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14-9-2004

 

Intervento: pongo una domanda in merito alla mia conferenza sulla dipendenza dalla psicanalisi. Voglio sapere della dipendenza dalla psicanalisi…

La dipendenza dalla psicanalisi è un luogo comune, l’idea è che una persona da sola non sia in condizioni di farcela e quindi abbia bisogno di qualcuno che lo supporti, però a questo punto il supporto che trova in questo qualcuno diventa irrinunciabile e non riesce più a cavarsela da sola. Questa è la fantasia che interviene rispetto alla dipendenza dall’analisi, in realtà non c’è nessuna dipendenza, più di quanto non ce ne sia da qualunque cosa, se una persona vuole dipendere da qualcuno o da qualcosa troverà sempre e comunque il modo di dipendere, cioè di pensare che senza quella certa cosa non riuscirà a cavarsela, è una fantasia come un’altra, però è abbastanza diffusa. Nei confronti della psicanalisi molte persone temono proprio una cosa del genere, che se iniziano l’analisi poi dipenderanno dallo psicanalista. Questo titolo è l’occasione per mostrare come tale dipendenza non sia nient’altro che una fantasia, una fantasia infantile, di avere bisogno della mamma, senza la mamma non si riesce a far niente…

Intervento: diciamo che lo psicanalista viene pensato detenere il sapere

Sì, almeno si auspica… sì certo ma in realtà è come una sorta di dichiarazione d’amore, come dire: senza di te non vivo più. Altre questioni sorte da una riflessione intorno alla propria conferenza? Incominceremo il 21 di ottobre, la prima è “A chi interessa pensare?”, risponda a questa domanda visto che c’è il punto di domanda…

Intervento: il pensiero è importante nel luogo comune e tutti si piccano di pensare e quindi…

Saprebbe anche dire perché tutti si piccano di sapere pensare?

Intervento: è uno dei valori importanti nella cultura occidentale…

Sapere pensare significa sapere giungere a conclusioni vere, e ciascuno è costretto a cercare proposizioni vere quindi sapere pensare è sapere qual è la verità…

Intervento: il fatto di potere affermare di potere pensare viene raccontato, viene detto però cosa significa pensare? Significa potere trarre delle conclusioni…

Questo lo fa chiunque, ma risponda a questa domanda: cosa significa pensare?

Intervento: significa potere in ciascun istante tener conto di quello che sta facendo ciò che dico

Qui occorrerà che sia precisa su alcune questioni, perché ciascuno in realtà pensa e cioè muove da certi elementi per giungere ad altri, in fondo il pensiero non è nient’altro che questo: una sequenza di proposizioni che muovono da una, nota come premessa, e giungono a quell’altra nota come conclusione…

Intervento: però diverso è risalire le cause, cercare l’origine di cose e diverso è potere considerare queste cose come una produzione linguistica e quindi tener conto di questa premessa che qualsiasi cosa è un elemento linguistico, se non potessi tener conto di questo allora mi troverei a fare niente

Sì, dicevamo l’altra volta che per lo più si considera la premessa, il proprio pensare, come un universale, anziché come il particolare, cosa che sbarazza di ogni responsabilità ché se è universale è così e bell’è fatto…

Intervento: le implicazioni… perché potere considerare che qualsiasi cosa è un atto linguistico e soprattutto io sono un elemento linguistico e quindi ho la responsabilità di quello che vado affermando e quindi posso agire, posso interrogarmi e quindi agire…

