14-11-2000
quanti sono questi passaggi? 1) trovare che gli umani parlano per affermare cose vere. 2) questo vero che li muove a parlare non è provabile ed è assolutamente arbitrario 3) che a questo punto se non parlano per affermare il vero ché non lo possono fare, allora parlano per il piacere di farlo 4) il piacere di parlare non è altro che il non potere non farlo.
Avete riflettuto? Sì dovevamo trovare il modo per
porre in termini molto semplici ciò che ho detto martedì, più efficaci e quindi
persuasivi, chi ha qualche idea a questo riguardo? (questa decisione di porre
il problema come ciò che interessa gli umani o meglio a cosa serve porre la
questione in questi termini di fronte a persone che di solito se li crea ma
crede di subirli, e che deve tenere conto questa scelta: problema…) perché
scegliere un problema anziché un altro? (sì, universalizzare tutta questa
questione parlando di problema quindi dando, certo, come problema che ha una
soluzione, perché non potrebbe porsi come problema qualcosa di cui non si
dubita, diceva che è implicita nel problema la sua soluzione, mi chiedevo di
fronte a delle persone che devono avere la responsabilità del proprio discorso
per riuscire ad intendere e quindi a volgere il proprio discorso in un altro
modo, se fosse utili porre problema) apposta ho detto di riflettere per trovare
delle proposizioni per rendere queste argomentazioni molto più semplici e
quindi più efficaci (avessimo parlato di rinvio il linguaggio, non ha bisogno
del problema per proseguire, le proposizioni si seguono l’una all’altra, porre
il problema come rinvio…) sì è un termine abbastanza comune, ciascuno più o
meno sa che cosa si intende con questo significante (questo problema dà il
senso, è ritenuto come qualcosa che dà la direzione al proprio discorso ma in
più ha qualcosa di reale cioè io ho la mente impegnata per un periodo di tempo
e finché non risolvo questo problema le mie energie sono proiettate su questa
tematica e mi impegna) sì, diceva Beatrice? ( è chiaro però che il problema
serve soltanto per continuare a parlare, parlare che è il succedersi di
proposizioni, può anche non trovare la soluzione volendo, quindi nel problema
dell’economia del proprio discorso ci serve perché nel problema possiamo
mettere tutto quanto noi vogliamo, dal problema matematico al problema
ideologico) è sufficientemente vago e sufficientemente molto elastico per
essere utilizzato (però come diceva anche Sandro noi possiamo assumerci la
responsabilità del problema, mi pare che sia vago e occorre per il discorso occidentale
che è abituato a subire il problema…) ecco torniamo al piacere (certamente i
problemi ce li si pone sempre, hanno la loro utilità come si diceva ma laddove
questo problema non serva ad avere la responsabilità di quello che io faccio
come problema, io creo come problema, io costruisco come problema e non posso
accedere neanche alla domanda “a cosa mi serve il problema”, per andare nello
specifico significa porre delle altre proposizioni che possano liberare dal
problema cioè non avere più la necessità del problema e quindi accorgersi di
cosa interviene dicendo, di come funziona il linguaggio tutto sommato,
aggiungere degli elementi in questo senso, rendendo come il linguaggio non
possa uscire dal linguaggio, perché il vero “problema” tutto sommato è questo,
la non possibilità di uscire da ciò che dico, dal linguaggio, e questa è la
responsabilità linguistica, logica per cui ciò che interviene per avere una
soluzione e quindi un rinvio, non ha bisogno di fissarsi come problema. Diciamo
quello che sta avvenendo nel mio discorso è portare all’estremo certe
definizioni come quella di piacere, come posso definirlo il piacere o meglio mi
serve il piacere in tutto questo che vado dicendo per continuare a parlare?
