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15 gennaio 2020

 

Fenomenologia dello spirito di G.W.F. Hegel.

 

Per Hegel la questione della religione è importante, non la religione in quanto tale, ma il fatto che la religione costituisce quel momento che precede il Sapere assoluto. È come se la religione, e questo Hegel lo sapeva, avesse in sé, in nuce, il germe della sua distruzione – distruzione nel senso di superamento – e, quindi, la religione è ciò che necessariamente deve portare al Sapere assoluto. Vediamo che cosa dice Kojève intorno al Capitolo VII della Fenomenologia dello spirito. A pag. 284 dell’Introduzione alla lettura di Hegel di A. Kojève. L’uomo è (esiste) solo nella misura in cui egli “sopprime dialetticamente” il Sein. È interessante che ciascuno esista solo in quanto distrugge il dato, ciò che comunemente è il dato di fatto, il fatto, ecc.; cioè, esiste nel momento in cui lo distrugge. Perché lo dice? Lo dice perché, prosegue, questa “soppressione”, che conserva il soppresso sublimandolo, è la Tat, cioè l’Azione umana della Lotta e del Lavoro che trasforma, cioè nega o sopprime, l’Essere-dato in quanto dato, ma lo conserva in quanto Essere prodotto dall’uomo, e, mediante questa “soppressione” cosciente e volontaria, lo “sublima”. L’opera dell’Uomo è più umana (“spirituale”) della materia prima. È in quest’opera, in quanto Sein sublimato, umanizzato, che l’Uomo realizza se stesso. E solamente prendendo coscienza di quest’opera egli diventa veramente autocosciente, prende coscienza di ciò che egli è veramente, realmente, oggettivamente, giacché egli non è nient’altro e nulla di più della sua opera. Qui Kojève coglie bene la questione dell’opera, dell’azione, in Hegel. Sì, certo, è idealismo, però c’è un fortissimo pragmatismo in Hegel. Per Hegel conta l’agire e, infatti, qui lo dice in modo esplicito: ciascuno è quello che fa, se non fa non è, perché è dal lavoro che trae la propria esistenza. Ora, questo lavoro può intendersi in molti modi; è chiaro che per Kojève è il lavoro del servo e per Marx il lavoro del proletariato. Ma noi possiamo invece considerare la questione in modo più radicale intendendo come lavoratore il significato: è il significato che lavora per il significante, così come in Hegel il servo lavora per il signore. Come dire che l’uomo è quello che è per via del suo lavoro, del suo lavorare, cioè, per via del fatto che, parlando, il significato lavora e rende il significante quello che è, cioè rende le sue parole provviste di significato. È quest’Azione realizzata, oggettivata nella sua Opera e cosciente in essa di se stessa, quel che Hegel chiama Geist, Spirito. E der den Geist wissende Geist è lo Spirito (Uomo) che sa di esser Spirito, letteralmente. Cioè: essere linguaggio sapendo di essere linguaggio. Possiamo anche ripeterlo: ciascuno non è nient’altro che linguaggio e, quindi, il linguaggio parla di sé a sé, non può fare nient’altro che questo; è chiuso in questa azione, non c’è nient’altro che possa fare, salvo uscire da se stesso, ma sappiamo che questo è complicato, anche perché se esce da se stesso non sa ovviamente più niente, perché il sapere è linguaggio e il linguaggio è sapere: se esco dal linguaggio non c’è più sapere, quindi, non so letteralmente niente, quindi, non si pone il problema. Vale a dire: l’Uomo sa di essere Azione, e sa che l’oggetto al quale si riferisce è Opera sua. Sa dunque che quest’oggetto è, in realtà, lui stesso, che conosce se stesso conoscendo l’oggetto. Qui ritorna ciò che Hegel diceva fin dall’inizio: soggetto e oggetto sono lo stesso. Quindi, quando conosco l’oggetto, di fatto, conosco me stesso. E soltanto così, nella e mediante la Scienza hegeliana, l’Uomo è veramente Selbst-bewusstsein, Autocoscienza. Prima di diventare Hegel o Uomo hegeliano, l’Uomo non è che Bewusstsein, Coscienza-esteriore. Vale a dire che, prendendo coscienza dell’oggetto, del Mondo in cui vive, non sa che di se stesso egli prende coscienza. Non sa che osservando le cose, in realtà, osserva se stesso. Non lo sa, perché non sa ch’egli è la sua Azione, ch’egli è in questa sua opera, che l’opera è lui. Questo