Andavamo dicendo la volta scorsa di porre le condizioni perché una persona possa accorgersi che la più parte delle premesse che utilizza e che suppone essere degli universali in realtà sono dei particolari, potrebbe essere anche, e forse lo è, un modo di organizzare la conferenza, partite dal fatto che ciascuno funziona come funziona il linguaggio, quindi deve reperire affermazioni vere, ora se esattamente come in un’analisi questa verità che si credeva assoluta diventa relativa al gioco in cui è inserita e unicamente a quello, allora anche altre questioni che si ritengono affermazioni universali possono essere ricondotte a qualcosa di particolare, e cioè a un gioco specifico o più propriamente a un’opinione e non a una legge universale e allora, siccome il linguaggio cerca la verità, se gli si leva qualche cosa che è considerata certa e sicura, la verità, allora dovrebbe, almeno in teoria, avere bisogno di qualcosa che soppianti la perduta verità, che è diventata appunto quello che è cioè un’opinione, e noi gliela possiamo fornire; potrebbe essere un modo, visto che il linguaggio funziona così, certo l’ostacolo che abbiamo sempre trovato è proprio questa difficoltà di togliere qualcosa che è creduto essere assolutamente vero, trasformarlo in opinione e mettere al suo posto, inserire qualcosa che effettivamente corrisponde a ciò che è necessario, ciò che gli umani hanno sempre considerato essere la verità, ciò che non può non essere, perché ciò che è considerato essere vero, qualunque cosa sia non ha nessuna importanza, è la base, la premessa su cui si costruiscono le storie, le proprie superstizioni, le proprie credenze, certezze, qualunque cosa, opinioni di ogni sorta che sono debitrici, tutte queste cose, di questa premessa che funziona come un universale e pertanto non viene mai messa in discussione, a nessuno verrebbe in mente di mettere in discussione il fatto che questo sia un tavolo, è così, cosa devo mettere in gioco? Perché è considerato essere appunto un universale, per tutti gli umani, da che mondo è mondo questo è sempre stato, è e sarà un tavolo, per tutte le x φx, che poi in realtà non è altro che l’algoritmo del linguaggio, per tutte le x, se x è almeno se stessa, allora x appartiene al linguaggio, perché se è se stessa, per sapere questo, per potere affermare questo occorre un sistema inferenziale e quindi per tutte le x se x è qualcosa, necessariamente appartiene al linguaggio. Se la negassimo dicendo che vi è almeno una x che non è neanche se stessa, allora questa fornirebbe una contraddizione, un paradosso, io affermo che x è qualcosa ma non è linguaggio, se è qualcosa è almeno se stessa, per potere affermare e quindi stabilire che è almeno se stessa occorre un sistema inferenziale. Quindi possiamo porre la formula del quantificatore universale come algoritmo del linguaggio. Gabriele ha approfittato di una settimana di riposo, di quiete per riflettere…

Intervento: il bisogno d’amore viene sempre più spostato verso l’irraggiungibile per proseguire il discorso… questo bisogno d’amore viene definito come un qualcosa che è necessario per potere ridurre l’altro a sé per i propri scopi solo che viene inteso come positivo allora se viene inteso come positivo allora bisogna raggiungerlo perché procurerà uno stato emotivo piacevole e quindi verrà sempre più spostato come nelle fiabe che per arrivare alla principessa c’è il drago…

Ridurre l’altro al proprio volere, certo…

Intervento: pensavo a Platone e alla Repubblica tutto il discorso intorno alla giustizia tutto questo racconto… Trasimaco diceva che la giustizia non è nient’altro che la ragione del più forte… e pensavo che il bisogno d’amore questo bisogno di armonia di giustizia ha una sua validità assoluta ma si riduce sempre alla ragione del più forte perché chi è che stabilisce che cos’è la giustizia? È il più forte… il potere che non è solo il potere economico ma è il potere di far valere una significazione piuttosto che un’altra, il potere retorico questo è il più straordinario la gente è convinta che ci si sta macellando per questioni religiose… riprendere la struttura dogmatica del pensiero… il dogma in tutte le discipline in tutti i modi di pensare… una volta distrutta questa struttura dogmatica dimostrare che può essere utile e piacevole al momento in cui lo si adopera bene porsi delle regole a proprio piacimento per cercare la strada più facile, più gradevole ecc.

