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15-1-2014

 

Ciò che stiamo facendo da tempo non è propriamente psicanalisi, non è filosofia, non è semiotica, non è linguistica, non è logica, non è filosofia del linguaggio, non è nulla di tutto ciò ma è un’altra cosa, è appunto scienza della parola, la quale si avvale e si è avvalsa di tutte queste discipline che ho menzionate ma in un modo particolare, e cioè intendendo ciascuna volta quali sono le questioni che queste discipline aprono, in un certo senso i loro fallimenti, mettiamola così, fallimenti nel senso che ciascuna di queste discipline ha tentato a modo suo di chiudere la questione, cioè di trovare un significato ultimo delle cose, fallendo ovviamente. Questo fallimento va inteso in senso positivo, nel senso che il fallimento apre verso altre questioni, non è che chiude e non se ne parla più e bell’e fatto, ma comporta un’apertura, un rilancio di interrogazioni che hanno a che fare con queste discipline. Una formazione di questo tipo è una formazione alla scienza della parola, non è una formazione psicanalitica tradizionalmente intesa, non è una formazione linguistica, semiotica, logica o cose del genere, tutte queste discipline che ho menzionato in quanto tali non ci interessano, però ci interessano i problemi che sollevano. Un esempio abbastanza recente e di cui stiamo parlando ultimamente è la filosofia analitica, le teorie semantiche, le teorie del significato. Qui si può vedere più facilmente ciò di cui stavo dicendo e cioè del fatto che una teoria semantica può nella migliore delle ipotesi essere descrittiva, cioè descrive i vari modi in cui un significato può essere inteso ma sicuramente non può dire che cosa sia un significato né può dire perché fallisce questa ricerca di sapere che cosa sia il significato. È straordinario il fatto che in queste varie teorie, più o meno descrittive, nessuno abbia mai considerato un elemento a mio parere fondamentale, e cioè che per parlare del significato, in qualunque modo voglia fare questa operazione, in ogni caso uso quelle stesse cose che sto cercando e che di fatto sono già presenti e le varie domande, cioè come so che una certa cosa è un significato, come apprendo che una certa cosa è un significato, come posso essere sicuro che sia un significato e che sia corretto eccetera, sono tutte questioni che sono già in atto mentre mi sto facendo queste domande. Tenere conto di questo offre dei vantaggi ovviamente, perché se tengo conto che sto usando dei significati allora so già a questo punto 1) qual è il loro utilizzo, so anche come faccio a sapere se lo sto usando correttamente, e so anche che cosa un significato comporta, o meglio l’uso di un significato comporta. Dicendo queste cose per esempio, io mi avvalgo di significati delle parole che ho pronunciate, come faccio a sapere che i significati delle parole che ho pronunciati sono corretti? Perché l’ho imparato ovviamente, ho imparato che l’uso corretto di un significato è quello del dizionario, così come ho imparato che due più due fanno quattro, così come ho imparato che con il semaforo rosso ci si ferma, così come ho imparato qualunque altra cosa, quindi il fatto di trovarmi immerso in questi significati mi agevola perché so a questo punto immediatamente, usandoli, anche qual è il loro uso, e cioè qualunque significato mi serve per potere usare quella parola. Se io dico “mi serve per potere usare quella parola” sto dicendo che per esempio il verbo “usare” so che significato ha, e questo mi consente di inserirlo all’interno di questa combinatoria correttamente per produrre altre cose, che cosa significa “usare” visto che parliamo spesso di uso? Usare un qualche cosa non significa nient’altro che avere appreso in che modo questa cosa è inseribile all’interno di una combinatoria, di una sequenza. L’uso di una qualunque cosa non può darsi se non all’interno di una combinatoria, di un discorso, se non altro per definire questa cosa, e definendola, cioè dicendo che cosa intendo con quella cosa, già sono all’interno di una combinatoria, non c’è modo di farlo altrimenti. Quindi sapere usare il verbo “usare” tra virgolette perché sto indicando il nome della parola, non è nient’altro che avere appreso quali sono i modi e le connessioni rispetto alle quali inserire questo