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15-5-2013

 

Come è fatta la teoria che abbiamo costruita? È fatta in modo tale da mantenere in ciascun passo che compie la coerenza con la premessa da cui parte, e la premessa da cui parte è che qualunque cosa, se è qualche cosa, appartiene al linguaggio. Il linguaggio abbiamo detto che possiamo definirlo molto rapidamente come una sequenza di istruzioni che consentono la costruzione di sequenze che devono essere riconosciute come sequenze, quindi devono avere certe prerogative, e queste sequenze devono potere essere combinate tra loro in modo da costruirne altre. Il linguaggio fa questo, nient’altro che questo: costruisce delle cose che devono essere riconosciute come sequenze, cioè come giochi linguistici, e poi assemblare questi giochi linguistici in modo da costruirne dei nuovi o ampliare quelli già presenti. Non mi pare che faccia nient’altro che questo. Data questa premessa, cioè questa definizione di linguaggio, possiamo aggiungere che qualunque cosa, se è qualche cosa, appartiene al linguaggio. Questa affermazione va argomentata: possiamo dire che perché qualche cosa sia qualche cosa occorre che sia qualcosa per qualcuno e cioè che rappresenti un segno per qualcuno, se rappresenta un segno allora questo segno, proprio perché è un segno, è all’interno della struttura del linguaggio, quindi perché qualcosa sia qualcosa occorre che esista un linguaggio per cui sia qualcosa. Ora questa potremmo considerarla un’argomentazione assertiva, però possiamo anche provare a vedere di costruire non tanto la contraria, perché la contraria non pone nessun problema, nessuno sosterrebbe che non c’è nulla che appartiene al linguaggio, chiunque sarebbe disposto ad accogliere il fatto che per esempio una perifrastica passiva appartiene al linguaggio, però un’altra affermazione che dice che la bolletta del telefono appartiene al linguaggio, ecco che questa verrebbe da pensare che non appartiene al linguaggio. Quindi non è la negazione dell’argomentazione precedente che ci interessa ma la sua contraddittoria, e cioè che esista un qualche cosa che non è linguaggio, e cioè che ci sia almeno una x tale che x non appartenga al linguaggio. Di fronte a questa asserzione che dice che vi è una x che non appartiene al linguaggio potremmo affrontare la questione in vari modi, per esempio dicendo che se non appartiene al linguaggio allora appartiene a qualche altra cosa, e questo qualche altra cosa non appartiene al linguaggio, cioè non è un suo sottoinsieme, se vogliamo riprendere la terminologia della teoria degli insiemi, quindi questa cosa cui appartiene non è linguaggio ma un’altra cosa, però può essere qualche cosa per nessuno? Supponiamo che sia così “è qualche cosa ma non lo è per nessuno, non lo è mai stato e non lo sarà mai”, a questo punto dire che è qualche cosa è complicato, come posso affermare che è qualche cosa per nessuno, perché se è qualche cosa allora è stato individuato come qualche cosa, cioè è stato asserito che è qualche cosa da qualcuno, quindi è qualche cosa per qualcuno, e se nessuno non soltanto asserisce che questo qualcosa è qualcosa, ma non ci sarà mai la possibilità che nessuno possa farlo allora come faccio ad affermare che è qualche cosa? In base a quale criterio? Nessuno, però a questo punto un neo realista direbbe a Eleonora “ma la montagna esiste”, è un esempio che piace molto quello della montagna. Ma Eleonora, che è una retore abile e scaltra, cosa direbbe immediatamente di rimando a questa affermazione che dice che la montagna esiste? Direbbe Eleonora: “questa montagna esiste per le altre montagne?” e naturalmente sfrutterebbe quell’attimo di silenzio imbarazzato che seguirebbe a questa sua domanda per dire: “ovviamente no”, e perché ovviamente no? Perché non c’è nessuna possibilità da parte di una montagna di asserire una cosa del genere, di stabilire una cosa del genere, di individuare una cosa del genere, e il motivo per cui non c’è questa possibilità è che la montagna non parla, e quindi la montagna di fatto non esiste per le altre montagne, e neanche loro stesse per se stesse esistono ovviamente. La questione ci rimanda proprio a ciò di cui si diceva l’altra volta rispetto alla definizione e al gioco linguistico, e cioè che qualunque cosa, ed è questa forse la cosa più importante che abbiamo detta, e cioè che qualunque cosa, se è qualche cosa, appartiene a un qualche gioco linguistico. Non vedo un modo di dirla in un modo più semplice e più rapido, appartiene a un qualche gioco linguistico e cioè inserita in un sistema che consente l’individuazione, l’asserzione, lo stabilire che qualche cosa è qualche cosa, e questo è ciò che fa il linguaggio, perché la cosa più importante in tutto ciò che abbiamo fatto, la più importante dicevo prima, cioè che qualunque cosa se è qualche cosa appartiene a qualche gioco linguistico, pone la questione della definizione e cioè che qualunque cosa io decida che una certa cosa sia, è all’interno di questo gioco. Lo stesso gioco che stiamo facendo e di cui stiamo parlando da molto tempo è un gioco ovviamente, come qualunque altro, dove abbiamo deciso di definire certe cose in un certo modo per portare avanti il gioco che stiamo facendo, perché chiunque di fronte a una cosa del genere direbbe: “ma anche il vostro allora è un gioco linguistico”, certo che lo è, assolutamente, non può non esserlo, quindi tutto ciò che affermiamo è arbitrario, è arbitrario nella misura in cui è una costruzione del linguaggio, anche tutte le varie affermazioni sono arbitrarie, ciò che invece non è arbitrario è che per compiere queste affermazioni è necessario il linguaggio, questa è l’unica affermazione che non può essere negata, non può essere negata perché negandola si auto contraddice. Eleonora perché qualunque negazione è auto contraddittoria?