è importante perché questa opera, questo operare, questo lavorare, è lui, perché il lavorare è il lavorare del concetto, è il lavorare del significato, cioè, il lavorare del linguaggio, e l’uomo non è che linguaggio. In questo senso, l’opera è l’uomo, perché l’opera è l’operare del linguaggio, l’operare del concetto, l’operare del significato, l’operare della parola, e l’uomo è questo e, quindi, non può riconoscersi che in questa opera, non può che riconoscersi che nel linguaggio. Non lo sa, perché non sa ch’egli è la sua Azione, ch’egli è in questa sua opera, che l’opera è lui. E, non sapendolo, crede che l’opera o l’oggetto siano un Sein fisso e stabile, indipendente da lui: un Entgegen-gesetztes, un’entità opposta a lui. Quest’oggetto è, quindi, per lui, una Bestimmtheit der Gestalt: un’entità determinata, fissa, immutabile; una forma plastica, concreta. Riconoscendosi così nell’opera, egli comprende dunque se stesso come una Bestimmtheit e una Gestalt: l’Uomo è allora per se stesso una cosa fissa e data, avente qualità determinate e stabili. Quando l’uomo prende se stesso come oggetto, come un oggetto fra gli oggetti; quindi, si considera una entità determinata, fissa, stabile. …è precisamente così che l’Uomo si comprende nella Religione o nella Teo-logia. Egli contempla sé nella sua opera senza sapere che è opera sua; quindi, per lui, quest’opera è una Gestalt, un Sein, un Essere divino immutabile, dato una volta per tutte, e non un’Azione o il risultato, il prodotto di un’Azione. Di fronte a quest’Essere è anch’egli un Sein: un Uomo-cosa in relazione fissa e data una volta per tutte con il Dio-cosa. A pag. 286. In Hegel lo Spirito è lo Spirito umano. La nozione astratta dello Spirito… Quello della religione. …è la nozione dello Spirito astratto, cioè dell’uomo astratto. Ora, l’Uomo astratto – inesistente nel reale, esistente unicamente nel pensiero, per il pensatore che, pensando l’inesistente, è un pensatore astratto – l’Uomo astratto, dico, è il Particolare isolato, opposto all’Universale, cioè alla Comunità, al Popolo, allo Stato, all’umanità presa nel suo insieme spazio-temporale, alla Storia. Quest’uomo astratto sarebbe, per dirla con Heidegger, l’uomo che si immagina fuori del mondo, fuori del concreto. E ho già detto che è la Filosofia (prehegeliana), in opposizione alla Religione o Teologia, a occuparsi di quest’Uomo astratto. È chiaro che la religione deve mantenere l’uomo astratto; non può considerarlo come un intero, come un concreto, ma come un astratto, quindi, come un qualcosa che è separato dall’universale, che è Dio, naturalmente. Quel che ci è apparso alla fine del capitolo VI è dunque sì Hegel, ma Hegel in quanto ultimo dei Filosofi, che si oppone ancora alla Religione e pertanto esige necessariamente un complemento teo-logico. È l’aspetto particolaristico, il lato Einzelheit della Scienza hegeliana che ci è apparso. … Questo Sapere è assoluto unicamente perché il lato particolare è qui legato al lato universale, che cessa quindi di essere una teologia e diventa un’antropologia universalistica, che completa la filosofia particolaristica e rende così conto della totalità dello Spirito come d’uno Spirito umano. Solo per questo Hegel è non soltanto l’ultimo rappresentante della filosofia che si oppone alla Religione, ma anche il primo pensatore (Saggio) che sostituisce la religione con la Scienza invece di opporsi ad essa. In Hegel non c’è più questa opposizione tra scienza e religione: sono lo stesso. Ora, è nel capitolo VII che Hegel mostrerà come e perché la Teologia diventa alla fine un’antropologia atea, un’antropologia che resta, s’intende, altrettanto universale e concreta della Teologia da cui è nata. Deve rimanere un universale. Etto altrimenti, nel capitolo VI egli ha mostrato l’origine dell’aspetto particolaristico della Scienza; nel capitolo VII mostrerà l’origine del lato universalistico. Ed è questa la ragione per cui il capitolo VII è intercalato tra la prima apparizione della Scienza hegeliana alla fine del capitolo VI e la sua ultima analisi nel capitolo VIII. Il capitolo VI termina con l’interpretazione di Napoleone da parte