14-9-2006
Allora c’è qualcuno che ha qualcosa da dire, da leggere?
Forse Nadia, che la volta scorsa aveva accennato a Wittgenstein… che cosa di
Wittgenstein?
Intervento: Della
Certezza… poi ho letto i Corsi del 95 – Luciano Faioni –
Allora si considerava che porre una domanda, per il solo
fatto di averla posta comunque fosse un’apertura verso varie questioni, non
necessariamente verso una soltanto, certo detta così non significa molto, se
sia più importante la domanda, l’attesa, o la risposta? Che cosa importa? E che
cosa ci chiediamo quando ci chiediamo che cosa importa? Ecco che torna la
domanda, la domanda fondamentale, ma lo è soprattutto quando è rivolta su se
stessa e cioè su che cosa sto chiedendo e a quali condizioni chiedo qualcosa? E
soprattutto che cosa mi attendo da questa domanda? Ché ciò che accoglierò come
risposta, qualunque cosa sarà, non sarà casuale. Generalmente la risposta viene
compresa nella domanda, ma in accezione particolare e cioè che accoglierò un
qualche cosa come risposta a una domanda se questa risposta si adegua alle
regole del gioco dalle quali è partita la domanda, la domanda vincola, limita
un certo numero di risposte, tant’è che se io chiedo che ore sono e rispondo
che è brutto tempo e che piove ecco che la risposta non è stata adeguata al
gioco che facevo, alla domanda; ma ecco la domanda, se ci poniamo una domanda
intorno alla domanda e cioè perché stiamo domandando, a che scopo, già la
questione si fa più interessante, uno potrebbe dire: per ottenere una risposta,
sì certo, ma perché voglio una risposta? Questo sposta solo la questione,
perché gli umani domandano continuamente? E di che cosa è fatta una domanda? Perché
vogliono una risposta? Non sempre e non necessariamente, alcune domande, per
esempio, non esigono nessuna risposta, come le domande retoriche, non la
esigono perché la danno come già acquisita in un certo senso, come se
domandassero per niente, però non è per niente, sottolineano che la risposta è
necessaria ed è quella che vuole il retore, ovviamente. Ma se si considera
attentamente la questione e cioè ci si chiede da dove viene una domanda, si può
considerare che viene dal linguaggio, come se il linguaggio, stabilito un certo
elemento, avesse l’esigenza di raggiungerne un altro, la domanda è sempre domanda
di elementi linguistici, qualunque risposta in fondo è fatta di quello e allora
verrebbe da considerare che il domandare fa parte del linguaggio, cioè è il
linguaggio che domanda, e che cosa domanda il linguaggio? Domanda altri
elementi linguistici, altre proposizioni, altri discorsi, più che domandare lo
esige, poi la cosa si configura in vari modi, però perché gli umani domandano cose,
a che scopo? In realtà non c’è nessun motivo se non quello di continuare a
dire, a fare, a pensare, anche nel caso più banale, domando una cosa perché mi
serve per farne un’altra, e perché devo fare quell’altra? Se andiamo avanti
lungo questa via ci si trova di fronte all’ultima domanda e cioè perché gli
umani vogliono vivere, quando arrivate a fine corsa, alla fine c’è la domanda
di continuare a vivere, e perché gli umani vogliono continuare a vivere? Che
cosa ci stiamo chiedendo chiedendoci questo? In fondo qual è l’obiettivo ultimo
del nostro dire, del nostro discorso ed è anche la risposta alla domanda
precedente, cioè perché gli umani vogliono vivere: per continuare a parlare, il
linguaggio li costringe a continuare a vivere perché c’è ancora da dire, ancora
da parlare. Se non esistesse il linguaggio in realtà gli umani non avrebbero né
desiderio di vivere, né di non vivere, non avrebbero nessun desiderio, non
possiamo neanche dire che la cosa sarebbe indifferente perché per essere
indifferente occorre che ci sia comunque una valutazione e questa valutazione
non potrebbe esserci quindi sarebbe niente. Però in alcuni casi invece la
