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14-9-2011

 

Ci sono questioni intorno alle ultime cose che andiamo dicendo?

Intervento: ciò che mi appare sempre più chiaro e delineato, dopo gli ultimi incontri, è la questione del gioco della verità all’interno del discorso della persona, all’interno del linguaggio a costruire le direzioni come se il discorso occidentale viaggiasse su proposizioni autocontraddittorie, è come se fossero giochi trainati dall’operatore verità che nel discorso occidentale è una verità autocontraddittoria perché sono cose importanti, valori, verità extralinguistiche che giocano i ruoli e come se il discorso occidentale fosse favorito dalla contraddizione, ovviamente il discorso occidentale non essendo giunto a considerare l’unica necessità e quindi al linguaggio non ha altri strumenti che giocare cioè proseguire con quelle questioni che si pongono effettivamente fuori dal linguaggio cioè questioni autocontraddittorie …

Intervento: autocontraddittoria all’interno del gioco che fanno?

Intervento: il discorso occidentale è come se funzionasse a partire dalla contraddizione che ciascuna volta la verità costruisce perché non si sa nulla del linguaggio e la verità non è intesa come un operatore deittico che sposta le direzioni …

Intervento: non sanno nulla, all’interno del discorso che noi facciamo la contraddizione risulta e viene elaborata e riportata là da dove viene cioè al linguaggio …

