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15-6-2016

 

A pag. 203: L’interpretazione corrente di tutto il frammento 45 “Anche se percorri fino in fondo ogni via, non puoi trovare sulla tua via gli estremi confini del distendersi che è nello stesso tempo un accogliere, tanto è orientata verso la vasta apertura la sua riunione”, cosi dice il frammento 45 nella traduzione di Heidegger) Questo frammento dunque si regge unicamente sul significato che si dà a una sola parola presente in questo detto: la parola λόγος. Proprio perché siamo abituati a intendere da lungo tempo λόγος come asserzione e come giudizio a questo termine viene attribuito un significato che permette facilmente di comprendere questo detto, qui il λόγος viene inteso inavvertitamente come asserzione e come giudizio, nel giudizio si prende in considerazione qualcosa in quanto tale (nel giudizio è necessario che qualche cosa venga preso in quanto tale, cioè venga identificato, io giudico su qualcosa quindi questo qualcosa su cui giudico deve essere quello che è, non posso giudicare su qualcosa che non è quello che è) Esprimiamo un giudizio dicendo per esempio “questa cosa è una casa”, la cosa che si incontra è afferrata dalla rappresentazione ed è colta mediante la sua forza rappresentativa, si afferma questa cosa con la rappresentazione “casa” (si afferra e si ferma anche, si immobilizza, si blocca. “Cosa” è la parola più universale che esista, da questa cosa si staglia un elemento “casa” in questo giudizio che viene formulato “questa cosa è un casa” è un giudizio, questa è una casa anziché essere un posacenere, in questo giudizio dunque come ha detto prima “si prende in considerazione qualche cosa in quanto tale” cioè la cosa viene presa in considerazione in quanto un particolare, uno specifico, in quanto una casa) In quanto asserzione il λόγος è il concetto, con il concetto di una cosa noi possiamo pensare qualcosa alla presenza dell’oggetto, come dire che per pensare qualcosa di qualcosa occorre che ci sia un significato, l’oggetto diventa quindi qualcosa di accessibile, diventa qualcosa per il pensiero e per il comprendere, diventa qualcosa di comprensibile, infatti è nel concetto che l’oggetto ha un senso per noi (cioè diventa qualcosa. Vedete che dicendo questo Heidegger richiama la sua teoria, cioè un qualche cosa diventa quello che è in base al significato, cioè in base all’essere, dicendo “questa cosa è una casa” sta indicando che io posso identificare questa cosa in quanto casa perché c’è un significato che me lo consente infatti, come diceva prima, senza il concetto non c’è niente. Secondo il modo di Heidegger senza l’essere l’ente non è niente, dice “in più diventa accessibile” cioè posso comprenderlo infatti dice “è nel concetto che l’oggetto ha un senso per noi”) Λόγος è il concetto, è il senso di una cosa (ricordatevi sempre che Λόγος è una delle forme, delle manifestazioni dell’essere) Dal momento che il λγειν è inteso come asserire e quest’ultimo come esprimere, il λόγος è nelle stesso tempo quel che viene espresso vale a dire la parola (sta dicendo che il λόγος umano è modo in cui si esprime il Λόγος in quanto manifestazione dell’essere) la parola “casa” è il nome relativo al concetto di casa, il nome “casa” è il senso e il significato di casa. Ogni interpretazione metafisica del λόγος si muove all’interno dell’equivalenza di λόγος concetto, senso e parola. Nel frammento 45 Eraclito parla del fatto che l’anima dell’uomo ha un λγον βαθν (cioè un senso, concetto profondo) tenendo conto di quanto siamo venuti dicendo possiamo dire ora un “senso profondo”, un concetto profondo. Intendendo il λόγος come concetto Eraclito dice che all’anima si addice un concetto profondo, per cui tutto il resto che il detto afferma diventa d’un tratto comprensibile, dal momento che il concetto dell’anima è profondo (tenete conto di cosa intende lui con “anima” è la ψυχή) e quindi l’anima è difficile da cogliere, anche con una ricerca approfondita non è possibile raggiungere mai i suoi confini, con i quali si potrebbe delimitare, in latino definire l’anima nella sua essenza (con “anima” intendeva appunto