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14-6-2006

 

Regressio ad infinitum

 

Intervento: dal corso del 31-5-06: sì è un problema come fa a chiedersi quale è più vero? la questione è che, più radicale, è che il linguaggio si avvia certo partendo da alcuni elementi come la A che è data per vera, cosa vuol dire che è data per vera? Che non è interrogata, non c’è nessun criterio e va bene così ma questa A può alla lunga mantenere la sua verità? Dovrebbe essere una verità assoluta e non lo è perché il più delle volte è una stupidaggine qualunque, sulla quale stupidaggine il bambino costruisce la sua esistenza, ora a questo punto perché si accorge che potrebbe non essere vera? Perché la raffronta con altre cose? Può darsi, può darsi…potrebbe anche raffrontarla con se stessa. Una volta che il linguaggio ha avviato la possibilità di un percorso, di una direzione cioè da A a tutto ciò che segue può anche compiere il percorso inverso: da A a tutto ciò che la precede, in qualche modo se io da A giungo a C allora da A posso risalire a (meno – C) diciamo, lo posso fare, ecco che allora così come la C segue alla B e alla A, la A deve seguire a – B e a – C, per fare il discorso inverso, deve poterlo fare ed è qui che qualcosa si comincia a complicare perché non riesce a farlo… potere compiere la direzione inversa perché è qui che si installa la possibilità di verificare le cose, di rendere nel sistema un criterio verofunzionale, quindi poter arrivare a questa A in una analisi può accadere di non riuscire a reperire, inventare le premesse del proprio discorso allora si comincia a costruire, a ricercare quello che fonda tutto quanto ed è a questo punto che ci si comincia a chiedere se una cosa è vera o falsa, quindi questo percorso che può andare a ritroso. Volevo dei chiarimenti su una cosa di questo genere perché è proprio la questione analitica e forse solo in una analisi si installa un criterio verofunzionale visto che la persona continua a costruire coerentemente partendo da una A… intanto questo… si diceva che il linguaggio si installa cioè si avvia quando i primi elementi cominciano a connettersi in ciò che si dice, si parlava del primo gioco linguistico ma direi che con il primo gioco linguistico sono già all’opera vari giochi, e fintanto che non si installa questa possibilità di interrogazione non succede niente ciò che si dice, l’esistenza non ha possibilità di gioco…

Quindi come avviene la possibilità di risalire alla cause, perché avviene? Si discende verso le implicazioni e si risale verso le cause, generalmente si considera così, tendenzialmente quando un elemento viene dato come vero non c’è nessun motivo di risalire alla sua origine, alla sua causa “è così” e bell’e fatto, in effetti questa è una questione che permane fino dalla nascita, diciamo dalla nascita del linguaggio, poi il bambino nasce con il linguaggio, al momento in cui nasce il linguaggio e il fatto che qualunque cosa si dica, di per sé è vera, è vera come si aggiungeva l’altra volta, fino a prova contraria. Però in alcuni casi non c’è nessuna necessità della prova contraria, per esempio il discorso religioso non ha nessuna necessità della prova contraria, e cioè si fonda su un atto di fede, perché in quel caso non ha bisogno della prova contraria? E neanche di risalire alla causa mentre in altre circostanze sì, perché? Per lo steso motivo per cui giocando a poker si usano le carte, giocando a dama si usano le pedine, sono giochi diversi, ed essendo giochi diversi hanno regole diverse, tant’è che la religione impone, esplicita le regole del suo gioco cioè: “se hai fede allora non devi chiedere ragione dell’esistenza di dio” e quindi impone una regola per giocare quel gioco “se vuoi giocare questo gioco allora devi attenerti alle regole, se no non lo giochi, ne fai un altro, ma questo no” altri giochi invece prevedono la possibilità, anzi la necessità di risalire alle cause, per esempio il gioco della scienza. Ma dicevamo: quand’è che si incomincia a fare una cosa del genere? Naturalmente è un gioco che si impara, al pari di qualunque altro questo delle cause, probabilmente ad un certo punto la mamma chiede a Pierino “perché hai mangiato la marmellata?” lui non avrebbe mai pensato al perché, l’ha mangiata e bell’e fatto, come dire che questo gesto che ha fatto, questa operazione ha delle cause e allora la mamma dice e mostra la causa: “perché sei goloso” e da questo punto c’è “ho mangiato la marmellata” la causa: golosità. In quel momento comincia a imparare un gioco, esattamente come descrive Wittgenstein con i mattoni, è un gioco che si impara e quindi incomincia a immaginare che qualunque cosa, almeno in teoria, potrebbe avere una causa, tant’è che gli umani lo pensano generalmente: tutto ciò che si manifesta ha un motivo, ha una causa. Ma questo è un gioco al pari di qualunque altro, ma fuori da quel gioco non significa assolutamente niente, mentre questo gioco che poi si trasforma nel gioco della scienza si illude che salendo sempre più su alle cause si arrivi fino alla causa prima, Aristotele ha fatto questo, solo che la causa prima è un problema, un problema perché questa causa, essendo la causa di ogni cosa non dovrebbe essere causata da nulla, ma come trovare una causa che non sia generata?

