15-7-2009
Nicola, è da un po’ che ci ascolta e un po’ di elementi li ha acquisiti, quali obiezioni muoverebbe o quali perplessità, dubbi?
Intervento: mettiamo che io accolga questo modo di pensare che tutto è linguaggio però non riesco a modificare certi miei atteggiamenti, atteggiamenti che mi danno fastidio perché su altro io dico che è giusto che ognuno dica la sua … mi piace questa idea, questa filosofia …
Cioè non riesce a mettere in pratica …
Intervento: mettiamo che io stia parlando con un'altra persona oggi ho parlato con delle persone tra cui un giornalista del Corriere della sera abbiamo parlato della verità e anche lì c’è molto da dire “tu che scrivi sul giornale anche tu che scrivi con parole può essere opinabile” e lui “si cerca di avvicinarsi alla verità di certi fatti ci mettiamo tutta la nostra volontà” … e in questo caso si parla di linguaggio …
Intervento: beh in una analisi c’è l’opportunità e l’occasione di accorgersi della portata del linguaggio, lei fa una domanda “a cosa mi serve quello che sto ascoltando?” “come faccio?” Dovrebbe intanto intendere quali sono le questioni che funzionano all’interno del suo discorso, se non c’è questo primo passaggio lei ascolta quello che dice un'altra persona e pensa che questo rimando che le viene dalla persona sia qualche cosa che appartiene a quella persona, i nessuno è riuscito ad intendere che invece quello che proviene da quella persona è da lei tenuto in conto in quanto è il suo discorso che ascolta quelle cose e sceglie quelle cose e soprattutto che ne sta parlando in prima istanza, quasi che questa questione dell’altro che dice delle cose per esempio questo giornalista che dice “beh cerchiamo di barcamenarci con la verità, un colpo di qua, un colpo di là” ma queste sono cose che lei ci sta dicendo e di questo occorre che il suo discorso ne tenga conto ed è effettivamente linguaggio che sta funzionando cioè è il suo discorso che sta ponendo questa questione, lei prima diceva, come fare in modo di fronte a delle sue questioni di modificarle? Parlandone ovviamente, parlando in prima istanza e quindi chiedendo conto a queste questioni di come esistono, ma di come esistono nella sua parola in modo che lei possa intendere quali sono queste questioni, perché non basta sapere che qualsiasi cosa è un atto linguistico ma occorre praticarlo continuamente, occorre praticare continuamente il linguaggio sapendo che le cose sono all’interno del mio discorso in prima istanza e non da qualche altra parte da cui si danno così semplicemente senza il concorso del mio pensiero, è perché lei parla che le cose si stanno dando per lei e quindi lei sta interrogandosi su certe questioni, certo modificare quelle che sono le cose che a parer suo non funzionano nel suo discorso beh non c’è la bacchetta magica se non si intende come funziona effettivamente il proprio discorso, il proprio pensiero, per cui non basta dire beh qualsiasi cosa è linguaggio e quindi “no, non ci credo più perché di fronte a una certa questione io invece di andare da una parte vado da un’altra, come ho sempre fatto” questa è la parte analitica che occorre svolgere e che da una fortissima mano a praticare il linguaggio …
Intervento: quello che enunciava il giornalista è una difficoltà che è quella di descrivere la realtà, la realtà è impossibile da descrivere come se la parola non potesse descriverla fino in fondo, immaginare che da una parte ci sia l’evento che il giornalista deve descrivere è il non plus ultra del giornalismo … adesso vi faccio un altro esempio del caso costruito dai giornalisti quello dello stupro…
La difficoltà di praticare, di mettere in atto ciò che andiamo dicendo e in effetti è una delle questioni che spesso sono state poste qui o durante le conferenze, l’unica via per intendere le questioni che riguardano la persona è l’analisi. Non c’è effettivamente un altro modo per il momento. Una persona può acquisire moltissime cose, può sapere tutto quanto ciò che ha detto Freud, a memoria, è in grado di elaborare le proprie questioni? No, certo che no, perché ciò che incontra mano a mano sono, chiamiamoli sintomi, generalmente si chiamano così, sintomi che lo riguardano e che sono fatti di quello stesso materiale che utilizzerebbe per affrontarli rischiando in questo modo di girare a vuoto. Anche se la persona