C’è un non detto che il discorso occidentale si porta appresso, almeno da Parmenide in poi, quando Parmenide disse “l’essere è, il non essere non è”, da quel momento ha stabilito il principio di non contraddizione e l’identità di ciò che è e che deve essere assolutamente identico a sé: da quel momento sono incominciati i problemi. Questa identità non può essere provata così come non può essere provata la non identità o, e da questa posizione in effetti non si è più usciti, da Parmenide in poi si è rimasti lì, con delle varianti certo, nel corso di duemila e cinquecento anni qualche cosa si è detto però lì si è rimasti: non si può provare che le cose sono quelle che sono e non si può provare il contrario. È qui che sorge l’inganno che poi alcuni hanno rilevato, come Nietzsche, o come altri o la stessa semiotica, compreso De Saussure, l’idea è che qualche cosa non sia mai se stessa o comunque sia sempre mobile, sia sempre inafferrabile, ma permane tuttavia la necessità che sia afferrabile per poterne parlare, per poterne parlare deve essere quello che è, ma parlandone si mostra altro da sé, si mostra in continua mutazione, in continuo divenire, e come vi dicevo non c’è uscita da una cosa del genere. Questa è una sorta di pars destruens, e cioè la demolizione totale di qualunque certezza, di qualunque garanzia, di qualunque sicurezza permane se si pone la questione intermini ontologici: se si cerca la risposta da parte di un elemento di essere quello che è non potrà farlo mai, ciò che abbiamo inteso in questi anni è che non si tratta di affermazioni che procedono da una certezza ontologica, che riguardano l’essere della cosa, la ricerca dell’Essere ha costituito, a fianco di ciò che dicevo prima, una sorta di maledizione per gli umani da quando si sono cimentati con questa questione, la domanda da cui è partita la filosofia cioè “ti to on” “cos’è l’ente?” “cos’è questo?” per sapere che cos’è devo sapere di cosa è fatto, qual è la sua causa e qual è il suo principio, e quindi l’Essere, da qui la ricerca sull’Essere che tanto ha intrigato gli umani fino ad Heidegger praticamente. In questo modo si cerca di fare rispondere la cosa, si chiede all’ente di dire che cos’è, come se l’ente potesse rispondere del suo Essere, e non lo può fare e da questa via effettivamente non c’è nessuna soluzione. È per questo motivo che ci siamo accorti che le cose non potevano continuare ad andare in quella direzione, cioè di una ricerca che non aveva nessuna possibilità di riuscita: perché le cose sono quelle che sono? Non c’è un motivo, in duemila e cinquecento anni nessuno è riuscito a rispondere a questa domanda, certo Wittgenstein ha dato un notevole contributo, ed è da lì in buona parte che è partita la nostra riflessione, e cioè le cose sono quelle che sono perché così è stato deciso, deciso dagli umani, dagli umani che sono fatti di linguaggio e quindi è “stato deciso” tra virgolette dal linguaggio, e c’è stato di utilità riflettere sul funzionamento delle macchine, cioè del computer; il pensiero ha costruito il computer e il computer ci ha dato l’opportunità di riflettere su come funziona il pensiero visto che il pensiero le ha costruite, le ha costruite in un certo modo e ciò conduce all’intendimento del modo in cui il pensiero funziona. La macchina si comporta in un certo modo perché ha un’istruzione fatta in un certo modo e quindi segue quell’istruzione, e gli umani fanno esattamente la stessa cosa, ora tutto il problema dell’Essere, anche in questo Wittgenstein non aveva torto, è un falso problema, aveva ragione quando diceva “non esistono problemi filosofici, esistono problemi logici” e logicamente è possibile risolvere ciascun problema, certo non si è accorto che le cose potevano essere spinte ancora oltre intendendo il modo in cui il linguaggio funziona. Per esempio il problema dell’Essere è un falso problema nel senso che anche quando Heidegger giunge a dire che il linguaggio è la dimora dell’Essere perché è il modo attraverso cui l’Essere si manifesta, come dice lui, di fatto non si accorge che il linguaggio non è la dimora dell’Essere, ma è il linguaggio ciò che ha costruito l’Essere, ciò che l’ha inventato letteralmente e ponendo le cose in questi termini le cose cambiano radicalmente. Gli umani hanno cercato la risposta a qualche cosa non tenendo conto che quella cosa è costruita da ciò che gli consente per esempio di volere trovare qualcosa, infatti questo Essere si è sempre sottratto. È il problema della metafisica, per lo stesso Heidegger, a suo parere la metafisica che lui chiama anche ontoteologia immagina che l’Essere sia qualche cosa di stabile, di fermo, di fisso che si tratta di individuare, di cogliere, di afferrare e invece lui arriva buon ultimo sulla scia in parte anche di Husserl e quindi della fenomenologia, la fenomenologia è quella corrente di pensiero che può essere riassunta come il motto di Husserl, “alle cose stesse!” le cose stesse si manifestano per quelle che sono, ora Heidegger dicevo ha inteso che l’Essere non si manifesta per quello che è se non attraverso il manifestarsi, o meglio va cercato questo Essere in quell’ente che è quello che lo cerca, quello che lo cerca è l’uomo, il soggetto, lui non parla mai di persona, di uomo, parla di Esserci, l’Esserci non è altro che l’uomo in quanto gettato in un progetto in cui si trova, più o meno suo malgrado, e l’Essere non è altro che ciò che si manifesta in questo essere un progetto gettato, facendo delle cose, agendo storicamente perché ciascuno è sempre situato all’interno di un orizzonte storico ovviamente, se nasce per esempio