INDIETRO

 

16-01-2008

 

Intervento: ho trovato interessante la questione di mercoledì scorso…

La questione interessante in tutto ciò che abbiamo detto mercoledì scorso è che una qualunque cosa se immaginata, pensata fuori dal linguaggio non può mostrare di sé la propria identità e neanche la propria esistenza tutto sommato, per cui una volta che un qualunque elemento è posto al di fuori del linguaggio da lì incominciano paradossi a cascata e non si finisce più, come è sempre avvenuto. Perché avviene questo fenomeno? Se pongo un qualunque elemento e lo suppongo identico a sé, per affermare questo prima ancora che per provarlo devo usare il linguaggio, quindi devo dire che una certa cosa è un’altra cosa necessariamente, e anche dicendo che è se stessa come aveva intuito in modo preciso Severino comunque dico che è un’altra cosa e allora questa cosa non può mostrarsi mai se non attraverso un’altra, cioè attraverso il linguaggio. Questo non ha indotto nessuno a pensare che prima cosa è una produzione del linguaggio, ma semplicemente molti hanno pensato che è una cosa che il linguaggio deve definire e purtroppo dovendo usare il linguaggio si usa per un terzo elemento che è linguaggio, oltre se stesso, e questo rende la vita difficile, ha reso la vita difficile dai presocratici fino a adesso, in fondo come vedemmo già tempo fa, il problema che ha incontrato lo stesso Gödel, cioè il teorema di incompletezza dell’aritmetica aveva lo stesso motivo: quando un elemento è posto fuori dal linguaggio da lì non può rispondere se non attraverso il linguaggio, la questione è che non è che non può rispondere da fuori del linguaggio, è che non c’è fuori dal linguaggio, quindi è un artificio immaginare di porlo fuori dal linguaggio. È chiaro che il linguaggio può dire anche questo, che è un elemento fuori dal linguaggio, può dirlo ma non può provarlo, ecco perché dicevamo che questo sistema, il linguaggio, è completo ma anche coerente perché può affermare che un elemento è fuori dal linguaggio quindi è completo ma non può provarlo e pertanto è coerente, ecco perché ogni volta che un elemento è immaginato, pensato, congetturato fuori dal linguaggio questo si dimostra paradossale, come dire che è identico a sé se è soltanto se non lo, è cioè è identico a sé se esiste il linguaggio che lo prova, ma a questo punto occorre un altro elemento che lo rende quindi differente da sé. Tutti i paradossi compreso quello di Severino sono fatti così. Nessuno si è posto quest’altro problema: una volta stabilita, per esempio, una definizione di identità, perché l’identità dovrebbe essere proprio ciò che io ho definito che sia? Ognuno muove dal suo concetto di identità, può essere una definizione che si trova sul dizionario può essere una che ha inventata lui ma perché l’identità dovrebbe essere quella cosa. L’identità è un concetto cioè una produzione del linguaggio, è un significante al quale significante do il significato che mi pare e quindi cosa vuole dire esattamente identità? Qualunque concetto, qualunque definizione in realtà si postula, si stabilisce, io stabilisco di chiamare identità questa cosa qui, va bene, ma non sto definendo qualcosa che esiste di per sé, sto soltanto attribuendo ad un certo significante il significato che io amo attribuirgli. Per questo dicevamo la volta scorsa che ciò che ci interessa a questo punto è vedere come le persone si creano le cose in cui credono immaginandole delle verità, cioè degli universali, e a questo scopo vi leggerò alcune pagine di Peirce, il titolo del saggio è “Il fissarsi della credenza” scritto nel 1887. Peirce dice che ci sono tre principi fondamentali che sono quelli che fondano la credenza, anzi dovrebbero essere quattro, infatti il quarto è quello che lui predilige, il primo dice lui è il metodo della tenacia, intanto dice che il dubbio è una forma di movimento, il movimento che punta alla quiete cioè alla risoluzione del dubbio e gli umani secondo lui sarebbero fatti così, non dice perché naturalmente però finché permane il dubbio permane l’agitazione che si placa soltanto al momento in cui il dubbio viene tolto attraverso una certezza ovviamente, e non ha neanche torto solo che detta così non si capisce da dove venga questo dubbio e perché debba esserci necessariamente e invece noi sappiamo benissimo perché c’è, comunque dice:

 

Se lo stabilirsi di una opinione è il solo obiettivo di una ricerca e se le credenze hanno natura di abiti, per quale ragione non dovrem­mo ottenere il fine desiderato, considerando come  risposta ad una domanda qualunque  risposta possiamo immaginare, e ripetendo­cela costantemente, insistendo su tutto quel che può condurre a quella credenza, ed imparando a distoglierci con disprezzo ed odio da qualsiasi cosa che possa disturbarla? Questo metodo semplice e diretto è effettivamente seguito da molti uomini. Ricordo di es­sere stato una volta pregato di non leggere un certo giornale, affin­ché non potesse cambiare la mia opinione sul libero scambio. “Affinché non potessi essere intrappolato dalle sue fallacie e dai suoi asserti falsi» era la forma di espressione. “Lei non è”, diceva il mio amico, “uno studioso specialista di economia politica. Lei potrebbe essere, perciò, ingannato facilmente da argomenti fallaci in materia. Allora, se leggesse questo articolo, lei potrebbe essere indotto a credere al protezionismo. Ma lei ammette che il libero scambio è la dottrina vera, e non desidera credere che non sia ve­ra”. Ho saputo spesso che questo sistema viene adottato delibera­tamente. Ancora più spesso, l’avversione istintiva per uno stato mentale di indecisione, esasperato in un vago timore del dubbio, fa aggrappare gli uomini spasmodicamente ai modi di vedere che già hanno. L’uomo ha l’impressione che, se solo vi si atterrà senza ondeggiare, la sua credenza sarà del tutto soddisfacente. E non si può negare che una fede salda ed inamovibile arrechi gran pace di mente. Può, a dir il vero, dar adito ad inconvenienti, come nel caso che un uomo continuasse risolutamente a credere che il fuoco non lo brucerebbe, o che sarebbe dannato per l’eternità se ricevesse i suoi ingesta con un mezzo diverso da una sonda stomacale. Allora, però, l’uomo che adotta questo metodo non ammetterà che i suoi inconvenienti siano maggiori dei suoi vantaggi. Egli dirà: “Io mi attengo fermamente alla verità e la verità è sempre salutare”. Ed in molti casi può darsi benissimo che il piacere che gli deriva dalla sua calma fede prevalga su qualsiasi inconveniente risultante del suo carattere ingannevole. Così, se è vero che la morte è annichila­zione, allora l’uomo che creda di andar certamente diritto in cielo quando muore, a condizione di aver soddisfatto certi semplici precetti in questa vita, ha un piacere a buon mercato che non sarà seguito dalla minima delusione . Una simile considerazione sem­bra aver peso per molte persone su temi religiosi, perché non di rado udiamo dire “Oh, non potrei credere a una tale cosa, perché se lo facessi sarei disperato”. Quando uno struzzo seppellisce la testa nella sabbia all’avvicinarsi di un pericolo, molto probabilmente adotta la condotta più felice. Nasconde a se stesso il pericolo, e poi dice quietamente che non c’è pericolo; e, se si sente perfetta­mente sicuro che non c’è, perché dovrebbe alzar la testa per vedere? Un uomo può passare la vita, tenendo sistematicamente fuor di vista tutto quello che potrebbe provocare un cambiamento delle sue opinioni e, solo che riesca — basando, come basa, il suo metodo su due leggi psicologiche fondamentali — non vedo che cosa si possa dire contro questo modo di agire. Obbiettare che il suo modo di procedere è irrazionale sarebbe una impertinenza egoistica, perché questo equivarrebbe solamente a dire che il suo metodo di stabilire le credenze non è il nostro. Egli non si pro pone di essere razionale ed invero parlerà sempre con disprezzo della debole ed illusoria ragione umana. Lo si lasci perciò pen­sare come vuole.