ψυχή come apertura verso qualcosa, un andare verso qualcosa, quindi è un andare verso qualcosa che non ha limite, come la domanda) Secondo questa interpretazione del frammento 45, Eraclito vorrebbe dire che è difficile esplorare l’anima intesa come un oggetto di indagine per l’uomo, e che la ricerca psicologica è particolarmente ardua, il frammento 45 è diventato così un comune modo di dire con il quale, richiamandosi a un pensatore vissuto in un tempo antichissimo, si dichiara e si attesta la difficoltà della ricerca psicologica (si potrebbe qui fare un’annotazione in effetti la ricerca psicologica, la psicologia, essendo ovviamente metafisica, punta a eliminare la differenza ontologica, la differenza tra essere ed ente cioè tra significante e significato, occupandosi solo dell’ente e quindi chiudendo la questione, togliendo la domanda. La ricerca psicologica cerca un qualche cosa che chiuda la questione, che risponda in modo definitivo, mentre la psicanalisi, almeno quella intesa in modo acconcio, dovrebbe porre la ψυχή, di cui è composta la parola psicanalisi, un andare verso qualcosa, un andare verso qualcosa che non ha limite, cioè esattamente il contrario della psicologia) Né Platone, né Aristotele e neppure i primi pensatori della Grecia conoscono qualcosa di simile alla psicologia, il presupposto di una possibilità di una psicologia consiste nel porre un uomo come un essere che è cosciente di se stesso e che vuole se stesso, vale a dire come un essere che è certo di se stesso e sicuro di se stesso, in quest’ottica l’uomo è esperito come soggetto e il mondo come oggetto. (il presupposto della psicologia è pensare l’uomo che è certo di se stesso e sicuro di sé, è perché lo sta ponendo come soggetto, e cioè come un qualche cosa che si pone come una sorta di identità che si contrappone al mondo e cioè un qualche cosa che prende le distanze dalla φύσις come se non appartenesse più alla φύσις, cioè a questo sorgere continuo delle cose, ma come un qualche cosa di chiuso) La concezione dell’uomo come soggetto e la soggettività in generale sono estranee al mondo greco, pertanto nel mondo greco non solo non esiste alcuna psicologia ma neppure potrebbe esserci e ancora meno poté esserci all’inizio della sua storia e del suo pensiero, il trattato di Aristotele che si intitola περίρμηνεας il De Anima non contiene una psicologia, esso tratta dell’essenza e dei gradi del vivente. Ma esiste un detto di Eraclito che possa immediatamente contraddire quanto abbiamo detto della psicologia e della sua impossibilità nel mondo greco? Si potrebbe pensare al frammento 101 che è costituito da due sole parole ἐδιζησάμην μεωυτν, si è soliti tradurlo così: ho indagato me stesso. E dovrebbe significare: ho tentato di indagare gli stati e i processi spirituali miei propri con l’auto osservazione, ho fatto di me stesso l’oggetto di un’indagine (cioè ha fatto di sé un oggetto, potremmo dire che ha preso il soggetto come oggetto di indagine) Senza riflettere ulteriormente questa traduzione prende le mosse da quell’orizzonte in cui si inscrivono i rapporti dell’uomo con se stesso inteso in senso moderno e contemporaneo, parla di un uomo che in quanto soggetto ha la sua essenza nell’autocoscienza e che proprio in questa autocoscienza si rende cosciente di se stesso, al fine di essere sicuro di sé sulla base di questa coscienza, e alla fine di iniziare ad assicurarsi, a partire da questa sicurezza, il mondo umano come soggetto umano, utilizzando al tempo stesso i soggetti umani per ottenere questa sicurezza (questo è un altro modo per pensare la tecnica, dicendo “utilizzando al tempo stesso i soggetti umani”, questi soggetti umani, come li descrive molto bene nel suo scritto sulla tecnica, diventano strumenti, Gestell, diventano dei dispositivi per ottenere qualche cos’altro) In base a questa auto comprensione dell’uomo come soggetto, l’esame psicotecnico del materiale umano da utilizzare diventerà un giorno necessario come il collaudo di una macchina prima dell’uso. Non è un caso che sia proprio l’America a praticare da molto tempo in grande stile la psicotecnica. Nel pensiero moderno il rapporto