Intervento: perché negandola usi il linguaggio…

Sì, negandola, per negare qualche cosa devi utilizzare una struttura e se dico che c’è qualche cosa che non è linguaggio questo qualche cosa per essere qualche cosa deve essere tale per qualcuno, come abbiamo visto nell’esempio della montagna, e infatti una montagna non esiste per le altre montagne, perché sia qualche cosa questa montagna occorre che ci sia qualcuno provvisto di linguaggio che decida che è una montagna e che la individui come tale, un parlante insomma, e cioè che sia in condizioni di costruire un gioco linguistico all’interno del quale interviene la montagna o qualunque altro aggeggio. Dire che qualunque cosa è all’interno di un qualche gioco linguistico è notevole perché a questo punto non c’è più nulla che possa affermarsi immaginando di affermare qualche cosa che allude a come stanno le cose, cioè a una realtà, e tutto questo sbarazza immediatamente di qualunque grevità, sbarazza, dicevo, di ogni possibilità di trovarsi a pensare in modo superstizioso. Vediamo se riusciamo ancora a migliorare la cosa, a trovare altre argomentazioni, perché è di questo che si tratta, argomentazioni più semplici, più fluide, più accattivanti. Tutte le argomentazioni che abbiamo prodotte fino adesso sono forti, però non sono accattivanti. Ma potremmo perfezionare quella della montagna, tu come la porresti?

Intervento: è meglio di quella dell’animale perché l’animale affettivamente comporta dei problemi nell’uditorio…

Sì, tanto l’animale quanto la montagna sono invenzioni, però l’animale in quanto invenzione è stato umanizzato soprattutto dalle generazioni che ci hanno fatto seguito, quelle che sono cresciute con i cartoni animati che hanno fatto pensare, hanno addestrato le generazioni che ci hanno fatto seguito a pensare che gli animali pensino come gli umani, abbiano le stesse emozioni, le stesse sensazioni, le stesse cose facendoli parlare, facendoli muovere come fossero degli esseri umani, e allora i giovani sono cresciuti credendo fermamente che gli animali pensano, hanno sensazioni, emozioni eccetera. La potenza della persuasione, d’altra parte se gli umani sono disposti a credere nell’esistenza di un dio allora sono disposti a credere a qualunque cosa o il suo contrario. Dunque stavi dicendo come organizzare un’argomentazione che sia più efficace, cioè la montagna non esiste per le altre montagne, questo cosa ci dice? Immagina di parlare con Maurizio Ferraris il quale ti ha detto “ma la montagna esiste” e tu gli hai appena chiesto “ma la montagna esiste per le altre montagne?” e allora lui ti direbbe “no, certo che no, perché la montagna non è provvista di percezione, non è provvista della capacità di acquisire dati sensoriali e quindi non può percepire altre montagne, ma qualunque mammifero può percepire la montagna. Un’aquila ci si posa sopra per esempio, quindi se l’aquila ci si posa sopra allora significa che l’aquila ha percepito la montagna, sa che quella montagna è un solido appoggio e trae la conclusione che quindi ci si può appoggiare sopra. Adesso sostengo il nuovo realismo, e allora tu cosa risponderesti?