di Hegel. Napoleone stesso è un uomo concreto. È anzi il più concreto, il più reale di tutti gli uomini, perché è la prima realizzazione dell’Individualità, della sintesi del Particolare e dell’Universale. Questa ovviamente è l’opinione di Hegel. A pag. 290. Qui, per farci intendere il passaggio dalla religione al sapere assoluto, Kojève dice Ora, Hegel dice che la religione non si occupa né dell’estensione, né del pensiero. Detto altrimenti, essa non è né Scienza fisica, né Filosofia. Infatti, la scienza dell’estensione disumanizzata è, in fin dei conti, la Fisica matematica newtoniana, e la scienza del pensiero puro - la Filosofia in senso astratto – è la Filosofia pre-hegeliana del Bewusstsein. La Religione o la Teologia non ha per oggetto né la Natura, né il Pensiero, ma lo Spirito. Lo Spirito che è la sintesi dei due, ovviamente. Come dice Hegel, il suo oggetto è “l’esistenza empirica che si mantiene-e-si-conserva nel pensiero, come un’entità-pensiero che ha, per se stessa, un’esistenza-empirica”. Questi sono i passaggi che poi porteranno al Sapere assoluto. In fondo, è questo che ha continuato a dire Hegel nei capitoli VI e VII, e cioè come gli umani, non sapendo di essere un intero, cioè di essere significante e significato simultaneamente, hanno dovuto scindere le due cose e, quindi, mantenere una distanza tra il mio dire e ciò di cui parlo. Come accennavamo la volta scorsa, siccome tutto questo non è altro che la manifestazione della volontà di potenza, allora per potere esercitare la volontà di potenza è necessario che ciò che io dico sia vero, che sia riconosciuto come vero, cioè come un qualche cosa che risponde allo stato delle cose, allo stato di fatto. È per questo che è necessario che il ciò di cui parlo sia garantito da qualche cosa. Questa divisione tra il mio dire e il ciò di cui dico è necessaria alla volontà di potenza, perché se la volontà di potenza prendesse atto del fatto che ciò di cui dico non è fuori dal mio dire, ma è parte integrante del mio dire – anzi, ciò di cui dico non fa altro che dare significato al mio dire, è una sintesi fra i due – allora la volontà di potenza da cosa potrebbe essere supportata? Da nulla, perché ogni volta che parlo, che affermo qualche cosa, ciò che affermo risulta essere altro da ciò che penso che sia e, quindi, non posso utilizzarlo per la volontà di potenza. Ciò nondimeno occorre tenere conto che non posso non affermare cose mentre parlo. Affermandole, è ovvio che impongo a queste cose di essere quelle che sono; glielo impongo io per poterle utilizzare, ma una volta che gliel’ho imposto è come se questa cosa mi sfuggisse di mano, perché, sì, impongo a quella cosa di essere quella cosa, ma questa cosa, una volta detta, si sposta su altre cose immediatamente, mi cambia le carte in tavola, non ho più modo di affermare che sia così. Se io affermo “se A allora B” non c’è nessun problema, ma il problema sorge nel momento in cui incomincio a interrogarmi su che cosa debba o possa essere questa A di cui parlo. E, allora, non posso che considerare che io ho imposto alla A di essere A, ma la A non è niente finché io non le impongo di essere A. Quindi, per poterla utilizzare devo imporre alla A di essere la A; una volta che gliel’ho imposto, ovviamente, tutto procede bene, a condizione di non mettere mai in discussione questa storia. Ecco che, allora, la volontà di potenza si manifesta nell’affermare qualche cosa che ritorna differente da sé, e questo per Nietzsche comporterebbe la necessità del superpotenziamento, è proprio perché si manifesta ogni volta differente da sé che devo continuare ad affermarla, nell’illusione di raggiungere la fine di questo percorso, che non raggiungerò mai, ovviamente. È per questo, e lo diciamo già da tempo, che la volontà di potenza non è evitabile, se affermo cose, ma posso sapere che cosa sto facendo, che cosa sta accadendo mentre io utilizzo la volontà di potenza, che non è altro che il funzionamento del linguaggio: affermare cose, queste cose affermate si dissolvono e, siccome si dissolvono, devo di nuovo riaffermarle, e così via all’infinito. A pag. 291. In se stesso il Religioso