è attenta e smaliziata comunque molte questioni che il suo discorso pone il discorso stesso le evita, le aggira, e evitandole e aggirandole non le affronta, non le considera e quindi non si troverà mai a intendere quali sono i sintomi o perché pensa le cose che pensa, ecco perché è necessario che ci sia un’altra persona che non è propriamente coinvolta in quel discorso anzi, come dicevamo la volta scorsa non è coinvolta neanche dal proprio discorso, che è la condizione per ascoltare, e allora occorre la presenza di un’altra persona che mostra, che sottolinea, che pone l’accento su alcuni aspetti che una persona senza volere evita, è necessaria perché avvenga questo confronto altrimenti gira a vuoto, per cui per rispondere nel modo più diretto alla sua domanda un modo per praticare ciò che andiamo dicendo è l’analisi; l’analisi non è altro che la pratica in realtà di ciò che andiamo dicendo, non basta acquisire le informazioni teoriche che abbiamo avanzate in questi anni, non è sufficiente se il discorso, il proprio discorso non le pratica e per praticarle occorre che si confronti con tutto ciò che impedisce all’interno del suo discorso di accogliere proprio queste questioni teoriche, come diceva Beatrice, una persona può dirsi che qualunque cosa è un elemento linguistico, detto questo non è che vada molto lontano perché alla prima occasione in cui incontra qualcosa che lo irrita lui si irriterà, e questa bella frase che qualsiasi cosa è un elemento linguistico sarà scomparsa e non avrà nessuna portata, cioè questa affermazione: “qualunque cosa è un elemento linguistico” nel suo discorso in realtà non c’è, non significa niente, non ha nessuna portata, nessun effetto, incomincia ad avere degli effetti quando dopo avere affrontato innanzi tutto e valutato quali sono le questioni all’interno del proprio discorso e dopo essersi accorto della responsabilità rispetto a queste questioni incomincia a considerare come funziona il suo discorso, allora una affermazione come questa (qualsiasi cosa è un elemento linguistico) incomincia ad avere qualche effetto, altrimenti non ne ha nessuno. Questa è una delle difficoltà che incontriamo quando andiamo esponendo queste questioni riguardo al linguaggio, certo molte persone si pongono la stessa domanda che ha fatto lei e cioè se è possibile conoscendo queste cose sbarazzarsi dei propri sintomi, no! Finché questa teoria non viene praticata, e torno a dirvi che la pratica di questa teoria è la psicanalisi. La psicanalisi è quella situazione in cui la persona ha l’opportunità, grazie all’intervento di un analista che non è coinvolto dal suo discorso, di poterlo ascoltare per la prima volta in modo diverso, al punto che in alcuni casi può accadere che per la persona stessa il proprio discorso incominci a essere qualcosa quasi di estraneo cioè non lo riconosce più nel senso che incominciando a interrogarlo e a intenderlo questo discorso diventa differente, si altera e incomincia a non appartenergli più in un certo senso, e di conseguenza meno coinvolgente. Se una persona ha un sintomo, qualunque sia, la prima cosa che vuole fare è sbarazzarsi di questo sintomo, volendosi sbarazzare di questo sintomo non soltanto lo conferma ma lo pone in una posizione tale dalla quale non lo toglierà mai più; non si tratta affatto di sbarazzarsi di un sintomo ma di ascoltarlo ma per ascoltarlo occorre che sia lì cioè che non ci si voglia sbarazzare del sintomo ma lo si voglia intendere, ascoltare, accogliere in un certo senso. Molte persone passano tutta la vita cercando di eliminare il sintomo girando in tondo. In alcuni casi il sintomo diventa la cosa sulla quale ruota tutta la propria esistenza, accogliere la responsabilità di ciò che si pensa comporta anche questo e cioè accogliere il sintomo non più come qualcosa di cui ci si vuole sbarazzare ma come qualche cosa che il proprio discorso ha costruito, e se lo ha costruito ha avuto dei buoni motivi per farlo, cercare di sbarazzarsene non serve a niente, assolutamente a niente, ecco perché è necessaria l’analisi, perché l’analisi è quel percorso che “insegna” tra virgolette a non volersi sbarazzare di qualcosa della quale non ci si può sbarazzare perché è ciò di cui la persona è fatta, ma accoglierla, anzi, in alcuni casi a portarla alle estreme conseguenze fino a che la