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MARTEDÌ 15.4.97

 

ARGOMENTI e TERMINI: verità, certezza, credere

 

- Intervento: (ripresa su argomento conferenza: “L’impotenza la frigidità e la paura dell'altro” 8/4/97) Ciascuno trova una verità che condiziona la sua sessualità...

Sì, adesso mi ricordo, c'era qualcuno che sosteneva che la verità è relativa. Ora il problema è che ponendola come relativa perde la connotazione che le è propria, cioè di essere qualche cosa che non può prevedere il contrario e che sia accoglibile, come dire che la nozione di verità per potere essere accolta, per poter essere utilizzata in qualche modo occorre che questo significante, questa parola per potere essere utilizzata debba possedere certe caratteristiche. Quando si utilizza generalmente si fa riferimento a qualcosa che se si riflette bene è necessariamente assoluto: la verità è quella, non può essere un'altra, (se è la verità) se no è un'ipotesi, una possibilità, una eventualità ma non è la verità, e da sempre è stata considerata in questi termini cioè come un assoluto, non è un caso che la religione abbia posto dio come la verità, con i suoi attributi di essere la verità assoluta. Ora quindi non parlerei tanto di verità relative o di più verità, è una formulazione un po' paradossale. Per quanto atteneva alla questione dell'impotenza, (cos'è che dicevo?)... se lo trova, sì se lo crea nel senso che non sono altri a crearglielo, cioè non sono altri che dicono adesso deve pensare così, è una produzione del suo discorso, della sua storia, di ciò che sta dicendo, in questo senso è una sua costruzione, ciascuno si muove e pensa e fa a partire da elementi che perlopiù ritiene veri, certi. Prenda per esempio un'opinione, un'opinione è qualche cosa che una persona ritiene vera, ora se ritiene vera una certa cosa, questa persona si muoverà nella sua vita tenendo conto di questo riferimento. Adesso le faccio un esempio molto semplice, un fervente cattolico, il suo modo di pensare, le cose che fa, il modo in cui si muove necessariamente tengono conto di ciò in cui crede, e tenendo conto di ciò in cui crede si muoverà in una direzione che esclude le altre. Ora lei può immaginare il percorso di una persona come un discorso, un discorso logico che muove da una serie di premesse, queste premesse non sono altro che elementi che ad un certo punto, per una serie di motivi, vengono creduti. È come giungesse a stabilire: ecco è così e allora se è così allora ne segue questo e poi segue quest'altro, e poi segue una serie di altre cose, quindi per potere essere impotente, per potere essere religioso, per potere essere qualunque cosa occorre che ci sia stato un percorso logico tale che consenta di giungere a una conclusione che può essere per esempio quella di essere impotente. Ora in questi termini può apparire bizzarra la questione che l’impotenza non sia altro che una serie di inferenze, però di fatto non ci sono molti altri elementi da considerare, nel senso che in quanto mossa, questa impotenza, da una paura, da un timore, da una serie di cose, tutta questa serie di cose esiste perché esiste una costruzione che la sostiene, non si sosterrebbero se cessasse di credere a questi elementi, cesserebbe di muoversi e di comportarsi in quel modo. Per riprendere un esempio molto banale, un fervente cattolico se cessasse di credere in dio il suo modo di pensare cambierebbe, è un esempio molto banale ma questo può applicarsi a qualunque cosa. Se delle cose non sono più credute la condotta cambia inesorabilmente e così anche rispetto all'impotenza, se alcune cose che la sostengono non sono più credute anche l'impotenza, che è una condotta tutto sommato, cambia, cioè non ha più motivo di essere così come non ha più motivo di essere il timore di commettere un peccato perché se no va all'inferno: se uno non crede più all'inferno la cosa gli si pone in un altro modo perché magari la riconsidera, pensando che c'è la possibilità di fare quella cosa e che magari non succederà assolutamente niente, però prosegua la sua domanda.