si distingue da se stesso: è in se stesso, nella sua Auto-coscienza, che egli oppone ciò che è per lui Auto-coscienza (cioè coscienza del suo essere isolato, intimo, particolare)… È di questo che prende coscienza: di essere un particolare. …a ciò che per lui è Coscienza-esteriore (cioè coscienza del suo essere congiunto con l‘Universale). È il problema del riconoscersi come particolare ma nel volere congiungersi con l’universale, andare verso Dio. Quest’Universale, essendo congiunto con il Particolare, con l’Uomo, non è Natura inumana. È uno Spirito quasi umano, e tuttavia non umano, perché opposto all’Uomo. In una parola: è Dio. Essendo congiunto, nell’Auto-coscienza del Religioso, con il Particolare umano, l’Universale è esso stesso umano o spirituale nel senso che è pensiero, coscienza, autocoscienza e azione libera autonoma: in una parola, Spirito. Questi sono i passi che avvicinano le varie religioni al Sapere assoluto: man mano questo Dio si umanizza fino a diventare l’uomo. A pag. 292. In fondo, dice Hegel, non c’è che una sola Religione sulla terra. Tuttavia la differenza degli accenti non è affatto trascurabile, e così occorre dire che ci sono parecchie Religioni differenti. Ora, non si può conciliare l’unità e la pluralità se non nella e mediante la nozione di divenire. Occorre dunque dire che c’è un’evoluzione della Religione, le cui tappe sono segnate da ciò che noi chiamiamo le Religioni. Dicendo che la religione è sempre la stessa sembra qui alludere alla struttura o, più propriamente ancora, alla questione religiosa, che è sempre la stessa, cioè la necessità di trovare un garante alle mie affermazioni per potere esercitare la volontà di potenza. A pag. 293. Hegel afferma che c’è un’evoluzione, e un’evoluzione reale, della Religione perché alla fine la Religione sopprime se stessa e diventa antropologi atea (o hegeliana). Ora, affinché questo sia possibile, occorre che la nozione di Dio si trasformi nel corso della Storia, occorre che ci sia una storia della Religione, un’evoluzione della quale Hegel ha or ora indicato la marcia generale. Ogni religione nuova soppianta quella precedente. Bisogna sempre tenere conto che in Hegel non c’è l’eliminazione di qualche cosa, non si tratta di un progresso lineare, ma si tratta di un processo circolare… neanche tanto circolare, perché ciò su cui ritorna non era ciò che era prima e, quindi, la figura più adatta sarebbe quella della spirale, se proprio dovessimo raffigurarcela. Lo scopo è la soppressione dell’opposizione tra il Bewusstsein e il Selbstbewusstsein… Cioè, tra la coscienza e l’autocoscienza. …cioè precisamente la soppressione della trascendenza,… Se la coscienza e l’autocoscienza si oppongono, è ovvio che questa autocoscienza, in opposizione alla coscienza, è come se vivesse di vita propria, come se il significato del significante non fosse più inscindibilmente legato al significante ma fosse una cosa fuori del significante, per cui c’è il significante che dice, ma sappiamo che non dice niente finché non c’è il significato, ma se io tengo le due cose separate, allora ho bisogno che il significato, che non torna sul significante in quanto separato da lui, funziona comunque da garante del significante, cioè sia un qualche cosa di fisso, di stabile, di sicuro, di certo, di immutabile e di eterno, cioè Dio. …la comprensione dello Spirito non più come divino, bensì come umano. Affinché questo abbia luogo, occorre che l’Uomo comprenda che è lui ad avere creato Dio. Perché possa farsi questo passaggio, questa sintesi tra coscienza e autocoscienza. e per poterlo fare, egli deve prima farsi un’idea di Dio che rassomigli all’idea ch’egli si fa di se stesso. Detto altrimenti, l’Uomo deve sempre più antropomorfizzare Dio. È questo a caratterizzare l’evoluzione teologica. D’altra parte, egli deve constatare che le forme religiose superate sono opera sua, deve sapere che è lui ad avere creato (inventato) gli “idoli” che venerava prima di avere preso coscienza del “vero” Dio. E anche questo si attua nella e mediante l’evoluzione religiosa. … Il risultato finale dell’evoluzione religiosa è dunque l’antropologia atea