Ma questo metodo di fissazione della credenza che si può denominare il metodo della tenacia, non sarà in grado di mantenere in A pratica la propria posizione. L’impulso sociale gli è contro. L’uo­mo che lo adotta troverà che altri uomini pensano diversamente da lui, e tenderà a venirgli in mente, in qualche momento di mag­giore lucidità, che le loro opinioni sono così buone come la sua, e questo scuoterà la sua fiducia nella credenza. Questa concezione, che il pensiero od il sentimento di un altro uomo può essere equiva­lente al proprio, è un nuovo passo distinto, ed un passo assai im­portante. Esso ha origine in un impulso troppo forte nell’uomo per essere soffocato, senza pericolo di distruzione della specie uma­na. Se non ci facciamo eremiti, noi influenzeremo necessariamente le nostre rispettive opinioni; di guisa che il problema diviene quello del modo di fissare le credenze, non meramente nell’individuo, ma nella comunità.

Sia la volontà dello stato, allora, ad agire, invece di quella dell’in­dividuo. Si crei una istituzione che abbia per oggetto l’imposizione all’attenzione del popolo di dottrine corrette, la loro perpetua ri­petizione ed il loro insegnamento alla gioventù; e che abbia, al tempo stesso, il potere di impedire che vengano insegnate, soste­nute od espresse dottrine contrarie. Siano tutte le possibili cause di un cambiamento di opinione sottratte alla capacità d’apprendere degli uomini. Li si tenga ignoranti, affinché non vengano a sapere di qualche ragione per pensare altrimenti da come pensano. Si inquadrino le loro passioni, in modo che essi possano considerare con odio ed orrore le opinioni personali ed insolite. E siano, poi, ridotti al silenzio col terrore tutti gli uomini che rifiutano la cre­denza stabilita. Il popolo copra di catrame e di piume tali uomini, o si facciano inquisizioni sulla maniera di pensare delle persone so­spette ed, allorché vengano trovate colpevoli di credenze vietate, siano assoggettate a punizioni esemplari. Qualora non si potesse raggiungere altrimenti un accordo completo, un massacro generale di tutti quelli che non hanno pensato in un certo modo si è rive­lato un mezzo molto efficace per stabilire l’opinione di un paese. Se manca la possibilità di far questo, si rediga un elenco di opinioni, a cui nessun uomo di pur minima indipendenza di pensiero possa assentire, e si richieda ai fedeli di accettare tutte queste proposi­zioni, onde segregarli nel modo più radicale possibile dall’influenza del resto del mondo.

Fin dai tempi più primitivi, questo metodo è stato uno dei mezzi principali di sostegno di dottrine teologiche e politiche corrette, e di conservazione del loro carattere universale o cattolico. A Ro­ma, specialmente, esso è stato praticato dai giorni di Numa Pompilio a quelli di Pio IX. Questo è l’esempio storico più perfetto; ma ovunque vi sia un sacerdozio — e nessuna religione ne è stata priva — si è fatto più o meno uso di questo metodo. Dovunque vi sia una aristocrazia,  od una corporazione, o qualsiasi associazione di una classe  di uomini i cui interessi dipendono, o si  supponga ­che dipendano da certe proposizioni, inevitabilmente si trove­ranno alcune tracce di questo prodotto naturale del sentimento so­ciale. Le crudeltà accompagnano sempre questo sistema; e quando esso viene attuato coscientemente, le crudeltà divengono atrocità della più orribile specie agli occhi di ogni uomo razionale. Né que­sto dovrebbe sorprendere, perché il funzionario di una società non si sente giustificato ad obliterare gli interessi di quella società per motivi di pietà, come potrebbe obliterare i suoi privati interessi. È naturale, perciò, che simpatia e cameratismo producano in questo modo un potere assai spietato.

Nel giudicare questo metodo di fissazione di credenze, che si può denominare il metodo dell’autorità, noi dobbiamo ammettere, in primo luogo, la sua incommensurabile superiorità mentale e mo­rale rispetto al metodo della tenacia. Il suo successo è proporzio­nalmente maggiore, e, di fatto, esso ha ripetutamente ottenuto i più maestosi risultati. Molte delle mere strutture di pietra di cui ha provocato la costruzione — nel Siam, per esempio, in Egitto, ed in Europa — hanno una sublimità che può quasi rivaleggiare con le più grandi opere della natura. E, eccettuate le ere geologiche, non vi sono periodi di tempo così estesi come quelli che sono misu­rati da qualcuna di queste fedi organizzate . Se le esaminiamo da vicino, troveremo che non uno dei loro credi è rimasto sempre il medesimo; il cambiamento è tuttavia così lento da essere imper­cettibile durante la vita di una persona; di modo che la credenza individuale rimane sensibilmente stabilizzata. Per la massa del genere umano, allora, non v’è forse metodo migliore di questo. Se il loro impulso più elevato è quello di essere schiavi intellettuali, allora essi devono restare schiavi.