verbo. Usare qualcosa significa potere disporre di questo qualche cosa correttamente all’interno di un sistema, di una combinatoria in cui è previsto che ci sia questo elemento, che è esattamente quello che avviene quando si impara a parlare. Si impara così a inserire correttamente i termini all’interno di una combinatoria in base a dei campi semantici, direbbe Greimas, o regole di connessione, di composizione, non c’è un altro modo, quindi sapere che si sta usando correttamente un significato significa nient’altro che mettere in atto ciò che si è appreso. Può accadere ovviamente che lo si sia appreso in modo non corretto, questo può accadere, però c’è sempre la possibilità di verificare attraverso un buon dizionario qual è l’uso di un termine, in altri termine ancora, se mi chiedo che cos’è un significato, questo comporta che io di fatto sappia già che cos’è un significato perché se no non potrei domandarmelo, nel senso che la domanda o la sequenza che costruisco in modo interrogativo è fatta di elementi dei quali conosco il significato, so il significato di “domanda”, il significato di “qual è,” per esempio, so il significato di tutti i termini che intervengono nella formulazione che io metto in atto quando mi chiedo che cos’è un significato. Dunque potremmo anche considerare che per potere domandarsi che cos’è un significato, io debba già sapere che cos’è un significato, cioè devo già sapere che un significato è un rinvio a una certa cosa, in caso contrario non potrei formulare la domanda “che cos’è un significato?”. Che cos’è quella domanda la cui risposta prevede qualcosa che è implicito nella domanda, nel domandare stesso? Cioè uso, per rispondere alla domanda la domanda stessa? In retorica si chiama petizione di principio. Questione che in effetti sposta tutto quanto perché se per domandarmi che cos’è un significato devo già sapere che cosa sia, la cosa si pone in un modo diverso, è un po’ come la questione della verità, quando mi domando che cos’è la verità io devo già sapere che cos’è la verità, in caso contrario non potrei mai accogliere una risposta come vera. Queste forme linguistiche sono particolari, queste del significato, della verità, perché si pongono una domanda intorno a un qualche cosa che deve essere necessariamente presente e quindi già utilizzato, quindi già conosciuto per potere formulare la domanda stessa. Da dove viene questa conoscenza che ho del significato prima ancora che io mi domandi qualunque cosa intorno al significato o alla verità, che è la stessa cosa? Non che la verità sia la stessa cosa del significato, è la stessa cosa nel senso che funziona allo stesso modo questo domandare, da dove viene dunque ciò che già so, e che è la condizione perché io possa domandarmi? Come dire che questi significati sono già acquisiti, o meglio che la nozione stessa di significato è già acquisita. La questione in realtà anche se appare complessa è molto semplice: apprendo attraverso un certo numero di errori qual è il significato di una certa cosa, delle parole che uso, apprendo cioè di volta in volta qual è il rinvio corretto che una certa parola ha con altre parole, lo apprendo così come apprendo qualunque cosa, come apprendo a sapere che ore sono per esempio, cioè a leggere le lancette dell’orologio, e questo apprendimento avviene come sappiamo attraverso una trasmissione di informazioni e di istruzioni per usare queste informazioni. Tutto questo ci conduce a un’altra questione, certo qualcuno potrebbe dire “se io mi domando che cos’è un significato, è perché voglio saperne qualche cosa di più” anche se di fatto io so già questo qualcosa di più cioè so già come si utilizza e perché lo utilizzo in un certo modo, so già tutto, questo sapere dicevo, viene da una sorta di addestramento, cioè vengono trasmesse queste informazioni come a una macchina? Sì, la struttura è la stessa, cambia la modalità perché sappiamo che gli umani sono fatti in modo diverso dalla macchina ma è solo questo, per esempio il fatto che occorre ripetere più volte la stessa cosa perché venga appresa, lo sa chiunque abbia dato qualche esame in vita sua, deve leggere più volte, non basta una e poi ricorda tutto dalla prima parola fino all’ultima, come farebbe una macchina. Questo ci sposta su un’altra questione, che però è connessa con i significati, la