di Hegel: l’antropomorfizzazione di Dio raggiunge il suo culmine nell’idea del Cristo; poi viene la comprensione del fatto che quest’idea è un prodotto dello spirito umano; e, a questo punto, l’Uomo riconosce se stesso nel Cristo, comprende che di sé doveva dire tutto quanto ha detto del suo Dio. Ora, è Hegel a dirlo: l’Uomo contempla se stesso nello “Spirito oggettivo”, concepito precedentemente come spirito divino, nel momento in cui comprende che questo Spirito è lo Stato… Ha sostituito la Chiesa con lo Stato. …e questo è opera sua; e lo comprende nella e mediante la filosofia statuale di Hegel, cioè mediante la Scienza che riconosce lo Stato (assoluto, perfetto) e che è (o dovrebbe essere) riconosciuta da lui. A pag. 296. In ogni Religione, il Religioso sa che l’aspetto accentuato è “realmente-essenziale”. E Hegel ha appena detto perché. Perché, nella realtà empirica, l’Uomo ha appena realizzato mediante l’Azione l’elemento costitutivo della propria esistenza, di cui prende coscienza nella forma del carattere essenziale del proprio Dio. Quest’elemento è suo perché prodotto da lui; ed è reale perché egli l’ha inserito nel Mondo reale; è dunque in quest’elemento ch’egli è veramente reale e umano, cioè spirituale. Reale e umano, cioè spirituale, cioè concreto, dove avviene la sintesi tra l’immanente e il trascendente, tra il significato e il significante. In breve, l’Uomo attribuisce con il suo Pensiero teologico questo carattere al proprio Dio, perché egli, mediante l’Azione, ha realizzato questo carattere nel suo Mondo. Rispetto all’azione, facevamo l’esempio la volta scorsa delle statue degli dei, ecc., dove c0è la sua opera; riconosce la sua opera, dice “è opera mia”. A pag. 297. È chiaro, - La Warheit è la rivelazione di una realtà nel senso proprio e forte del termine. Non c’è dunque verità in una Religione se non nella misura in cui l’idea implicata nella teologia, si è realizzata nel Mondo in cui questa teologia viene accolta. Questa verità della religione è tale perché è accolta nel mondo in cui questa verità viene detta. Quindi, è il riconoscimento di questa verità che fa della verità quella verità. Così, dice Hegel, la teologia cristiana non è una verità fintanto che il Mondo cristiano non ha realizzato l’idea dell’Individualità, cioè della sintesi, della fusione del Particolare e dell’Universale, dell’Uomo reale e dello Spirito. Questa osservazione, a prima vista inoffensiva, contiene tutta la critica hegeliana al Cristianesimo. Il Cristianesimo diventa una verità solo nel momento in cui l’idea cristiana dell’Individualità si realizza in questo Mondo. Ma, dal momento in cui questo ideale è realizzato, esso cessa di essere un ideale. Detto altrimenti, l’Uomo cessa di proiettarlo nell’aldilà, di pensarlo in categorie teo-logiche. Invece di fuggire il Mondo, egli l’accetta e vi si riconosce. Nel momento in cui il Cristianesimo si realizza nel Mondo post-rivoluzionario napoleonico, esso cessa d’essere una Religione. Diventando una Verità, esso diventa l’antropologia atea di Hegel, la Scienza che esprime il Sapere assoluto. Adesso qui, riprendendo Hegel, Kojève ripercorre un po’ la storia delle religioni. La prima religione, la Lichtwesen, sarebbe l’essere luminoso, l’essere della luce. A pag. 298. Si tratta della religione indo-iraniana della luce (come pure del “Mana” dei Primitivi, sconosciuto a Hegel). Il Mana è questa forza primigenia e soprannaturale. L’Uomo è qui un reines Ich (un Io puro): il Desiderio è ancora vuoto di contenuto e l’Uomo non ha ancora agito. È una costruzione, non è che sta descrivendo ciò che è successo realmente. Tutte queste cose sono sempre presenti in Hegel, perché il superamento non significa che una cosa venga eliminata, vuol dire soltanto che viene integrata nella successiva. Egli prende coscienza del Sein (essere) naturale come qualcosa di dato, di non-modificabile; con ciò egli prende coscienza di un aspetto di se stesso, ma questo se stesso non è che Desiderio, cioè qualcosa di dato, di naturale. Questo Sein è, però, umanizzato e ha la forma di un Signore. Chi desidera? Chi si impone? Il Signore. È il puro significante, quello