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14-8-2013

 

La questione importante è quella del potere, quindi dei giochi linguistici. Parlare di fantasie di potere è sempre complesso, complesso nel senso che chi ascolta non intende in quale accezione viene proposta perché di fatto la fantasia di potere si configura o comunque io la intendo come l’esigenza da parte del parlante di affermare qualcosa di vero e di fare accogliere ciò che dice come vero da chi l’ascolta. Sta qui il potere perché se ciò che io dico viene accolto da altri come vero allora, per il fatto stesso che questa cosa viene accolta dal discorso modifica quel discorso, modificando il discorso modifica la persona secondo la mia verità. Per questo parlo di potere rispetto al sapere, perché io vengo considerato una persona per esempio che sa molto, quindi le cose che dico vengono accolte come vere ed essendo accolte come vere all’interno del loro discorso questo discorso si modifica, e di conseguenza io modifico quelle persone. È questa la questione propria connessa con la fantasia di potere, che poi sulla scia, in parte di Freud, e poi di Verdiglione viene chiamata fantasia di potere. Una fantasia di potere è questa esigenza di affermare una cosa vera e fare accogliere come vera questa cosa da altri in modo da modificare il loro discorso e quindi modificare le persone, cioè piegarle alla mia verità. C’era un matematico nella prima metà del ‘900 in Francia, un certo Poincaré che a un certo punto propose l’idea che l’intera matematica non fosse altro che un’immensa tautologia. Ciò che noi abbiamo avanzato recentemente è che l’intero linguaggio non sia altro che un’immensa tautologia, e cioè che ciò che consente al linguaggio di avviarsi, l’affermazione di identità, quindi un’affermazione, il famoso “questo è questo”, è ciò che continua a ripetersi in vario modo, sotto varie forme e in contesti complessi anche molto elaborati, però è ciò che continua a ripetersi in ogni affermazione. Ciascuna affermazione dice: “questo è questo”, io affermo una certa cosa, dicevamo la volta scorsa la fermo per qualcosa, per potere proseguire, ma questa affermazione è importante perché rende conto del fatto che l’intero linguaggio è una tautologia, complessa, elaboratissima ma una tautologia. Ogni affermazione è una tautologia che afferma “questo è questo”, qualunque affermazione sia, quale potrebbe essere un contro esempio? L’ipotesi. Se faccio un’ipotesi, in questo caso non sto ancora affermando niente, per esempio se dico “domani pioverà oppure non pioverà” questa affermazione non è né vera né falsa, lo sarà domani quando apriremo la finestra e vedremo che tempo fa. L’ipotesi muove dall’avere considerato un’affermazione, e questa affermazione afferma che una delle due ipotesi sarà vera. C’è sempre un’affermazione, il linguaggio deve giungere ad affermare qualcosa ma per giungere ad affermare qualcosa muove da un’altra affermazione, che è quella che comunemente si chiama premessa di un’argomentazione, e quindi si tratta sempre di affermazioni. La premessa è un’affermazione, anche nel caso dell’ipotesi, e questa affermazione compie dei passaggi, cioè che cosa fa esattamente? Valuta quali sono le conseguenze, le implicazioni di quelle premesse, mantenendo sempre la coerenza con la premessa ovviamente, se no si produce una contraddizione e sappiamo che questo crea dei problemi. Questi passaggi non sono nient’altro che inferenze, implicazioni, finché si arriva al teorema, alla conclusione della sequenza che è un’altra affermazione; in effetti anche i passaggi che potrebbero anche essere considerati delle ipotesi perché posti in un sistema inferenziale muovono da un’ipotesi “ se questo allora quest’altro” cioè “se”, questo però in realtà non è propriamente un’implicazione così come la pone la logica formale ma si tratta, nelle concatenazioni argomentative, sempre di modus ponens o modus tollens, il modus ponens è se “A allora B, ma A, quindi B” e cioè si compie un’affermazione dalla quale si trae un’altra affermazione fino ad arrivare all’ultima che conclude quella catena, e la conclusione di quella catena sarà la premessa di altre catene e così via: affermazioni. L’affermazione ha una particolarità, dice che le cose stanno in quel modo, per questo la indicavo