presenta al termine della Fenomenologia hegeliana, può valere come risultato solo nel senso che la posizione dell’identità è tale in quanto non sia astratta immediatezza, ma in quanto è in relazione al toglimento dell’opposizione di certezza e verità: è per questa relazione che si dice che l’identità “risulta” o che è “mediata”. L’identità parrebbe l’immediato: una cosa è identica a sé, punto. No, ci sta dicendo, sulla scorta di Hegel, che questa identità è un risultato, il risultato del toglimento dell’opposizione, e, quindi, toglie all’identità la sua immediatezza, la fa diventare il risultato di un’operazione. L’identità è qualcosa di mediato, è un processo a cui si arriva, il che è come dire che l’immediatezza è mediata, mediata in quanto fatta di relazioni. …dicendo che la posizione del fondamento implica il toglimento della negazione del fondamento. Perché, se permane la negazione, il fondamento non è fondamento. Come totalità dell’immediato, il fondamento è insieme posizione dell’immediatezza dell’identità di essere e pensiero. Qui la questione del linguaggio ricompare. Dice la totalità dell’immediato come il fondamento è insieme posizione dell’immediatezza della presenza. Di chi? Dell’essere. Immediatezza e presenza dell’essere. È immediato ma anche presente. Che sia immediato, sì, certo; che sia anche presente, lo traggo da relazioni, da inferenze. A pag. 366, paragrafo 2, Il sistema delle negazioni del fondamento. a) Fin che si guarda o si tien conto semplicemente del rapporto che intercorre tra il fondamento e quel sistema delle negazioni del fondamento, tutte le forme di negazione hanno la stessa valenza, o si dispongono sullo stesso piano: nel senso che ognuna delle negazioni immediatamente presenti è immediatamente tolta dalla posizione del fondamento… Perché sennò non sarebbe più fondamento. Quindi, come le pongo le tolgo. Le negazioni del fondamento convengono dunque tutte nell’essere immediatamente tolte per il motivo appunto che sono negazioni del fondamento. Se non le tolgo il fondamento non è fondamento. Le negazioni immediatamente tolte sono tutte quelle negazioni F-immediate che si presentano L-immediatamente – cioè per analisi de loro significato attuale – come negazione del fondamento, e non mediante un termine in base al quale certi contenuti semantici, che non si presentano L-immediatamente, o per se stessi, come negazione del fondamento, si mostrano in un secondo momento come siffatte negazioni. Sono tolte tutte quelle negazioni che sono immediatamente evidenti come negazioni. Se io dico l’essere, ciò che è immediatamente evidente come negazione dell’essere è il non essere. Quindi, è questa la negazione che viene immediatamente tolta e se non la togliessi crollerebbe il fondamento. Non quelle negazioni, dice, che procedono per via “obliqua” e che non sono immediatamente evidenti come negazioni. Accertare in base a una mediazione che un contenuto semantico è negazione del fondamento, significa oltrepassare il piano base… Il piano base dell’immediato, quello per cui l’essere è non non essere. …sì che una tale negazione non è tolta dalla semplice posizione del piano base. Se è mediata è una negazione che interviene non L-immediatamente, per cui non sappiamo esattamente se è tolta oppure no. Questo è un problema perché se non lo sappiamo vuol dire che potrebbe anche rimanerci ma, se ci rimane, allora il fondamento è autocontraddittorio e noi non possiamo più affermare niente con certezza. b) D’altra parte, le varie forme di negazione si distinguono tra di loro per la loro diversa complessità semantica. Sta dicendo che bisogna fare attenzione perché molte di queste negazioni sono individuabili nella loro complessità semantica, quindi, non sono immediatamente, subitamente evidenti come negazioni. Ma se persistono e non ce ne accorgiamo, il fondamento è contraddittorio, e cioè tutta la struttura originaria crolla, perché è come dire a questo punto che l’intero potrebbe anche non essere l’intero. Se si tien presente che la posizione concreta della totalità dell’immediato è data dall’orizzonte posizionale costituito dalla relazione tra la posizione della totalità dell’immediato e la posizione del sistema delle negazioni di quella prima posizione, è chiaro… È esattamente quello che vi stavo dicendo prima: il concreto comprende in sé la posizione dell’immediato, più tutte le negazioni, quelle cose che non sono l‘immediato, cioè, quelle relazioni di cui l’immediato è fatto. …è chiaro che ogni negazione