- Intervento:…

Come lei sa è da 2500 anni, almeno da quanto esistono tracce, che gli umani, anche le migliori menti che ci sono state, che si sono confrontate con queste nozioni, hanno cercato di stabilire che cos'era la verità incontrando non pochi problemi, come sa già dagli antichi la questione era stata posta in termini precisi e allo stesso tempo annullata in termini altrettanto precisi, cercando di stabilire questa nozione, sapendo perfettamente che per potere utilizzare questo termine occorre ci sia la possibilità di arrestare la catena delle inferenze, se non si arresta non è possibile raggiungerla e quindi non è possibile utilizzare questo termine, cioè non significa niente. Ora il problema che è rimasto da allora a tutt'oggi è quello noto nella retorica come il tropo del diallele, una sorta di rinvio all'infinito. Per potere stabilire questa nozione occorre intanto stabilire il criterio con il quale stabiliremo la nozione di verità. Di quale criterio ci avvarremo? Qualunque sia il criterio necessiterà di un altro, ora generalmente si è attribuita all'esperienza questa prerogativa: ciò che si percepisce in quanto tale, però è un criterio molto labile, molto discutibile, anche perché la stessa esperienza o percezione necessiteranno di un criterio per stabilire se tale percezione è vera oppure no. Vede che è una strana nozione questa, perché anche per potere stabilire un criterio di verifica si utilizza di nuovo lo stesso termine che si deve dimostrare, la verità, per stabilire che cosa è la verità occorre sapere che cosa è la verità, ma non possiamo saperlo se non sappiamo che cosa è la verità... a quel punto generalmente ci si arresta, ci si arresta di fronte all'impossibilità di uscire da un'aporia vecchia come il mondo, e la questione è rimasta tale e quale, ma non per incapacità o per pigrizia mentale, ma perché non ha in nessun modo soluzione, non ce l'ha e non può averla. Stabilire l'ultimo elemento, quello che definisce finalmente che cos'è la verità potrebbe essere soltanto un elemento assolutamente identico a sé e immobile perché se si altera, se varia, se si muove, questo criterio oscilla, vacilla e diventa inaffidabile ma questo elemento dove è possibile trovarlo, chi ci garantirà che sarà fermo, immobile, identico a sé? La risposta a questa domanda generalmente è stata dio, che è stato messo al posto di questo elemento immobile, definitivo, sicuro, certo ecc. ecc... Già Aristotele come sapete ci aveva pensato, la sua idea di un motore immoto che muove le cose senza essere mosso da altro, ma ovviamente è una petizione di principio direbbero i retori, e cioè l’utilizzo, per dimostrare qualcosa, di ciò stesso che si deve dimostrare. Il problema che si incontra da sempre è che la verità è in primissima istanza un elemento linguistico, un significante, una parola, questione non marginale. Intanto è questo, poi gli si possono attribuire una quantità sterminata di prerogative, però intanto è questo, è un elemento linguistico. Ora essendo un elemento linguistico è inserito necessariamente in una combinatoria, in una catena linguistica, nel linguaggio potremmo dire, ma essendo inserito ed esistendo soltanto nel linguaggio trae il suo senso unicamente da altri elementi del linguaggio, cioè non ne ha di per sé, la verità in quanto tale è nulla. È esattamente ciò che si immagina che sia, cioè è tutte quelle cose che gli si attribuiscono. Questo è piuttosto ostico generalmente da pensare, anche tenendo conto delle più recenti e più sofisticate teorie logiche che esistono oggi, anche filosofiche le quali si arrestano, si attestano in alcuni casi o su petizioni di principio oppure su una sorta di relativismo assoluto, che di per sé non significa niente. La relatività, il relativismo, per essere tale, necessita di un punto che almeno si presuma fermo, prenda la stessa teoria della relatività, parte da un punto di osservazione, ma questo punto di osservazione è assolutamente arbitrario, cioè non esiste in natura. Una cosa che preoccupò moltissimo Einstein perché se non esiste in natura questo punto allora ciascuna volta affermare che qualcosa è relativo è assolutamente relativo e cioè arbitrario, relativo a un punto di osservazione ma questo punto di osservazione non è né necessario né fisso, è una figura retorica la relatività. E questo preoccupava moltissimo Einstein, come dicevo prima, tant'è che scrisse una lettera a Bhor enunciando questi problemi e dicendo che occorre che qualcosa sia fermo e quindi ammettere che dio non giochi ai dadi, solo allora c'è qualche cosa di fermo, di stabile, per questo la stessa teoria della relatività non si supporta, non si supporta come pensiero filosofico, non come calcolo matematico, perché sapete benissimo che il calcolo matematico è un gioco a parte che segue un suo andamento, delle sue regole, ma se si vuole porre la questione della relatività come concetto generale e universale ecco che allora si incontrano dei problemi. Perché questa relatività è relativa a che cosa esattamente? Ma ecco allora che si è stati indotti anche nell'abito della logica ad affermare che la verità di una proposizione non sia altro che il metodo della sua verifica, questo sosteneva Wittgenstein, come dire che è vera soltanto se è verificabile all'interno di quel determinato gioco linguistico, di quelle regole, ma fuori da quelle regole non è più verificabile niente. Questo ha dei risvolti non indifferenti per quanto riguarda il discorso di ciascuno, poiché immaginatevi di trovarvi di fronte a una vostra considerazione o a una vostra opinione qualunque essa sia, questa opinione che avete la credete vera, e questo cosa comporta? Comporta che questa opinione