sospensione della domanda può essere utile, per esempio in una conversazione
analitica, dove anziché trovare immediatamente la risposta, mentre
l’analizzante sta parlando e cerca immediatamente la risposta, lasciare invece
che la domanda rimanga in sospeso, questo può dare l’opportunità di incontrare
altre risposte oltre a quella che suppone di avere trovata e quindi come
dicevamo tempo fa accorgersi che da un certo elemento, da una certa questione è
possibile trarre altre risposte o altre conclusioni, in fondo la risposta è una
conclusione. Wittgenstein si è posto un certo numero di domande ma non ha
potuto rispondere a buona parte di queste, anche lui come molti filosofi, del
linguaggio in questo caso, si è posta una questione e cioè da dove vengono i
giochi, perché si continua a giocare? Dopo avere considerato che qualunque cosa
è un gioco in quanto è vincolato da regole, a questo punto si ferma, si ferma
perché non ha avuto l’occasione, l’opportunità di considerare quale fosse la
condizione di ogni gioco, che cosa desse a ciascun gioco la sua esistenza e
cioè quella struttura che chiamiamo linguaggio senza la quale non si può
giocare. In effetti, è questo che è mancato a buona parte dei filosofi…
Intervento: Wittgenstein
di linguaggio… sembra quasi che il linguaggio è il modo in cui il gioco si
struttura più che la condizione…
Sì, analizzando il modo in cui avvengono i giochi, certo
arriva molto prossimo alla questione, si accorge che il linguaggio è
fondamentale e che tutto avviene attraverso il linguaggio, ma non ha compiuto
il passo successivo e cioè applicare a ciò stesso che andava considerando le
sue stesse considerazioni, e cioè che questa ricerca che stava compiendo poteva
avvenire unicamente attraverso il linguaggio dal quale quindi era condizionata
e pilotata. E lui invece come pone la questione della domanda? Quale sono state
le sue riflessioni a questo riguardo? Visto che si è posta questa questione ci
avrà pensato…
Intervento: ho proprio
cercato di avere delle risposte…
E le ha ottenute?
Intervento: qualcuna… però
la sospensione la vedo come una possibilità di darsi risposte…
Talvolta affrettarsi a trovare la risposta non è la via
migliore perché ci si accontenta di una risposta che in quel momento appare la
più verosimile, e a quel punto si smette la ricerca perché si è trovata una
risposta, e quindi si è soddisfatti mentre invece la questione poteva essere
condotta ben oltre…
Intervento: sì però
deve soddisfare la risposta che uno si dà…
Certo, deve soddisfare però ci sono molti modi per
soddisfarla, per esempio alla domanda “chi ci ha creati?” molti rispondono
“dio”… per la sua estrema bontà perché essendo bontà, virtù e, non so quali
altre cose infinite. Ma ecco il colpo di genio della religione: è stato
costruire una specie di firewall, di sbarramento, dicendo che porsi domande
rispetto a dio è segno di malafede e quindi se è credente allora non deve porsi
domande…
Intervento: prima Nadia
parlava di sospensione e a me veniva in mente la sospensione del giudizio –
scettici… il soffermarsi sulla domanda per mantenere questa sospensione è anche
per un certo motivo per il modo in cui si formula la domanda è già un giudizio,
perché si danno per acquisite cose, la sospensione della domanda non è il trattenersi
dal rispondere una volta per tutte, ma c’è anche un modo per soffermarsi sulla
domanda e intendere che cosa ha funzionato a far sì che quella domanda si
combinasse in quel modo, la domanda se dio esiste una persona molto credente
non se la pone o se se la pone ha già la risposta immediata…
In una analisi l’analista ha a che fare per molto
tempo con delle opinioni, cioè le cose cui una persona crede, sono le cose che
sa cioè che crede di sapere e possono essere molto forti le opinioni e anche
molto difficili da modificare, ché le proprie opinioni sono quelle che