Ma nessuna istituzione si può assumere il compito di regolare le opinioni su ogni soggetto. Si può far attenzione solamente a quelli più importanti, e per gli altri non si può non lasciare le menti degli uomini all’azione di cause naturali. Questa imperfezione non sarà fonte di debolezza fino a che gli uomini si trovino in uno stato di cultura tale che una opinione non ne influenzi l’altra — fino a che, cioè, essi non possano sommare due più due. Ma anche negli stati più clericali si troveranno degli individui elevatisi al di sopra di quella condizione. Questi uomini possiedono una sorta di senso sociale più vasto; essi vedono che gli uomini di altri paesi e di altre epoche si sono attenuti a dottrine molto diverse da quelle che essi stessi sono stati educati a credere; e non possono fare a meno di vedere che è il mero accidente di aver avuto l’insegnamento che hanno avuto, e di esser stati contornati dai costumi e dalle associa­zioni di cui sono stati contornati, che ha fatto sì che credessero come credono e non assai diversamente. Né il loro candore  può resistere alla riflessione che non v’è ragione di attribuire ai loro modi di vedere un maggior valore che a quelli di altre nazioni ed altri secoli; dando cose  adito a dubbi nelle loro menti. Essi si accorgeranno inoltre che dubbi come questi devono esi­stere nelle loro menti con riferimento ad ogni credenza che sem­bri essere determinata o dal loro capriccio o dal capriccio di quelli che dettero origine alle opinioni popolari. L’adesione volon­taria ad una credenza e la sua imposizione arbitraria ad altri de­vono, perciò, esser abbandonate entrambe. Si deve adottare un metodo nuovo, diverso , di stabilizzazione delle opinioni, che non solo produrrà un impulso a credere, ma deciderà anche quale sia la proposizione a cui si deve credere. Non si impedisca, allora, l’azione delle preferenze naturali, e, sotto il loro influsso, gli uomini, con­versando insieme e considerando le cose sotto luci diverse, svi­lupperanno gradualmente credenze in armonia con le cause natu­rali. Questo metodo rassomiglia a quello per mezzo del quale si sono portate a maturità le concezioni dell’arte. Il suo esempio più perfetto è reperibile nella storia della filosofia metafisica. I sistemi di questa sorta non sono stati basati, di solito, su fatti osservati, almeno non ad un grado elevato. Essi sono stati adottati principal­mente perché le loro proposizioni fondamentali sembrano «in armonia con la ragione». Questa è espressione adatta, non signi­ficando quello che è in armonia con l’esperienza ma quello che ci troviamo inclini a credere. Platone, per esempio, trova in armo­nia con la ragione che le distanze reciproche fra le sfere celesti siano proporzionali alle diverse lunghezze delle corde che producono accordi armoniosi. Molti filosofi sono stati condotti alle loro conclusioni principali da considerazioni come questa , che pe­rò è la forma più inferiore e meno sviluppata che il metodo assu­me, perché è chiaro che un altro uomo potrebbe trovare più in armonia con la sua ragione la teoria di Keplero, che le sfere celesti sono proporzionali alle sfere inscritte e circoscritte dei diversi solidi regolari. Ma l’urto delle opinioni indurrà presto gli uomini a basarsi su preferenze di natura assai più universale. Si consideri, per esempio, la dottrina che l’uomo agisce solo egoisticamente — sulla base, cioè, della considerazione che agire in un modo gli arre­cherà maggior piacere che agire in altro modo. Questa dottrina non si basa su alcun fatto al mondo, ma ha avuto una estesa accetta­zione come la sola teoria ragionevole.

Dal punto di vista della ragione, questo metodo è assai più intel­lettuale e rispettabile sia dell’uno che dell’altro di quelli che ab­biamo considerato. A dire il vero, fino a che non si può applicare un metodo migliore, lo si deve seguire, poiché allora è l’espressione dell’istinto che deve costituire in tutti i casi la causa ultima della credenza Il suo fallimento è stato però il più manifesto. Esso fa della ricerca qualcosa di simile allo sviluppo del gusto; ma il gusto, sfortunatamente, è sempre più o meno una questione di moda, e conseguentemente i metafisici non sono mai arrivati ad un accordo stabile, ma il pendolo ha oscillato indietro ed avanti fra una filosofia più materiale ed una più spirituale, dai primi tempi fino a quelli più recenti. E perciò, da questo che è stato chiamato il metodo a priori, noi siamo indirizzati, secondo la frase di Lord Bacon, ad una vera induzione. Noi abbiamo scorto in questo me­todo a priori qualcosa che prometteva di liberare le nostre opi­nioni dal loro elemento accidentale e capriccioso. Ma il suo svi­luppo, mentre è un processo che elimina l’effetto di alcune circo­stanze causali, finisce con l’ingrandire quello di altre. Questo me­todo non differisce, perciò, in maniera molto essenziale da quello dell’autorità. Il governo può non aver alzato un dito per influen­zare le mie convinzioni; io posso esser stato lasciato del tutto libero di scegliere, diciamo, fra monogamia e poligamia, e, facendo appello solamente alla mia coscienza, io posso aver concluso che la seconda pratica è di per sé licenziosa. Ma quando riesco a vedere che l’osta­colo principale alla diffusione del cristianesimo in un popolo di cultura così elevata come gli Indù è stata la convinzione dell’immo­ralità del nostro modo di trattare le donne, io non posso far a meno di vedere che, anche se i governi non interferiscono, i sen­timenti saranno nel loro sviluppo determinati in gran parte da cause accidentali. Ora, vi sono delle persone, fra le quali devo sup­porre sia reperibile chi mi legge, che, allorché vedono che una loro qualsiasi credenza è determinata da una circostanza estranea ai fatti, da quel momento non soltanto ammetteranno a parole che quella credenza è dubbia, ma ne esperiranno un dubbio reale, in modo che essa cesserà, in qualche misura per lo meno , di essere una credenza.