Intervento: che l’uccello non fa tutte queste congetture…

Però si posa sulla montagna, non si posa sull’acqua l’aquila, non lo fa, quindi sa che la consistenza dell’acqua è differente da quella della montagna. Supponiamo che lui ti faccia queste obiezioni, intanto devi incominciare a organizzare una risposta che può essere logica, un’altra retorica, una che utilizza le cose che dice lui per usarle contro di lui, e un’altra invece che utilizza tutt’altro, cioè sposta la questione radicalmente spiazzandolo, e dovresti, nel giro di pochissimi secondi compiere tutte queste operazioni, valutare qual è la più efficace in quel momento. È ciò che è necessario sapere fare, se lo si vuole fare ovviamente, però nel caso lo si voglia fare allora occorre saperlo fare; in una conversazione del genere l’aspetto retorico è sicuramente quello più efficace e più immediato, e allora utilizziamo le cose che ha detto lui, cioè l’esempio dell’aquila che si posa sulla montagna e non sul laghetto, su cosa si incentra la sua argomentazione? Sul motivo per cui l’aquila fa questo, perché l’aquila sa che la montagna la regge, reggerà il suo peso e il lago no, è questo ciò a cui lui vuole puntare in modo da costringerti ad ammettere che se è vero che per la montagna un’altra montagna non esiste, per esseri più evoluti e più sofisticati del granito questo è possibile, anche senza linguaggio. Allora tu gli diresti: “certo, “noi” vediamo che l’aquila fa questo, ma perché lo fa?”, e questa è la domanda che lui ha rivolto a te “perché lo fa?”, lo fa perché ha fatto una riflessione, una considerazione o lo fa per qualche cosa che lei stessa non conosce? E poi, e qui utilizzi un’argomentazione di Benveniste, e poi non può fare altrimenti, e cioè un’aquila agisce in modo tale per cui non è consapevole di quello che fa, non c’è un ragionamento, una deduzione, a meno che non vogliamo ammettere, diresti tu con sarcasmo, a meno che non vogliamo considerare che il ferro sia attratto dalla calamita perché ne è sedotto, è una forma di seduzione quella che mette in atto la calamita? Dunque, fino al giorno in cui l’aquila o qualunque altro animale non ci dirà per quale motivo fa le cose che fa, e perché pensa le cose che pensa, io proporrei di lasciare gli animali là dove stanno, e di occuparci di altro, e occuparci invece di questioni più interessanti, più importanti…

Intervento: rispetto a questa argomentazione noi sappiamo che l’aquila si posa sulla montagna perché “osserviamo” potremmo osservare differentemente? Noi osserviamo e quindi affermiamo, sono nostre le affermazioni che facciamo sugli animali, sulle montagne, sulle altre persone che si comportano in un certo modo e che hanno certi pensieri. Tutte le affermazioni che ci troviamo a fare sono frutto in massima parte di osservazioni di ciò che i nostri sensi percepiscono ma soprattutto la vista…

Ciò che i nostri sensi percepiscono non sarebbe niente se non fosse organizzato in un sapere…

Intervento: indubbiamente ma al di là di questo la costrittività dell’osservazione organizzata in un sapere, nel sistema linguistico in cui abbiamo vita, potrei osservare qualcosa di differente di quello che mi appare? Potrei osservare che gli umani camminano con la testa rivolta al contrario? La realtà è fatta di tutti quei giochi linguistici che ci raccontano gli umani fatti in un certo modo, che fanno e muovono in un certo modo, tutto quello che si discosta da questi giochi praticati per lo più può considerarsi “miracolo…”

Ciò che una persona vede di per sé è niente…

Intervento: sono istruzioni che stanno funzionando…

Non sono neanche istruzioni, perché potrebbe anche non vedere niente, quando incomincia a vedere qualcosa è perché intanto sa che c’è qualche cosa da vedere, e mano a mano che procede sa anche che cosa sta vedendo. L’osservazione è tale perché c’è un sapere, è sorretta da un sapere, se no non si può osservare niente, e questo “sapere” è quella cosa che pilota l’osservazione…

Intervento: possiamo in questo caso parlare di istruzioni?