come una tautologia, cioè “questo è questo” cioè le cose stanno così, potrebbe un’affermazione essere posta in modo differente? Se afferma, afferma cosa? Non afferma una possibilità, se no sarebbe un’ipotesi, e poi abbiamo visto che anche l’ipotesi comunque è debitrice di affermazioni perché se non affermo nell’ipotesi che almeno uno dei due corni sarà vero non è niente; dunque l’affermazione dice come stanno le cose a modo suo, letteralmente le ferma, le ferma per un motivo, per potere da lì proseguire, come sappiamo, ma le ferma cioè dice “è così” e come dicevo è difficile pensare a un modo di affermare che non sia questo, se affermo qualcosa faccio questo, cioè fermo la catena ad un certo punto dicendo “è così”. Il fatto che appaia funzionare in questi termini, cioè che l’affermazione fermi il discorso su qualcosa, ferma nel senso che si attesta su qualcosa, rende anche conto proprio del funzionamento del linguaggio ovviamente, ma anche del motivo per cui gli umani quando parlano sono indotti il più delle volte inconsapevolmente a trarre da una affermazione la certezza che le cose stanno in quel modo, ovviamente è una certezza che si fonda non sulle regole di quel gioco ma sull’idea che questa affermazione sia vera in quanto rispecchia il mondo, cioè definisce lo stato di cose nella realtà, nelle cose. Qui sta l’inganno, perché tolto questo inganno ci si può anche rendere conto che per il modo stesso in cui il linguaggio funziona non c’è possibilità di proseguire se non affermando delle cose, quindi attestandosi di volta in volta su una questione. Qualunque affermazione è all’interno del gioco quindi non posso non affermare se voglio continuare a fare questo gioco che chiamiamo linguaggio, e che io possa cessare di parlare cioè uscire dal linguaggio appare altamente improbabile, quindi non posso che continuare ad affermare per proseguire questo gioco. Per proseguire a giocare occorre che siano rispettate delle regole, come qualunque gioco, una di queste regole del linguaggio dice che per costruire una proposizione occorre che ci sia un’affermazione considerata vera all’interno del gioco dalla quale procedere per inferire, per trarre conclusioni, per potere giungere a un’altra affermazione. Questa è la struttura del linguaggio, non possiamo evitarla, possiamo però conoscerla, che non è poco. Tutto questo aggiunge un elemento alla considerazione di prima e cioè che l’intero linguaggio non è altro che un’immensa tautologia, che pur essendo una tautologia non offre nessuna certezza, non offre nessuna certezza in accezione metafisica, e cioè che le cose non sono necessariamente in quel modo. Quando un’affermazione afferma qualcosa dice soltanto quali sono le implicazioni o alcune delle implicazioni possibili data una certa premessa e all’interno delle regole di quel gioco, non dice nient’altro che questo, che è un po’ quello che diceva Wittgenstein rispetto alla dimostrazione, questo procedere per affermazioni non offre nessuna certezza perché pur affermando, cioè attestandosi su qualche cosa, questo qualche cosa su cui si attesta non è al di fuori del gioco, è una produzione del gioco, fornirebbe una certezza se e soltanto se avesse una garanzia al di fuori del gioco, che potesse dire “ecco, è veramente così”. Direi che questo ha una portata clinica, parlando di psicoanalisi, non indifferente, perché un percorso di questo tipo toglie la certezza, ma non nel senso che tutto rimane incerto, toglie tanto la certezza quanto l’incertezza, cioè compie un’operazione che clinicamente potrebbe risultare importante e cioè è come se disassemblasse il concetto di “certezza” scomponendolo in sequenze che non sono più utilizzabili dal discorso; il concetto di “certezza” scompare perché non è più utilizzabile, non ha più nessun utilizzo all’interno di un sistema, in questo senso molte questioni scompaiono o possono scomparire nel sistema, non per magia, ma perché non hanno più una utilizzabilità nel sistema, cioè il sistema non sa più come utilizzarle, non significano niente e quindi cessa di utilizzarle. Mi domandavo se per esempio ciò che cercava Freud rispetto alle nevrosi per esempio cioè un modo, una tecnica anche se Freud ha detto quasi niente di tecnica, ma dicevo una tecnica per “togliere” tra virgolette le nevrosi, un primo