dell’uomo con sé stesso viene concepito in modo psicologico, vale a dire come l’auto coscienza di un soggetto, (quello che fa la psicologia) è a partire dall’orizzonte delimitato da questa concezione dell’uomo e del suo rapporto con sé stesso che si traduce il frammento 101 (la traduzione proposta da Snell è la traduzione vista dalla tecnica, ma come sappiamo il pensiero greco pre socratico, pre metafisico pensava altrimenti) Ma questa traduzione non soltanto attribuisce inavvertitamente al pensiero greco degli inizi la moderna concezione dell’essere umano, essa trascura anche di chiedersi se questo detto di Eraclito non debba essere pensato in connessione con il suo stesso pensiero, infine occorre ancora far notare che il verbo διτημαι significa innanzi tutto propriamente e semplicemente “andare in cerca di qualcosa” (mentre lo Snell diceva “ho indagato” lo traduceva così, ma andare in cerca di qualcosa non ha affatto lo stesso significato di indagare qualcosa, andare in cerca di qualcosa significa che questa cosa non c’è ancora, indagare qualcosa significa presupporre l’oggetto di indagine, anche andare in cerca di qualcosa presuppone che ci sia ma non si sa che cos’è, mentre l’indagine ha già l’oggetto lì e si prefigge di indagarlo) Andare in cerca di qualcosa significa innanzi tutto e semplicemente cercarlo nel suo luogo e andare alla ricerca di questo luogo, pensata in modo greco l’espressione ἐδιζησάμην μεωυτν significa sono andato in cerca di me stesso, il pensatore ha cercato sé stesso non però come uomo singolo particolare e separato (badate bene “separato”) se così fosse egli avrebbe concepito sé stesso secondo la sua natura soggettiva come un soggetto isolato, per cui analizzarsi nei suoi diversi stati spirituali (cioè si pone, appunto, pone il soggetto come l’oggetto di indagine.) Il pensatore ha cercato sé stesso in quanto uomo (in accezione più ampia possibile) ha cercato l’uomo sulla via dell’interrogare, si è chiesto a che cosa appartiene l’uomo in quanto uomo, qual è il sito proprio dell’uomo all’interno dell’ente, da dove viene determinata la localizzazione del sito proprio dell’uomo, il pensatore cerca l’uomo, egli pensa il luogo in cui l’uomo si trova (“cercare l’uomo nel luogo in cui si trova”, cosa significa nel luogo in cui si trova? Il “luogo” non è tanto uno spazio fisico ma nell’ambito in cui si trova, per dirla al modo di Heidegger, “cercare l’uomo nel suo progetto”, nel suo essere progetto gettato) Questo modo di cercare è abissalmente distante dall’indagine psicologica dell’anima umana, un simile cercare non potrà mai essere psicologia, infatti come ogni scienza anche la psicologia deve già presupporre come dato il suo oggetto e come precostituito il luogo del suo essere, oppure deve presupporre, per lo meno, che nell’ambito dell’interrogare psicologico esso sia indifferente. (cioè la psicologia ci sta dicendo Heidegger isola l’uomo, la persona dal suo progetto, come se l’uomo potesse esistere senza il suo progetto, ma non può esistere l’uomo, in quanto ente, non può esistere senza l’essere cioè senza il suo progetto, perché l’essere, ricordatevelo sempre per Heidegger è il Dasein, l’Esserci.) Il frammento 101 non può quindi essere una prova del fatto che Eraclito abbia manifestato un particolare interesse per l’auto osservazione psicologica. Lo stesso vale anche per il frammento 116 che qui non esaminiamo, poiché a Eraclito è estraneo il pensiero psicologico anche il frammento 45 come il frammento 101 non tratta dell’indagine psicologica dell’anima, vale a dire delle difficoltà di ottenere un concetto adeguato dell’essenza dell’anima umana, un’altra ragione per la quale l’interpretazione corrente del frammento 45 non è valida sta nel fatto che qui il termine “λόγος” non significa concetto e quindi neppure senso infatti λόγος non può significare queste due parole. Il termine acquista tale significato solo in base alla metafisica di Platone per tramite di Aristotele e se nel detto di Eraclito “λόγος” non può significare affatto concetto allora non è più possibile sostenere che il detto parla della difficoltà di ottenere un concetto adeguato all’anima (se no significa concetto a pag. dopo 206): Cerchiamo ora di chiarire in che modo secondo la dottrina di Eraclito il λόγος umano possa rapportarsi al Λόγος, vale a dire in che modo il Λόγος coinvolga a partire da se stesso il λόγος umano in un rapporto con sé, tale che l’uomo a sua volta risponda il λόγος al Λόγος (si sta chiedendo questo in effetti “in che modo l’uomo risponde con il λόγος umano cioè con il dire, con il raccontare, parlare, al Λόγος in quanto essere?” questa è la domanda che si sta facendo) Alla base dell’interrogativo che intende indagare sul rapporto del λόγος umano con il Λόγος, vi è come abbiamo visto il fatto che l’essenza dell’uomo ha in generale un λόγος e può avere un λόγος. L’essenza dell’uomo intesa come essere vivente è la ψυχή, noi traduciamo questo termine con anima, secondo il frammento 45 la psiché dell’uomo è in effetti un λόγος anzi addirittura un λόγος profondo. Noi diciamo un λόγος orientato verso una vasta apertura, perché muove verso questa vasta apertura. (Ciò che caratterizza la ψυχή, sì l’anima viene tradotto, per Heidegger psiché abbiamo visto che è l’andare verso un qualche cosa, quindi l’andare verso qualche cosa è caratterizzato dal λόγος, dal dire in questo caso) Ora però questo stesso frammento dice anche che il λόγος umano proprio in virtù del suo carattere di λόγος che muove verso una vasta apertura impedisce all’uomo di raggiungere i confini del suo essere, gli impedisce di uscire da questi confini per raggiungere il luogo con cui, secondo il frammento 50, egli è in rapporto se il suo è un vero λόγος, ossia tale da corrispondere all’essenza più propria Λόγος, vale a dire Λόγος nel modo dell’μολογεν (dice “il λόγος umano proprio in virtù del suo carattere che muove verso una vasta apertura impedisce di raggiungere i confini del suo essere”, il dire proprio per la sua struttura, diciamola così, è ciò che impedisce di raggiungere i suoi confini cioè di potere delimitarsi, di potere definirsi, di potere chiudersi, e dice anche, “in modo tale da corrispondere l’essenza più propria del Λόγος” vale a dire che la struttura del dire è tale da impedire di sovrapporre il λόγος umano al Λόγος come aspetto dell’essere, la struttura del linguaggio è tale per cui non c’è la possibilità di sovrapporre il significante al significato). Se pensiamo insieme i frammenti 45 e 50 il loro contenuto sembra inconciliabile, questo stesso λόγος umano che nel frammento umano è determinato dall’μολογεν e quindi dal riunirsi al Λόγος oltrepassando i confini, è lo stesso λόγος che secondo il frammento 45 impedisce all’uomo di raggiungere i confini della sua essenza e di acquisire così un rapporto adeguato con il Λόγος. (cioè la struttura del linguaggio impedisce di raggiungere l’essere, raggiungere l’essere cioè di adeguarsi all’essere, cosa vuol dire che il λόγος umano non riesce ad adeguarsi all’essere? Vale a dire che il significante non riesce a essere adeguato al significato, come sappiamo benissimo perché il significato è un’apertura infinita rispetto al significante che invece è una determinazione immanente e contingente) Anzi il fatto caratteristico che il λόγος umano, il suo muovere verso una vasta apertura (qui riprende sempre il detto di Eraclito) consiste proprio nel fatto che l’uomo non si riunisce nella vastità del Λόγος. Tutto questo è sorprendente ed è enigmatico e non solo per la nostra comprensione che non è in grado di risolvere subito in accordo quel che appare inconciliabile, il sorprendente e l’enigmatico si celano proprio nell’essenza dell’uomo stesso (potremmo dire nel linguaggio, poi che ci sia l’enigma è da verificare) Dicendo l’uomo stesso intendiamo l’essenza dell’uomo esperita in modo greco, secondo la quale l’uomo non è se stesso in un senso particolare ed unico, se il se stesso viene pensato in senso cristiano come autocoscienza o secondo la metafisica dell’età moderna a partire dalla relazione soggetto oggetto, l’enigmaticità dell’essere umano considerato in senso greco è più misteriosa di quanto pensiamo, infatti noi non sappiamo quasi nulla della verità poetica chiusa nella poesia tragica di Eschilo e di Sofocle non