Per soddisfare i nostri dubbi, perciò, è necessario che si trovi un metodo per il quale le nostre credenze possano essere determi­nate  non da qualcosa di umano, ma da qualche uniformità ester­na — da qualcosa su cui il nostro pensiero non abbia alcun ef­fetto. Alcuni mistici immaginano di avere un tale metodo in una ispirazione privata dall’alto. Ma questa è solo una forma del me­todo della tenacia, in cui la concezione della verità come qualcosa di pubblico non s’è ancora sviluppata. La nostra uniformità ester­na non sarebbe esterna, nel nostro senso, se fosse ristretta nella sua influenza ad un unico individuo. Essa dev’essere qualcosa che agisca, o possa agire, su ogni uomo. Ed anche se queste azioni sono necessariamente tanto varie quanto le condizioni individuali, il metodo deve nondimeno esser tale che la conclusione ultima di ogni uomo sia la stessa . Tale è il metodo della scienza. La sua ipotesi fondamentale, rienunciata in linguaggio più familiare, è questa: Vi sono cose Reali, i cui caratteri sono del tutto indipen­denti dalle nostre opinioni su di essi; quei Reali  incidono sui nostri sensi secondo leggi regolari, ed, anche se le nostre sensa­zioni sono tanto diverse quanto le nostre relazioni con gli og­getti, tuttavia, avvalendoci delle leggi della percezione, noi possia­mo accertare per mezzo del ragionamento come realmente e vera­mente  stiano le cose; e qualunque uomo, se ha esperienza suf­ficiente e vi ragiona sopra abbastanza, sarà condotto all’unica con­clusione Vera. La nuova concezione qui involta è quella della Realtà. Si può chiedere come io sappia che vi sono dei Reali . Se questa ipotesi è il solo sostegno del mio metodo di ricerca, il mio metodo di ricerca non deve esser usato per confermare la mia ipo­tesi. La risposta è questa:

Se non si può considerare l’indagine come prova che vi siano cose Reali, essa almeno non conduce ad una conclusione contraria; il metodo e la concezione su cui è basato restano invece sempre in armonia. Dalla sua pratica, perciò, non si origina necessariamente alcun dubbio sul metodo, come accade invece per tutti gli altri.

Il sentimento che dà adito a qualsiasi metodo di fissazione delle credenze è l’insoddisfazione per due proposizioni opposte. Ma qui vi è già una vaga concessione che vi sia qualche unica cosa che una proposizione dovrebbe rappresentare . Nessuno, perciò, può dubitare realmente che vi siano Reali u, perché , se ne dubitasse, il dubbio non sarebbe una fonte di insoddisfazione. L’ipotesi, perciò, è ipotesi che ogni mente ammette. L’impulso sociale non fa sì, perciò, che gli uomini ne dubitino. Ognuno usa il metodo scientifico per moltissime cose e smette di usarlo solo quando non sa come applicarlo. L’esperienza del metodo non ci  ha indotto a dubitar di esso, ma, al contrario, l’indagine scientifica ha avuto i trionfi più mirabili come modo di stabilizzare le opinioni. Que­sti offrono la spiegazione del fatto che io non dubiti del metodo o della ipotesi che esso suppone; e non avendo alcun dubbio, né credendo che ne abbia alcun altro su cui potrei influire, sa­rebbe per me il più inutile dei discorsi dire di più su di esso. Se qualcuno ha un dubbio vivo in proposito, consideri ciò . Oggetto di questa serie di saggi è la descrizione del metodo del­l’indagine scientifica. In questo momento mi resta posto solo per notare alcuni punti di contrasto fra esso e gli altri metodi di fis­sazione delle credenze.

Questo è l’unico dei quattro metodi che presenti una distinzione fra un modo corretto e un modo sbagliato. Se adotto il metodo della tenacia e mi chiudo a tutte le influenze, qualsiasi cosa io ri­tenga necessaria per fare questo, è necessaria secondo quel meto­do. Così con il metodo dell’autorità: lo stato può cercare di eli­minare l’eresia con mezzi che, da un punto di vista scientifico, sembrano assai mal calcolati per raggiungere i suoi scopi; ma la sola messa a prova in quel metodo è ciò che lo stato pensa; di guisa che esso non può seguire il metodo erroneamente. Così con il metodo a priori. È sua stessa essenza pensare come si è inclini a pensare. Tutti i metafisici faranno sicuramente questo, per quan­to possano essere inclini a ritenersi l’un l’altro perversamente in errore. Il sistema hegeliano riconosce come logica ogni tendenza naturale di pensiero, ancorché sia certo che sarà abolita da contro-tendenze. Hegel pensa che vi sia nella successione di queste ten­denze un sistema regolare, in conseguenza del quale l’opinione, dopo esser andata alla deriva per lungo tempo in una direzione e nel­l’altra, alla fine troverà la via corretta. Ed è vero che i metafisici ottengono  alla fine le idee giuste; il sistema della Natura di Hegel rappresenta la scienza del suo tempo in maniera tollerabile; e si può essere sicuri che qualsiasi cosa l’indagine scientifica avrà sot­tratto al dubbio riceverà subito una dimostrazione a priori da parte dei metafisici. È diverso col metodo scientifico. Io posso ini­ziare con fatti noti ed osservati per procedere al non conosciuto; e tuttavia le regole che seguo nel far questo possono non essere quelle che l’indagine approverebbe. La prova di se io stia se­guendo veramente il metodo non è un appello immediato ai miei sentimenti e scopi, ma, al contrario, involge essa stessa l’applica­zione del metodo. Di qui la possibilità sia del ragionar bene che del ragionar male; e questo è il fondamento dell’aspetto pratico della logica.