Intervento:…

Sì, il motore immoto, certo. La genialata è stata quella di immaginare dio, in genere è lui che viene posto come la causa prima, perché l’idea è che la verità assoluta sia possibile a reperirsi risalendo nella scala delle implicazioni mentre non è affatto così, è un pregiudizio della scienza, è la sua superstizione che alla fine o all’inizio a seconda da dove parte la catena ci sia il primo evento. Ma perché gli umani hanno questa idea che risalendo su per le cause si arrivi alla causa prima? È un pregiudizio che lo stesso Aristotele in qualche modo ha proseguito e ha praticato…

Intervento: si ritengono ignoranti gli umani e devono scoprire...

Non basta, c’è qualche cosa che deve attenere alla struttura del linguaggio, in fondo il linguaggio funziona per inferenze, deduzioni, induzioni e abduzioni che siano, in ogni caso muove da alcuni elementi, da premesse e giunge a conclusioni, se fa questo allora dalla conclusione è possibile risalire alla premessa e siccome deve giungere alla conclusione per potere proseguire forse qui c’è qualcosa di importante: sa che soltanto se la conclusione è vera potrà proseguire, se fa il processo inverso deve reperire una premessa vera necessariamente…

Intervento: e non può essere contraddittoria

Certo che no, anche perché per avere la certezza che la conclusione sia vera occorre verificare anche la premessa, e quindi deve tornare indietro compiendo quel percorso a ritroso noto come ricorsione, esattamente come funziona il sistema operativo di un computer: ogni volta che compie un’operazione deve sempre ritornare indietro per verificare la prima, poi va avanti, poi fa il passo successivo, poi torna indietro a verificare e va avanti così, certo molto rapidamente, però d’altra parte è quello che facciamo noi, certe volte anche più rapidamente, nel senso che crea una sorta di automatismi per alcune cose sono date come assolutamente implicite, nessuno uscendo di casa si chiede: questa è una porta? Perché è una porta? È fatta di legno? Risponde a questo requisito? Sì, quindi è una porta. Allora se è una porta deve potere aprirsi, se è una maniglia controllare se l’aggeggio che c’è davanti è una maniglia, è una maniglia? Sì, allora la posso aprire e via così, sarebbe complicato vivere a quella maniera, e infatti non lo si fa, si da tutto per acquisito, è un sistema che funziona e rende tutto molto più semplice. Teoricamente potremmo anche pensare in quell’altra maniera cioè come abbiamo imposto di pensare ai computer, però se pensassimo in quell’altra maniera sicuramente il nostro modo di vivere sarebbe diverso, ma comunque sia… dicevo della necessità di compiere il percorso inverso, questo sorge quando sorge la necessità di verificare la conclusione, vedere se la conclusione è vera, ma quando c’è l’eventualità che non lo sia? Quando sorge l’eventualità che possa non essere vera la conclusione? Quando ci sono molti passaggi per esempio, per cui c’è la possibilità sempre maggiore di avere commesso un errore, oppure quando ci si accorge che la conclusione contraddice…