che afferma, quello che non si prende cura di sapere che cosa propriamente afferma, ma afferma. L’Uomo prende coscienza del divino perché egli è non soltanto Bewusstsein, ma anche Selbst-bewusstsein. Vi è nell’Uomo un Desiderio non-soddisfatto (poiché il desiderio soddisfatto sparisce). Se c’è il desiderio vuol dire che è insoddisfatto. Lo “Herr” è qui il Signore prima della Lotta, il futuro Signore, cioè l’Uomo-del-desiderio. Non vi sono ancora Servi nella Società alla quale corrisponde la Religione naturale. È una Società in cui si ha fame e in cui si vuole fare l’amore: festini, orge sessuali. … Carattere essenziale di questa religione: il sublime, il grandioso, il maestoso. … questo elemento (conformista) della maestà sussisterà in tutte le religioni, ma diventerà inessenziale. Questo è relativo a ciò che diceva prima delle religioni: c’è una religione soltanto; poi, ci sono delle piccole differenze, a un certo punto delle cose diventano inessenziali, altre invece diventano dominanti, ma la questione è sempre la stessa. Dice qualcosa di interessante rispetto alla religione egizia a pag. 300. Nella religione naturale non c’è il lavoro, non si fa niente, si passa il tempo nel modo che ha descritto. Nella religione egizia Si divinizza il lavoro dell’uomo che non può far altro che lavorare. Lavoro condizionato dal dato (il più urgente, si lavora per non morire di fame). Religione del contadino più che dell’artigiano. Si lavora per se stessi in quanto animali, non per un Signore essenzialmente umano. (Religione del futuro Servo). … l’Uomo non si accontenta di lavorare; santifica il suo lavoro. Qui, atteggiamento corrispondente al Verstand (particolare). Hegel pensa alla religione degli Egizi, che si manifesta nella forma astratta della Piramide e dell’Obelisco, delle cose che non esistono in Natura e simboleggiano quindi il Lavoro. Come dire: “qui c’è il mio lavoro!”. Lavoro razionale, che non riproduce la natura e realizza ciò che non esiste se non nello spirito umano. Si santificherà la linea retta che è utile (la leva, ecc.); l’utensile deve essere semplice. Il Lavoro sarà santificato solo fintanto che non ci sarà un Signore; quando c’è un Signore, il Lavoro non è più, come qui, un istinto “naturale”; è funzione del “riconoscimento” specificamente umano. Essere riconosciuti dal Signore. Qui, dice, non c’è ancora la divisione Servo-Padrone. A pag. 301. Queste tre tappe sono dei progressi della Religione, tappe verso il Cristianesimo: ma sono anche un progresso verso l’ateismo, poiché ciascuno stadio corrisponde a una più spinta umanizzazione del Dio. Ogni stadio porta sempre più a una sorta di umanizzazione del dio; quindi, porta alla fine della religione, cioè alla sua catastrofe. Die Kunstreligion, la religione artistica. L’Uomo ora parlerà degli dei: mitologia; e parlerà agli dei: preghiere. La Religione non è più naturale: l’uomo parla. E il Dio assomiglia all’uomo. La Gestalt (forma-concreta) divine diventa Bewusstsein (assume sembianza umana). … In realtà il “lavoratore intellettuale” si mette a parlare di se stesso, pur credendo di parlare agli dei. Come avviene il passaggio? Perché il Mondo reale (greco) è differente da quello precedente (egizio). Qual è il Mondo nel quale l’Uomo può parlare e non lavorare? Non è più il Mondo della raccolta, né quello del cacciatore, né il Mondo puramente agrario. Uno deve fare delle cose per sopravvivere. È il Mondo chiamato der wahre Geist (del puro spirito). È la Città-Stato greca. L’uomo (= Signore) non è più obbligato a lavorare con le sue mani per mantenere la sua esistenza; approfitta del lavoro degli altri (= Servi) e non entra in contatto diretto con la Natura. Kunstreligion = Religione dei Signori, che in essa si riveleranno inconsapevolmente a se stessi. In seno alla società agraria si forma una classe di Signori che vive dei prodotti agricoli senza partecipare alla loro produzione. È il Mondo dell’Anerkennung, del Riconoscimento. Vi è Lotta, solo che lo scopo non è più l’omicidio, ma la vittoria. È il Mondo in cui ci sono dei Servi che hanno riconosciuto i Signori e lavorano, ma nell’atteggiamento del terrore