Non si deve supporre che i primi tre metodi di stabilizzazione delle opinioni non presentino un qualsiasi vantaggio sul metodo scientifico. Al contrario, ciascuno ha qualche sua comodità pecu­liare. Il metodo a priori si distingue per le sue confortanti con­clusioni. Attiene alla natura del processo adottare qualsiasi cre­denza a cui siamo inclini, e vi sono certe lusinghe alla vanità umana che noi tutti crediamo per natura, fino a che i rudi fatti non ci risvegliano dal nostro piacevole sogno. Il metodo dell’autorità go­vernerà sempre la massa del genere umano; e quelli che detengono le varie forme della forza organizzata dello stato non si convin­ceranno mai che i ragionamenti pericolosi non debbano essere in qualche modo soppressi. Se si deve salvare la libertà di parola dalle forme più grossolane di costrizione, si assicurerà l’uniformità delle opinioni per mezzo del terrorismo morale a cui la rispettabilità sociale darà la sua piena approvazione. Seguire il metodo del­l’autorità è la via della pace. Certi non-conformismi sono per­messi, certi altri (considerati insicuri) sono vietati. Questi sono diversi in paesi diversi ed in epoche diverse; ma, dovunque vi troviate, si sappia che voi vi atteniate seriamente ad una cre­denza tabù, e potete star certi che sarete trattati con crudeltà meno brutale ma più raffinata del darvi la caccia come ad un lupo. Così, i più grandi benefattori intellettuali dell’umanità non hanno mai osato, e non osano ora, esprimere tutto il loro pensiero; ed in questo modo si getta un’ombra di dubbio prima facie su ogni proposizione che sia considerata essenziale per la sicurezza della società. Cosa abbastanza singolare, la persecuzione non viene tutta dall’esterno; ma un uomo si tormenta ed è spesse volte addolo­rato di trovarsi a credere a proposizioni che è stato educato a considerare con avversione. L’uomo pacifico e simpatetico tro­verà, perciò, arduo resistere alla tentazione di sottomettere le sue opinioni all’autorità. Ma io ammiro più di tutti il metodo della tenacia per la sua forza, la sua semplicità e la sua immediatez­za. Gli uomini che lo seguono si distinguono per la risolutezza di carattere che, con una regola mentale di quel genere, diviene molto facile. Essi non perdono tempo a cercar di decidere ciò che vogliono, ma si buttano come un lampo su quella alternativa, quale che sia, che si mostra per prima e vi si attengono fino alla fine, qualsiasi cosa accada, senza un attimo d’indecisione. Questa è una delle splendide qualità che in generale accompagnano i suc­cessi brillanti e non duraturi. È impossibile non invidiare l’uomo che può metter da parte la ragione, anche se sappiamo come le cose finiranno.

Tali sono i vantaggi che gli altri metodi di stabilizzazione delle opinioni hanno sull’indagine scientifica. Un uomo dovrebbe consi­derarli bene; e poi dovrebbe considerare che, dopo tutto, desi­dera che le sue opinioni coincidano con i fatti, e che non v’è ragione per cui i risultati di quei tre primi  metodi debbano coin­cidervi.

Produrre questo effetto è prerogativa del metodo della scienza. In base a tali considerazioni egli deve fare la sua scelta — una scelta che è ben più della adozione di qualunque opinione intellet­tuale, che è una delle decisioni dominanti della sua vita, alla quale, una volta che sia stata fatta, è vincolato ad aderire. La forza dell’abitudine talvolta farà sì che un uomo si attenga a vec­chie credenze, pur dopo che egli sia in condizioni di vedere che non hanno una solida base. Ma la riflessione sullo stato delle cose sopraffarà questi abiti, ed egli deve riconoscere alla riflessione tutto il suo peso. La gente rifugge talvolta dal fare questo, avendo l’idea che siano salutari quelle credenze che non possono far a meno di aver l’impressione che non abbiano base. Ma suppongano tali persone un caso analogo ancorché diverso dal loro. Si chie­dano che cosa direbbero ad un musulmano convertito che esitasse ad abbandonare le sue vecchie nozioni con riguardo alle rela­zioni fra i sessi; o ad un cattolico convertito che rifuggisse ancora dal leggere la Bibbia. Non direbbe che queste persone devono con­siderare la cosa a fondo ed intendere chiaramente la nuova dot­trina, e poi devono abbracciarla nella sua interezza? Ma soprattutto si consideri che quello che è più salutare di qualsiasi cre­denza particolare è l’integrità della credenza; e che evitar di esa­minare il fondamento di qualunque credenza per timore che possa risultare marcio è altrettanto immorale quanto svantaggioso. La persona che ammette che vi sia una cosa come la verità, distinta dalla falsità semplicemente da questo, che, se si agisse sulla sua base, dovrebbe portarci, a ben considerare, al punto a cui mi­riamo e non sviarci, il quale poi, anche se convinto di questo, non osa conoscere la verità e cerca di evitarla, si trova per davvero in una triste condizione mentale .

Sì, gli altri metodi hanno i loro meriti, una coscienza logica chiara costa qualcosa - proprio come ogni virtù, proprio come tutto quello che ci è caro ci costa caro. Ma non dovremmo desiderare che fosse altrimenti. Il genio del metodo logico di una persona do­vrebbe essere amato e riverito come la sua sposa, che egli ha scelto fra tutte. Non è necessario che condanni le altre; al contra­rio, le può onorare profondamente e nel far questo onora di più la propria. Ma essa è quella che ha scelto, ed egli sa di aver avuto ragione nel fare quella scelta. Ed avendola fatta, lavorerà e lotterà per essa, e non si lamenterà se vi sono colpi da incassare sperando che ve ne possano essere altrettanti ed altrettanto duri da dare, e si sforzerà di essere il degno cavaliere e campione di colei, dal fuoco dei cui splendori egli trae l’ispirazione ed il coraggio.