Intervento:…

Magari non la premessa ma altre cose che sono considerate vere, allora c’è qualche problema e bisogna verificare, e per verificare si compie questa operazione, si torna indietro e si mette alla prova la premessa, ma per mettere alla prova la premessa occorrerà fare la stessa operazione con tutti i passaggi che hanno condotto a considerare la premessa vera e così via, fino a dove? Il problema che gli umani hanno incontrato e che a molti è sfuggito è che questa sorta di percorso a ritroso non conduce a un punto di partenza ma è un percorso infinito. Come avviene in un qualunque dizionario, se Daniela cercasse sul dizionario la parola più banale “pane”: sostantivo, maschile, singolare, dicesi pane l’impasto cotto di farina acqua e sale etc. ciascuno di questi termini naturalmente dovrebbe potere avere nel dizionario una sua spiegazione, tutti quanti, e quindi si incominciano a cercare tutti, ciascuno di questi ha altri termini che lo spiegano, questo percorso a ritroso che si fa rispetto al dizionario non è altro che la struttura stessa del linguaggio e cioè non consente di trovare il primo elemento, quello che ha dato l’avvio, il punto di partenza, perché il punto di partenza sfuma continuamente, è sempre soppiantato da un altro, poi da un altro, poi da un altro fino a tornare al punto di partenza…

Intervento: e uno si fermasse in qualsiasi punto dice perché qui e non là? il punto di partenza dovrebbe essere la regola che impone…

Uscire da questa catena infinita varrebbe uscire dal linguaggio…

Intervento: per potere considerare questa catena infinita si dovrebbe considerare le regole… non considerare un singolo elemento…

In teoria sì, però uscire dal discorso per entrare nel linguaggio è una cosa che non può farsi…

Intervento:…

Infatti si considerano le regole, si considerano molto attentamente, ma trovare il punto di partenza non è possibile, per questo è stato inventato dio, perché sarebbe l’elemento fuori dal linguaggio cioè quello che tutto muove. Quindi la regressio ad infinitum non dà nessuna possibilità di uscita, non c’è il punto di partenza, così come non c’è l’ultimo significante, il famoso “interpretante logico finale” di Peirce, l’ultimo elemento, quello che dà senso a tutta la catena, così come in una frase in genere l’ultimo elemento è quello che da il senso a tutta la frase, in tutto il linguaggio dovrebbe potersi reperire l’ultimo elemento che dà senso a tutto quanto il linguaggio, ma questo elemento non c’è, non c’è per la struttura stessa del linguaggio, non c’è quell’elemento che è fuori dal linguaggio perché non sarebbe un elemento linguistico e quindi non apparterrebbe al linguaggio, se invece è nel linguaggio allora appartiene al linguaggio, non può immaginarsi essere fuori. Abbiamo visto in che modo si dà la regressio ad infinitum, in fondo quando c’è un problema rispetto a una conclusione si cerca di convalidare questa conclusione reperendo tutti i vari passaggi nella premessa e poi dalla premessa a tutti i vari passaggi che l’hanno resa vera e così via, ma d’altra parte è così che pensano gli umani. In fondo il gioco che fanno i bambini è significativo in questo senso, perché si trovano proprio nel punto in cui il linguaggio comincia ad accorgersi che è possibile tornare indietro e allora cominciano a chiedere perché, chiedere all’infinito domande in fondo “perché non sei venuta all’appuntamento? Perché avevo altro da fare. Perché avevi altro da fare? perché devo risolvere quel problema. Perché devi risolvere quel problema? perché se no non posso fare quell’altra cosa. Perché…?” e via così all’infinito. Come potete facilmente immaginare non c’è un punto di arresto, si può proseguire indefinitamente, proseguendo indefinitamente ci si accorge di quella cosa che tempo fa avevamo chiamato infinitizzazione del linguaggio, certo come diceva Beatrice una persona che avvia una analisi non conosce le premesse né le regole del gioco che sta facendo, semplicemente pratica le conclusioni senza sapere nient’altro, queste conclusioni talvolta sono contrarie tra loro, ecco che sorge un problema e lì si arresta, la persona effettivamente si blocca non sa più cosa fare, rimane bloccata esattamente come accade con i computer che eseguono un’operazione non prevista…

Intervento: a questo riguardo si parlava in quel corso di questa A che laddove il linguaggio funziona coerentemente con la premessa e ad un certo momento lo stesso elemento preso in un altro gioco… Sandro lo diceva: ci sono due A che hanno una funzione differente nei giochi…

È ovvio che un singolo elemento può avere funzioni diverse, la parola “cane” può essere usata in vari modi, come l’animale a quattro zampe, come il cane della pistola oppure come aggettivo per indicare una persona di poco conto, di poco valore, quindi quella stessa parola ha o può avere funzioni diverse…