nel 1900 anziché nel 1200 e cambia l’orizzonte storico, in questo trovarsi autentico progetto gettato si manifesta qualche cosa dell’Essere ma non si può dire l’Essere mai, perché se si dice l’Essere si dice un ente, lo si reifica, lo si oggettiva, cosa che non può accadere perché l’Essere non può essere un oggetto e quindi di fatto è impossibile dire l’Essere, ciò che si dice è sempre l’ente, sfugge continuamente, nel momento in cui si manifesta sfugge. Questo è esattamente ciò che diceva De Saussure rispetto al segno, diceva significato/significante, il significante è l’immagine acustica, potremmo dire la forma del suono, quando dico “leone” l’insieme di questi cinque fonemi costruiscono il significante leone, il suono leone, però questo significante ha un significato, quale? Potrebbe essere l’animale della savana, potrebbe essere tante altre cose in teoria, però nel momento in cui io dico il significato mi trovo in una posizione singolare perché dicendolo, pronunciandolo, io sto dicendo un significante. Da qui per esempio Lacan ha immaginato che dicendo un significante questo significante si trovi ad avere un significato che detto, è un significante che avrà un altro significato, costruendo quindi una catena segnica infinita, oltre al fatto che per De Saussure un significante non può esistere senza un significato e viceversa: se c’è un significante c’è un significato perché la parola leone di per sé, come suono, se non si riferisce a qualche cosa non è niente, d’altra parte un significato che non può dirsi, che non ha una sonorità, che non si manifesta in nessun modo non c’è, non è nulla anche se avevamo posto un’obiezione a questo. Pensate a un computer, riceve un’istruzione per esempio, un input questo input è un significato? Parrebbe di sì, dal momento che riconosce questo elemento, lo manipola, lo elabora, quindi per la macchina è un significato, significa qualche cosa tant’è che lo modifica, lo elabora eccetera ma non c’è nessun significante, non c’è nessuna immagine acustica. Questo è un problema perché ci sarebbe un significato ma non c’è nessun significante, ora potremmo anche porci la questione se sia ancora di qualche interesse parlare di segno in questi termini e cioè che la parola di fatto sia un segno e da qui tutta la semiotica ovviamente che nasce da lì, ma è proprio così che funziona? Un significante, un significato? Forse in parte, ma non necessariamente, come abbiamo visto per una macchina qualcosa è un significato perché lo manipola, lo adopera, lo riconosce come tale però non c’è nessun significante, e allora forse la questione è più prossima a quella che aveva posta Wittgenstein e che cioè il significato non è nient’altro che l’uso, l’uso che ne faccio, l’uso che mi trovo a fare in base, sì come diceva Heidegger, in base all’orizzonte storico in cui mi trovo, però di fatto è l’uso che ne faccio che definisce il significato. Prendete il dizionario, il dizionario potete intenderlo come una sorta di libretto delle istruzioni per usare il linguaggio, quando vado a vedere la parola leone “mammifero fatto in certo modo etc.” ecco, questo è il suo uso, non si riferisce a niente, è soltanto l’uso che se ne fa e un computer di fatto prenderebbe la cosa in questo modo, questo è il suo uso, ogni volta che c’è il “leone” lo uso in questo modo, poi la questione si può implementare e dirgli che leone non è sempre necessariamente quell’animale che vive lì e fatto in quella maniera, ma può anche essere usato in altre accezioni a seconda del contesto, come una metafora, può essere usato come un nome proprio di qualcuno che si chiama Leone, può essere usato in altri modi, basta fornirgli queste informazioni, informazioni che gli umani hanno perché qualcuno gliele ha fornite, non è che nascano così, gliele insegnano e gli umani le apprendono attraverso quelli che comunemente chiamiamo i cinque sensi, questi sono i modi in cui noi acquisiamo informazioni e queste informazioni vengono elaborate da dei circuiti logici che nelle macchine, abbiamo visto la volta scorsa, sono circuiti di transistor, gli umani non sono fatti di transistor ma hanno una rete neurale che funziona curiosamente allo stesso modo. I neuroni sono delle cellule, hanno una parte centrale, il soma, e poi hanno due parti, una riceve le informazioni e dall’altra escono: input, output, dendriti, assoni, si chiamano così, e quando lo stimolo supera una certa soglia ecco che l’informazione passa, funzionano come degli interruttori esattamente come i transistor, e queste informazioni vengono inserite all’interno di un circuito logico che le manipola, esattamente come fa un processore. Tutto questo ovviamente pone le questioni che gli umani si trovano ad affrontare da sempre in un modo totalmente differente, per esempio la questione dell’Essere che cosa “è” veramente? Che cosa è proprio di questa certa cosa? Cosa gli appartiene in modo necessario? Non ha nessuna portata per una macchina per esempio, perché la risposta al che cos’è? è “quello che mi hai detto che è” cioè l’informazione che ha, questo “è”, non è nient’altro, perché? Perché “sa” tra virgolette che tutte le informazioni che riceve sono soltanto informazioni appunto, e queste informazioni non hanno una ragione d’essere all’infuori di essere informazioni, mentre gli umani hanno cercato questa ragion d’essere al di fuori delle informazioni non sapendo che è un’informazione e quindi hanno cercato appunto l’Essere delle cose, ciò che le rende quelle che sono, ma ciò che le rende quelle che sono, sono le informazioni che le fanno esistere nel modo in cui le fanno esistere …