tentativo incerto e squinternato, invece una cosa del genere toglie la utilizzabilità di una certa questione, potrebbe anche essere un termine o una proposizione o una sequenza o un’affermazione che non è più utilizzabile dal sistema, perché non è più utilizzabile? Perché il sistema ha rilevato che una certa affermazione di per sé non è né vera né falsa, se posta in un certo modo, cioè per esempio metafisicamente, non ha nessuna possibilità di affermarsi come vera o come falsa, se non ha questa possibilità che è la possibilità che offre la metafisica allora il discorso non ha più modo di utilizzarla perché non sapendo se è vero o falso non sa che cosa farsene. Un discorso deve potere giungere a un’affermazione che deve essere riconosciuta vera all’interno del sistema, se non ha la possibilità di riconoscerla vera non può utilizzarla in nessun modo e quindi l’abbandona e quindi, abbandonandola, cessa di essere praticata quindi cessa di avere una qualunque utilità. Può essere per esempio un’affermazione che conduce a una paura, per dire una banalità, ora questa affermazione se non è più utilizzabile anche ciò che costruisce, la paura in quel caso, non esiste più, torno a dire non che sia scomparsa magicamente, semplicemente non ha più nessun utilizzo all’interno del sistema; ma come avviene che l’affermazione a un certo punto possa trovarsi in questa condizione, cioè non avere più un utilizzo all’interno del sistema? Questo non è semplice ovviamente, intanto perché un elemento perché sia utilizzabile dal sistema occorre che sia considerato, dicevamo prima, usiamo il termine “affermazione” forse è più semplice, che un’affermazione sia riconosciuta vera all’interno del sistema, ora o questa verità viene fornita dalla realtà come avviene generalmente, oppure viene fornita unicamente dalle regole del gioco, non ci sono alternative. Se questa verità viene fornita dalla realtà allora il gioco ha quell’impianto che è noto come metafisica, e una qualunque cosa immaginata fuori dal linguaggio ha questa configurazione metafisica cioè cerca la propria origine, il proprio fondamento nella realtà, e a questo punto il discorso funziona perché comunque quell’affermazione viene riconosciuta come vera per via dell’adeguamento alla realtà e quindi può proseguire, diciamo che il programma gira, come direbbero gli informatici, naturalmente gira a condizione di mantenere questa verità agganciata alla realtà esterna al linguaggio ovviamente. Nel momento in cui lungo un percorso analitico qualcuno incomincia a intendere che le proprie affermazioni sono prodotte da fantasie, e sta qui l’aspetto connesso con Freud e l’ascolto, e cioè le cose che costruisce, con cui ha a che fare quotidianamente o almeno una buona parte di queste non sono cose che provengono da questa realtà ma sono costruzioni della sua fantasia (con fantasia potete intendere benissimo un gioco linguistico), allora a questo punto c’è l’eventualità di incominciare a considerare che la verità di una certa affermazione non essendo più legata alla realtà esterna debba ricercare la sua verità altrove, dove la cerca? Nel suo discorso, e cioè nella fantasia, quindi nel gioco linguistico che ha creato quell’affermazione considerata vera, e allora incomincia l’analisi di questa affermazione per considerare che se è stata considerata vera una certa affermazione e questa verità è dovuta e procede da altri giochi linguistici, altre fantasie, allora il discorso cambia “non è vero perché così stanno le cose, ma è vero perché io penso che sia così” e perché penso che sia così? Da dove viene questa verità a cui io credo? Visto che non è più legata a quello che credevo essere la realtà, Freud aveva intravisto questa questione infatti distingueva il tedesco glielo consentiva, tra “Realität” e “Wirklichkeit” cioè tra la realtà esterna, quella del mondo, quella metafisica e la realtà psichica, la realtà del fantasma, fantasma in questa accezione cioè come gioco linguistico. A questo punto clinicamente la questione lungo un’analisi si fa interessante perché la persona smette di attribuire la responsabilità, anzi sarebbe più appropriato dire la colpa, dei suoi malanni, dei suoi acciacchi alle cose, ma incomincia a domandarsi perché pensa che le cose siano in un certo modo, perché attribuisce