Intervento: in un’analisi questo arrestarsi su delle postazioni è come se…

In un’analisi è come se una parola avesse un unico significato e rimandasse necessariamente a quella conclusione, mentre ha un’infinità di significati e quindi non costringe a nessuna conclusione, di fatto non significa niente di per sé se non all’interno del gioco in cui è inserito, mentre per la persona in quell’occasione significa necessariamente quella cosa…

Intervento: nel discorso occidentale il criterio verofunzionale funziona in quella maniera e basta…

Se una persona ha paura dei topi e vede un topo ha paura, non può decidere di non averla, e il cosiddetto nevrotico funziona a quella maniera, mentre potrebbe decidere se averne oppure no, e quindi decidere che è meglio non avere nessuna paura dei topi, però qui si apre una questione clinica, perché ad un certo punto, ad un certa persona, lungo un discorso un elemento giunge ad avere questa funzione? E cioè che ogni volta che compare quell’elemento avvia un programma, sempre lo stesso. Come sappiamo il suo discorso è attratto in quella direzione, non può non farlo perché il tornaconto è troppo forte, cioè le emozioni che derivano da una cosa del genere sono superiori a qualunque altra considerazione e quindi non rinuncia, non si rinuncia alle paure così come non si rinuncia a qualunque altra cosa che piaccia. Cesare c’è qualche questione che vuole porre?

Intervento: perché ci sia esistenza occorre che ci sia linguaggio…

Partecipa del discorso, dopodiché giunge a quella conclusione che afferma che esiste, anche se i passaggi generalmente non sono così espliciti, però il percorso è questo: “si dice, dunque partecipa del discorso, quindi esiste”…

Intervento: all’interno di un’analisi per la persona l’elemento A non ha la possibilità di essere diverso a seconda del gioco, ma funzionare soltanto in un modo

Sì un elemento che fa parte del suo discorso che ogni volta che interviene ha sempre lo stesso significato e fa partire un programma che è sempre lo stesso, facevamo l’esempio della paura dei topi, ma può riferirsi a qualunque cosa in realtà e ogni volta che questo elemento interviene in qualunque contesto sia, nonostante il contesto diverso mantiene la stessa funzione, non può giocare ruoli diversi; è ciò che attrae quella persona verso quella direzione perché è quella che come dicevo prima ha un maggiore tornaconto e cioè moltissime emozioni o moltissime sofferenze, insomma tutte quelle cose che comunque danno l’avvio a una sequenza di discorsi, di pensieri…

Intervento:…

Non necessariamente, diciamo che c’è questo elemento, e ogni volta che il discorso arriva a questo elemento in un modo o nell’altro, può anche non arrivarci ma quando ci arriva allora lì parte quel programma ed è sempre quello…

Intervento: proprio perché attrae è facile che ci arrivi…

E infatti ci arriva sempre…

Intervento: proprio perché il discorso è fatto di elementi linguistici che sono connessi tra loro… in generale è il discorso religioso del discorso occidentale perché ovviamente le cose a cui crede sono le cose iniziano il proprio discorso…

Nel discorso occidentale il problema è costituito da alcuni significanti come esistenza, come bene, giusto, utile, questi costituiscono il problema vale a dire cose di cui gli umani parlano sempre senza avere nessuna possibilità di risolvere la questione, esattamente come il nevrotico di cui parlava Freud, ne parla sempre del suo problema senza poterne mai venirne fuori perché non ha nessun interesse a farlo esattamente così come il discorso occidentale non può venirne fuori perché non ha nessun interesse a farlo…

Intervento: per il discorso occidentale una credenza può anche non essere perché è vero…

Lo enuncia come problema ma di fatto è ciò che cerca ininterrottamente, però occorre che sia enunciato come problema, posto come tale e non come qualcosa che cerca perché se no perderebbe tutto il suo fascino…

Intervento: chi crede in dio non lo pone come problema, è convinto che le cose siano in una certa maniera e tutti i discorsi terranno conto di questa credenza…

Non è che tutte le questioni costituiscano necessariamente un problema, possono diventarlo, e lo diventano al momento in cui per qualche motivo occorre che questi problemi rispondano, allora diventano un problema se no, no…

Intervento: tornando al discorso di prima l’analisi è un percorso a ritroso per individuare la causa e contemporaneamente portare a considerare che non è l’unica conclusione possibile ma una fra altre?