Intervento: quindi l’Essere è quello che l’uomo ha deciso che sia …

Si, tant’è che sono state date moltissime definizioni di Essere, è soltanto l’invenzione di un qualche cosa che dovrebbe rispondere alla domanda “perché le cose sono così come mi appaiono? Perché? Questa è la domanda intorno all’Essere, perché sono così?

Intervento: perché si parla ancora di inconscio?

Non è facile anzi, può apparire più difficile esporre cose del genere a qualcuno che ha già una sua dottrina che deve difendere piuttosto che a una persona che non ha nessuna dottrina a questo riguardo, una persona che sostiene l’esistenza dell’inconscio ha dei motivi per pensarlo ovviamente, oltre il fatto che l’ha detto Freud ma non solo questo, crede che ciò che ha detto Freud rispecchi una realtà in qualche modo, sia come stanno le cose, e cioè che se una persona dice una cosa al posto di un’altra non è solo uno sbaglio, un errore, ma una qualche altra cosa è intervenuta a farsi presente all’interno di questo discorso, una cosa che apparentemente magari non c’entra nulla, questa cosa che apparentemente non c’entra nulla ma è intervenuta da dove arriva? Per Freud dall’inconscio. Certo non è provabile l’esistenza dell’inconscio come non è provabile l’esistenza di dio, ma non per questo le persone cessano di credere in dio anzi, e allora il lavoro in questo caso è complicato perché si tratta di incominciare a interrogarsi ai fondamenti del proprio sapere, perché se non si mette in discussione questo si continueranno a ripetere all’infinito sempre le stesse cose. Come faccio a sapere che esiste l’inconscio? È una affermazione che ha la struttura di un’affermazione religiosa, cioè non posso provarlo però credo che sia così, anche il religioso ha dei motivi per pensare all’esistenza di dio: perché esiste il creato, se non ci fosse dio che l’ha creato non esisterebbe, anche questa è una argomentazione, squinternata ma è un’argomentazione e poi c’è una sorta di ordine nelle cose, nel creato, anche questo potrebbe essere, e per taluni lo è, una manifestazione della presenza di dio, poi ci sono dei problemi la questione del libero arbitrio, della teodicea, cioè del bene e del male rispetto a dio, problemi un po’ complicati, come fa dio a volere il male? Perché c’è un disegno più ampio e tutte le varie storie che ci vengono raccontate, però una fede funziona così, cioè si basa su alcuni indizi e poi stabilisce che le cose sono così e da quel momento è così, perché una volta che sia acquisita, sia costruita questa convinzione tutto ciò che accade non è che mette in discussione questa cosa, ma la conferma continuamente perché viene piegata in quella maniera e quindi sono tutte conferme di questa cosa che lui ha intuito e quindi sono i fondamenti di questo sapere che bisogna mettere in discussione, cosa che è molto complicata perché una persona cercherà sempre una scappatoia …

Intervento: ma questo anche nelle nevrosi …

Il funzionamento è sempre lo stesso, una persona che torna dieci volte in casa per vedere se è chiuso il gas, non ha forse buone ragioni? Se lo ha lasciato aperto succede il finimondo “quindi ho ragione di controllare” …

Intervento: sarebbe più giusto dire che non è il significato che si da ma è l’utilizzo …