Oppure possiamo farne a meno a questo punto? se già parlo di problema ciò che
interviene nel discorso è un qualcosa che per il discorso occidentale è
qualcosa che non comporta piacere, certo l’esercizio intellettuale non
contempla il problema è qualcosa che rinvia, per il discorso occidentale è come
se il problema fermasse il discorso su qualcosa che io subisco) se domandassimo
a qualcuno perché gli umani parlano, cosa ci risponderebbe? “per trasmettere
sensazioni, emozioni, informazione” la persona direbbe per trasmettere in
quanto suppone che le sensazioni e le emozioni non siano un prodotto della
parola, la parola è sempre stata considerata un mezzo per trasmettere altro,
altro da sé, ma supponiamo che ci dica questo, ciò che si afferma parlando lo
si ritiene vero oppure no? Come dire necessita comunque di un riferimento a
qualcosa che è ritenuto vero oppure no? Questa è una questione fondamentale e
ponendo la questione in questi termini si evitano banalissime obiezioni per
esempio che uno può parlare mentendo, e se mente è perché sa quale è la verità
se no non mentirebbe e dunque parla avendo come riferimento per le sue
informazioni il vero, ma questo costituisce a questo punto quasi il motore,
come dire che si parla per affermare il vero, questo indipendentemente che si
tratti di una chiacchiera di portineria, la tizia che va sparlando di
quell’altra che ha vista …pone il vero, oppure una elaborazione teorica…in
ciascun caso pare che qualunque affermazione che si faccia la si supponga anche
vera e che pertanto qualunque discorso, qualunque esso sia, sia mosso dal dire
di dire il vero, infatti lo stesso Wittgenstein finendo il Tractatus diceva
“ciò di cui non si può sapere occorre censire” come dire se ciò di cui si parla
non è vero allora non ha nessun valore, e per gli umani funziona così tant’è che
dalla chiacchiera più banale fino all’elaborazione teorica più ardita se voi
affermaste che ciò che avete affermato è assolutamente falso, la persona che ha
affermate le cose che ha affermate direbbe ma… e se la prenderebbe a male e
questo torno a dirvi indipendentemente dal tipo di conversazione, appare
determinante il fatto che ciò che si afferma sia anche vero, pertanto parrebbe
potersi dire che ciò che muove il parlare è il pensiero di affermare il vero,
anche se io descrivo una sensazione, una emozione, una informazione qualunque
cosa… Allora dunque si tratta di verificare se ciascuna volta funziona così
cioè il motivo, il motore che ciascuno incontra per parlare sia il dire o il
riferire, non importa qualcosa di vero, proviamo a mettere alla prova questa
affermazione, cercate dunque degli esempi o delle prove per mettere alla prova
questa affermazione, cercare degli esempi o delle prove che confutino questa
affermazione, una qualunque cosa che si affermi per un motivo che è differente
dal fatto che ciò che si afferma è vero, non dovrebbe essere difficile almeno
apparentemente, cioè che si dica per un motivo diverso dall’affermare che
quella cosa è vera o negandola affermando il contrario (sarebbe il tornaconto
che può anche essere io affermo certe cose perché sono utili) ecco è vero, sì,
ma queste cose che devo affermare perché sono utili è vero che sono utili
quindi afferma qualcosa che è assolutamente vero rispetto alla sua utilità
(rispetto al gioco che sto facendo) sempre certamente, affermando una cosa che
afferma soltanto perché le è utile (non è che afferma qualcosa che sia vero può
benissimo non porsi il problema, potrebbe farlo per curiosità ) quindi
sembrerebbe che non in tutti i casi si parla solo per affermare qualcosa di
vero, come dice giustamente Cesare, ci sono circostanze in cui non è così, uno
può mentire per esempio per salvarsi, come accade, in questo caso (non riesco a
non agganciare ad un più alto livello ciò che io so essere vero, ciò che mi
serve per salvarmi e quindi mentire) sì bisogna porre la questione in termini
precisi però (di che cosa state parlando? Dice Sandro) il fatto, stavo
affermando, l’eventualità che il motivo per cui ciascuno parla è l’affermare
qualcosa di vero, dicevo dal discorso più banale fino all’elaborazione più
sofisticata ciò che si afferma si suppone anche che sia vero, stavamo
considerando l’eventualità in cui sia possibile affermare invece qualche cosa
che non è vero, penso che sia questo il motivo per cui (…) sì, sì perché la
questione della verità è la questione della realtà e quindi di ciò di cui
ciascuno vive, certo mentire per salvarsi comporta che ciò che si afferma sia
assolutamente vero perché ha questa funzione, se sapesse che è falso cioè che
non ha questa funzione, non lo affermerebbe per salvarsi saprebbe che invece si
perderebbe anziché salvarsi, (…) cosa vuol dire affermare qualcosa di vero?