costituiscono il bagaglio di una persona, le cose di cui vive e che per la
persona non sono tanto opinioni, sono cose vere…
Intervento: faceva una
domanda connessa a Verdiglione e con la domanda connessa alla pulsione come una
delle istanze più proprie dello psichico…
La pulsione, sì certo, la pulsione nella teoria di Freud
è uno dei cardini su cui si regge tutto, lui sosteneva che esiste in ciascuno
una pulsione verso qualche cosa, la pulsione sessuale è una di queste, e non è
neanche una delle più tenui, talvolta è potente… ma nel ‘95 già si stava
delineando un’altra direzione, cioè la questione del linguaggio cominciava a
diventare prioritaria, erano gli anni in cui ci si era accorti che le varie
teorie dalle quali eravamo partiti erano sostenute da affermazioni, da premesse
arbitrarie, cioè non provabili così come per esempio quella di Freud per quanto
sia stata seguita e a tutt’oggi è abbastanza seguita, cionondimeno ciò su cui
si fonda è arbitrario, così come la teoria di altri ovviamente ai quali ad un
certo punto appare che le cose stiano così e quindi su questo viene costruito
tutto un edificio notevole, però pare che sia così, e se così non è? C’è anche
questa eventualità, da qui l’esigenza come sa di costruire qualcosa, un pensiero
che non fosse fondato su un atto di fede ma su qualcosa di necessario, ecco che
a questo punto ci siamo posti delle domande le quali esigevano una risposta, la
prima fu: è possibile costruire un pensiero che non sia fondato su un atto di
fede? Certo allora non lo sapevamo ancora se fosse possibile oppure no, però la
risposta ad un certo punto è venuta ed è stata “sì, è possibile” è possibile
prendendo a fondamento ciò stesso che è la condizione di qualunque pensiero,
quindi di conseguenza di qualunque teoria. In quel caso, vede, non sapevamo
esattamente che cosa avremmo trovato, però come abbiamo fatto a riconoscere la
risposta quando l’abbiamo trovata? Anche questa è una questione che forse ho
affrontata nello scritto sulla grammatica della logica, perché non qualunque
cosa viene accolta come risposta. Consideri questa domanda: se esiste qualcosa
che possa essere fondata su una certezza anziché su un atto di fede, intanto
occorre, quando si muove in ambito teorico definire i vari elementi, che cos’è la
certezza? In ambito teorico questa certezza occorre che non sia affatto
soggettiva, deve essere universale, e cioè deve essere qualcosa che sia
necessario, la certezza ha a che fare con il necessario e il necessario è ciò
che è e che non può non essere, perché se non fosse allora non sarebbe né
quello né qualunque altra cosa, se tu prendi questa come definizione hai una
buona definizione, abbastanza potente, quindi trovare qualcosa di necessario
che dovesse rispondere a questo requisito, che necessariamente dovesse essere
così com’è. Ora dopo avere compulsate tutte le varie teorie, tutte queste
teorie avevano a fondamento un atto di fede, cioè qualcosa che era arbitrario,
cioè non necessario perché non rispondeva a questa definizione in quanto se io
avessi modificato le premesse di una teoria, sì certo avrei modificata la
teoria ma non avrei impedito di continuare a teorizzare mentre con il
linguaggio, se io modifico o tolgo il linguaggio non tolgo soltanto le
fondamenta di questa teoria, tolgo la possibilità stessa di pensare, quindi di
teorizzare, quindi di costruire qualunque teoria, ecco perché è necessario, e
quindi abbiamo stabilito che quella fosse la risposta, perché era coerente con
la premessa da cui siamo partiti e cioè che dovesse essere qualcosa di
necessario, necessario nell’accezione che ho indicata prima cioè che non
potesse non essere perché se non fosse allora non sarebbe né quella né nessun
altra cosa, e la sola cosa che rispondeva a questo requisito era il linguaggio,
ecco perché l’abbiamo presa come premessa maggiore di qualunque deduzione.