Sì, l’utilizzo è il funzionamento del linguaggio, è il linguaggio che costringe all’utilizzo, cioè un elemento che conclude in una certa maniera deve produrre altre proposizioni, sì la volontà di potenza è quella che aveva intuito Nietzsche, in fondo gli umani vogliono possedere l’Essere per una volontà di potenza”, per potere dominare, ma questo fino dai tempi di Platone. È sempre una questione di potere, questo Nietzsche l’ha inteso benissimo. Dunque intendere l’uso di qualche cosa, l’uso definisce il significato che è l’uso, sono la stessa cosa, per cui questo significato non è che se lo dico allora dico un’altra cosa, no, semplicemente mi attengo alle istruzioni che ho, posso stabilire che quello è il significato ultimo necessario? Questa domanda non ha nessun senso, vi facevo l’esempio la volta scorsa delle carte da gioco, posso chiedere giocando a poker a un Re di cuori perché ha un valore maggiore di un sette di picche? Se potesse mai rispondere direbbe “perché così è stato deciso”! È stato deciso per fare questo gioco.

È difficile, anche se detta così può sembrare semplice in realtà non è facile accorgersi di una cosa del genere, la ricerca dell’Essere è presente sempre e ovunque, perché cercare l’Essere dopo tutto? Per poterlo manipolare come diceva Heidegger, ciò che interessa l’uomo è potere conoscere, manipolare, elaborare, per questo la metafisica si è consegnata come dice lui, alla tecnica, e la tecnica sta facendo esattamente questo per cui la metafisica scompare e si trasforma in tecnica. Intervento: quello che diceva Severino …

Sì, Severino riprende Heidegger, ma la questione è posta differentemente, Severino è critico nei confronti di Heidegger, ma la filosofia ci interessa molto poco, interessa unicamente per lo sforzo immane che ha fatto per individuare qualche cosa che di per sé non è mai esistito, come dicevo, il linguaggio non è la dimora dell’Essere, il linguaggio è ciò che ha costruito l’Essere, è ciò che lo ha inventato, e a seconda delle filosofie è stato utilizzato in un modo oppure in un altro …

Intervento: però la realtà perché non è mai stata presa in considerazione come essere?

