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15 maggio 2019

 

Fenomenologia dello spirito di G.W.F. Hegel

 

Per Hegel il soggetto è ciò che agisce, l’agente, non è fermo, immobile. Al punto 23, a pag. 17, dice Il bisogno di rappresentarsi l’Assoluto come soggetto si è servito delle espressioni: Dio è l’eterno o l’ordine morale del mondo o l’amore, ecc. Come dire che l’Assoluto è il soggetto. Tenete conto che siamo nel 1807 e che con Assoluto si intendeva ciò che è immediatamente vero, è ciò che oggi chiamiamo la realtà, la realtà delle cose, non nel senso folkloristico del termine ma come ciò che si manifesta immediatamente. Ecco, porre questa come soggetto è qualcosa che prima di Hegel non era mai accaduto, la realtà era quella che è, l’Assoluto non era il soggetto, era la cosa: Porre il soggetto significa porre l’Assoluto, la realtà, come agente, come qualcosa che agisce continuamente. E, infatti, agisce nel mondo in cui ci ha mostrato nelle pagine precedenti. In espressioni simili il vero è bensì posto all’incirca come Soggetto, ma non è ancora rappresentato come il movimento del riflettersi in se stesso. È questo il soggetto, è questo movimento, questo agire dell’in sé che si estroflette e che diventa il per sé e ritorna sull’in sé, diventando a questo punto l’intero. una volta che si è completato questo movimento, non è più l’in sé ma l’in sé e per sé. Vale a dire, l’in sé sarebbe l’implicito, che però non è ancora manifesto, per cui non c’è ancora consapevolezza; occorre che diventi esplicito, cioè che diventi il per sé, solo allora l’autocoscienza se ne appropria e fa esperienza di sé, attraverso l’altro da sé, attraverso questa estroflessione. A pag. 18. Il soggetto vien preso come punto fermo al quale, come a loro sostegno, i predicati aderiscono mediante un movimento che appartiene a chi sa di esso; ma che non devesi riguardare come appartenente al punto stesso; eppure solo mediante quel movimento il contenuto sarebbe rappresentato come soggetto. Sta semplicemente dicendo che anche un significato si suppone che sia quello che è, ma non è così perché il significato è preso anche lui in questo movimento: finché non c’è questo ritorno non c’è la consapevolezza, non c’è l’autocoscienza. Tutto questo movimento è per Hegel il soggetto, cioè è agente, è qualcosa che muove. Dato il modo come quel movimento è costituito, esso non può appartenere al soggetto; d’altronde, presupposto quel punto, il movimento non può essere costituito diversamente: può essere soltanto esteriore. Perché ci sia movimento occorre che ci sia qualcosa di esterno; se tutto è in sé non si muove niente. Quell’anticipazione, che l’Assoluto è Soggetto, non solo non è quindi l’effettuale realtà di questo concetto, ma la rende addirittura impossibile; ché l’anticipazione lo pone come punto fermo, e l’effettualità è invece l’automovimento. Dire che l’assoluto è soggetto non è soltanto l’effettuale realtà, la realtà così come si effettua, così come la vediamo, ma la rende addirittura impossibile. La realtà, così come è concepita dal pensare comune, sarebbe impossibile se questa realtà non fosse in un movimento, cioè se la realtà non fosse soggetto. Non potrei conoscere se dall’in sé non ci fosse questo movimento attraverso il per sé che ritorna sull’in sé: senza questo movimento non c’è conoscenza. Tra le varie conseguenze che discendono da quello che si è detto, può venir messa in rilievo la seguente: soltanto come scienza o come sistema il sapere è effettuale, e può venir presentato soltanto come scienza o come sistema;… Quindi, il sapere, intanto non è il prodotto di quella immediata intuizione, il famoso colpo di pistola… no, non è così, il sapere è un cammino, è un percorso, e si produce soltanto come scienza, come sistema, come quel cammino che mano a mano pone ciascun elemento a fronte del suo negativo, di ciò che non è, per poi tornare su di sé. …inoltre, un così detto principio fondamentale della filosofia, se pur è vero, è poi già falso in quanto esso è soltanto principio. Il principio non è il tutto, il principio è una parte del tutto. Il principio sarebbe l’in sé, cioè l’avviarsi di qualche cosa, ma senza il movimento, potremmo dire senza la dialettica, è falso, esattamente come diceva Severino rispetto all’astrazione, all’astratto rispetto al concreto: l’astratto è falso se non c’è il concreto, entro il quale l’astratto trova il suo compimento, per così dire. Questo sistema, il