in quanto vera, e qui di nuovo viene utilizzata la nozione di verità in senso assoluto, esclude necessariamente le altre. Come dire, se Lei ed io avessimo opinioni contrarie, penseremmo che o è vera la mia o è vera la sua, e allora io penserei che è vera la mia e Lei penserebbe che è vera la sua ovviamente. Lei può cambiare idea è pensare ad un certo punto che è vera la mia ma cambierebbe poco perché comunque una sicuramente è vera, ma questa opinione che io ho, è verificabile? Lì sta il punto, Le pongo una domanda: che cos'è un'opinione che non è verificabile? Generalmente si suppone che sia una credenza, una superstizione, niente più di questo, o una religione, ma pochi sarebbero disposti ad ammettere che le loro opinioni sono superstizioni, pochissimi, ciascuno pensa che quella opinione sia fondata o almeno fondabile, ma se non lo fosse nessuna delle proprie opinioni, se nessuna delle proprie opinioni fosse fondabile in nessun modo cosa avverrebbe? Avverrebbe questo, che se io sostengo A e Lei sostiene non A, allora tanto la mia proposizione quanto la sua sarebbero dimostrabili e confutabili. Come dire che la mia opinione è simultaneamente vera e falsa, può essere provato che è vera e può essere provato che è falsa, allo stesso modo. Ma a questo punto se io so che la cosa in cui credo è tanto vera quanto falsa, lo so perché lo posso provare utilizzando il gioco linguistico, utilizzando le regole del linguaggio, posso crederla? Posso cioè credere una proposizione, come ho detto in varie occasioni, che so essere falsa o peggio ancora che so essere vera e falsa, peggio ancora perché se fosse falsa potrebbe l’eventualità di un'altra proposizione che sia vera, se invece ciascuna proposizione è sempre necessariamente e inesorabilmente vera e falsa allora potrei continuare a credere questa cosa? No. E sa perché? Per una questione prettamente grammaticale, perché l'uso grammaticale del termine credere prevede che ciò che è creduto sia anche considerato vero. Una questione grammaticale dunque, che esclude la possibilità che possa utilizzarsi un certo termine in un altro modo e questo ci porta di nuovo al linguaggio, alla sua struttura, al fatto che ciascuna volta in cui parlo, ciascun elemento che interviene, che parli di qualunque cosa non ha importanza, ciascun elemento che interviene occorre che sia un significato, più che abbia un significato, se no non potrei usarlo, perché se non fosse un significato, sarebbe nulla, assolutamente nulla cioè non sarebbe utilizzabile dal linguaggio, e tutto ciò che è utilizzabile dal linguaggio è necessariamente un significato. E così per tornare alla questione della verità, dire che è in prima istanza un significante cioè un termine linguistico, sbarazza questo elemento, questa parola da qualunque possibile attribuzione ontologica, metafisica, per esempio di affermare la verità è questa. È sufficiente che lei chieda: perché? E qui incominciano i problemi perché ad un certo punto questi suoi perché non trovano nessuna risposta cioè questa persona non è più in condizioni di rispondere alla sua domanda, o ci crede o non ci crede, a questo punto deve decidersi sul da farsi, però la questione rimane. Il passo che abbiamo compiuto rispetto al pensiero occidentale è considerare questi aspetti nei termini più radicali, più radicali cioè considerando che in effetti ponendo la questione in questi termini, come Lei può facilmente dedurre, non è più possibile in nessun modo stabilire per esempio nessuna teoria. Ciascuna teoria afferma delle cose necessariamente, e cioè le crede vere, muove sempre necessariamente da qualche cosa che immagina essere necessariamente e da lì... e se questo qualcosa fosse a sua volta una costruzione linguistica, un elemento linguistico e niente più di questo? Ecco che allora si è trattato di inventare un gioco che non prevedesse nessun elemento certo, identico a sé e creduto vero, ma soltanto un elemento che non negabile, ma non negabile per la struttura stessa del linguaggio che è quella cosa che mi consente di fare tutte queste riflessioni, di parlare, di dire, di esistere in definitiva. Ho detto in varie occasioni agli amici che l'unica proposizione non negabile è quella che afferma, molto banalmente, che gli umani in quanto parlanti parlano, che è una tautologia, però non è soltanto questo. È una proposizione che non può negarsi in nessun modo, ora si tratta da lì di proseguire e cercare di vedere che cosa è possibile trarre per potere pensare in un modo che non preveda nessun atto di fede. E la via probabilmente passa attraverso questo, e cioè il trovarsi inesorabilmente ciascuna volta a considerare l'assoluta arbitrarietà, quindi non necessarietà delle proprie opinioni, in definitiva di ciò che si crede. Quali sono le cose che si credono vere perlopiù? Quelle che non passerebbe mai per la testa di mettere in discussione, il solo pensarlo parrebbe assolutamente fuori luogo e impraticabile, bene, proprio quelle senza le quali si immagina che non sia nemmeno possibile pensare, quelle occorre incominciare a mettere in gioco riflettendo sul fatto che sono, anziché assolutamente necessarie, totalmente arbitrarie, quindi può sempre costruirsi una proposizione che le nega, che dice semplicemente: no, non è così. Certo, chi nega questa affermazione non può provarlo in modo definitivo e fin qui, se ci fermassimo solo qui, ci arresteremmo al nichilismo, allo scetticismo e invece no, questo è soltanto il punto di partenza, come dire, da qui si parte per un viaggio senza ritorno, verso un pensiero che non ha più bisogno di riferimenti, di referenti, ma che non necessità di null'altro se non di ciò di cui è fatto, cioè il linguaggio...