cosa si dissolve, come dire: “io ho questo sintomo, bene se ce l’ho è perché il mio discorso l’ha costruito, se l’ha costruito lo ha fatto per dei motivi, quali?”, devono essere dei buoni motivi visto che un sintomo certe volte esiste praticamente da sempre e lo si porta appresso fino alla tomba. Non c’è il modo per affrontare una questione cosiddetta personale senza avviare una psicanalisi, almeno per ora non abbiamo una soluzione, per il momento non c’è altro modo che affrontare il proprio discorso con la presenza di qualcuno che in fondo “insegni” sempre fra virgolette a considerare il proprio discorso in modo impersonale, a prendere le distanze dal proprio discorso che non significa sbarazzarsene, assolutamente no, ma considerarlo in modo tale che ciò che il proprio discorso produce non coinvolga. Poche cose per gli umani sono più reali di un sintomo, una paura per esempio …
Intervento: la difficoltà è la descrizione del sintomo quello che diceva il giornalista riguardo alla verità del fatto …
Sì, la struttura non è tanto differente certo, uno crede una certa cosa che è stata costruita dal proprio discorso, per esempio una fobia, per avere una fobia occorre credere tutta una serie di cose, se non si credono la fobia non si produce, e deve crederci fortemente e questa cosa in cui crede non è considerata una credenza, una superstizione ma la realtà delle cose e come tale non viene interrogata, nessuno si interrogherebbe per sapere se questo è un accendino, se esiste oppure no, nessuno lo farebbe, è lì lo vede ed è chiuso il discorso, non c’è nessun motivo per interrogare, ecco la persona non ha nessun motivo di fatto per interrogare le cose che occorrerebbe che interrogasse nel suo discorso, l’analista è lì invece per offrirgli il motivo per farlo perché se no non lo farebbe mai, non lo farebbe ma non perché male intenzionato, perché non se ne accorge e non può accorgersi, non può accorgersi perché è fatto di quelle cose e non c’è uscita. A questo serve uno psicanalista, a fornire questa opportunità di considerare quelle cose che altrimenti la persona non considererebbe mai perché non le può considerare perché non gli si presentano neppure come questioni, ha soltanto il sintomo del quale vuole sbarazzarsi tutto il resto, tutto ciò che lo produce, che lo mantiene lo ignora, non lo considera e non lo può considerare per cui quella cosa che chiama sintomo permane. È una questione che molti hanno posta e che occorrerebbe porre anche durante gli interventi pubblici, anche perché questa difficoltà che molti incontrano non ha una soluzione se non in un percorso analitico, in alcuni casi io l’ho accennato durante le conferenze però forse occorre dirle in modo più esplicito: ciò che andiamo dicendo non è una filosofia, propriamente la filosofia non si pone né ha in animo di fare una cosa del genere, cioè mettere la persona nelle condizioni di sapere perché pensa quello che pensa, la filosofia cerca la verità, sempre altrove naturalmente e senza trovarla mai ovviamente, tutto ciò che ha fatto la filosofia è costruire delle ipotesi, delle opinioni, nient’altro che questo, la logica ci è andata più vicina ma questo è un altro discorso. In ciò che andiamo facendo sì certo c’è una teoria, anche molto potente, ma per potere praticare questa teoria occorre quel passo in più che nessun altra disciplina ha né può offrire e cioè affrontare il proprio discorso, tutto ciò che il proprio discorso ha costruito, perché lo ha costruito? Quali sono le certezze di una persona, quali sono in definitiva le sue superstizioni che sono generalmente quelle cose che lui chiama realtà, sono superstizioni alle quali però crede fortissimamente e non le abbandona facilmente, non le abbandona perché sono quelle cose che ritiene assolutamente vere e alle proprie verità è difficile rinunciare, per questo un’analisi talvolta può richiedere un po’ di tempo, proprio perché la persona non rinuncia, non abbandona le cose che crede essere vere. Il percorso analitico conduce anche a questo, a potere abbandonare quelle cose che si credevano essere assolutamente vere perché si constata che di fatto sono arbitrarie: tutte le cose che gli umani credono assolutamente vere con assoluta certezza in realtà sono arbitrarie e nulla al mondo li costringerebbe a crederle, i cosiddetti sintomi