No, non è un percorso a ritroso anche se può accadere di ripercorrere dei pensieri o delle vicende personali passate, questo sicuramente, ma non è questo l’obiettivo, ma giungere dicevamo prima a una sorta di infinitizzazione del discorso, intendere perché una certa cosa è così fortemente attraente, ciò che costituisce il problema, dopodiché accorgersi che questo problema in realtà è qualcosa che la persona ha costruito a suo vantaggio e qui si innesta la responsabilità: se faccio questo è perché in qualche modo il discorso di cui sono fatto lo cerca, quindi sono io, il mio discorso che crea questa cosa a mio unico vantaggio, e quindi accorgersi eventualmente che è il discorso che funziona così, che non è stata una maledizione divina, ché è la struttura del discorso che fa questo e allora o ci si accorge, si viene a conoscere il modo in cui il linguaggio funziona e allora lo si agisce, se no lo si subisce, e cioè si continua a pensare che sia qualche cosa al di fuori che mi minaccia, che mi importuna, che mi molesta, qualunque cosa sia, in fondo anche ricordare cose, come diceva Freud “ricordare, ripetere, rielaborare” diceva lui, non ha nessun altra funzione che parlare, costruire altre cose, sì certo relative al problema della persona ma semplicemente offrendogli l’opportunità di accorgersi che le cose che ha fatte, che ha pensate, che gli sono accadute sono funzionali a qualche cosa che lo attrae fortemente e che ha creato e mantenuto soprattutto, non si tratta tanto di sapere perché una certa cosa è avvenuta, come il famoso trauma della nascita di Rank, che voleva che ci fosse l’elemento scatenante, non c’è nessun elemento, nessun trauma della nascita, non più di quanto ci sia per una zanzara. La questione non è che cosa è accaduto, ma perché continua a mantenersi. Se la persona, come avviene, lamenta questa cosa “mi è successo questo da piccolo e allora è questo il motivo per cui adesso faccio questo” ma se è successo una cosa brutta perché continuarla? Se mi accorgo che dandomi le martellate sulle dita fa male cesso, non lo faccio più, perché invece dovrei continuare tutta la vita a darmi le martellate e lamentarmi che mi fa male? Forse perché siccome da piccolo mi sono dato le martellate sulle dita allora continuo? Non è così automatico anzi, generalmente le persone cercano di evitare tutto ciò che è molesto e dannoso per la loro incolumità, tant’è che se mette la mano sul fuoco magari la ritrae e invece in quel caso sembra che la lasci lì, è come se la lasciasse lì, che è curioso, per questo dicevo che è singolare che una persona continui a mantenere il problema anziché risalire all’evento, che magari non è mai accaduto. Per questo anche Freud abbandonò l’ipnosi, non serviva assolutamente a niente, non c’è il trauma iniziale, e se c’è qualcosa è soltanto il pretesto per costruire qualcosa e mantenerlo dopo per tutta la vita, tanto gli è piaciuto che continua per tutta la vita a compiere esattamente la stessa operazione. Perché? È questa la questione che abbiamo affrontate varie altre volte, ed è sempre una bizzarra questione: perché la persona di fatto si rivolge all’analista se ciò che fa è esattamente ciò che vuole fare? Non avrebbe nessun motivo, ma per potere continuare a praticare questa cosa deve mantenere l’idea di non esserne responsabile e infatti se l’analista incautamente all’inizio ponesse la questione della responsabilità perderebbe l’analizzante subito. L’unica possibilità di mantenere intatte tutte le emozioni, sensazioni, turbamenti e patemi è quello di continuare a pensare che questa cosa non dipende da lui perché se uno mi dà una martellata in testa posso lamentarmene, ma se me la do da me no. Funziona così, mentre se qualcun altro me l’ha data “ah, poverino cosa è successo? Racconta” ecco la parola chiave: “racconta”…

Intervento: praticamente racconta questa storia che è l’altro che dà la martellata… è un discorso di coerenza infatti nel discorso occidentale non si può compiere questo percorso…

In analisi è sempre un passo decisivo l’accoglimento della responsabilità, è il punto di svolta…

Intervento: ponendo esistenza il linguaggio, che il linguaggio è l’esistenza o che l’esistenza è il linguaggio ad un certo momento ci si sbarazza di tutta quella serie di questioni che riguardano il fuori della struttura, sbarazzano dalla cosa in sé…