- Intervento: non esistono certezze...

Dobbiamo prima stabilire che cos'è l'esistenza per stabilire se esistano oppure no, ché se noi diciamo che non esistono, non esistono in che senso? Cosa diciamo esattamente dicendo che non esistono? Questione forse più radicale. Non è che non esistono le certezze, se Lei si guarda intorno vedrà che il mondo è pieno di certezze, come fa a dire che non esistono? Anzi sono una delle vie più praticate, più affollate... diciamo che qualunque cosa che si ponga come certezza rischia di non potere essere provata.

- Intervento:…

Si può confondere qualunque cosa, certo occorrerebbe intendersi su che cosa stiamo dicendo, dicendo della certezza e su questo se ne possono dire molte, fino ad arrivare a quelle domande che si poneva Wittgenstein chiedendosi un cosa apparentemente molto banale, chiedendosi «come so che questa è la mia mano?», sembra una domanda molto stupida, ma Lei provi a rispondersi, come lo sa? Voglio dire questo, che Lei può addurre molte motivazioni ma di nessuna di queste Lei può avere la certezza assoluta, come dire che la certezza in quanto tale non esiste, perché non può porsi la questione, non c'è, anche se di fatto come dicevamo prima Lei è circondato da persone che enunciano quanto meno di possederla, però generalmente c'è una differenza tra il supporre e l'essere certi, la certezza esclude la supposizione. Io per esempio posso dire di essere certo di chiamarmi Luciano Faioni, generalmente non dico: suppongo di chiamarmi Luciano Faioni; cioè hanno un uso che è differente.