appena accantoniamo le interpretazioni che sono state date successivamente e rinunciamo alla comprensione psicologica dell’uomo. (qui illustra un po’ meglio la distinzione tra λόγος umano e Λόγος come Essere) Per vederci un po’ più chiaro riguardo al rapporto posto da Eraclito tra λόγος e Λόγος e soprattutto per non dissolvere del tutto l’enigmaticità che circonda questo rapporto ci poniamo la domanda preliminare “in che senso la psiché dell’uomo può avere qualcosa di simile ad un λόγος?” finché pensiamo secondo il moderno modo di vedere psicologico quel che è indicato dalla parola greca psiché “anima”, finché concepiamo l’uomo metafisicamente come sostanza oppure, che poi è essenzialmente la stessa cosa, se lo concepiamo come soggetto, come auto coscienza, come persona razionale e personalità, la domanda che è stata posta si verrà a trovare su un terreno inadatto e all’interno di un ambito inadeguato, se invece pensiamo la ψυχή a partire dalla φύσις e dalla ζο (la φύσις è ciò che non cessa di sorgere e ζο la vita) allora accogliamo l’anima come il distendersi che è al tempo stesso un accogliere, nell’ambito del quale il vivente si muove e dal quale dipende il suo possibile rapporto con l’ente (sta dicendo che se pensiamo in modo greco, antico, presocratico, pre metafisico allora vediamo tutto questo come un distendersi, che è un modo figurato per dire come la φύσις sia ciò che non cessa di produrre, che non cessa di porsi, ma questo qualcosa che non cessa di porsi, cioè che non cessa di distendersi anche si raccoglie, si raccoglie in quanto ente, in quanto elemento contingente, infatti dice: il distendersi che accoglie è fondato sul Λόγος inteso come riunirsi. Questo accogliere e distendersi, cioè il distendersi che accoglie tutto (sarebbe l’essere, il significato) fondato sul λόγος inteso come riunirsi col Λόγος. Qui occorre tenere conto del fatto che il λόγος umano cioè il discorso è ciò che consente di riunire ciò che l’essere mostra, λόγος da λγειν, appunto il raccogliere, ed è questo raccogliere che mette in relazione o meglio ecco diciamola così: in che modo il λόγος umano si riunisce al Λόγος, inteso come manifestazione dell’essere? Attraverso il riunire, attraverso un riunire che il Λόγος in quanto aspetto dell’essere dischiude, distende ma se fosse soltanto questo se non ci fosse il λόγος umano che raccoglie qualche cosa di questo distendersi non si percepirebbe nulla) soltanto per opera del λόγος che il distendersi che accoglie la ψυχή, diventa ed è rapporto con l’ente in quanto tale nella sua totalità. Pag. 210: L’uomo si mantiene continuamente all’interno di due rapporti ma nello stesso tempo verso cui è rivolto è davanti a lui nella forma dell’assenza, mentre ciò che incontra ogni giorno gli è estraneo, in modo tale che egli non può fare nulla e di fatto non sa che fare. (Ciò verso cui l’uomo è continuamente rivolto è il significato delle cose, è l’essere, ma ciò con cui ha a che fare continuamente è l’ente, ciò cui è rivolto gli sfugge, gli sfugge il significato perché non riesce a chiuderlo mentre invece ciò con cui ha a che fare quotidianamente è ciò con cui non può fare nulla, dice “ciò che incontra continuamente ogni giorno gli è estraneo in modo tale che egli non può far nulla e di fatto non sa che fare” gli è estraneo perché l’ente senza l’essere non gli dice niente, gli è estraneo, non gli appartiene) infatti certamente l’uomo si orienta nel quotidiano ed è a contatto con quel che incontra nella quotidianità (cioè con gli enti) si è così ambientato nel quotidiano che per lui il quotidiano è una cosa abituale, ma in che senso allora quel che è familiare e abituale può essere insolito ed estraneo così da essere anteposto a quel che è consueto? Dove può esserci ancora qualcosa di consueto se quel che si incontra quotidianamente è insolito ed estraneo? Le cose e gli uomini della cerchia più vicina e più lontana sono per l’uomo l’ente, certamente, però l’ente che è non riguarda l’uomo sotto il punto di vista dell’ “è”, (sotto il punto di vista dell’essere) è sufficiente che l’ente si mostri e resti tale, all’uomo basta questo per agire e lavorare all’interno