vale come un momento di quell’orizzonte posizionale. Vale a dire, tutte queste negazioni sono momenti della posizione del concreto. A pag. 371, paragrafo 6, Concetto concreto e concetto astratto dell’implicazione tra i contrari. a) La filosofia dello Hegel rappresenta il tentativo più rilevante di una determinazione concreta della struttura delle negazioni del fondamento, ossia dell’ordine di progressione dal limite minimo al limite massimo del sistema della negazione. A pag. 372. Si tenga d’occhio – tra i molti che si possono scegliere per il nostro scopo – questo ben noto passo della Logica, sull’essenza del metodo dialettico: “L’unico punto, per raggiungere il procedimento scientifico, e intorno alla cui semplicissima intelligenza bisogna essenzialmente adoprarsi, è la conoscenza di questa proposizione logica, che il negativo è insieme anche positivo, ossia che quello che si contraddice non si risolve nello zero, nel nulla astratto, ma si risolve essenzialmente solo nella negazione del suo contenuto particolare, vale a dire che una tale negazione non è una negazione qualunque, ma la negazione di quella cosa determinata che si risolve, ed è perciò negazione determinata. In altre parole, bisogna saper conoscere che nel risultato è essenzialmente contenuto quello da cui esso risulta;… Boccio, fiore e frutto. …il che è propriamente una tautologia perché, se no, sarebbe un immediato e non un risultato. Sarebbe un’identità, dice Hegel: il boccio sarebbe l’identico del fiore, che sarebbe l’identico del frutto. No, sta dicendo, non si tratta di identità, si tratta di un risultato. Il frutto è il risultato di queste cose. Quel che resulta, la negazione, in quanto è negazione determinata, ha un contenuto. Ciò che risulta da questa negazione della posizione è una negazione determinata, ha un contenuto. Sta dicendo qualcosa questa negazione, non è nulla. Ci sta dicendo che per negare una certa cosa quella cosa devo averla posta, deve esserci. Non è che se io la nego non c’è più; certo, la nego, ma negandola non la tolgo, rimane. Cotesta negazione è un nuovo concetto, ma un concetto che è superiore e più ricco che non il precedente. Quindi, anziché azzerarsi – tesi, antitesi – dice che creano un concetto che è superiore a entrambi, così come il frutto è “superiore” al boccio e al fiore. Essa è infatti divenuta più ricca di quel tanto ch’è costituito dalla negazione, o dall’opposto di quel concetto. Vale a dire, quel concetto contiene in sé anche la sua negazione. L’essere contiene in sé anche il non non essere; con questo è più ricco l’essere? Sì, perché in questo modo io posso affermare con assoluta certezza l’essere, alla sola condizione di togliere l’opposto. Ecco perché è più ricco, perché lo affermo con certezza. l’unica certezza che ho per potere affermare che l’essere è l’essere è togliere la sua negazione. Contiene dunque il concetto precedente, ma contiene anche di più, ed è l’unità di quel concetto e del suo opposto. Per questa via deve il sistema dei concetti, in generale, costruir se stesso… Questo è il metodo della dialettica. …- e completarsi per un andamento irresistibile, puro, senza accoglier nulla dal di fuori” (La scienza della logica, trad. Moni, vol. I, pp. 37-38) Tutto si svolge in questi concetti. Infatti, Hegel no si appella a qualcosa che è fuori da questi concetti. Orbene, ciò che innanzitutto si tratta di tener fermo in proposito… Dopo questa citazione di Hegel dove, di fatto, dice che cosa lui intende con metodo dialettico: la posizione, cioè il dire qualche cosa, porre la sua negazione e intendere come da queste due cose, che non si annullano, sorga una terza cosa, che è poi la relazione tra le due. Non è nessuna delle due, è un’altra cosa, così come il frutto è un’altra cosa dal boccio e dal fiore. Parla poi dei contrari. La questione, come la pone lui, è un po' complessa ma vedremo di renderla più semplice. Di fatto, continua a dire che se pongo qualche cosa e non tolgo la sua negazione questa cosa non può essere affermata. Se io dico che Z e K sono assunti come loro contrari, allora per porre Z devo porre che Z non è K, e viceversa. Gira tutto intorno a questo. Il suo intendimento è sempre lo stesso, e cioè vedere se e in quali modi è possibile porre la negazione e toglierla, perché se questa operazione non riesce allora vuole dire che la negazione di ciò che affermo permane. Se permane, ciò che affermo è nulla, non in senso aristotelico però è autocontraddittorio, quindi, inutilizzabile.