questione del perché per gli umani la cosa è così lunga e complessa e faticosa, questo apprendimento di informazioni, perché se uno legge un libro non se lo ricorda dalla prima lettera all’ultima? Per esempio quando si imparavano le poesie a memoria bisognava ripeterle molte volte e alla fine ecco che venivano riprodotte com’erano scritte, che cosa impedisce l’acquisizione immediata? Questa cosa che impedisce la concentrazione assoluta, si chiama “distrazione” che, per esempio, gli autistici così detti non hanno, ed è per questo che possono in alcuni casi imparare a memoria un elenco del telefono, cosa che non ha una grossa utilità, però lo possono fare proprio come farebbe una macchina perché non ci sono distrazioni, di nessun tipo. In questo caso il cervello funziona come un hard disk che imprime tutti i dati senza nessuna distrazione. Ciò che distrae è abbastanza noto, è ciò su cui ha lavorato Freud in buona parte almeno, e cioè le fantasie, che sappiamo essere fantasie di potere, però una fantasia è qualche cosa che attrae più fortemente di qualche altra cosa, cioè costringe il pensiero ad andare in quell’altra direzione. Sarebbe come se dando delle informazioni a un computer, ogni cinque minuti gli staccassi la spina per fare altro. È chiaro che ci metterà un sacco di tempo anche lui, perché ogni volta questa acquisizione di informazioni viene “distratta” letteralmente, cioè tratta altrove, quindi questa distrazione comporta la difficoltà nell’acquisizione di informazioni, più uno è autistico, meno ha difficoltà nell’apprendere informazioni, ha altre difficoltà altrove, ma per quanto riguarda l’acquisizione di informazioni è assolutamente avvantaggiato. Una persona è presa da mille questioni, problemi che l’attanagliano e la interessano moltissimo, è distratta continuamente. Ma a quali condizioni un pensiero distrae da un altro pensiero, cioè da quello che si sta perseguendo per esempio? Occorre che per la persona, per il discorso che sta facendo questa cosa, quest’altra che interviene sia più importante, ma cosa vuole dire che è più importante? Che rispetto alla prima è ritenuta essere quella cosa che consente di ottenere più rapidamente, più fortemente, un esercizio di potere, di qualunque tipo. Dicevo che la distrazione è fatta di questo, di un altro pensiero che interviene e che è come se dicesse che quell’altra cosa è più importante, è più importante perché consente di ottenere del potere cioè delle verità. Il linguaggio, man mano che costruisce sequenze, segue delle traiettorie, delle direzioni, queste direzioni sono sempre quelle che consentono di concludere con un’affermazione vera, proprio perché il linguaggio è fatto per questo, e qualche cosa che da potere è qualche cosa che il discorso considera come assolutamente vero, una verità che merita di essere anteposta ad altre e che è quella che consente di costruire altre sequenze. Vi faccio un esempio: supponiamo che Eleonora debba imparare a memoria una poesiola, brutta, che non dice niente e della quale poesiola a Eleonora non importa assolutamente niente. Molto probabilmente Eleonora impiegherebbe moltissimo a imparare quella poesiola, perché è come se sapesse, e in effetti lo sa, che da quell’acquisizione di quella poesiola non le verrà assolutamente niente, cioè il sapere quella poesiola non comporterà per lei nessuna possibilità di costruire delle altre storie, delle sequenze, né di provare emozioni che sono quelle cose gli umani amano ed è per questo che non ha nessuna importanza, perché non ha nessun uso per lei quella poesiola e qui ci riaffacciamo all’uso che riprenderemo tra poco. Non avendo dunque nessun uso per Eleonora, per il suo discorso che è sempre affamato di emozioni e quindi di sequenze che costruiscono scene, che costruiscono cose importanti quindi verità, nel senso che le danno l’occasione di costruire molte altre cose, mentre la poesiola non le dà la possibilità di costruire assolutamente niente se non la ripetizione di quelle frasi per lei insensate, ecco che allora il suo discorso incomincia a seguire direzioni che non sono più quelle dell’acquisizione della poesiola ma altri discorsi, che invece sono più importanti e cioè hanno un uso maggiore, adesso usiamo questo termine, mentre la poesiola ha un uso minore, diciamo che si approssima allo