La realtà può essere vista da qualcuno in un modo oppure in un altro, l’Essere per definizione deve essere quello che è, perché se no non è più l’Essere, è un ente. Da qui il problema del divenire: come accade che qualche cosa viene dal nulla e torna al nulla, perché per divenire a un certo punto non è più quello che era ma non è ancora quello che sarà, quindi in questo momento è un qualche cosa che non è, in un certo senso, il problema del divenire ha costituito un grosso problema per Parmenide per esempio, perché se l’Essere è, e il non essere non è, in mezzo non c’è possibilità di niente, quindi non c’è nessuna possibilità del divenire, eppure le cose divengono, come così ciascuno può osservare e allora Parmenide l’ha risolta dicendo che è un’illusione, Severino invece dice: se noi diciamo che A diviene B, qui c’è la A e qui c’è una B e c’è il divenire di A a B, però per divenire B occorre che delle cose in A scompaiano a un certo punto perché altrimenti rimane A che non è B, ora questo A a un certo punto diventa B quindi A = B ma B non è A quindi se io sostituisco B con non A allora A = non A, e il principio di non contraddizione dove lo mettiamo? Quindi non può darsi che A sia uguale a non A, quindi non c’è divenire, ci sono gli Eterni come li chiama lui, ma questo è un altro discorso. Tuttavia il suo ragionamento muove da una premessa su cui si regge tutto il suo discorso che è discutibile, dice infatti: questo tavolo appare; qualcuno potrebbe dire che questo tavolo può apparire come non questo tavolo? Tutti quanti istintivamente rispondono di no, se questo tavolo appare, appare come questo tavolo, non può apparire come non questo tavolo, ma siamo proprio sicuri che sia proprio così? Occorre avere la certezza che questo tavolo sia questo tavolo, e cioè che A sia identico ad A, che poi non è neanche così, è ancora più complicato perché il tavolo non è una A, è un’altra cosa ancora, come può dimostrare che ciò che appare come questo tavolo sia effettivamente questo tavolo? Non lo può fare se non attraverso un atto di fede, e quindi la premessa su cui si regge l’argomentazione di Severino è piuttosto discutibile. È possibile mostrare che A = A ed è possibile mostrare che A non è uguale ad A, perché è possibile fare tutto questo? Perché tecnicamente non dovrebbe essere possibile fare una cosa del genere, mostrare che una cosa è se stessa ma anche che non lo è, se è una cosa è quello che è, come diceva Parmenide “l’Essere è e non può non essere, e il non essere non è” perché invece è possibile fare questo? La risposta in realtà è molto semplice, perché si suppone che questa uguaglianza A = A sia qualcosa di naturale, di ontologico, fuori dal linguaggio, quindi non una decisione, un’istruzione, e non ponendola come un’istruzione ma come una realtà metafisica, deve potere essere dimostrata ma questo non lo si può fare perché un’istruzione non può provare di essere vera, se io stabilisco una certa cosa non posso dimostrare che è così, come faccio a dimostrare che l’asso di picche vale di più del Re di cuori? Non c’è una dimostrazione, è una decisione, per potere giocare ho stabilito questo, ma chiedersi se esiste un motivo aldilà di questo che trascende le regole del gioco è una stupidata, non c’è nessuna risposta, ed è per questo che io posso mostrare che A è identico ad A e mostrare che A è differente da A, sapete come si fa? Se io dico che A = A cosa sto dicendo? Mettiamo che lo scriva A = A allora è necessario che entrambe queste A, per essere identiche, abbiano tutte le stesse proprietà sia l’una che l’altra, allora posso dire che sono identiche, perché se non hanno le stesse proprietà sono diverse. Ma una è a sinistra e l’altra è a destra, questo lo diceva già Peano, quindi c’è almeno una proprietà che non hanno in comune quindi non posso scrivere A = A ma devo scrivere A ≠ A. Ma posso mostrare invece che A = A, perché se A non fosse uguale ad A sarebbe un’altra cosa e quindi non sarebbe A, quindi non potrei neanche scrivere A, per potere dire A occorre che A sia A, se fosse altro (è la questione della differenza di cui abbiamo detto in varie occasioni), se A è differente da A non posso neanche pronunciarla, non posso dirla, non posso farne niente, e non posso neanche dire che è differente o che è identica, quindi deve necessariamente essere identica a sé. Però mostrando che A è identico ad A e A è differente da A non abbiamo fatto niente di ché, abbiamo soltanto utilizzato il fatto che se un elemento è immaginato fuori dal linguaggio allora posso dargli qualunque significato, posso farne tutto quello che voglio: se gli do l’istruzione di essere uguale a sé, ma non so che è un’istruzione e penso che lui debba esserlo necessariamente, non potrò mai provarlo, se invece tengo conto che io gli ho detto “tu devi essere A” e lui dice “va bene” e viene utilizzato come una “A” allora ogni problema scompare. È per questo motivo che i connettivi nella logica sono invarianti, la “e” deve essere una “e”, e il “non” non può essere un’altra cosa, non può essere una congiunzione o una disgiunzione, deve essere quello che è se no non si costruisce niente, è una necessità logica …

Intervento: se A avesse tutte le proprietà, nessuna esclusa dell’altra A, la A sarebbe una sola non potrebbe darsi nessuna differenza, quindi nessuna domanda …