Compiuto questo, a questo punto si trattava soltanto di costruire tutte le
possibili implicazioni, lavoro che stiamo ancora facendo, che muovessero da
tale necessaria premessa. Che virtù ha il necessario rispetto all’arbitrario? In
ambito teorico ne ha una, anzi più di una, intanto non può essere confutato, in
secondo luogo offre la possibilità di appoggiarsi a qualcosa che risulti fermo,
solido, determinato anziché appoggiare su un’opinione che vale quanto la sua
contraria, in fondo tutto ciò che afferma Freud per esempio, o qualunque altro,
vale quanto la sua contraria in ambito logico, poiché non è provabile. Che cosa
vuole dire questo Eleonora? È semplice, io stabilisco che scientifico è ciò che
corrisponde a certi canoni, ciò che non risponde a questi canoni non è
scientifico, e quali sono i canoni? Nell’ambito della scienza in modo
particolare la riproducibilità di un fenomeno in qualunque situazione, da
qualunque persona, in qualunque circostanza e in qualunque luogo, per esempio
prendi la legge di gravità, questo fenomeno è riproducibile da chiunque, da un
bambino, da un adulto, da un prete, da uno scienziato, da un matto, chiunque
prenda questo accendino e lo lasci cadere, l’accendino cadrà, cioè questo
fenomeno è riscontrabile, è provabile in qualunque circostanza da chiunque e
allora se soddisfa questi requisiti si dice che è scientifico se no, no. Ma questi
requisiti, stabiliti dagli umani riguardo alla scienza sono necessari o sono
arbitrari? Se sono necessari devono poterlo provare di esserlo, se no sono
arbitrari e cioè è un gioco, esattamente così come si stabilisce che due assi
battono due jack nel gioco del poker…
Intervento: cioè fuori
da certe regole non esistono…
Certo, anche perché uno dei criteri fondamentali della
scienza è l’osservazione, criterio che non è necessario che sia, è un criterio
al pari di qualunque altro, se io stabilisco come criterio l’osservazione
allora inferisco una serie di cose, se invece come per esempio facevano i Greci
prima di noi non affido all’osservazione la priorità, allora mi affido alla
deduzione, a seconda dell’umore del momento gli umani hanno scelto vari criteri.
Per questo è stata, ed è a tutt’oggi una delle più frequenti obiezioni che ci
vengono rivolte, il fatto che l’osservazione non costituisca di per sé un
criterio universale e assoluto ma sia un gioco arbitrario al pari di qualunque
altro, perché ciascuno è stato addestrato a pensare in questo modo, così come
mille anni fa ciascuno era addestrato a pensare che ciascuna cosa esisteva per
la volontà di dio e a nessuno veniva in mente di porre in discussione una cosa
del genere, e anzi chi lo faceva veniva bruciato… poi quali altre questioni
vuole sollevare?
Intervento: la premessa
della certezza…
Lei è disposta a sottoscrivere questa affermazione di
Wittgenstein? Oppure no? La condivide o la avversa? La condivide. Lei come
definirebbe il senso comune?
Intervento: quello che
è immediato…
Il senso comune è fatto di una serie di credenze, di
certezze in molti casi che poco hanno a che fare con la sensazione immediata,
per esempio il fatto che i figli debbano amare i genitori o viceversa, fa parte
del senso comune, questo non viene da una sensazione immediata ma viene da una
serie di ragionamenti che nel corso degli anni sono diventate tradizioni,
luoghi comuni, e in quanto luoghi comuni sono le cose accettate perlopiù dai
più, questo è il luogo comune, e il senso comune invece è il frutto di
considerazioni che sono sfociati in certezze, queste certezze poi sono state
formalizzate nei luoghi comuni, cioè oramai non interrogano più perché in quanto
luoghi comuni tutti lo sanno. Fondarsi sul senso comune in ambito teorico è
problematico appunto perché per il senso comune la verità procede dai sensi
tendenzialmente, dalla percezione, oppure anche deduttivamente, però è una
deduzione tronca, in realtà la premessa maggiore, quella che dovrebbe reggere
tutto non c’è mai, quella che dovrebbe garantire di ogni cosa, la struttura è
quella che tempo fa indicavamo come entimema, vale a dire un sillogismo tronco
in cui manca la premessa maggiore generalmente o la minore, ciò che dovrebbe
reggere tutta l’argomentazione non c’è, si tace. I proverbi hanno questa
struttura. Considera il proverbio “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo
zampino” questa è un’inferenza, cioè se la gatta va verso il lardo allora ci
lascia lo zampino, questa inferenza per essere vera deve muovere da una premessa
maggiore che risulti certa, sicura e cioè occorrerebbe che tutti i gatti che
vanno verso il lardo lasceranno lì lo zampino, tutti quelli che sono stati,
tutti quelli che sono e tutti quelli che saranno, soltanto così la premessa
maggiore è assolutamente certa, mentre non è così e quindi questa premessa
maggiore, siccome non può in nessun modo essere accertata né provata viene taciuta.