zero. Tutto questo rende conto del motivo per cui Eleonora se dovesse imparare questa poesiola si distrarrebbe ininterrottamente. Come avviene la distrazione nei fanciulli quando imparano le cose, quando devono studiare: immediatamente viene fame, sete, sonno, la necessità di uscire e prendere un po’ d’aria, telefonare a un amico perché deve dire una cosa essenzialissima, una infinita serie di cose più importanti in quel momento, anzi diventano essenziali rispetto all’acquisizione della poesiola. Tutte queste altre cose che vengono in mente hanno un uso e il loro uso è quello di produrre delle sensazioni, delle emozioni, quindi delle altre sequenze, le quali altre sequenze conducono il discorso a sensazioni piacevoli per esempio, accattivanti, o in ogni caso che possono costruire delle altre scene, delle altre immagini, costruire altre sequenze, mentre l’acquisizione della poesiola non dà l’opportunità di costruire nessuna sequenza, riproduce una serie di parole senza senso apparentemente, ma da lì non c’è nessuna produzione. È come se quella poesiola non rinviasse ad altro, dico “come se” non è proprio così, ed è per questo motivo che non ha nessun uso. Ma non è possibile che una qualunque cosa che appartiene al linguaggio non rinvii a qualche cosa, se no non sarebbe linguaggio, oserei dire per definizione, però diciamo che ha un uso minore, usiamo questi termini, l’acquisizione della poesiola, dell’uso che invece ha la telefonata all’amico per esempio, dunque questo rende conto della difficoltà nell’acquisire delle informazioni al solo fine di acquisirle. Se invece Eleonora incontrasse un fanciullino di straordinaria fattura, di grande eleganza e di squisita gentilezza, e se questo fanciullino le desse il numero del suo cellulare, ecco questo numero di cellulare rimarrebbe indelebilmente impresso in Eleonora molto probabilmente, così come si ricorderebbe tutti i dettagli della serata, non gliene sfuggirebbe nemmeno uno, tutte queste cose rimarrebbero impresse fortissimamente in Eleonora contrariamente alla poesiola che invece proprio non ci sarebbe verso di fargliela imparare. Banalmente si potrebbe dire che la vicenda con il fanciullino la interessa mentre la poesiola no, ed è vero, ma che cosa comporta che il fatto che una cosa la interessi così tanto? Perché ciascuno di questi dettagli che Eleonora memorizza come fosse un computer, ha uso formidabile, perché consente di costruire un discorso nel quale lei trova infinite conferme al fatto che il fanciullino in questione è, primo: interessato a lei, secondo: è innamorato già di lei follemente, terzo: la desidera al di là di ogni cosa, quarto: vivranno insieme felici e contenti e avranno tantissimi di figli. Non è del tutto così inverosimile che accada una cosa del genere, a una fanciullina in particolare, e cioè che da un minimo dettaglio si costruisca una scena che va avanti per tutta la vita fino alla vecchiaia. Certe volte basta un dettaglio, un frammento per partire con delle fantasie inimmaginabili, non soltanto nel caso dell’innamoramento, o questioni sentimentali, ma anche in altre situazioni, una cosa interessante in tutto ciò è come mai avviene che un dettaglio rimanga così fortemente impresso e delle volte rimane impresso per tutta la vita? Perché questo dettaglio ha la proprietà di “accendere” adesso la pongo in questi termini, infinite altre scene, immagini, film e quindi ha un’enorme utilità e per questo rimane impresso. Sappiamo anche come avviene questo fenomeno, perché “avere una grande utilità” significa avere un’infinità di connessioni con altre cose, e tutte queste connessioni sono quegli elementi che tengono vivo questo elemento, mentre la poesiola di prima non ha nessuna connessione con niente, se non con una noia mortale della quale uno magari vorrebbe anche disfarsi, non avendo nessuna connessione non soltanto non rimane ma non riesce neanche a stare lì dov’è, perché soltanto le connessioni mantengono vive le sequenze. Sappiamo che una sequenza che non ha nessuna connessione non è una sequenza, non è niente, tutte queste connessioni non soltanto tengono viva, tengono ferma quella sequenza, ma sono anche propriamente ciò di cui quella sequenza è fatta; una sequenza è fatta di connessioni, cioè ancora una sequenza è fatta di significati, il significato è una