sapere effettuale, che è principio fondamentale della filosofia, è facile da confutare perché non è il tutto, è soltanto l’inizio. La confutazione consiste nell’indicarne la deficienza; ma deficiente esso è perché è solo l’universale, o perché è soltanto principio, soltanto cominciamento. Quando si dice qualche cosa, questo qualche cosa io lo pongo come l’incominciamento, ma incominciamento di che? Incominciamento di un movimento di questo qualcosa che dico verso il significato che ha. Se non c’è questo movimento verso il suo significato, ciò che dico è, come direbbe Hegel, deficiente, cioè, manca del concreto. Se la confutazione è esauriente, essa lo è proprio perché tratta e sviluppata da quel principio stesso, non già perché dal di fuori messa in opera mediante opposte gratuite asserzioni. Così la confutazione sarebbe propriamente lo sviluppo del principio e quindi il complemento di ciò che gli manca, se essa non si misconoscesse badando soltanto al proprio operare negativo, senza divenire consapevole del proprio processo e del proprio resultato, anche secondo il loro lato positivo. Questa confutazione che dice che ciò che dico è solo il cominciamento, che è mancante di qualche cosa, ma ciò che manca è proprio la sua realizzazione, cioè, il suo sviluppo. Quindi, la confutazione, che dice che è solo il principio e non l’intero, è vera ma è proprio questo che dice che è necessario uno sviluppo, un’articolazione, un movimento, perché si compia questo processo e, quindi, l’incominciamento non si fermi lì ma diventi un sistema, un percorso che porta al concetto. È nel vero senso della parola positiva quella realizzazione del cominciamento… Il cominciamento deve realizzarsi. …la quale viceversa costituisca nello stesso tempo verso di esso un comportamento altrettanto negativo;… Perché questa realizzazione non è altro che il suo estroflettersi verso l’esterno e, quindi, il suo negativo. …e, più precisamente, un comportamento negativo verso quella sua forma unilaterale per cui esso è soltanto immediatamente o è il fine. Ci sta dicendo che questa estroflessione, questo movimento per cui il cominciamento si realizza in un’altra cosa attraverso il suo negativo e ritorna su di sé. Si coglie la questione del sistema, quando il percorso rispetto al negativo torna sull’in sé, quando il per sé torna sull’in sé, solo a questo punto c’è la realizzazione del cominciamento, per cui non è più deficiente. Se lo prendiamo da sé, come astratto, è deficiente, ma come concreto non lo è più, perché il concreto è, sì, il cominciamento ma all’interno del movimento per cui l’in sé diventa per sé e torna sull’in sé come autocoscienza, cioè, cosciente di sé. Che il vero sia effettuale solo come sistema… Potremmo dirla così: che la verità si effettui, solo come sistema. Questo lo aveva detto prima: la verità non è qualcosa che mi viene in mente all’improvviso né è qualcosa che posso astrarre dal concreto, come fa la logica. Tutta la Fenomenologia dello spirito è una critica alla logica formale, che invece stabilisce che da una parte c’è il vero e dall’altra il falso, trattandoli come due astratti. Che il vero sia effettuale solo come sistema, o che la sostanza sia essenzialmente Soggetto, ciò è espresso in quella rappresentazione che enuncia l’Assoluto come Spirito… Lo Spirito è il pensiero. …elevatissimo concetto appartenente all’età moderna e alla sua religione. Soltanto lo spirituale è l’effettuale… Soltanto ciò che comporta il pensiero, ma il pensiero nel modo in cui lui ci sta incominciando a indicare, questo pensiero come autocoscienza. Il pensiero è l’unica cosa che si effettua, è l’unica realtà. …esso è: - l’essenza o ciò che è in sé; ciò che ha riferimento e determinatezza, l’esser-altro e l’esser-per-sé; - e ciò che in quella determinatezza o nel suo esser fuori di sé resta entro se stesso; ossia e in e per sé. Quindi, l’essenza, ciò che è in sé, che fa riferimento all’immediatezza, non è altro che l’esser-altro da sé che ritorna su di sé. L’esser-altro da sé non è altro che l’uscire dell’in sé verso qualche altra cosa, cioè la necessità che ha una parola per potere affermarsi di dire altre parole. Se io dico una parola, un nome, questo nome di per sé non ci dice molto, però ci dice molto se questo significato agisce sul discorso, cioè, se ciò che dico si sposta verso un significato. È questo movimento, questa relazione che importa. Hegel, è vero, non pone la cosa come una