sorgono proprio da lì, dal fatto che alcune cose sono fortissimamente credute, poi possono portare sì dei sintomi magari anche fastidiosi o magari no, magari portano soltanto, e non è meno peggio, a convinzioni ferree per esempio. Potremmo considerare una religione come un sintomo, è una credenza ferrea in qualcosa che, per restare in ambito religioso, non sta né in cielo né in terra, eppure ci crede fortissimamente, talvolta è disposto anche a sacrificare la propria vita per questo, soltanto per qualcosa in cui crede che di fatto non costringerebbe a nessun assenso, è una cosa assolutamente arbitraria, è un’opinione né più né meno eppure se creduta fortemente modifica la propria esistenza: la fede di una persona fortemente religiosa modifica la sua esistenza, o la fede nel proprio lavoro, la fede in alcuni valori comunque modifica la propria esistenza, la modifica offrendo alla persona un senso, certo lui crede fortissimamente a questo senso e questo gli basta così come quando la persona crede in dio, è la stessa cosa, però conduce tutta la propria esistenza credendo fortissimamente a cose che sono non soltanto assolutamente opinabili ma assolutamente gratuite, non significano niente …
Intervento: qualcosa di comune gli esseri umani … dobbiamo averlo, devo partire dal presupposto che devo rispettare gli altri, la mia libertà finisce dove comincia quella dell’altro … da qualche parte devo partire … uno dice io parto da dio, io non credo in dio e parto, devo partire da qualcosa … devo partire da qualcosa, il rapporto con la collettività, la democrazia … uno dice questo è così, l’altro dice che è colà …
Questa è un’altra delle obiezioni frequenti che ha fatto bene a porre e cioè che occorre qualcosa da cui partire. Intanto si può considerare che tutte le cose da cui si parte, per esempio, lei ha citato dio, la democrazia, il bene comune o quello che si vuole non ha nessuna importanza, di fatto si possono considerare o dei valori o regole di un gioco, per esempio nessuno considererebbe che il fatto che due assi battono due jack a poker sia un valore, ma è una regola del gioco per giocare a poker. Si sono costruite delle regole per quello che comunemente si chiama il vivere civile, una persona incontra un’altra e anziché prenderla a cazzotti la saluta, le augura buon giorno, buona giornata etc. però se incominciamo a spostare l’idea che sia un valore universale ma la regola di un gioco allora già la questione incomincia ad assumere un altro aspetto, e si arriva a questa considerazione quando si parte proprio dal valore, uno qualunque non importa quale, e si incomincia a interrogarlo, interrogandolo cosa succede? Che questo valore mostra in effetti alla fine del percorso di essere soltanto una regola di un gioco e che non esiste in natura da nessuna parte, a questo punto si accorge che questa certa cosa, per esempio la democrazia, non è altro che un gioco e se conduce la cosa ancora più in là si accorge che è un gioco linguistico e nient’altro che questo, naturalmente considererà anche altre cose che seguiranno la stessa sorte, cioè ciascuna di queste cose che considererà si rileverà essere nient’altro che un gioco, un gioco linguistico: ciascuna cosa allora è un gioco linguistico? Occorrerebbe trovarne una che non lo sia e questo diventa difficile, se invece consideriamo l’eventualità che qualunque cosa sia un gioco linguistico allora si parte da qualche cosa che è la condizione di qualunque gioco e cioè il linguaggio, lei voleva qualcosa da cui partire? Ecco: la struttura del linguaggio, il modo in cui è fatto il linguaggio, e questo modo è quello che manifesta ciascuno di questi giochi, la sua natura o meglio il da dove viene, e viene dal linguaggio, è un gioco linguistico fatto di regole come tutti i giochi, non c’è un gioco che non sia fatto di regole naturalmente, alcune mosse sono consentite altre no, qualunque gioco funziona così e allora ecco la domanda: da che cosa partire? Da ciò che è necessario per fare funzionare qualunque gioco, da ciò che è necessario perché qualunque gioco possa funzionare, poi naturalmente ciascuno può partire da quello che ritiene più opportuno, anche dalla considerazione che la razza ariana è l’unica degna di esistere sul pianeta, qualcuno lo ha fatto …
Intervento: la paura è quella … la democrazia ...