Una bizzarra questione quella dell’esistenza, si è dovuti ricorrere a questa menzogna per giustificare tutto, eludendo la questione del linguaggio non rimaneva che questo: l’esistenza delle cose, non c’è altra via, tolto il linguaggio le cose esistono cioè stanno fuori, fuori da ogni grazia di dio e hanno una loro ragione d’essere che naturalmente sta nella natura, nel divino, in qualche accidente non importa quale, e naturalmente come dicevamo già l’altra volta e diceva anche Kant non si possono provare, tolto il linguaggio non è possibile provare assolutamente niente, non resta che l’atto di fede “credo quia absurdum” diceva il suo amico Tertulliano visto che ieri l’ha evocato, sì ,credo perché è assurdo cioè non c’è nessun motivo per pensare una cosa del genere. In effetti la religione almeno questa occidentale, quella cattolica più propriamente, fa del “credo quia absurdum” una virtù, non si deve credere per motivazioni ma per fede, erano due posizioni, quella di Agostino che eliminava la ratio a vantaggio della fede e invece Tommaso ha reinserita la ratio ma come ancella della fede, io ho la fede e poi cerco dei motivi, ma la fede rimane intatta, non può essere toccata dalla ragione perché la ragione è l’ancella, non domina della fede, e in fondo il discorso occidentale è rimasto così come ha voluto Tommaso, santo per alcuni, e cioè la ragione rimane ancella della fede tant’è che anche Shakespeare scrive che “il cuore ha ragioni che la ragione non conosce”. È rimasta questa superstizione, che esista qualcosa che la ragione non può comprendere, è un’idea balorda al pari di qualunque altra però anche qui è stata fatta questa operazione a forza, la ragione, tolto il linguaggio, non può arrivare oltre un certo limite perché non trova nessuna giustificazione, incomincia a girare a vuoto, da qui l’idea che comunque ci sia qualcosa aldilà della ragione perché la ragione arriva fino ad un certo punto. La ragione non arriva fino a un certo punto, la ragione va dove vuole, soprattutto se si accorge di cosa è fatta, se no certo si ferma lì e bell’e fatto, compie quel gioco di cui si diceva del dizionario che va avanti all’infinito, e a un certo punto si stufa, diceva anche Tommaso non è che possiamo andare avanti all’infinito, se no che razza di gioco è? A un certo punto bisogna fermarsi, chiaramente ciascuno decide il punto dove fermarsi, ché cambia a seconda del punto. Come abbiamo detto mille volte alcuni sono andati parecchio vicini alla questione, però mancava quel passo, applicare alle conclusioni tratte la conclusione stessa, come dire che, come alcuni hanno fatto per esempio “non c’è nulla fuori dalla parola” quindi anche questa affermazione è all’interno della parola e quindi non ha un suo valore estrinseco, ché l’ha intrinseco al gioco in cui è inserito, di per sé non significa niente ma questo passo che pure è banale, nessuno l’ha mai fatto, eppure facendolo che ci si accorge che ogni affermazione è quello che è perché inserita all’interno di un gioco e questo gioco è un gioco linguistico, fatto di regole e procedure, è questo che dà il senso così come noi lo conosciamo, è il linguaggio che costruisce la realtà, l’esistenza e quindi ciò che intendiamo con realtà o esistenza è debitore di questa struttura che chiamiamo linguaggio con tutte le conseguenze che questo comporta. Se il linguaggio fosse strutturato in altro modo la realtà sarebbe al pari strutturata in un altro modo, necessariamente, cioè sarebbe un’altra. Ecco però dell’esistenza parleremo ancora perché è una questione notevole, bisogna affinarla ancora, adesso l’abbiamo un po’ sgrezzata però c’è ancora da dire, e lo diremo. Poche cose possono esserci utili nel nostro progredire, l’unico testo dal quale traggo ancora qualche pensiero è la Metafisica di Aristotele, ci sono alcune cose molto fini, se non altro per il modo in cui procede, soprattutto poi rispetto alla questione della sostanza e quindi dell’esistenza. Era bravo Aristotele, anche lui è uno di quelli che sono andati particolarmente vicini alla questione, il motore immoto è ciò che risponde alla definizione di linguaggio, qualcosa che muove ogni cosa e che non è mosso da altro e che impedisce l’accesso al punto di partenza, una volta che si è installato non c’è la possibilità di venirne fuori, avvia un processo infinito e non c’è uscita. Continuate a riflettere sulla nozione di esistenza, chiedetevi che cosa dite esattamente quando dite che qualcosa esiste.