Quando ci si pone la questione che un elemento debba essere se stesso per se stesso necessariamente, allora incominciano i problemi, e cioè quando un elemento anziché sapere che è quello che è per una decisione si immagina che sia quello che sia in base a qualche cosa che appartiene a lui: l’identità è quella dell’Essere che è necessariamente identico a sé però è una costruzione, in realtà non può provarlo, tant’è che non l’hanno mai fatto naturalmente, l’escamotage è stato quello inventarsi l’Essere, l’Essere è ciò che deve essere identico “questo è un accendino” l’Essere dell’accendino deve essere identico a tutti gli accendini del mondo passati, presenti e futuri, e deve essere sempre e necessariamente quello. Se non si intende che è un comando, il fatto che questo sia un accendino, si va a cercare qualche cosa che invece appartenga necessariamente al di fuori del linguaggio a quell’accendino, e non si troverà mai l’elemento che lo garantisca si troverà un processo infinito …

Intervento: da parte del pensiero la necessità di una identità, il pensiero deve inventare un concetto di identità altrimenti il discorso non poteva proseguire …

Questa ricerca non è stata una pura e semplice ricerca della verità, mossa da interesse prettamente intellettuale, è stato un interesse economico, politico, di potere per dirla in una parola, se so come è fatto esattamente qualche cosa lo posso utilizzare, lo posso manipolare, posso utilizzarlo a mio vantaggio, ma devo sapere che cos’è, come funziona. Prendete l’elettricità, finché gli umani stavano lì ad osservare i fenomeni elettrici come i fulmini e cose del genere, ne erano solo spaventati, a un certo punto hanno incominciato a chiedersi come funziona per potere utilizzare questa potenza, e quindi hanno incominciato a chiedersi che cos’è, come funziona …

Intervento: potrebbe essere il nostro discorso … finché non conosci il linguaggio puoi esserne spaventato, puoi esserne … ma conoscendolo ecco che lo puoi utilizzare …

Sì certo, sì lo si può agire sicuramente. Ecco, sono le questioni di cui intendo parlare, certo nel modo più semplice possibile nelle conferenze, però è questo il passaggio perché nei primi due interventi parlerò della parola, del linguaggio, della priorità della parola, come non ci sia nulla prima della parola perché non c’è un qualche cosa che possa dire la parola prima della parola, in questo senso originaria, e quindi intendere come funziona, come si articola. Poi intendere come dalla psicanalisi, cioè da qualche cosa che rappresenta ancora il mito, si giunga alla scienza e cioè si passa dal mito, quindi dal dubitabile, all’indubitabile. In fondo del mito si dubita, gli uomini sono nati dalla testa di Giove? Mah, è dubitabile, il mito è una storia ma è dubitabile, è avvenuto con Parmenide il passaggio dal dubitabile all’indubitabile, cioè all’incontrovertibile, o almeno ci si è provato, in questo caso ci siamo riusciti, si passa dal dubitabile cioè dal mito, dalla psicanalisi che afferma delle cose senza poterle provare, si passa alla scienza effettivamente. La parola verità in greco ha tre accezioni, la alètheia, che sarebbe il disvelamento, il manifestarsi di qualche cosa, il venire alla luce di qualche cosa, orthotes invece è la correttezza, l’adæquatio rei et intellectus, e da ultima l’episteme, cioè la certezza scientifica, una verità argomentata e dimostrata. Questa ultima è sempre stata un problema, si argomenta e si dimostra sempre all’interno di un certo gioco, e la dimostrazione è valida soltanto all’interno di quel gioco. Però è possibile fare qualcosa di più, cioè costruire quella teoria perfetta che muove da un sillogismo inesorabile, che tiene conto unicamente di ciò di cui è fatto, e cioè di linguaggio e delle sue istruzioni, dopo tutto abbiamo dato della parola la definizione migliore che si possa dare, e cioè l’esecuzione di istruzioni, queste istruzioni sono il linguaggio, non credo che si possa fare di meglio, così come la nozione di esistenza e di nulla che per millenni ha travagliato i filosofi, l’esistenza non è altro che l’appartenenza al linguaggio, e il nulla la non appartenenza al linguaggio.