Dipende, democrazia è un termine vago, anche i nazisti consideravano la loro una democrazia e anche gli americani lo fanno, però naturalmente ciascuno a modo suo. Si tratta sempre in questi casi di intendere qual è la definizione di democrazia, e siccome non è possibile dare una definizione ultima di democrazia ciascuno utilizza questo termine a suo piacimento, ma questo va aldilà della questione della democrazia; il bene, del male, il bello, ciò che è utile, ciascuno di questi termini così ampi, così astratti non ha una definizione ultima naturalmente il che rende possibile a ciascuno utilizzarlo come gli pare: il bene è fare tutto ciò che io voglio che si faccia, ecco, basta che io decida che è così. Il problema è che le persone effettivamente pensano così senza accorgersene e si muovono di conseguenza, ecco da dove vengono i sintomi: credere che certe cose siano in un certo modo assolutamente e se sono in un certo modo ovviamente qualunque cosa le contrasti è il nemico e quindi va combattuto. Tuttavia la questione da che cosa partire in realtà è una questione che non dovrebbe neanche porsi tecnicamente, se uno affronta le questioni si accorge che parte da ciò che è la condizione stessa per potere chiedersi “da che cosa partire?”, se uno si fa una domanda del genere questa domanda arriva da qualche parte, da delle considerazioni e sono considerazioni che per altro vengono proprio dalla struttura del linguaggio, è la struttura del linguaggio che “insegna” tra virgolette che se si va da qualche parte è perché c’è stato un punto di partenza, se no non verrebbe neanche in mente e cioè se c’è un elemento, che è linguistico, allora ce n’è stato un altro prima, come dire che se c’è un dopo c’è un prima, ma non è un fatto ontologico, filosofico o genetico è soltanto una regola del linguaggio, una regola per giocare il gioco del linguaggio così come qualunque altro gioco che è fatto di regole. Se si incomincia considerare che è un gioco linguistico, che uno qualunque di quei valori tanto cari agli umani di fatto non è altro che un giuoco linguistico già la questione assume un altro aspetto, diventa meno costrittiva, certo lo faccio perché è comodo anche a me in fondo attenermi a certe regole del vivere comune, ma niente di più …
Intervento: d’altra parte il discorso ossessivo fa proprio la caricatura di una cosa di questo genere perché è controllatissimo, il fatto di aver paura di trattare l’altro male è perché parte proprio dal desiderio di farlo …
Sì, nelle fantasie del discorso ossessivo c’è molta violenza che deve essere contenuta, tenendo a freno, a bada tutto fino al controllo totale …
Intervento: il fatto di dire ad un bambino … bisogna comunque sia dare delle indicazioni se non gli si dice nulla … bisogna dire che il forno brucia inizia l’educazione …
Certo al bambino si insegnano tutti quei giochi che consentiranno poi da adulto di vivere all’interno di una società fatta in questa maniera certo, infatti le regole della nostra educazione sono per esempio leggermente differenti da quelle dei giapponesi e quindi i genitori informano il bambino sul fatto che per vivere all’interno di un certo consesso civile deve sapere usare certi giochi, questo è ovvio, lo si deve fare anche se poi non basta il fatto che si dica al bambino di non mettere la mano sul forno perché poi non ce la metta, ce la mette lo stesso probabilmente però in ogni caso lo si avverte. Se un bambino incominciasse ad avere delle istruzioni molto precise oltre a queste naturalmente utili su come funziona la civiltà