relazione, parla di sintesi, però, di fatto, si pone così. Anche per Peirce si pone così, come una relazione tra i due; questo terzo è una relazione tra i due; anche Greimas la pone così: ciascuno di questi elementi è assoluto in sé, ma allo stesso tempo è assolutamente in relazione con gli altri due. Per questo motivo si può parlare di circolo ermeneutico, dove ciascun elemento è quello che è, ma è quello che è in relazione agli altri due. Questione che evoca ciò che diceva de Saussure: ciascun significante è quello che è in quanto in relazione con tutti gli altri. Ma questo essere in sé e per sé lo è da prima per noi o in sé: è la sostanza spirituale. Questo essere in sé e per sé, quindi, questo movimento compiuto lo è dapprima per noi. Siamo noi, in quanto parlanti, che possiamo valutare questo percorso, possiamo esserne coscienti e possiamo dopo sapere che questo in sé è diventato per sé, cioè c’è una consapevolezza. Il per noi, se volete porlo in termini semiotici, è la verità pubblica, di cui parla Peirce, ciò che è noto a tutti. È ciò che è noto a tutti che consente l’annodarsi di questi elementi, la Primità, la Secondità, la Terzietà. La Terzità, questa sintesi, non è altro che la relazione tra i due. Ma che cosa mette in relazione i due? La verità pubblica, la chiacchiera, come direbbe Heidegger, ciò che costituisce comunque e sempre il cominciamento. Non si comincia se non dalla chiacchiera, dalla verità pubblica, ed è questa verità pubblica, questo per noi, che consente il passaggio dall’in sé al per sé e il ritorno del per sé all’in sé. Se non ci fosse questo per noi, questi elementi rimanessero come sospesi, senza significato: ci vuole qualcuno, noi, perché significhino qualcosa. Qui si può porre la questione sia come la pone poi Hegel oppure porla in termini semiotici. Hegel la pone così: tutto ciò che è accaduto nella storia all’uomo, quello che lui chiama lo Spirito, quindi, la storia del pensiero, tutto ciò che è accaduto ha una ragione d’essere, cioè non poteva non accadere che così come è accaduto. Per noi, che lo vediamo oggi, sappiamo che la Rivoluzione Francese non poteva che portare a Napoleone, ma chi stava vivendo la Rivoluzione Francese di sicuro non pensava a Napoleone. Per noi è chiaro, ed ecco il per noi: questa cosa che soltanto dopo si può sapere. Questo già allude alla nozione di Sapere Assoluto in Hegel, che si compie nel momento in cui il per noi ha a disposizione tutto, tutto il pensiero degli umani nella sua storia. In termini semiotici potremmo dire che questo per noi non è altro che il luogo da cui ciascuno ricava il senso delle cose che accadono; lo ricava dalla verità pubblica, come voleva Peirce, è quella che dà un senso. Se volete porre la cosa in termini ancora più appropriati, è la volontà di potenza che dà il significato a tutto quanto. Potremmo anche dire che ciò che per Peirce è la verità pubblica, di fatto, non è niente altro che la volontà di potenza che, aveva ragione Nietzsche, è quella che dà un senso, è quella che dà a ciascun ente, quindi a ciascun pensiero, la sua enticità. È un altro modo di porre a questione che ponevamo tempo fa, cioè, se non ci fosse la volontà di potenza non ci sarebbe nessun motivo per parlare. Perché si dovrebbe parlare? O, per porla in termini semiotici, perché un termine dovrebbe rinviare a un altro, per costruirne poi un terzo e andare avanti così all’infinito? Non ci sarebbe se la volontà di potenza, o la verità pubblica, o il per noi, non intervenisse a dare un significato a tutto quanto il processo. Questo processo, di cui parla Hegel, che ha cambiato il corso della storia della filosofia, questo percorso, noto come dialettica hegeliana, trae il suo senso dal per noi; se non ci fosse il per noi non ci sarebbe niente di tutto ciò. Dice Hegel che questo per noi è la sostanza spirituale, cioè è ciò che lo spirito, la storia del pensiero degli umani, pone come sostanza o, se volete, come soggetto. Esso deve essere ciò anche per se stesso, deve essere il sapere dello spirituale e il saper di sé come spirito, ossia deve essere a sé come oggetto e, nel medesimo tempo, deve essere immediatamente anche come oggetto tolto, riflesso in se stesso. Qui notiamo qualcosa che echeggia Severino. Dice questo essere in sé e per sé deve essere ciò anche per se stesso. Deve essere il sapere spirituale, cioè deve essere il sapere di questo spirito del pensiero, di questo pensare, in generale. Deve essere il