Dunque il sapere comune ha la struttura dell’entimema, ignora la premessa
maggiore, compresa la scienza che invece pontifica su ciò che è scientifico
oppure no, perché l’osservazione non dà nessuna garanzia di verità, è soltanto
una regola…
Intervento: a proposito
del discorso scientifico direi che l’osservazione è superata, insomma non è più
così determinante come lo era, in astronomia non si parla più di osservazione,
con il telescopio si arriva fino ad un certo punto e non si va più avanti,
interviene per esempio la matematica e quindi un processo che non è più
empirico ma è un processo deduttivo, a me interessa moltissimo la questione
della matematizzazione, anche nel campo psicologia evidente nel campo della filosofia
della mente in cui si fa molto ricorso alla logica, il tentativo qual è? Quello
di potere matematizzare, di potere stabilire delle regole che siano
matematicamente in qualche modo controllabili, che siano deducibili
matematicamente come se il fatto che siano deducibili matematicamente fosse in
un certo senso la certificazione che quelle regole sono un qualcosa di vero. Mi
interessa moltissimo anche nel campo dell’economia, l’econometria nasce come
disciplina che si affianca all’economia e cerca in qualche modo attraverso a
dei modelli matematici di stabilire o di poter in qualche modo fare il verso
alla scienza nell’immaginare o nel poter prevedere i cicli economici o cose di
questo genere ma sempre con l’assunto che con l’applicazione della regola
matematica corretta a questo punto sia una sorta di certezza, che non è
assoluta ma destinata ad essere messa alla prova dei fatti…
Proprio Wittgenstein aveva considerato questo: quando
compiamo questa sequenza di operazioni matematiche o logiche e arriviamo fino
all’ultimo elemento, cioè la conclusione, e vediamo che è corretta, che cosa ci
garantisce questo? Che abbiamo travato la verità? No, dice lui, soltanto che
abbiamo eseguito correttamente i passaggi…
Intervento: come dire
che la matematica ha l’ultima parola se è matematicamente corretto è vero…
È una superstizione…
Intervento: posso
stabilire che esiste una galassia o un buco nero perché è stato stabilito cioè
è matematicamente controllato che è così…
Intervento: non
solo nel campo scientifico se si legge un testo di logica che tratta con
proposizioni non per il contenuto ma la loro forma e quindi per il loro gioco
all’interano di una sequenza anche in quel caso lì, il logico che sa che il
contenuto di qualsiasi proposizione serve per la sua forma ecco questo
personaggio non può trarre quella conclusione per cui qualsiasi cosa trova la
sua condizione all’interno di una struttura, il linguaggio un sistema
inferenziale non può farlo, perché non lo può fare? Wittgenstein lui stesso non
è riuscito nonostante i giochi linguistici e tutto quello che è riuscito a
fare…
Ha inteso che questi passaggi per quanto corretti non
garantivano niente, però certo lì si è arrestato, dopo questa considerazione…
Intervento: talvolta si
crea una sorta di gioco che in qualche modo si avvera… si costruisce un gioco
che in qualche modo si era previsto, come se io costruendo una certa cosa poi
costruisco anche il percorso che fa sì che questa cosa si realizzi…
Già, e quando si è cercato di dare dei fondamenti alla
matematica costruendo quella dottrina nota come metamatematica, si è dovuti
ricorrere alla logica per dare un fondamento alla matematica e cioè a che cosa
esattamente? Al modo in cui si pensa, in fondo le regole matematiche riproducono
il modo di pensare, non fanno nient’altro che questo, né potrebbero fare
altrimenti.