Saprebbe rispondere a questa domanda? Insomma cos’è una affermazione vera? A
cosa corrisponde o a quale criterio (è una discussione teorica o qualche cosa che
bisogna comunque esporre?) così come poniamo le cose entrambe però c’è un
motivo per cui sto facendo questo discorso, perché può essere molto importante
giungere a potere affermare in modo, come stiamo facendo, non confutabile
questa proposizione che dice “qualunque cosa si affermi questa la si afferma
perché la si crede vera” perché a questo punto, nel momento in cui possiamo
provare che ciò che si afferma in nessun modo può essere né vero né falso ecco
che allora sorge un altro motivo, non più quello su cui gli umani si basano
cioè, dicevamo prima, che se a una persona fosse richiesta di dire perché gli
umani parlano, probabilmente direbbe per trasmettere sensazioni, emozioni,
informazioni, per risolvere problemi, confrontare opinioni e quindi aggiungere
altri elementi, probabilmente direbbe qualcosa del genere e invece noi vogliamo
fare in modo che una persona sia costretta ad ammettere che gli umani parlano
per dire il vero, a questo punto supponiamo di aver risolto questo primo
quesito in modo positivo se è possibile, a questo punto possiamo facilmente
dimostrare che non possono dire né il vero né il falso, ciò che affermano non è
di per sé né vero né falso e quindi c’è un altro motivo che muove a parlare,
non questo (dobbiamo fare in modo che accettino questa questione) sì è un
artificio retorico, serve a evitare tutta una serie infinita di obiezioni che
se noi saltassimo questo primo passo ci troveremmo davanti, obiezioni infinite
che farebbero perdere anni a star lì a girare in tondo. (è difficile ammettere
che chi parla che non dice né il vero né il falso) Allora dunque come potrebbe
affrontarsi questo quesito? È importare sapere e poter rispondere alla domanda
“perché gli umani parlano?” deve essere chiara la questione ci capita di
doverci trovare di fronte a notevoli valutazioni. O propriamente che cosa li
muove a parlare? dicevamo che la persona dice delle cose e qualunque cosa dica
è sempre parecchio infastidita dall’eventualità che qualcuno dica che tutto ciò
che ha affermato è falso, come se fosse quasi necessario che ciò che afferma è
vero ma cosa vuol dire che un’affermazione è vera? Questione centrale… dunque
qualche proposta circa questa questione? Cosa significa che una affermazione è
vera? Mettiamo in termini più spicci, bisogna trovare una risposta però molto
semplice in questo caso, sappiamo quando una proposizione è necessariamente
vera, quando in nessun modo può essere negata, perché la sua negazione è
autocontraddittoria, ecco in un modo un pochino più semplice, che serva sia al
verduriere che al logico del linguaggio, Sandro come direbbe lei se interrogato
in questo senso? (stavo pensando alla questione che se una persona si
accorgesse che ciò che dice è falso subentra una sorta di disorientamento, non
sa più che pesci pigliare quindi la questione della verità è qualche cosa che
determina la direzione, il falso provoca questo, il vero di proseguire) sì ecco
questo è già (quello che per me è vero funziona da regola del discorso) esatto
(come dire quello che stabilisce i limiti del mio discorso, un paletto di cui
fruire per poter proseguire) è vero che quello che dice è ciò che è comunemente
inteso, una affermazione vera è una affermazione che ha una direzione che porta
da qualche parte, quella falsa no (quando qualcosa è vero posso dirlo so dove
andare) certo, quando so che qualcosa è vera? Quando so di essere sulla via
giusta, cioè di avere una direzione, la direzione quella falsa è quella che non
porta da nessuna parte, quella vera è quella che porta a un risultato, quella
falsa no (in un certo senso se torniamo alla questione dell’utilizzabile…
ovviamente sempre all’interno di un certo gioco) sì quindi possiamo affermare
che ciascuno parlando suppone di affermare cose vere perché solo a questa
condizione il suo discorso ha una direzione cioè sa dove va, dove lo porta o
anche se non a dove lo porta comunque sa che la direzione è quella giusta, così
nel luogo comune. Direzione giusta è quella che non lo smarrisce, la strada,