intorno a lui, le istruzioni su come funziona anche il suo pensiero ne trarrebbe un immenso vantaggio, inserendo cioè oltre le informazioni che riguardano i giochi comuni, che se serve un pacchetto di sigarette deve andare dal tabaccaio anziché dal farmacista per esempio, anche questa è un’istruzione però se si avesse l’opportunità di inserire altre informazioni che riguardano invece il modo in cui pensa, la struttura del suo pensiero, come dicevo ne trarrebbe un enorme vantaggio e cioè non si troverebbe in età leggermente più adulta a dovere cercare qualcosa in cui credere fortemente, per cui battersi e per cui morire per esempio, ma potrebbe vivere in modo molto più tranquillo e lavorando sul suo discorso, sui suoi pensieri, costruendo e facendo quello che lo diverte fare, ma sapendo sempre e comunque e non potendo non saperlo che cosa sta facendo, cosa che agli umani sfugge ininterrottamente, non sanno mai perché fanno quello che fanno …
Intervento: queste domande che sta facendo Nicola le ho già sentite fare molte altre volte la questione che mi interroga è questa noi parliamo del linguaggio e di come il linguaggio sia il fondamento e la condizione per qualsiasi cosa, quello che mi stupisce ciascuna volta in cui la persona intende questa cosa sono le domande che poi vengono fatte per esempio l’educazione “devo pur dire delle cose al bambino” oppure partendo dalla premessa linguaggio come se queste informazioni sul linguaggio portassero a una vanificazione, a una nullificazione di tutto quello che per esempio in questo caso l’educazione del bambino cioè i normali giochi linguistici … è come se parlando della infinita ricchezza del linguaggio immediatamente si ponesse nel pensiero della persona la domanda ma allora io non devo dire al bambino che si brucia se tocca il fuoco? E se vedo il tram che arriva non mi devo scansare? Non ci vado sotto? L’assoluta libertà del linguaggio ogni cosa è costruita dal linguaggio tutto è come se andasse in conflitto con le questioni che immediatamente si pongono nel pensiero come se noi fossimo dei marziani con la bacchetta magica che fanno sparire tutto …
Un genitore insegna al bambino tutti i giochi che gli consentiranno di vivere in una società, la questione è che il più delle volte anzi quasi sempre il genitore non sa che sono giochi, li impone come dei valori ai quali deve credere perché è bene così, ma come è bene così? Non è né bene né male, è semplicemente un gioco così come si insegna che per comperare le sigarette si va dal tabaccaio anziché dal macellaio, tutte queste informazioni è ovvio che vengono fornite ma si fornisce anche un’altra informazione ben più importante di quella che gli consente di andare a comperare il pane o di non scottarsi le mani, è un’informazione che riguarda il modo in cui pensa e perché pensa le cose che pensa e cioè gli si fornisce l’occasione di trovarsi in una libertà assoluta, ma libertà assoluta non tanto dai giochi che ha imparati, quelli continua a praticarli vivendo all’interno di una società, ma libertà assoluta nel senso che non ha più paura, non ha più angoscia, non ha più la necessita di costruirsi delle credenze assolutamente arbitrarie alle quali attenersi rigorosamente rovinando la propria esistenza, questo, nient’altro che questo: considerando che sono soltanto giochi né li accetta né li rifiuta sono giochi. Queste questioni occorre riaffrontarle perché sono dei punti nodali che inquietano anche le persone che ci ascoltano e che impediscono loro di intendere quello che andiamo dicendo.