 

Dunque avremmo a che fare, a parere di Peirce, con tre metodi fondamentali e tutti questi portano alla credenza, adesso lasciamo perdere quello dell’imposizione che pure rimane il più efficace, questo ultimo invece è quello che appare più ragionevole, a una persona appare più ragionevole una certa cosa e quindi la fa sua, a questo punto sembrerebbe quasi che l’accolga con quella tenacia di cui parlava nel primo caso di fissarsi della credenza poiché una volta che una certa cosa è stata acquisita e decisa essere vera, da quel momento in poi la si difenderà e ci si atterrà a questa perché nel momento stesso in cui avviene questo fenomeno e cioè viene creduta vera avviene anche un altro fenomeno in concomitanza con questo e cioè il fatto che se la ritengo vera allora questa cosa è quello che è identica a sé, è reale, è la realtà delle cose. Ciò che si ritiene comunemente la realtà delle cose, che è la suprema fra tutte le superstizioni, non è nient’altro che ciò di cui parlavamo l’altra volta come l’identità a sé di qualche cosa, se una cosa è identica a sé è reale, non può essere falsa, cioè è necessariamente vera ed è per questo che gli umani hanno da sempre cercato di definire e stabilire l’identità, non è un ghiribizzo di qualche filosofo strano, ma l’identità è il fondamento su cui appoggia la nozione stessa di realtà, la realtà è come le cose stanno e la realtà non mente, la realtà è quello che è quindi è identica a sé, da qui la necessità di stabilire che cos’è l’identico, allora è possibile affermare l’esistenza della realtà, se non è possibile affermare l’esistenza della realtà diventa più complicato ma quando si fissa una credenza allora da quel momento in poi cessa di essere interrogata naturalmente perché se è vera, se è la realtà, perché devo interrogarla? È così, non c’è nessun motivo di interrogare, perché devo chiedermi se questi sono un paio di occhiali? Sono un paio di occhiali e basta. Tutto questo ha dei vantaggi naturalmente, se no gli umani non perseguirebbero questa via, Peirce diceva della necessità di togliere il dubbio cioè eliminare un’interrogazione, in fondo il dubbio non è altro che un’interrogazione, è qualcosa che domanda, che continua a domandare, ma cos’è che continua a domandare? Ciò che sappiamo della struttura del linguaggio è che qualunque cosa intervenga all’interno di questa struttura è necessariamente un elemento linguistico ed essendo un elemento linguistico direi quasi per definizione è connesso con altri elementi linguistici, è all’interno di una catena, sappiamo anche che il linguaggio necessita di raggiungere un elemento il quale possa mostrare di sé di essere vero, che cosa vuole dire che è vero? Per la struttura del linguaggio nient’altro che questo: che non contraddice la premessa da cui è partito, se non la contraddice il linguaggio non ha bisogno di altro per funzionare, il dubbio sorge quando interviene qualche elemento per cui c’è la possibilità, l’eventualità che qualcosa invece possa contraddire la premessa da cui è partito e allora sorge il dubbio perché se questo non si verifica non c’è nessun dubbio tant’è che se dicessi “questo accendino è sulle sigarette, le sigarette sono sul tavolo, l’accendino è sul tavolo” nessuno si metterebbe a mettere in discussione una cosa del genere perché è come se fosse automaticamente vera invece quando la conclusione appare essere contraddittoria rispetto alle premesse da cui è partita ecco che sorge il dubbio, dubbio che va eliminato, e perché va eliminato? Questo Peirce non lo dice naturalmente è quasi come una cosa naturale, ma va eliminato perché il linguaggio da quella parte non può procedere, se c’è una contraddizione o se qualcosa non è stato stabilito come vero succede che il linguaggio non può utilizzare questo elemento come premessa per costruire altre sequenze. Abbiamo visto la volta scorsa come di fatto per costruire una sequenza il linguaggio debba muovere da qualcosa di vero cioè che lui stesso possa riconoscere come vero in base alle sue informazioni ovviamente e la prima informazione che riceve è quella famosa della mamma generalmente o chi per lei e cioè che “questo è questo”, per questo i paradossi hanno sempre spaventato gli umani perché è come se ad un certo punto qualcosa inserisse un’informazione che afferma che questo non è questo e allora è il panico generale, non c’è più nulla, nulla di stabile, nulla di certo ecco perché anche Peirce diceva che gli umani se dovessero ammettere certe cose sarebbero disperati cioè tutto il mondo crollerebbe loro addosso e quindi si guardano bene dal metterle in discussione. Anche queste cose sono giochi linguistici ovviamente, in alcuni casi delle persone accettano di mettere in gioco le loro superstizioni e in alcuni casi invece no, potremmo chiederci anche di cosa è fatta la curiosità intellettuale e anche questa è una domanda legittima, perché alcuni la possiedono e altri no? Almeno così appare, in realtà la curiosità intellettuale appartiene a ciascuno in modi diversi ma ciascuno è trascinato a domandarsi delle cose e a cercare di rispondere, magari non su questioni metafisiche o di logica formale ma su questioni molto più semplici sulle quali cionondimeno sono disposti anche a morire per difenderle, per esempio l’amore di patria che comunque adesso non usa più tanto ma una volta i giovanotti erano disposti a morire per la patria, l’estremo sacrificio per difendere che cosa poi in definitiva? Cioè loro non potevano saperlo, gli interessi economici erano di altri ma ciò che veniva inculcato era l’amore per la madre patria, come se difendessero l’onore della mamma, e perché dovrebbe essere difeso? Magari la mamma non vuole difenderlo, c’è anche questa eventualità e invece no, viene posto come un assunto assoluto e vero di per sé, indiscutibile e chiunque osi discutere una cosa del genere viene immediatamente incriminato. Naturalmente ancora dobbiamo dire del quarto metodo di fissarsi della credenza perché per Peirce è quello giusto, quello legittimo e cioè quello che poggia sulla realtà dei fatti, su ciò che è osservabile, questo è il criterio per lui, quello vero, quello che non è più frutto dell’opinione né procede da una costrizione violenta né dalla tenacia in un’idea qualunque ma è quello più saggio, quello che si basa sui fatti: il metodo scientifico. Se le cose stanno in un certo modo e tutti quanti approvano queste cose è chiaro che allora le cose sono effettivamente così, come criterio non è certo un granché anche perché appunto se sorge il dubbio rispetto alla realtà delle cose ecco che questo criterio incomincia a vacillare, basterebbe un dubbio come quello che ha posto Severino rispetto al “questo è questo” oppure “A è A”, come dire che questa identità cioè