- Intervento:…

Questa è una questione interessante certo, quando si dice a me pare che sia così, va presa come una «captatio benevolentiæ», siccome pochi hanno l'ardire di affermare è così, perché magari non osano o perché temono di contrariare o di apparire troppo arroganti, allora si utilizza questo sistema, a me pare che sia così, però in cuor suo è certo che sia così in effetti, cioè non ammette assolutamente un'opinione contraria, per cui sì, questo è un caso particolare in effetti e anche laddove ci sia la supposizione, io posso dire: suppongo che le cose siano in un certo modo, però aggiungo potrebbe non esserlo affatto. Qui occorre distinguere il tipo di gioco che si sta facendo, perché se per esempio si dicesse, il mio amico Sandro sta arrivando con la macchina, e si chiedesse: è Sandro che sta arrivando? Guardo l'ora: suppongo di sì. Però non ho la certezza, potrebbe essere qualunque altro e questo è un gioco differente da quello che in una conversazione afferma: io suppongo che le cose stiano in un certo modo - però con la convinzione assoluta che le cose siano proprio così, senza dare nessuna possibilità ad una eventuale ipotesi contraria. Allora in questo caso è una figura retorica, come si indicava prima, nota come captatio benevolentiæ. È una questione molto complessa, molto sottile, quella della verità perché coinvolge ciascuno in ciascun momento della giornata, qualunque cosa faccia, qualunque decisione prenda, così qualunque direzione intenda seguire gli si pone inesorabilmente questa questione. Che cosa è vero? Questo, questo e quest'altro. Poi magari non si formula così, si formula con altre parole in altri termini, in altro modo, però la questione rimane questa. Come quando uno si chiede faccio bene a fare così o faccio bene a fare cosà? Implicitamente pone la questione della verità, cioè è proprio vero che facendo così faccio bene? O è falso? Il modo in cui risponde a queste domande generalmente non è quello che utilizzano i logici, però fino ad un certo punto segue questa via, cioè lo confronta con altri elementi, con altre proposizioni cercando disperatamente gli elementi che possano funzionare come assiomi, come principi da poter utilizzare per dedurre la verità (quella volta ha fatto così e quindi necessariamente è così e quindi se è così allora e segue tutta una serie di cose)...

- Intervento:…

Il fatto di vivere all'interno di una società, in qualunque modo sia composta, comporta degli effetti ovviamente ma soprattutto comporta questo che ciò che io penso, se viene condiviso da più persone, sono indotto a pensare che sia vero e più sono le persone e più penso che sia vero. È un fenomeno bizzarro tutto sommato, perché dovrebbe essere così? Non è che sia una legge ovviamente ma è la funzione del luogo comune. Il luogo comune è ciò che è creduto perlopiù dai più, e ciò ha una funzione sociale molto forte, molto importante, che è quella di stabilire un qualche cosa che risponda a delle domande consentendo da una parte di arrestarsi su qualche cosa e quindi consolidarlo e su questo costruire un proprio universo, dall'altra impedire che il processo proceda all'infinito, come diceva Tommaso non possiamo procedere a ritroso all'infinito, da qualche parte dobbiamo fermarci. Perché? Eppure si è pensato così, si pensa così, che non sia possibile una regressio ad infinitum o comunque una infinitizzazione di questo processo di pensiero, e in effetti fino ad un certo punto non hanno torto, perché praticare questa via comporta la dissoluzione di qualunque possibilità di credere alcunché e quindi la possibilità stessa di un ordinamento sociale, così come è pensato al giorno d'oggi, anche al giorno di ieri. Sono 2000 anni che le società, le organizzazioni pubbliche e politiche, funzionano esattamente allo stesso modo.