connessione, un rinvio è una connessione. Questo è l’insegnamento in buona parte della semiotica, e cioè che una certa sequenza sia fatta delle connessioni che intesse con altri elementi, con altre sequenze, e questo la dice lunga sulla questione del significato che adesso affrontiamo più sul versante semiotico che analitico. Posta la questione in questi termini, un elemento è quello che è unicamente per via delle connessioni che intesse con tutti quegli elementi ai quali è connesso. Una bella questione rispetto al significato, adesso parliamo di significati di proposizioni, non di termini, però all’interno di questa rete c’è la possibilità che anche il significato di un termine tragga il suo significato all’interno di quella combinatoria, dalla combinatoria in cui è inserito e dagli altri elementi con i quali intesse una relazione, e semioticamente funziona così, ed è per questo che a partire dalle proposizioni della semiotica la psicanalisi, per esempio, ha potuto intendere meglio ciò cui accennava Freud rispetto alle connessioni delle fantasie, i legami di fantasie con situazioni eccetera, perché la semiotica ha mostrato, o almeno ci ha provato, che un elemento è connesso, trae il suo significato, dalla combinatoria all’interno della quale è inserito ma anche dal significato che questa combinatoria, chiamiamola “proposizione”, dal significato che questa proposizione trae dalle altre proposizioni del discorso, della storia, della narrazione. A questo punto sorge una domanda: il significato di ciascuno dei termini che interviene in questa combinatoria viene modificato dalla combinatoria all’interno della quale è inserito e dal sistema narrativo all’interno del quale è inserita questa proposizione, oppure no? Quando facemmo l’esempio del “tavolo della trattative”, in questa frasetta molto semplice quindi facile da considerare, analizzare il significato di tavolo che tutti sappiamo quello per cui la parola tavolo può essere utilizzata e cioè piano orizzontale sostenuto da uno o più supporti, dicevo in questa frasetta “tavolo della trattative” il significato, chiamiamolo referenziale di tavolo si modifica, perché l’uso del termine “tavolo”, all’interno della frase “tavolo delle trattative” è differente dall’uso che ne fa il dizionario, e anche dall’uso referenziale intendendo con “referenziale” la cosa che la parola denota, perché in questa frase “tavolo delle trattative” può anche non venirmi in mente minimamente l’immagine del tavolo, né avere per me nessun riferimento alla cosa, cioè al tavolo, ma penso a un gruppo di persone che si riunisce per dirimere un contenzioso. In questa frase dunque l’uso della parola “tavolo” si modifica. Se poi questa frase “tavolo delle trattative” la inseriamo all’interno di un contesto più ampio, allora a questo punto la domanda è “qual è il significato – torno a dire – della parola “tavolo” inserita all’interno della proposizione “tavolo delle trattative” e inserita essa stessa all’interno di un contesto narrativo? La semiotica potrebbe recuperare il significato, però a questo punto interviene un’altra questione che rende le cose ancora più complicate, perché questo sistema narrativo all’interno del quale c’è la proposizione, all’interno della quale c’è la parola “tavolo”, viene letta da qualcuno, se no di per sé non c’è, è per questo che l’ermeneutica sottolineava il fatto che non c’è il testo ma c’è la sua interpretazione, cioè non c’è il testo ma c’è qualcuno che lo legge, il testo in quanto tale non c’è. Si potrebbe obiettare che si può far leggere il testo a un computer, ma il computer non sa cosa farsene finché qualcuno non gli dice cosa farne, e questo qualcuno che gli dice cosa farne è già lui colui che interpreta dicendo al computer cosa deve fare, a meno che i computer non siano programmati da altri computer, ma questa questione, non dico che non ci interessi, ma si complica e per il momento lasciamola da parte. Dunque dicevo c’è la persona che legge il testo e cosa avviene quando una persona legge il testo? Viene presa dal testo, dal romanzo, supponiamo che sia un romanzo, leggendolo costruisce lui delle scene, delle situazioni, tant’è che un lettore si configura una certa scena che viene descritta in un certo modo, mentre un altro lettore se la configura in un modo differente probabilmente. Quindi