la realtà delle cose non ha nessun fondamento e quindi non può essere presa a premessa. Tuttavia lui steso incappa nello stesso modo di fissarsi delle credenze, il terzo modo, cioè quello dell’opinione, in fondo che esista la realtà è un’opinione, non è provabile, qui ovviamente sorge un ulteriore problema che cos’è una prova? A questo già Wittgenstein aveva risposto dicendo che quando qualcuno ha compiuto una prova, è arrivato all’ultima formula che è nota come teorema che cosa ha fatto esattamente? Si è attenuto correttamente alle regole stabilite per dimostrare quella cosa, solo questo può dire di avere fatto, nient’altro che questo e allora anche la prova mostra il fianco a critiche potenti e torniamo al punto da cui siamo partiti: qualunque cosa sia posta al di fuori del linguaggio mostra di sé, se interrogata, di essere paradossale cioè non dimostrabile, non provabile in nessun modo, per provarla abbiamo detto che occorre un terzo elemento e quindi questa cosa rivelerà di sé di essere differente, chi può provare qualcosa? E in base a quale criterio? Il linguaggio, per esempio, visto che costruisce oltre che costituisce qualunque metodo di prova, l’unica prova, l’unico criterio di prova che potrà adottare sarà questo: una certa cosa si attiene alla struttura del linguaggio? Sì/ No, se si attiene allora la chiama vera, non si attiene la chiama falsa. Se pensando una qualunque cosa io incappo in un paradosso, in una contraddizione ecco che allora il linguaggio rileva che qualcosa non si attiene alle regole per il suo funzionamento perché non può procedere, se incontra un paradosso, e perché non può procedere? Perché sarebbe come affermare che un elemento è un elemento che gli appartiene e allora se gli appartiene deve sottostare a queste regole oppure non gli appartiene, se non gli appartiene non è un elemento linguistico, se non è un elemento linguistico allora che cos’è, visto che il linguaggio lo sta trattando? Adesso dico del linguaggio in termini un po’ animistici per semplificare la cosa, dunque se non è un elemento linguistico si trova ad avere a che fare con qualcosa che è un elemento linguistico perché lo sta trattando, lo sta dicendo, ma al tempo stesso afferma di non essere un elemento linguistico e quindi semplicemente si arresta e chiama quella direzione falsa e non la segue, che è lo stesso motivo per cui ciascuno quando si accorge che quello che ha pensato o detto è falso non prosegue lungo quella strada, tante volte ci siamo chiesti “perché non lo fa?”, potrebbe farlo ma non lo fa, qualche cosa di più potente di lui per così dire, usiamo tutte queste figure, glielo impedisce e ciò che glielo impedisce è la struttura stessa del linguaggio che non può proseguire là dove c’è un paradosso, là dove qualcosa afferma di sé di appartenere al linguaggio e simultaneamente di non appartenere al linguaggio. In fondo è questa la struttura di qualunque paradosso, se non appartiene al linguaggio si trova di fronte a situazione ingestibile. Se lo sto considerando appartiene al linguaggio quindi di fatto mente, in realtà più che un paradosso è una menzogna perché propriamente non c’è nessun paradosso perché nessun elemento che sia fuori dal linguaggio può affermare di sé di essere fuori dal linguaggio, non lo può fare, per cui abbiamo parlato impropriamente di paradosso. Il linguaggio nega che qualcosa sia fuori di sé, lo nega perché se qualunque elemento dice di sé di essere fuori già lo dice, e quindi appartiene al linguaggio quindi sta mentendo. Una credenza si fissa in obbedienza al funzionamento del linguaggio il quale ha bisogno di stabilire un elemento, di potere dire di questo elemento è vero, e una volta detto questo può utilizzarlo per costruire una sequenza a partire da questo e ha bisogno necessariamente di un elemento da cui partire, qualunque inferenza per concludere qualcosa, perché ci sia un “allora questo” ci vuole un “se”, se questo allora quest’altro ma il questo cioè la protasi, il primo elemento dell’implicazione deve esserci necessariamente e deve essere vera perché sia vera anche l’apodosi cioè il secondo elemento dell’implicazione, potremmo dire che è impossibile che non si fissi una credenza a meno che io sappia e non possa non sapere come funziona la struttura che impone il fissarsi della credenza, allora a quel punto e solo a quel punto non è più necessario che io mi trovi a credere qualche cosa e se non è più necessario che io mi trovi a credere qualche cosa questo ha degli effetti come abbiamo detto tante volte, il primo effetto è che si cessa di avere paura, di conseguenza si cessa di temere l’errore, si cessa di temere l’abbandono e a cascata un’altra infinità di cose. In fondo gli umani sono ricattabili perché credono, se cessassero di credere cesserebbero di essere ricattabili, è ricattabile una persona perché la si minaccia di fargli perdere la sua certezza, è questa la minaccia, non è tanto quello che ha o che non ha ma la sua certezza, questa è la minaccia più grande ed è questo il terrore più forte, come se in qualche modo il discorso di ciascuno temesse maggiormente o al di sopra di qualunque cosa l’eventualità di non potere procedere cioè di non avere più una verità dalla quale procedere, dico il discorso più che il linguaggio perché il linguaggio non ha di questi problemi, il discorso cioè il modo in cui si trova a dire, le cose che dice come se ciascuna volta si trovasse di fronte alla possibilità di perdere quell’elemento che è stato quello che ha costruito tutta la sua stessa esistenza, il “questo è questo”, se questo non è più questo allora non c’è più niente, la vita stessa cessa di esistere e questo non è che gli umani lo temano perché gli è stato spiegato qualche cosa di particolare ma perché il loro discorso avverte e sa perfettamente che senza una certezza non può procedere, una qualunque certezza, non importa quale, è importante che ce ne sia una per questo in alcuni casi sono così facilmente persuadibili, perché hanno bisogno e questo tutti lo sanno, tutti hanno bisogno di certezze, lo dicono continuamente. I valori non sono altro che delle premesse di sequenze argomentative ed è vero ma non necessario infatti non è necessario perché è possibile al posto di una credenza e cioè di qualcosa che si impone come vero senza in nessun modo potere dimostrare di esserlo, al posto di questo dicevo, impiantare invece una certezza assoluta e la certezza assoluta è che l’unica condizione per cui io esisto, per cui posso accorgermi di esistere, parlare, pensare e fare di conseguenza qualunque cosa è quella struttura che mi da questa opportunità e senza la quale io non sarei mai esistito, né io né nessun altro ed è anche quella stessa struttura che fornisce i criteri di verità…