e per un altro. Si passa, dice Kojève, alla religione dell’arte. Ma perché una Religione dell’Arte? Il Signore è riconosciuto tale solo dalla Servitù. Elemento distintivo tra l’uno e l’altra: l’Ozio. Il servo lavora e il signore ozia: questa è la differenza sostanziale. Il Signore non soltanto può non lavorare., ma anzi non lo deve fare. Tuttavia, deve fare qualcosa: le arti. (“Lavora” senza lavorare: “lavoratore intellettuale”). Non soltanto deve moralmente (Aristotele), ma anzi non può fare altrimenti: non sa lavorare. Bello è l’oggetto che dà piacere senza sofferenza. Godere del mondo senza sforzarsi è vivere “da artista”. Il Signore dunque troverà belli i prodotti del Servo (che non gli costano alcuno sforzo) e li apprezzerà da esteta; questi prodotti sono staccati dallo sforzo della produzione e dunque dal produttore. Così, la sua Religione sarà una Kunst-religion, che divinizza il Sein in quanto Bellezza (dimenticando che la Bellezza è un’opera umana). Opera, non soltanto nel senso che è stata costruita dagli umani, ma che è un prodotto del pensiero umano, e così la nozione stessa di bellezza. Lo Stato appare con la Città-Stato greca. … La religione greca è Religione-artistica perché religione di classe (dei Signori). È la classe dei Signori che si rende conto della bellezza del lavoro del Servo. … In uno scritto giovanile, Hegel dice: “I popoli felici non hanno una religione”. Sono quelli che passavano il tempo come aveva descritto prima. Così, egli pensava allora che i Greci non fossero stati religiosi. Ma, nella PhG, non pensa più che i Greci siano stati un popolo “felice”. Affinché ci sia Kunstreligion, occorre che l’Uomo, cioè il Signore, prenda coscienza dell’insufficienza del Mondo nel quale vive. Non si tratta del Servo, perché costui è al di fuori dello Stato, e la Religione esprime lo Stato. L’Uomo insoddisfatto è qui il Padrone ozioso. È della sua Religione che si tratta. A pag. 304. L’Uomo, non essendo “soddisfatto” dell’opera d’arte, penserà che l’ha fatta (o che è stata fatta) per un altro, per un dio. Qual è l’essenza del Mondo della morale consuetudinaria, che si rivelerà nella e con la Religione dell’arte? Hegel risponde riassumendo la descrizione di questo Mondo fatta nel capitolo VI… La dialettica di questo Mondo porta allo “Spirito oggettivamente certo di se stesso”. Qui è il proprietario di schiavi, il Signore. … Il Signore diventa Esteta. In effetti, l’Esteta è “soggettivamente certo di se stesso”, ma non è riconosciuto tale né dalla massa, né dagli altri Esteti. In ciò sta la sua insoddisfazione. Egli deplora la perdita del suo Mondo, è un “emigrato”; porta il lutto per il suo Mondo. Lo fugge perché nn osa cambiarlo per renderlo conforme al suo “ideale” estetico. L’Esteta aspira quindi a una Religione. Il fatto di aspirare, da parte dell’esteta, a una religione è significativo, nel senso che soltanto se c’è una religione può fare, come si diceva prima, quelle cose che vorrebbe fare ma che non osa fare. Non può cambiare le cose, ma può farlo se appoggiato da una religione; ha bisogno di avere alle spalle un dio che lo giustifichi. A pag. 319. Capitolo C. Die offenbare Religion. La religione disvelata. Cosa curiosa: la Commedia viene immediatamente prima del Cristianesimo. La “leggerezza” della Commedia afferma: “L’Io-personale è la Realtà-essenziale-assoluta” (Dio). Prima Religione: la Religione naturale = dio senza uomo. Primo ateismo: la Commedia = uomo senza dio. Poi viene il Cristianesimo = dio che si fa uomo. Secondo (e ultimo) ateismo: Scienza hegeliana = uomo che si fa dio. È uno schema del percorso che ha fatto Hegel. Nella Commedia, il Paganesimo è una Religione dell’arte. Nella Commedia, l’Arte attinge la vita reale. Ed è questa stessa vita reale che si riflette nella Commedia ad avere dato vita al Cristianesimo: la vita “borghese”. La Commedia che ha mostrato la possibilità della vita profana si “sopprime” in quanto Commedia; resta il Borghese che si prende sul serio e vive la vita che la Commedia gli presentava: è il Borghese cristiano, colui che farà la Teologia cristiana. … Nel Mondo della Commedia, il Benessere borghese è