infatti diceva Sandro se uno si accorge che ciò che sta affermando è falso, si
arresta c’è uno smarrimento, allora possiamo affermare anche in modo ancora
molto rozzo che gli umani parlano per affermare cose vere, (…) sì e non per
affermare cose false, naturalmente possono farlo ma avendo sempre ben presente
le cose vere come si diceva prima in caso contrario non potrebbero neanche
mentire, ora quindi dovremmo giungere a considerare che non possono affermare
qualcosa di falso, sempre tenendo conto dell’inghippo precedente, parlando
affermano o più propriamente potremmo dire per aggirare la questione, la
banalissima e stupidissima obiezione, che parlando devono avere comunque come
riferimento il vero, sia che utilizzino sia che non… e fin qui ancora in modo
approssimativo la questione è ancora abbastanza chiara, quindi non potrebbero
affermare nulla sapendo che le loro affermazioni sono false o se non avessero
comunque usando una frase più appropriata se non avessero un riferimento al
vero, come potrebbero? Non saprebbero in che direzione andare, in che direzione
muoversi, ora supponiamo così come abbiamo fatto in varie circostanze che
questo vero non sia provabile in nessun modo e che quindi neanche il falso,
allora a questo punto perché parlano? supponendo di avere provato in modo molto
forte che per parlare è necessario che abbiamo un riferimento al vero se questo
riferimento non è praticabile allora perché parlano? Ci deve essere un altro
motivo, ed è qui che noi vogliamo condurli, l’unico motivo che rimane è il
piacere, il piacere di parlare, tolta ogni altra utilità, tolto il vero e tutto
quanto, rimane il piacere di farlo, rimane soltanto il piacere puro e
semplice….a questo punto si apre una quantità sterminata di questioni che è
possibile affrontare se si riesce a giungere a costringere l’interlocutore a
considerare che l’unico motivo che gli rimane da ammettere è che parla per il
piacere di farlo. (stavo pensando che gli umani parlano perché non possono non
farlo ma questo “non possono” è connesso con il piacere, cioè gli umani non
possono non parlare, lei dice che parlano per il piacere di parlare, è questo
non potere non parlare che si connette con il piacere) perché è l’ultimo passo
che ci resta da fare cioè definire il piacere esattamente in questi termini il
fatto di non potere non parlare, però (sono andato un po’ troppo avanti) però
bisogna arrivarci per gradi, ad indurre l’interlocutore man mano attraverso
passaggi che gli sono molto semplici e di fronte ai quali non può sottrarsi
(supponiamo che non ci sia né il vero e né il falso in pratica, dice perché
parlano?) sì dicevo sono vari passaggi ciascuno dei quali richiede una
costruzione molto particolare e molto accurata, certo possiamo provare che non
c’è nessun elemento che possa essere né vero né falso, salvo l’unica
proposizione che è la condizione per potere fare questo, ma appunto bisogna
trovare… ciascuno di questi passaggi va preso in sé. Quanti sono questi
passaggi? 1) trovare che gli umani parlano per affermare cose vere. 2) questo
vero che li muove a parlare non è provabile ed è assolutamente arbitrario 3)
che a questo punto se non parlano per affermare il vero ché non lo possono fare
e allora parlano per il piacere di farlo 4) il piacere di parlare non è altro
che il non potere non farlo 5) missione compiuta. Ecco (…) il terzo era che gli
umani parlano per il piacere di farlo… quattro punti, dobbiamo lavorare molto
su questi quattro punti poi se uno trova altro ben venga, lavorare nel senso
che stiamo dicendo cioè rendere molto semplici, molto persuasivi, molto
efficaci quindi poche proposizioni molto chiare e inequivocabili e che
eliminino già di per sé qualunque possibile obiezione, allora chi comincia come
primo punto, oppure possiamo prenderne anche altri, se viene in mente qualcosa
è la benvenuta rispetto a uno qualunque di questi punti o altri. Qualche idea
su come rendere questi quattro, una qualunque non è necessario che segua un
ordine cronologico o logico, ciascuno di questi punti va trattato a sé in un
certo senso poi assemblati vengono a costituire un’argomentazione potentissima,
come una sorta di catenella di quattro anellini e uno di questi deve essere