L’esempio anche dell’aspetto ludico: per fare un gioco qualunque si dispongono delle regole…

Intervento: vengono concepiti i dogma come cose assolutamente seri… dire già che a me piace la cioccolata…

Anche Cesare sta lavorando?

Intervento: sai già che ciò che produrrà è arbitrario non è costrittivo è una cosa che riguarda il proprio discorso… di essere il grado di attendere una risposta non c’è neanche più bisogno di attendere la risposta perché l’asserzione che cui giunge non essendo né vera né falsa è qualcosa che fa parte di un certo gioco… non c’è questo limite questo blocco

Lei non ha torto a dire che non è né vero né falso, anche se in realtà poi all’interno di quel gioco o è vero o è falso, deve essere uno dei due, all’interno di quel gioco certo, in termini assoluti non è né vero né falso, come affermare che due Jack battono due 7, è vero nel poker, fuori dal poker non significa niente…

Intervento: perché la dipendenza costituisce così un problema? la dipendenza viene additata un elemento di denigrazione nei confronti della psicanalisi anche per altre cose

Intervento: quello che mi chiedevo è come mai questa preoccupazione? A me viene da pensare che l’unica dipendenza che c’è è la dipendenza dal proprio benessere al momento stesso in cui si ritiene universale…

Può radicalizzare ancora, l’unica dipendenza è quella che riguarda le conclusioni rispetto le premesse, le conclusioni dipendono dalle premesse…

Intervento: come mai il discorso comune è così atterrito dalla dipendenza tanto che si fa in quattro per salvare il prossimo dalla dipendenza… viene da pensare che sia come dire la stessa questione che riguarda il papa quando ammonisce i fedeli dai falsi profeti… viene visto come una sorta di pericolo

Sì, è il caso dell’innamoramento l’idea della dipendenza con tutti gli annessi e connessi, la domanda più interessante è: perché attrae la dipendenza? Forse posta in questi termini può dirne qualche cosa di più, perché esercita tanta attrazione?

Intervento:…

Certo, la perdita del libero arbitrio, una persona non è più libera di decidere ciò che vuole, questo nel caso dell’intervento da parti di terzi allora sì certo, tant’è che la chiesa si scaglia contro le varie sette per mantenere il monopolio, se gli altri sono falsi profeti è perché quello vero sono io, è ovvio. Detto questo rimane il fatto che esercita una grande attrazione l’idea di subire il potere dell’altro, è un po’ come le persone che lamentano di essere in balia di qualcun altro, di esserne in potere, nel caso appunto dell’innamoramento però c’è una questione sottile da considerare: la questione del potere sull’altro e quindi dell’avere ragione dell’altro letteralmente è il motivo per cui sono così affascinanti le cosiddette pene d’amore, se io affermo con tanta risolutezza che l’altro ha assoluto potere su di me e che mi fa fare quello che vuole, allora sono io che glielo consento, come dire che il potere ultimo ce l’ho io in quanto consento a questa persona di avere un totale potere su di me. È ovvio che se volessi sottrarglielo potrei farlo in qualunque momento, ma non lo faccio, è come un potere assoluto sull’altro ed è una fantasia spesso femminile questa di mantenere una sorta di potere sull’altro, come se in un certo senso consentissi di avere un totale e assoluto potere su di me e quindi chi in ultima analisi regge il gioco, ha il controllo del gioco…

Intervento: Lacan chiedeva come godono le analiste: così

Ognuno gode come gli pare…

Intervento: è di Hegel tutto ciò?