sapere di sé come spirito, come autocoscienza, ossia deve essere a sé come oggetto, nel senso che ha preso qualcosa al di fuori e l’ha portato in sé come oggetto. E, nel medesimo tempo, deve essere immediatamente anche come oggetto tolto, riflesso in se stesso: nel momento in cui io lo porto di nuovo nell’in sé, questo oggetto lo tolgo perché non è più un oggetto estraneo, diventa il per sé, diventa autocoscienza, la mia autocoscienza della cosa. dicevo prima che echeggia vagamente Severino: devo porlo come oggetto e poi toglierlo. Qui però il toglierlo è un’operazione diversa da quella che fa Severino, non è che lo tolgo perché sennò resta autocontraddittorio, lo tolgo perché lo ripongo nell’in sé, è in questo senso che lo tolgo, e quindi non più un oggetto estraneo. Questa realtà, che è considerata come qualcosa di estraneo, il non-Io diceva Fichte, viene accolta nell’in sé e diventa quel per sé che è l’autocoscienza: io sono cosciente di ciò che mi accade, sono cosciente del mio sapere, del mio pensiero, non solo di ciò che mi accade ma soprattutto del mio pensiero rispetto a ciò che mi accade. Diventa la consapevolezza rispetto alla cosa stessa, perché per Hegel questo oggetto è il negativo assoluto, è l’assolutamente altro, che diventa qualcosa nel momento in cui ritorna sull’in sé che lo ha colto come assolutamente altro. È l’in sé che lo pone come assolutamente altro, ma, ponendolo come assolutamente altro da sé, si avvia, è il cominciamento di quel movimento che riporta poi questo oggetto all’in sé e, a questo punto, ne è consapevole. È in questo modo che per Hegel funziona il sapere, la coscienza. È in questo modo che una parola acquisisce significato: acquisisce significato nel momento in cui è in relazione con un’altra parola, con qualcosa che è assolutamente altro da sé. Da quella posizione di assolutamente altro da sé torna sulla parola e dice che significa quella determinata cosa lì. Questo oggetto è per sé soltanto per noi, in quanto mediante lui stesso vien generato il suo spirituale contenuto;… Siamo noi che gli diamo il contenuto, il suo spirituale contenuto, il contenuto di pensiero. …ma in quanto l’oggetto medesimo è per sé anche per se stesso, ecco che questa autogenerazione, il puro concetto, è a lui parimente l’elemento oggettivo, dove esso ha il suo essere determinato; per tal modo nel suo essere determinato esso è per se stesso oggetto in sé riflesso. Che è ciò che abbiamo sempre detto: l’oggetto medesimo è per sé, è anche per se stesso, non soltanto per noi. Cosa vuol dire che è anche per se stesso? Ve la spiego così, in modo molto semplice. Dicendo una parola, quella parola è non solo per noi ma anche per sé, è determinata per se stessa, è quella che è. Ma teniamo sempre conto che c’è un per noi, è all’interno di un per noi che è determinata, ma questa determinazione è per sé e, quindi, a questo punto abbiamo la parola, che è quella che è, come condizione che sia per noi. La condizione perché possa essere quello che è, è che sia per noi, in questo movimento continuo, che noi indicavamo tempo fa come l’assoluta determinazione di una parola che deve essere quella che è per poter essere utilizzata. Il suo muoversi continuamente, il suo estroflettersi continuamente, è per potere essere quello che è; si estroflette per essere quello che è, perché senza questa estroflessione la parola non avrebbe significato. È soltanto in questa relazione con un’altra parola, che è altro da sé, che può tornare su di sé e, quindi, essere quella che è, determinata. Stiamo praticamente leggendo tutta la Prefazione, che è una summa di tutto il pensiero hegeliano, non solo della Fenomenologia dello spirito, per cui merita una particolare attenzione. Lui continua a chiedersi: come faccio ad avere esperienza della mia coscienza? E, allora, ci dice: se c’è solo il cominciamento non faccio esperienza della mia coscienza, non c’è ancora la coscienza, c’è solo l’in sé, l’implicito, ma non è ancora posto come tale. Perché diventi esplicito occorre che diventi per sé; soltanto in questo ritorno io ho coscienza di questa cosa e, quindi, faccio esperienza della conoscenza. Lo spirito che si sa così sviluppato,… Cioè, il pensiero che incomincia a questo punto a sapere come funziona. …è la scienza. Quindi, la scienza non è altro che un sapere che è consapevole, non soltanto di sé, ma anche del come è diventato consapevole di sé, cioè di come è diventato autocoscienza. Questa ne