molto robusto, non che basta uno strappo e cascano tutte le perle, se si
strappa la collana di Beatrice cascano tutte le perle, si spargono però siccome
siamo in quattro potrebbe che ciascuno si prende un punto, così la cosa diventa
molto più veloce giusto? (ieri sera con Cesare si parlava del come di fronte a
una interpretazione che ormai è entrata nel luogo comune quella che dice che le
cose proibite innalzano, si parlava del problema e quindi di questa necessità,
Freud ha insegnato…) le cose proibite accendono l’eccitazione (pronunciando una
questione di questo genere che è passata nella vulgata ci si attiene al vero,
in qualche modo crede che questa proposizione possa di per sé descrivere un dato
di fatto, questa descrizione fa parte del luogo comune per cui in qualche modo
la psicanalisi l’ha stabilita per cominciare a dire qualcosa attorno a questo
ed è passato come luogo comune per cui questa proposizione rispetto ad un certo
gioco è vera, potrà esserci utile come è stata utile alla psicanalisi per
costruire per esempio il tornaconto di come ne parlava Freud ma la cosa
interessante è di fronte a questa proposizione far di lei una proposizione che
possa giocare in un discorso e cioè che sia vera rispetto al luogo comune per
esempio della psicanalisi, vera nel senso che è servita per giocare un certo
ruolo nel discorso) però bisogna trovare un interlocutore che accolga le
proposizioni stabilite dalla psicanalisi (è passata nella vulgata abbastanza
facilmente) può sempre trovare qualcuno che dice e se non fosse così ( ma colui
che si trova a pronunciarla e quindi a crederla vera questa proposizione trae
una certa soddisfazione da quello che ha detto, certo non si accorge che al di
fuori di quel gioco non è né vera né falsa, può servire a riflettere ma non è
più vera di un’altra, può avere un suo uso, ha un suo uso nel discorso per
portare a riflettere sul problema per esempio quindi si parlava di come una
proposizione, di questa verità che la proposizione afferma comporta un certo
piacere già di per sé) cosa vuol dire che una proposizione è vera all’interno
di un certo gioco? (cioè io l’accolgo come vera) sto parlando della questione
in termini teorici, cosa vuol dire che una proposizione è vera all’interno di
un gioco, cosa comporta il fatto di essere vera? Che il gioco può proseguire?
(comporta che quella proposizione se è vera fa proseguire il gioco) certo
nient’altro che questo, ché comporta un’elaborazione attorno a quella
proposizione, quindi (pensavo alla verità come criterio per la formazione delle
regole cioè se le regole che subiscono l’aspetto retorico) sono già le regole
che stabiliscono ciò che sarà vero e falso all’interno di un gioco, utilizzano
cose vere per farlo proseguire, quelle false l’arrestano (in questo caso le
regole sono quelle che stabiliscono i limiti, i paletti, questi paletti sono
funzione di ciò che è vero cioè se queste regole…) la funzione è quella di fare
giocare (un po’ come se fosse una sorta di meta regola che fornisce gli
elementi per la costruzione di altre regole, le regole non sono a priori sono
le procedure in qualche modo che sono a priori ma le regole si formano man
mano) sì che ci siano è necessario ma non è necessario quali (sì quali sono
quelle che determinano questa sorta di criterio di verità… ho parlato di meta
regola e in effetti intendo qual è l’inghippo però se…) abbiamo solo utilizzato
la regola più potente dicendo che è vero solo ciò che contraddetto è
autocontraddittorio in questo caso abbiamo fornito una regola che ci consente
di stabilire ciò che è vero e che cosa non lo è, è una regola più potente di
altre però è questa regola che ci consente di stabilire che cos'è vero, ché la
contraria è autocontraddittoria (se dicevamo che il vero è ciò che permette di
proseguire al di là quindi della regola…) no la regola è ciò che stabilisce il
vero e il vero è ciò che consente al gioco di proseguire nel senso che se
questa cosa è vera allora il gioco prosegue se è falsa no, se giocando a poker
uso tre assi questo è vero e posso continuare se prendo le pedine della dama
non posso più giocare) (ecco, è vero che tre assi… è vera nel gioco del poker
ma occorre che ci sia qualcosa che mi permetta di riconoscere il gioco…) le