In parte sì certo l’idea, la fantasia che sia il servo comunque a governare il padrone e quindi trovarsi in una posizione di assoluto privilegio…

Intervento:…

Ma in questo caso il padrone rimane, ed è in fondo il detentore del gioco quello che in definitiva consente lo svolgersi del gioco, perché se io consento all’altro di avere un totale e assoluto potere su di me e l’altro esercita questo potere, in fondo io consento l’esercizio di questo gioco…

Intervento: la posizione di dio… è sempre stata affiancata al discorso ossessivo invece… però come lo pone lei il padrone viene costruito per potere immaginare una sorta di padronanza

In effetti il tentativo di esercitare la padronanza sull’altro e quindi avere ragione dell’altro non è peculiare a una struttura di discorso, la peculiarità delle varie strutture di discorso si manifesta nel modo in cui questo si pone in essere, non nel tentare di avere ragione dell’altro, questo lo fa ciascuno e non può non farlo perché il discorso di cui è fatto lo costringe a fare questo…

Intervento: dicevamo che il potere ultimo del gioco è del padrone però ilo vero potere assoluto è del servo perché permette al padrone di agire ma in realtà chi è alla fine colui che riesce a raggiungere il suo scopo cioè riesce meglio a deresponsabilizzarsi nei confronti dell’altro…

È un po’ come l’adulto che gioca con il bambino e si sottopone al suo gioco e fa quello che il bambino gli dice, in quel caso è apparentemente il bambino a essere padrone del gioco, ma non è così, è l’adulto che glielo consente. In questo esempio la cosa è più evidente, ma ciascuno dei due ha un tornaconto in tutto questo, anche chi esercita il potere per ultimo cioè chi regge in realtà il gioco trova la sua deresponsabilizzazione; è un po’ come nel caso della sofferenza, immagina di subire tutto questo ma il fatto di pensare di subirlo è quella condizione per poterne godere, invece chi si trova a recitare la parte del padrone in questo gioco in qualche modo è utilizzato dall’altro, lui pensa di utilizzare l’altro. Nelle relazioni avviene molto spesso e quando uno dei due se ne accorge c’è sempre un momento di fastidio, perché pensa di essere lui a comandare e quando si accorge che non è vero ecco che ci rimane male: “ma allora mi hai sempre ingannato” e tutta una serie di altre considerazioni amene “non sei la persona che pensavo che fossi…” etc. che è vero…

Intervento: comunque alla fine c’è sempre la realtà che è la causa di tutto

Ci si scontra talvolta anche su questo, perché ciascuno dei due sostiene che la realtà sia una cosa che l’altro nega “Le cose stanno come dico io, perché sono così, come fai a non vederle?” che è lo stesso discorso che gli fa quell’altro…

Intervento: ma alla fine i due perdono la loro responsabilità? Allo stesso modo? Non è uno dei due che…

Sì, ciascuno si appella alla realtà e quindi se le cose stanno così io non posso fare niente: stanno così e bell’è fatto, il passo è invece quello di accorgersi di essere l’autore del gioco, non si fa perché le cose stanno così e quindi io mi adeguo a una realtà superiore o a un’entità superiore, dio è inventato per questo…

Intervento: al momento in cui si instaura una relazione di qualunque genere quindi una parte di responsabilità deve essere demandata all’altro

Daniela, cosa sta considerando così assorta?

Intervento: nel discorso servo padrone, il servo pensa di potere togliere il potere al padrone, in questo sta il suo potere

Sì, come si fa con un bambino…

Intervento: accorgersi di questa possibilità lo fa diventare quello che è un gioco e non più una necessità che non dipende da me sono io che decido ora in un modo e ora in un altro. Questo potrebbe essere il contrario della dipendenza e rendere conto di perché è così affascinante, perché fa così paura proprio perché nella nostra cultura è connesso alla libertà, una libertà che è soltanto… perché si è costretti in un meccanismo più ampio che è quello del proprio discorso e del discorso più generale che lo sovrasta di cui non ci si accorge

Certo, una libertà televisiva, quello che dice la televisione che è la libertà…

Intervento: è uno di quei concetti che è chiaro finché non si cerca di definirlo meglio

Proprio così…

Intervento: riflettere su questo da modo di trovare il punto debole e di riappropriarsi

È il primo passo per compiere quell’operazione di cui parlavo prima, e cioè accorgersi che quella premessa che si riteneva essere universale in realtà è particolarissima.