 - Intervento: sui termini verità e certezza

Sì immagina la verità come un fatto prettamente logico, immaginando che questo sia tutt'altro da una questione morale o sociale o religiosa, il che non è...(...) il problema è che talvolta siamo indotti a parlare di questi due termini, verità e certezza, come se avessero una loro essenza, una loro esistenza fuori dalla parola, allora la ricerca di sapere, di stabilire che cosa significano...

- Intervento:…

Non sempre, non necessariamente, possono anche utilizzarsi come sinonimi, di fatto se per esempio dicessimo che la verità non è la certezza cosa staremmo dicendo esattamente? O vengono utilizzati in modi diversi, però questo dipende dal gioco in cui sono inseriti oppure che sono delle entità, delle quiddità...

- Intervento: la confusione nel mondo, i vincoli che si sono costruiti, la diffidenza verso il diverso…

Lei è diffidente?... (come affronteremo questo futuro? cosa vuol dire futuro?) Ecco le riflessioni che stiamo facendo vertono soprattutto su questo, cioè su una domanda: qual è la condizione per cui Lei possa porsi tutte queste domande? A quali condizioni lei può porsele? Che esista una struttura che glielo consente, e cioè un linguaggio, ora questa struttura che è l'unica che consente di porsi queste domande, secondo Lei in qualche modo influenzerà queste domande oppure no? Voglio dire questo, che il senso che producono per Lei le sue domande, esiste perché queste domande sono inserite in una struttura, appunto il linguaggio, e il linguaggio è fatto in un certo modo, ora si tratta di considerare non tanto le domande in quanto tali, perché possono darsene moltissime di risposte alle sue domande, di qualunque tipo, il problema non è questo, ma di tenere conto che queste domande muovono da una struttura in cui Lei si trova, e che poi tengono conto anche di un discorso in cui Lei si trova che è ciò di cui Lei è fatta. Potremmo dirla così, che le domande che Lei pone in quanto tali non significano nulla, significano, hanno un senso invece all'interno del gioco in cui Lei si trova, cioè delle cose che Lei pensa, che Lei crede, che Lei immagina, che Lei sa, allora è all'interno di questa struttura (che indichiamo come gioco). Dunque questo gioco è ciò che Le consente di porre le domande che Lei ha poste, nel modo in cui Lei le ha poste, e produrre quel senso che per Lei hanno queste domande, che non è probabilmente il senso che si produce nelle persone che la ascoltano, se Lei tiene conto di questo allora avviene un fenomeno bizzarro e cioè che non riesce più a farsi queste domande, non che non riesca più perché non riesce a dirle ma perché perdono senso, è come se non si stesse chiedendo niente, e non si sta chiedendo niente in quanto sta formulando delle proposizioni che procedono da altre proposizioni di cui è fatto il suo discorso ma che non hanno propriamente nessun referente da qualche parte, hanno un referente soltanto in altre proposizioni che mano a mano il suo discorso costruisce, e allora per esempio la domanda circa il futuro, “che ne sarà del futuro?”, non può più farsi, perché immediatamente si chiede che cosa vuol dire questa frase, che senso ha? Cioè immagino che cosa? Che il futuro sia un qualche cosa che esiste di per sé? A quel punto non potrebbe non domandarsi come lo sa? O anche il presente, il passato, tutti i vari tempi che può elencare...

- Intervento: Capisco che il futuro non ci sia, mentre invece il presente sì...