regole del gioco, dicevamo, sono quelle che ti dicono quali sono le mosse
consentite e quali no (ma all’interno di un gioco ciò che mi è consentito e ciò
che non mi è consentito comporta già una affermazione e una negazione, e ciò
che le distingue è qualche cosa che ha a che fare con il vero cioè ciò che
distingue ciò che è da ciò che non è, ciò che affermo e ciò che nego è qualcosa
che divide come dire una copia di Jack non batte un tris d’assi, stiamo facendo
una affermazione di verità nel senso all’interno di questo gioco, ed è una
regola di questo gioco.) sì la regola non può essere messa in discussione è
vera per definizione cioè non è neanche vera (esatto per quel qualcuno che
parla e che suppone di dire il vero è come se in quel momento stesse dicendo
che la coppia di sette non batte il tris d’assi, sta facendo l’affermazione di
una regola, magari appartenente al suo gioco, al suo discorso) sì forse ho
inteso, la sostituzione fra il vero e la regola, dicevamo tempo fa che la
regola non è né vera né falsa, è semplicemente un criterio che viene adottato
per consentire in seguito di stabilire ciò che è vero e ciò che è falso, cioè
ciò che è utilizzabile e ciò che no in quel gioco (noi diciamo che il vero non
è provabile ma è possibile cioè esiste) è uno schema di gioco (il vero è
traducibile nel gioco degli scacchi in questo senso, il cavallo può muovere
solo a destra. Cioè devi fare questo o non devi, in effetti per ciascuno la
verità funziona come un devi…e quindi sì c’è una sovrapposizione la questione
del vero fuori dal gioco è come se il vero funzionasse come procedura in questo
caso, nel momento in cui mi accorgo che però non è una procedura ma che è un
qualcosa di arbitrario non è che non funzioni più il vero è semplicemente una
regola, cioè un qualche cosa che si fa, punto e basta, si dice) (questo per
ragionare non tanto per discutere la questione della regola ma quanto per
riportare qualcosa alla questione del vero, visto che prima stavamo parlando di
questo) chi vuole dire? (qualcosa che si dà o qualcosa che si fa, però abbiamo
anche affermato e lo abbiamo fatto proprio perché mi pare che sia una regola
del gioco, “qualcosa interviene” ciò che interviene, interviene in quanto mia
credenza, se la cosa interviene così in quanto è libera di intervenire come un
altro elemento, va a giocare in questa costruzione che andiamo facendo, in un
gioco costrittivo che favorisca il pensiero e quindi l’elaborazione continua di
ciò che interviene nel nostro discorso, perché la cosa più difficile da
affermare è la responsabilità di ciò che interviene nel proprio discorso, molte
volte ciò che interviene nel proprio discorso è disgiunta da una proposizione
che occorre che diventi vero funzionale e quindi né vera né falsa ma il più
delle volte pare che intervenga come né vera né falsa e cioè come un’emanazione
di qualche cosa che è al di là del mio discorso) cioè necessariamente vera a
questo punto (quindi è necessariamente vera perché lo credo ecco, ponendola
come qualche cosa che è al di fuori del mio discorso, quindi un qualche cosa
che io subisco dal discorso vado a inficiare in qualche modo quella che è…
tutto sommato quello che mi fa giocare e quindi la responsabilità del gioco.
Perché anche Freud, Verdiglione, Lacan hanno parlato dell’inconscio che
interviene nel mio discorso quasi io non sia responsabile di quello che
interviene nel mio discorso, però occorre che io sia responsabile, proprio per
potere giocare il gioco che voglio io, perché io possa pensare, perché questo
computer incominci a riflettere su sé stesso, questa deve diventare una
procedura nel discorso, perché funzioni tutto il discorso perché se no qualcosa
interviene così ed io non ho la responsabilità e questo è importante perché
basta un elemento, si diceva basta il mattoncino e questo è il mattoncino che
fa sfuggire il gioco) esatto (adesso occorre che io sappia confutare quello che
ho detto ma è sempre una confutazione è un qualcosa che mi serve per poter
portare avanti il gioco) va bene allora riflettete su queste questioni e sui
quattro punti che vi ho indicati, vediamo martedì prossimo di risolverne almeno
un paio di quattro sarebbe già un bel lavoro, va bene ci vediamo martedì.