è la realtà effettuale, ed è quel regno che esso si costruisce nel suo proprio elemento. Queste sono parole impegnative. Dice che la scienza è la realtà effettuale, la realtà che si effettua, quella con cui abbiamo a che fare. Dice è quel regno che esso si costruisce nel suo proprio elemento. Ecco, qui si intende bene la questione del soggetto, di colui che agisce, l’agente che si costruisce da sé la realtà nel suo proprio elemento. Occorre tenere conto che Hegel parla sempre di realtà… Ci sono due modi in tedesco per dire la realtà: Wirklichkeit e Realität. La Realität è la realtà materiale, cioè il particolare colore di questo tavolo, per esempio; la Wirklichkeit comporta un agire, un fare qualche cosa, e, quindi, quando parla di realtà ne parla sempre in questa accezione di Wirklichkeit, quella che Freud chiamava la realtà psichica. Il puro autoriconoscersi entro l’assoluto esser-altro,… Cioè: io mi riconosco dentro l’assoluto esser-altro. Mi pongo come positivo all’interno dell’assoluta negatività. È questo che mi dà la possibilità di essere quello che sono. …questo etere come tale, è il fondamento, il terreno della scienza, o il sapere nella sua universalità generale. Rileggo: Il puro autoriconoscersi entro l’assoluto esser-altro, è lì che mi posso riconoscere, entro l’assoluto esser-altro. Se non c’è questo assoluto esser-altro, io non mi riconosco – riconoscersi come autocoscienza. Vale a dire, se una parola non rinvia a un’altra, questa parola non significa niente, è puro cominciamento astratto, ma in quanto puro cominciamento astratto è nulla. Questo lo diceva anche Severino: il primo momento è nulla di per sé. Tra l’altro Severino ha preso molto da Hegel, come molti riconoscono. Il cominciamento della filosofia presuppone o esige che la coscienza si trovi in questo elemento. Cioè, nell’assoluto esser-altro. Ma questo elemento riceve anch’esso la sua perfezione e la sua trasparenza soltanto mediante il movimento del suo divenire. Anche questo movimento è preso nel movimento generale. Esso è la spiritualità pura, come l’Universale che ha il modo della semplice immediatezza;… Spiritualità pura è il pensiero puro. Dice l’Universale che ha il modo della semplice immediatezza: sarebbe il cominciamento. …tale semplicità, quando ha esistenza come tale, è il terreno, il pensiero che è soltanto nello spirito. Poiché questo elemento, questa immediatezza dello spirito è la sostanza in generale dello spirito, essa immediatezza è anche l’essenza trasfigurata, la riflessione che, a sua volta, è semplice; è l’immediatezza come tale per sé, è l’essere che è riflessione in se stesso. È sì immediatezza ma è un’immediatezza che ha già compiuto il percorso, sennò non sarebbe neanche immediatezza. Da parte sua la scienza chiede che l’autocoscienza si sia elevata a tale etere, perché questa possa vivere in lei e con lei, e per vivere. Viceversa l’individuo ha il diritto di pretendere che la scienza gli fornisca almeno la scala che conduce a quella superiore posizione, indicandogliela in lui stesso. La scienza, cioè un pensiero che pensa se stesso e alle proprie condizioni… potremmo dire così: è un pensiero che pensa alle proprie condizioni di pensiero. Dice che l’individuo ha la pretesa legittima che la scienza gli mostri almeno la scala, cioè, il percorso che deve compiere. Questo è ciò che, peraltro, fa Hegel in tutta la Fenomenologia dello spirito: sapere qual è il percorso per arrivare a ciò che lui chiama Sapere Assoluto. A pag. 21, punto 27. Un tal divenire della scienza in generale o del sapere, è appunto ciò che questa fenomenologia dello spirito presenta. Il sapere, come esso è da prima, o lo spirito immediato, è ciò ch’è privo di spirito, la coscienza sensibile. La coscienza sensibile è l’in sé. Per giungere al sapere propriamente detto, o per produrre quell’elemento della scienza che per la scienza medesima è anche il suo puro concetto, il sapere deve affaticarsi in un lungo itinerario. Tale divenire, come esso si porrà nel suo contenuto e nelle forme che in lui sorgono, non sarà ciò che a tutta prima si immagina sotto il titolo di avviamento della coscienza prescientifica alla scienza; - e ben altro ancora da quell’entusiasmo che, come un colpo di pistola, comincia immediatamente dal sapere assoluto, e che si è tratto d’impiccio dinanzi a posizioni differenti, dichiarando di non volerne sapere. Ci sta dicendo che il percorso che lui propone è un percorso impegnativo.