dell’ente, per portare avanti le cose, per sistemarle secondo le proprie necessità, (è la tecnica) al fatto che l’ente è e che proprio in quanto è l’ente che è che è determinato dall’essere, a questo fatto l’uomo non ha bisogno di rivolgere la propria attenzione nella sua quotidianità, nell’ente egli si imbatte ogni giorno, l’essere dell’ente resta invece estraneo all’uomo. Noi lo vediamo, lo diciamo “il tempo è brutto” ma è sufficiente dire “il tempo brutto”, dell’“è” non ci curiamo affatto, neppure quando ci accorgiamo o vediamo che il tempo è bello, tempo bello e tempo brutto va sempre bene, l’“è” non serve a nulla e tuttavia l’“è” è pur sempre un nome dell’essere. L’essere dell’ente quel che riunisce in sé ogni singolo ente e lo tiene custodito in sé stesso (ciò che lo tiene custodito e lo raccoglie è il Λόγος, come sappiamo) il fatto che esso è, ed è in questo modo o in quest’altro “o Λόγος” appunto, viene quindi nominato nella prima parte del detto come ciò da cui gli uomini si distaccano, e come quel che è assente. È perché è il rapporto con il Λόγος, con l’essere si impone quotidianamente in una forma cui l’essere stesso è in certo qual modo lontano, proprio per questo, come dice la seconda parte del detto “anche gli uomini sono estraniati dall’ente nel suo essere”. (sta dicendo qualcosa su cui ha insistito molto e che continua a dire, e riguarda l’estraneazione, l’estraneazione significa che sfugge, sfugge agli umani il fatto che l’ente per essere quello che è necessita dell’essere, cioè che un significante per essere quello che è necessita di un significato, un significato che non è presente; mentre io mi occupo del significante, questo significato non è lì, però questa dimenticanza dell’essere è la condizione della metafisica, per Heidegger la metafisica è la dimenticanza dell’essere, e cioè il prendere l’essere come ente, che potremmo anche porre in questo modo: supporre che un singolo significante possa darsi senza significato o più propriamente con un unico significato, e cioè quindi incollare il significante al significato, questo è ciò che fa il pensiero occidentale, ciò che ha consentito la costruzione della scienza e della tecnica. Ma sta dicendo che questo significante, questo ente, quindi anche l’uomo, non c’è al di fuori del progetto in cui è situato. Questo per Heidegger è fondamentale, il considerare sempre e comunque che qualunque ente interviene all’interno di un progetto che è come dire che non c’è ente senza essere, un progetto, che è il significato dell’ente per Heidegger, come dire che il significato di una parola è ciò che io intendo fare di quella parola. Richiama la proposizione di Wittgenstein “il significato come uso”, sì, non solo, ma come l’uso che io voglio fare in quel momento di quel significante, che dice qualcosa in più in effetti perché non è soltanto l’uso in generale ma l’uso che io intendo fare in quel momento in quanto preso nel mio progetto, che, per dirla ancora in modo differente: il significato di un significante è preso all’interno di una rete, potremmo dire, di fantasie, cioè di racconti, di storie, se come ci suggerisce di fare Heidegger, storicizziamo questo momento in cui il significante viene preso in considerazione. Storicizzarlo vuole dire prendere il significante all’interno del progetto e di tutto ciò che questo progetto ha comportato e comporta in questo momento, di più, sta dicendo che al di fuori di questo, quel significante non c’è, è niente. Che non è poco. Quando faceva il suo discorso intorno al Λόγος, al λγειν come ciò che raccoglie dall’essere un qualche cosa, se ora l’essere lo intendiamo come progetto, allora il Λόγος è ciò che raccoglie il raccogliente, il dire del mio progetto, e questo dire si situa soltanto all’interno del mio progetto, è solo lì che può raccogliere qualche cosa e diventare qualche cosa, al di fuori del progetto cioè al di fuori dell’essere non c’è l’ente, cioè non c’è niente, non c’è niente nel senso di “ni-ente” cioè non ente.) L’essere dell’ente quel che riunisce in sé ogni singolo ente e lo tiene custodito in se stesso (se adesso pensate a questa frasetta, tenendo conto dell’essere