una verità a certi pensieri e ad altri no, e qui, dicevo, la questione si fa interessante lungo un’analisi, la persona incomincia veramente ad avviare un’analisi prima è solo una lamentazione, una geremiade il più delle volte, il lamento cosa dice? Che il mondo esterno è brutto e cattivo e io sono vittima delle circostanze. Ma importa la connessione tra tutto ciò che andiamo dicendo intorno alla fantasia di potere, cioè l’esigenza di affermare e di imporre la propria verità su altri, e la questione clinica connessa con la psicoanalisi cioè con un percorso analitico. Una persona che per qualche motivo decide di volere sapere di più di sé e cioè volere sapere perché pensa le cose che pensa, anche se difficilmente si enuncia in questi termini, però la questione grosso modo è questa, cioè che cosa l’ha condotta, quali pensieri l’hanno condotta a pensare una certa cosa che la mette a disagio, qualcosa del genere, dunque fantasie di potere e le fantasie di potere sono quelle che muovono sempre e, necessariamente direi, da un impianto metafisico. Una fantasia di potere, per potere darsi e mettersi in scena, esige che le cose stiano proprio così, non per regole del gioco che sta facendo, ma perché le cose metafisicamente, appunto, stanno in quel modo e cioè c’è una causa che è fuori dal linguaggio che provoca tutti questi malanni. Questo sovverte tutta la teoria psicanalitica che senza rendersi conto mantiene una struttura ontologica in prima istanza, quando afferma, per esempio Lacan che l’inconscio è strutturato come un linguaggio o che il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro, che poi dire “desiderio dell’uomo” è ridondante, se è desiderio non può essere che dell’uomo, queste affermazioni perché dico che sono ontologiche? Perché si pongono come universali, in questa accezione: escludono la possibilità che non sia così. Se Lacan afferma che il desiderio è il desiderio dell’Altro, sta dicendo che non c’è la possibilità che ci sia un desiderio che non sia il desiderio dell’Altro. Anche Verdiglione naturalmente quando afferma che l’inconscio è la logica particolare a ciascuno o che un significante rimosso funziona come nome, intende un’affermazione universale, perché esclude che possa darsi l’eventualità che un significante rimosso non funzioni come nome. Porre quindi un’affermazione come universale è il principio ontologico, cioè dice, afferma, che questa cosa c’è e l’ontologia fa il listaggio delle cose che ci sono indipendentemente da qualunque altra considerazione, quindi la teoria di Verdiglione è un’ontologia, come tutta la psicoanalisi in generale naturalmente. A quali condizioni cesserebbe di essere un’ontologia e perché il fatto di essere un’ontologia può essere seccante?  Lo è perché immagina che una certa affermazione attesti un qualche cosa che è necessariamente quello che è, quindi non è più vincolato alle regole di quel gioco, per esempio il gioco della teoria di Verdiglione, ma abbia un valore di verità che è indipendente da quel gioco ma vale di per sé, come dire, che al di là di questo non si può andare, non c’è più gioco, quella affermazione è fuori dal gioco linguistico. Ponendosi come ontologia questo è il problema, oltre al fatto che un’affermazione del genere non può essere sostenuta, perché dovrebbe essere così? Chi lo dice? Cioè da un significato di ultima istanza alla cosa cioè “questo significa questa cosa qui” il significato è univoco, che è propriamente ciò che ha cercato di sostenere la filosofia analitica, che in alcuni casi si dichiara apertamente metafisica quindi non fa una grinza. Riprenderei la questione da cui sono partito e cioè la fantasia di potere come esigenza di affermare una cosa vera, e che questa cosa vera venga riconosciuta da altri, perché è molto importante questo aspetto anche perché forse può essere, può essere più facile da intendere che parlare semplicemente di fantasia di potere, che viene scambiata per l’idea di qualcuno che vuole essere il dominatore del mondo e quindi esclude la possibilità che la fantasia di potere gli appartenga. L’esigenza è di affermare qualcosa di vero e che questo qualcosa sia riconosciuto dall’altro come tale, come vero, che è il motivo per cui si afferma qualcosa per altro, il motivo per cui gli umani parlano, affermano cose.