Sì, però io vedo questo tavolo che ho qui di fronte a condizione che sappia che c’è qualche cosa da vedere, infatti non posso affermare che una mosca vede questo tavolo, non lo posso fare, posso immaginare che ci siano delle percezioni da parte sua, è un po’ come se mi domandassi se quella telecamera accesa lì ci sta vedendo oppure no. Il “vedere” di cui parliamo è un vedere che è stato costruito, questo verbo è stato costruito da un sistema linguistico molto complesso e questo verbo “vedere” ha un senso soltanto all’interno di questa struttura, questo gioco linguistico, fuori non esiste niente, per cui rigorosamente la domanda che ci si può porre e cioè se quella videocamera ci sta vedendo oppure no non ha nessun senso, né vede né non vede, però se mi piace pensare che ci sta vedendo allora ci sta vedendo, se preferisco pensare che non ci stia vedendo allora non ci sta vedendo. Ecco che la questione della definizione ritorna, si tratta di definire il verbo “vedere”, e l’osservazione comporta il “vedere”, quindi io osservo innanzi tutto ciò che il sistema linguistico che mi fa esistere mi consente di “vedere”, dopo avere costruito il verbo “vedere” in una certa accezione, dopodiché, in base a tutto ciò che ho acquisito, imparato e giochi linguistici che pratico, allora se qualcuno mi chiede se vedo quel termosifone lì davanti io rispondo che lo vedo, ma perché rispondo di sì? Perché ho messo in atto una serie di giochi linguistici molto complessi, perché “so”, perché l’ho imparato, che c’è un qualche cosa laggiù, davanti a me, e questo qualche cosa è un termosifone, so a che cosa serve eccetera, e quindi lo vedo, ma ciò che sto vedendo non è il termosifone in quanto tale, è una serie, una sequenza di informazioni che ho ricevute e che fanno parte del mio sapere, e abbiamo detto varie volte che il “sapere” non è nient’altro che quella sequenza di affermazioni accolte come vere all’interno del discorso. Tutte queste cose mi conducono a concludere che “sì, vedo un termosifone”, quindi c’è un termosifone piazzato lì, ma questo “vedere” di cui sto parlando non ha a che fare con il cogliere la “cosa” che non c’è, se io non so che c’è una cosa, se non ho il concetto di “cosa”. Se non so che c’è qualche cosa da vedere non lo posso vedere, perché il verbo “vedere” è costruito da un sistema linguistico in un certo modo, che prevede che io già sappia che c’è qualche cosa da vedere e che mi muova di conseguenza. Dunque l’osservazione, perché possa darsi, necessita di una serie di giochi linguistici molto complessi, solo allora io osservo qualche cosa e cioè giudico, perché l’osservazione è sempre connessa con un giudizio, non c’è un’osservazione pura, questo anche i filosofi lo sanno, per primo Heidegger, per il quale non ci si rapporta al mondo in modo puro, come se fossimo la famosa “tabula rasa” che osserva il mondo innocentemente, no, ciascuno lo osserva sempre per un fine, perché vuole modificarlo, perché vuole conoscere, perché vuole avere potere, e questo Heidegger lo aveva intravisto, e Nietzsche lo aveva detto in modo esplicito, è per questo che “vede” le cose, e che sono qualche cosa queste cose. Heidegger giunge a concludere che l’Essere si manifesta per uno scopo l’Esserci, Da-Sein è l’Essere per qualche cosa, l’Essere per fare qualcosa. Questa è la differenza fra il parlante e ciò che non parla, anche ciò che non parla. Noi, parlanti, diciamo, pensiamo, che l’animale faccia queste cose perché deve sfamarsi, perché deve eccetera, noi, sempre noi, bada bene, lui non lo dice, ma la differenza, la discriminante assoluta è il sapere ciò che si sta facendo, l’animale non può…

Intervento: l’animale sa cosa deve mangiare…

Cosa vuole dire che lo sa? Torniamo al ferro e alla calamita, la calamita lo sa che attira il ferro? Intervento: la fisica dice dei campi magnetici…

Ma lo dice il ferro? Siamo sempre e soltanto noi esseri parlanti, nessun animale ha mai detto niente, non solo, nessun animale può modificare la sua condotta e cioè il falco, dicevi tu, non può decidere un giorno di mangiarsi una pizza alle quattro stagioni, non lo può fare, questa è l’argomentazione di Benveniste a proposito delle famose api: “un ape non può modificare la sua condotta”, non possono decidere di fare altrimenti. Il linguaggio è anche trasmissione di informazioni, infatti abbiamo sempre detto che il linguaggio si trasmette, però in questa trasmissione ci sono informazioni che consentono, a chi riceve le informazioni, di sapere che quelle sono informazioni, mentre un ape non può riflettere su quello che sta facendo, chiedersi se quelle informazioni siano corrette e quale sia la definizione di trasmissione che sta utilizzando. Tutto ciò comporta delle istruzioni particolari che sono presenti soltanto nel linguaggio, comporta cioè la possibilità di considerare delle informazioni come informazioni, questo nessun altro lo può fare, e valutandole come informazioni modificarle.