completato dalla Coscienza infelice che produce il Cristianesimo. Si assiste dunque a un rovesciamento dei valori, a un rinnovamento del teismo: ma non si ritorna alla Religione naturale, non si ritorna alla trascendenza divina del Lichtwesen (l’essere in luce). Il Teologo cristiano che parla di Dio sa di parlare anche di se stesso. L’ateismo della Commedia era inconsapevole. Questa è la differenza, secondo Hegel, tra il teologo e la commedia: il teologo sa che parlando di Dio parla anche di se stesso; nella commedia no, si suppone di parlare dell’uomo senza Dio. Il Teologo è solo semi-consapevole, perché l’ateismo è solo in germe nella sua teologia dell’Uomo-Dio. Il Dio cristiano non è più un Sein naturale, ma un Selbst, un Io-personale: è dunque un Dio umanizzato; ma non è ancora apertamente identificato con l’Uomo. Questo avverrà soltanto con Hegel. A pag. 320. La Coscienza infelice è la nostalgia dell’Universale (= Stato perduto). Il Borghese che si riduce alla sua Proprietà privata (= Capitale) piange la perdita del Mondo reale (= Stato) e immagina, costruito nel e dal pensiero, un Mondo trascendentale, l’Aldilà. C’è sempre la nostalgia che interviene, la nostalgia per un mondo perduto, dell’età dell’oro. C’è sempre questa idea di un periodo che non è mai esistito e in cui la parola diceva la cosa. Questa è l’età dell’oro: la parola dice la cosa, non c’è nessuna distanza, nessuna divisione; senza tenere conto, ed è di questo che non ci si accorge, che se non ci fosse questa distanza non ci sarebbe la parola. A pag. 325, sulla morale cristiana. Hegel interpreta il dogma della creazione e dei rapporti tra il Creatore e la creatura. Critica della morale cristiana: l’opposizione tra Dio e il Mondo è tale per cui Dio deve morire;… Questa opposizione tra Dio e mondo reale, dice, è tale che alla fine dio deve morire, deve dileguare. Nel momento in cui questo processo porta alla umanizzazione di Dio, quando Dio diventa uomo, è chiaro che Dio dilegua, in quanto tale non c’è più, cioè, non c’è più questa opposizione. In queste condizioni, non si può dire alla gente: “amatevi gli uni con gli altri”. Per Hegel l’Amore è riconoscimento reciproco; a questo si oppone la Lotta di prestigio (il duello). Nell’Amore, i conflitti non sono essenziali; le differenze, dichiarandosi, non diventano opposizioni radicali. Là ove non c’è Amore, i conflitti si accentuano, la situazione è insostenibile, tutto deve distruggersi. Ma non si può cominciare con l’Amore: il conflitto Signore-Servo è essenziale e primitivo. L’Amore non può esistere se non tra eguali. Questa situazione d’uguaglianza assoluta non può presentarsi se non nello Stato perfetto (universale e omogeneo), col quale la Storia ha termine. Sta parlando di un’utopia. Fintanto che dura la Storia, si dà esistenza nella Lotta (e nel Lavoro)… Quando Hegel parla di lotta parla di lavoro. …non nell’Amore. In essa non ci sono che forme false d’Amore: l’Amore naturale (in cui interviene solo il Sein, l’essere-naturale dell’Uomo; è, in fondo, un Amore pre-umano, realizzato in seno alla Famiglia), e l’Amore cristiano, l’Amore-carità (= rapporti tra esseri umani intesi in quanto umani). Questo Amore non ha un valore se non perché ci sono stati dei Signori e del Servi e perché ci sono ancora delle opposizioni. Quest’Amore-carità presuppone l‘ineguaglianza; non può aver luogo tra esseri eguali. Ma esso non vuole ammetterlo. Non tiene conto delle distinzioni sociali, ma le lascia intatte. L’uguaglianza è trasposta nell’Aldilà (tutti gli uomini sono fratelli in “Gesù Cristo”; cioè tutti Servi di un Signore assoluto). Ma affinché l’Amore cristiano sia Amore-carità, occorre che sia completato dall’umiltà; il disprezzo degli altri è attenuato dal disprezzo di se stesso. L’Amore-carità è insufficiente, giacché mantiene le differenze sociali, le opposizioni; non può esistere senza di esse. Ma è anche un ideale, che si realizzerà solo mediante la Lotta e la “soppressione” delle classi (nello e mediante lo Stato perfetto finale). Ma allora l’Amore non avrà più nulla di cristiano: là dove l’Uomo è “soddisfatto”, non ci sarà più posto per la “carità”.