Glielo spiego forse in un modo più chiaro, Lei dice il presente, del presente ho la certezza, (l'istante) ché se fosse così Lei avrebbe risolto il problema della metafisica di duemila anni in due secondi, sapere che cos'è il tempo, altra questione tutt'altro che semplice. Diceva Agostino: finché nessuno mi chiede che cos'è il tempo, lo so, ma se qualcuno me lo chiede non lo so più. Ora in effetti l'argomentazione di Agostino non è proprio stupida, perché lui dice, se è l'attimo in cui sono, se lo considero, questo è già passato, è già passato e per fermarlo dovrei andare nel futuro e non posso farlo, insomma questo attimo che dovrebbe essere presente risulta inafferrabile. Lei dice che conosce il presente, il problema è che questa sua affermazione non ha un referente cioè non c'è un qualche cosa da qualche parte che corrisponda a questa sua proposizione, che possa sostenere questa sua affermazione, Lei può dirlo ovviamente, l'ha detto, è un pensiero, ma la questione che ci siamo posti è che cosa stiamo dicendo esattamente dicendo una cosa del genere? Che per esempio come questa non ha nessun referente, che non posso fermarlo, localizzarlo, individuarlo in nessun modo questo tempo, questo attimo. Questione antica e risaputa, viene utilizzato il tempo così come il calcolo numerico, come uno strumento, un gioco con delle regole ben precise, se Lei mi dice per esempio: “oggi mi sento presente a me stessa, mentre ieri ero assente” le persone grosso modo intendono, pur non sapendo nessuna di queste persone definire il tempo. Come può avvenire un fenomeno del genere? Che le persone capiscano ciò che Lei dice senza sapere assolutamente definire ciò che dicono di avere capito. È una ben bizzarra questione che può estendersi a qualunque affermazione, da qui la considerazione che ciò che si dice interviene come una sorta di gioco linguistico, che trae il senso unicamente dalle regole di cui è fatto quel gioco, esattamente come una partita a carte, se gioca a poker tre assi hanno un certo valore, se gioca a tressette ne hanno un altro, esattamente allo stesso modo.

- Intervento: se è già passato non esiste...

Lei torna alla questione di prima, cioè quella che ci imponeva di stabilire che cosa fosse l'esistenza, prima di chiederci se qualcosa esiste oppure no... (Vigili a rimuovere auto)

- Intervento: Domanda sull'esoterismo

Io mi riferivo invece all'eventualità che non ci sia nessun nascondimento, cioè ci sia la più totale e disinteressata ricerca della verità, come nel campo della logica, della linguistica, della filosofia, della fisica…

- Intervento: allora nel senso che il nascondimento ce lo mettiamo noi con le nostre costruzioni mentali....

Questo è un problema certo, il problema dell'osservatore rispetto al sistema che osserva, in effetti non osserva qualcosa che è lì in quanto tale ma produce ciò che osserva, anche la fisica è giunta a considerazioni molto prossime, come nel il principio di indeterminazione di Heisenberg, laddove una particella che colpisce un protone, se questa particella si cerca di isolarla in qualche modo si interviene variandone il suo moto e quindi ciò che si osserva è qualcosa che è già cambiato, come dire che l'osservatore modifica ciò che osserva. Noi possiamo anche andare oltre e dire che l'osservatore produce ciò che osserva, lo costruisce dal nulla...

- Interventi:…

È una costruzione del discorso, ciò che Lei vede, ciò che Lei ascolta, ciò che percepisce, le sue sensazioni, le sue emozioni sono una costruzione del linguaggio, nulla più di questo, se non ci fosse non esisterebbe nulla di tutto questo, né sarebbe mai esistito…

- Intervento: sì però in questo caso degli stregoni frenano questa nostra capacità di andare oltre, di costruire...

Sì questo è qualcosa come la nobile menzogna di Platone, è preferibile non dire certe cose al popolo perché se no sarebbe molto difficilmente governabile. (...) Sì almeno ci provano, ciascuna società, ciascun governo, vive su questo, non potrebbe campare...