questa lettura che fa il lettore aumenta i significati, o più propriamente lì piega a seconda della sua storia che in qualche modo incide in ciò che sta leggendo, quindi viene modificato in parte il significato del sistema narrativo, il quale va a modificare il significato delle singole proposizioni, le quali vanno a modificare i significati dei singoli termini. A questo punto, torniamo al nostro tavolo, qual è il significato di “tavolo”? La filosofia analitica parzialmente ha previsto questa situazione, e cioè l’intervento di qualcuno che modifica il significato, però la questione è molto più complicata, perché parrebbe porre a questo punto il significato, o meglio la significazione, sarebbe più il caso di dire a questo punto, come qualcosa di totalmente soggettivo, personale, esclusivo. Se noi dovessimo o avessimo voglia di combinare la filosofia analitica con la semiotica a questo punto saremmo indotti a dire che il significato referenziale è quello, come abbiamo già detto, che consente l’uso di una parola, se no non la potrei usare, però ci sono delle eccezioni che rendono la cosa ancora più complicata. Può darsi il caso in cui io possa usare, anche correttamente, una parola senza conoscerne assolutamente il significato, così come accade delle volte quando una persona usa una frase in una lingua che non è sua, di cui conosce grosso modo l’uso, cioè sa come inserirla all’interno di un discorso, di una frase, ma non ne conosce esattamente la traduzione di tutti i termini, può accadere, in questo caso allora qual è l’uso referenziale? Dovremmo dire che non c’è? Ma se non ci fosse non sarebbe una parola. È un caso questo dove l’uso di una certa parola è debitore della proposizione all’interno della quale è inserita. Facciamo un esempio: la frase è americana, “american way of life”, lo stile di vita americano. Questa frase uno può usarla perché l’ha sentita dire e sa grosso modo cosa vuole dire questa cosa senza sapere esattamente cosa significhi in inglese “way. Questo è un caso in cui una persona utilizza una proposizione composta da singoli termini senza conoscere il significato, nell’esempio che vi ho fatto, di uno di questi termini, come dire che questo termine “way” all’interno della proposizione che lui usa non ha un referente, c’è un termine senza referente, questo termine è una parola? Ovviamente sì, ma è una parola senza significato referenziale? Una parola quindi che non ha nessun uso? Parrebbe di sì…

Intervento: il referente in questo caso è il contesto?

Sì, il referente è la proposizione stessa, però la descrizione di questa proposizione dovrebbe procedere dagli elementi della quale è composta, cosa che non è propriamente, perché almeno un termine manca, quindi a questo punto la domanda è: che cos’è questo elemento che interviene e che non ha nessun significato? Che interviene a costituire una proposizione che ha un significato ma lui non ha nessun significato, che funzione ha all’interno della frase? Nessuno, o ne ha qualcuno comunque? È come se questa proposizione avesse un uso unicamente per il suono, per il suono che ha, non per il significato dei termini che la compongono, cosa che succede molto spesso, per esempio tutti i segnali acustici hanno un significato? Certo che ce l’hanno, qualcuno strombazza dietro con la macchina e questo ha un significato, cioè levati di torno, quindi sembra che a questo punto il significato di un termine venga retroattivamente dall’uso della proposizione, cioè dal significato della proposizione poi retroattivamente si deduce l’uso di ciascun elemento in questo caso, in altri no, però tutto questo rende molto più difficile dare una definizione di significato in modo tale per cui per esempio possa dirsi che , come abbiamo detto, il significato ha un uso referenziale che è l’uso della parola e poi un uso inferenziale che l’uso che procede dalle altre proposizioni, dalle altre connessioni che questo elemento intesse con altre proposizioni, diventa tutto molto più complicato e dovremmo in qualche modo dipanare la matassa nel prosieguo, come dicevo a questo punto la cosa diventa molto più complicata perché per esempio l’uso di un segnale acustico. Un “bip” non è una parola, anche perché questo bip può variare di intensità, tonalità, di sonorità, mentre una parola non può cambiare.