Intervento: “questo è questo” è necessario è necessario per iniziare a pensare? e il principio di identità è necessario per pensare…

È come una sorta di formula, di algoritmo indispensabile al funzionamento del linguaggio, per questo è necessaria l’identità, per questo Severino continua a dire che è innegabile pur trovandosi continuamente a negarla, è questo il paradosso che si trovano di fronte, deve esserci eppure non è possibile dimostrarla perché per dimostrarla ci vuole il linguaggio senza accorgersi che è un elemento del linguaggio, che non è nient’altro che questo, è un’istruzione del linguaggio ed è questa la chiave di accesso per accedere a qualunque cosa, una volta che si è inteso il funzionamento del linguaggio si ha accesso a qualunque cosa, non c’è più nulla che si neghi, nulla che si sottragga alla possibilità di conoscere, non c’è più nessun enigma, nessun mistero, tutto funziona come un computer con la stessa velocità, la stessa efficacia, la stessa precisione. Tecnicamente potrebbero scomparire tanto la scienza quanto la religione, perché in fondo pur essendo nate insieme come necessità di dare spiegazioni alle cose poi hanno prese strade diverse: l’una ha dato la verità come rivelata e l’altra da rivelare ma ancora oggi si sostengono a vicenda e vivono l’una dell’altra, è un matrimonio perfetto perché tutto ciò che la scienza non può esibire, cioè i fondamenti, li fornisce la religione la scienza infatti arriva fino ad un certo punto ma non può per esempio provare l’identità di un elemento con se stesso, ecco c’è l’enigma, c’è il mistero, c’è dio ché lui sa e quindi si accompagnano perfettamente, sono l’una il complemento dell’altra anziché essere agli opposti come taluni ingenuamente pensano, ma le due facce della stessa cosa e direi imprescindibili, inevitabili, se non c’è l’una c’è l’altra non a caso nei corsi e ricorsi della storia si passa dall’illuminismo al misticismo, poi si ritorna alla scienza, poi si ritorna alla religione e sempre, nei periodi in cui appare la scienza sia arrivata ai massimi livelli poco dopo ricompare la religione perché una volta che è arrivata al massimo livello deve mostrare di sé di essere necessariamente vera e non lo può fare e allora ecco che ritorna quell’altra…

Intervento: allo scopo di reperire una certezza qualunque sia…

Sì perché gli umani non possono fare nient’altro, essendo fatti di linguaggio, che muoversi così come è fatto il linguaggio, è questo ciò di cui non si accorgono generalmente perché sono linguaggio, non è che c’è l’uomo e c’è il linguaggio come lo stesso Heidegger insisteva a dire, ma l’uomo è linguaggio quindi non è che io interrogo il mio linguaggio, sì certo posso farlo retoricamente ma è il mio discorso che interroga il linguaggio di cui è fatto, nient’altro che questo…

Intervento: questa identità è una premessa perché se creduta vera è all’interno di un gioco linguistico che si fa, perché la premessa è un’identità è qualcosa che distinguo che ritengo vero però all’interno di un gioco e non è necessario…

No, però è questo che sfugge, il fatto che sia vero all’interno di un gioco e quindi questa verità che esibisce è assolutamente particolare e non universale come vorrebbe, se fosse universale sarebbe sempre e necessariamente, non potrebbe non essere, una verità sub specie æternitate di cui parlavano i medioevali e cioè che è sempre così, per esempio che se A allora B e se B allora C allora se A allora C è vero sempre e necessariamente, è universale, mentre il fatto che A sia Pinco Pallino questo non è universale è particolare rispetto a ciò che sto facendo…

Intervento: quindi questo sub specie æternitate viene dal fatto di non avere accesso al funzionamento del linguaggio? Cioè si continua a ricercare qualcosa come se esistesse un altro luogo, un altro sistema cui attingere come verità ultima senza aver accesso…

Esatto, appena lo interroga in modo un po’ preciso succede quello che succede a Severino che si chiede se A è A, lo è non può non esserlo ma al tempo stesso non lo è perché c’è di mezzo il linguaggio ma è soltanto una regola per giocare, esattamente così come è una regola che dice due assi battono due jack al poker…

Intervento: sì però consideravo la questione del discorso occidentale così come funziona… funziona cercando sempre una verità fuori dal linguaggio nessuno ha mai potuto considerare qual è la condizione perché qualsiasi cosa esista…

Intervento: Lei prima parlava delle implicazioni che potendo il proprio discorso considerare, ovviamente in un gioco continuo, la condizione per cui si trova a pensare le cose che pensa quindi non avere più paura, non avere più la necessità di utilizzare la paura per vivere, il discorso occidentale vive sulla paura… l’esercizio di potere abbiamo parlato per tutte queste conferenze dell’esercizio di potere di come tutto sommato anche nel discorso occidentale il potere sia mal considerato però non se ne possa fare a meno, perché? Perché il linguaggio funziona così nel senso che anche pensatori come Wittgenstein che avevano inteso il linguaggio ma scontrandosi proprio con questa questione per esempio di collegare la realtà con il linguaggio non possono fare altro che esercitare il potere cioè avevano trovato qualcosa di assolutamente vero però ovviamente posta nei termini ontologici di Severino quello della identità non potendo considerare una tautologia come una costruzione del linguaggio fatta dal linguaggio per far funzionare il linguaggio… proprio perché credevano di aver trovato finalmente qualcosa di vero quello che noi stiamo facendo è portare avanti qualsiasi interrogazione partendo dalla necessità, dalla costrizione e “riportando” ciascuna volta all’interno, riportando non è esatto perché non c’è un dentro e fuori necessariamente qualsiasi cosa è all’interno del linguaggio, ma mostrando come occorra tenere conto in ciascun passaggio che il proprio pensiero fa di come effettivamente giochino le cose all’interno del linguaggio tipo gli intoccabili la tautologia è una nozione costruita dalla logica che i logici credevano data di per sé da qualche dio avevano chiamata questo principio di identità dai tempi di Aristotele tautologia però considerando la verità come qualcosa di extralinguistico hanno chiuso il linguaggio, fermato il linguaggio per portare avanti l’autocontraddizione in qualche modo come se…

Se non si conosce la struttura del funzionamento del linguaggio non c’è uscita, non c’è nessuna possibilità.