- Intervento:…

Cioè Lei si chiede se è un gioco del linguaggio o di qualche altra cosa. Domanda legittima. (dipende dalla partita che si vuole giocare). Mettiamola così allora, questo gioco di cui parliamo di che cosa è fatto? O ancora, quali sono le condizioni per potere giocare un qualunque gioco, non importa quale? Ora se noi trovassimo qualche cosa che risponde alla sua domanda e cioè in definitiva quali sono le condizioni del gioco tali per cui questo stesso domandarmi se il gioco è il gioco del linguaggio oppure di qualche altra cosa, questo stesso domandarmi trova delle condizioni da qualche parte, cioè in altri termini ancora, ma a quali condizioni posso farmi queste domande? La struttura che mi consente di farmi queste domande, per esempio se il gioco è soltanto del linguaggio o di qualunque altra cosa, ebbene questa struttura è ciò che in effetti si chiama proprio linguaggio, poi siamo andati oltre, ci siamo chiesti se fuori dal linguaggio sarebbe possibile giocare qualunque cosa, come dire non un gioco particolare ma un gioco qualunque, giocare in assoluto e ci siamo chiesti come? Con che cosa? E soprattutto, questione importantissima, come sapremmo che stiamo giocando? Ecco dicevo una questione più radicale, estremamente radicale, che si chiede a quali condizioni io possa farmi queste domande e allora se riesco a rispondere a queste domande in effetti reperisco una struttura che è quella che consente di giocare qualunque gioco, che lo rende possibile, più propriamente lo rende pensabile...

- Intervento: lei parla di qualcosa di universale

Ecco, occorre intendersi sulla nozione di linguaggio. Con linguaggio io intendo semplicemente questo e cioè quella struttura che è organizzata in un modo tale per cui io posso pensare e riflettere intorno a quella struttura. Ora effettivamente ciascuno si trova preso nel linguaggio e cioè in una struttura che consente di pensare, di parlare, di giocare qualunque cosa. Lei dice “il suo linguaggio è diverso dal mio”, è difficile dire, sia affermarlo che negarlo, ciò che possiamo dire è che se possiamo parlare e pensare sia Lei che io è perché qualche cosa ce lo consente, ci consente di fare questo...

- Intervento:…

Io intendo con linguaggio soltanto e unicamente ciò che mi consente di fare queste riflessioni, niente più di questo (...) Sì, il pensiero funziona attraverso il linguaggio, (...) non solo la parte comunicativa, qualunque forma, qualunque forma in cui Lei esiste è vincolata al linguaggio, qualunque parte. Le dirò di più, non è solo vincolata al linguaggio ma esiste in connessione con il linguaggio, esiste perché c'è il linguaggio per questo motivo semplicissimo, che senza il linguaggio non potrebbe dire che esiste e quindi non esisterebbe, non avendo nessun modo per immaginare, per pensare che qualcosa esista. È tutta la questione dell'esistenza di cui si diceva. Le cose esistono? Di per sé questa affermazione non significa niente, è soltanto una regola del linguaggio che ci consente, attraverso questa costruzione, di costruire un'altra proposizione in un certo modo. Provi a considerare il linguaggio come ciò che consente di pensare, di pensare di esistere per esempio, di accorgersi di esistere e quindi di esistere tout court. In questo caso possiamo dire che ci sono linguaggi differenti, possiamo anche non dirlo, però non diremmo molto, per potere affermare una cosa del genere occorre fare un passo ulteriore e cioè riflettere sul senso che il linguaggio produce, nel suo dirsi nel sua farsi, allora sì, il senso che produce il suo discorso è certamente differente dal senso che produce il mio. Però linguaggio differente… non saprei, il linguaggio è ciò che ci consente di domandarci queste cose, è la struttura che ci consente di farci queste domande. È già in atto qualunque cosa accada, qualunque cosa pensi o non pensi, qualunque cosa senta o non senta è già sempre lì...

- Intervento:…

Pensare al linguaggio, forse è questo termine che per alcuni versi è un po' abusato e anche obsoleto, per linguaggio si intende qualunque cosa ma forse in questo caso pensarlo come una struttura, unicamente quella che consente di fare queste riflessioni, questa e qualunque altra ovviamente, anche quella che afferma che nel linguaggio si è soli per esempio. Una struttura così fatta, tale per cui una volta che si instaura non può togliersi in nessun modo, né c'è la possibilità di uscirne, non c'è uscita dal linguaggio. Questo può considerarsi un limite, anche se limita qualcosa che non è pensabile altrimenti, non è pensabile qualcosa fuori dal linguaggio, non avrei nulla con cui pensarlo. È una questione ardua questa, sulla quale stiamo riflettendo, sulla quale anche ho scritto delle cose.. Allora proseguiamo martedì prossimo, buona notte.