come Dasein, allora l’essere dell’ente cioè del mio progetto è ciò che riunisce in sé ogni singolo ente e lo tiene custodito in se stesso, il fatto che esso è ed è in questo modo o in quest’altro “o Λόγος” (il Λόγος) viene quindi nominato nella prima parte del detto (questo lo avevo già letto però andava riletta questa prima parte qui) L’uomo si rapporta continuamente all’ente che è e dunque all’essere (perché se mi rapporto a un qualche cosa, rapportandomi a questo qualche cosa sono già rapportato al progetto in cui questo ente è ente, e per cui questo ente è l’ente che è) ma dimentica anche continuamente l’essere dell’ente, questo essere tuttavia gli si illumina continuamente davanti senza che egli si accorga di questa illuminazione, di questa luce. Come potrebbe infatti l’uomo conoscere in generale l’ente e dire l’“è”, senza questo rapporto con il λόγος? (L’uomo moderno immagina di potere abitare il λόγος senza l’essere e cioè il significante senza il significato, immagina di potere isolare un elemento, l’uomo stesso, isolarlo dal suo progetto, che significa isolarlo dal suo significato ovviamente per Heidegger. Una volta isolato e solo a questa condizione può inventarsi la psicologia, possono inventarsi la fisica eccetera, soltanto a questa condizione di isolare l’ente dal progetto all’interno del quale è inserito e che lo rende quello che è io posso considerare l’ente in quanto tale e quindi “conoscenza, elaborazione, manipolazione dell’ente” e quindi inventare la psicologia, la fisica, la matematica e tutti i vari accidenti. In altri termini ancora, che la metafisica, cioè il pensiero che toglie la differenza ontologica, la differenza tra l’essere e l’ente, è la condizione, dovremmo proprio dire così, della conoscenza, conoscenza così come la pensiamo oggi, e cioè come un dissezionare un qualche cosa che è stato precedentemente isolato ma, guarda caso, isolato da ciò che lo fa essere quello che è, e quindi con che cosa ha a che fare a quel punto? Se isolo un elemento da ciò che lo fa essere quello che è che cos’è a quel punto? È una mia invenzione, l’oggetto della fisica, in questo senso, è un’invenzione nuda e cruda) Se ora facciamo attenzione a questo essenziale rapporto discorde dell’uomo con l’ente e con l’essere (cioè appunto al fatto che egli costantemente conosce l’ente e nello stesso tempo dimentica l’essere, allora se facciamo attenzione a questo rapporto discorde) allora si vede che in questa discordanza in quanto essa sussiste è unificato in un certo qual modo quel che non è unificabile (questa discordanza fra essere e ente viene unificata in qualche cosa che non è unificabile. È come se il segno di De Saussure fosse ciò che unifica il significante con il significato, solo che De Saussure non è così ingenuo, ha introdotto una barra invalicabile, e quindi non c’è unificazione, ma per Heidegger il progetto della metafisica e quindi della fisica, della psicologia eccetera è quello di unificare il segno in questo senso, come diceva Husserl “incollare il significante al significato”, per averne il totale controllo e dominio. Dovete sempre tenere conto che ciò cui ci stiamo riferendo è relativo alla logica, al modo di intendere la logica, e quello che ci sta dicendo Heidegger è ciò che ci consente di intendere la logica in modo un po’ meno ingenuo, cioè a non pensare alla logica come un qualche cosa che viene dal cielo e che stabilisce delle leggi universali, ma come un’invenzione relativamente recente e la logica, così come la psicologia, come la fisica e tutte le varie scienze necessita di quel processo di unificazione che non solo non può riuscire ma che distoglie dall’interrogare questi elementi considerandoli unicamente come oggetti di indagine ai fini della tecnica, cioè ai fini della volontà di potenza. La metafisica, cioè il linguaggio, unifica, raccoglie e al tempo stesso distende, per usare la parole di Heidegger, distende ma anche raccoglie e non può non farlo, non può non farlo se intende pensare, dire qualunque cosa, soltanto, come dicevo prima, c’è la possibilità di essere meno ingenui rispetto a tutto ciò, sapendo un po’ meglio come funziona.