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14-6-2005

 

Ogni volta che si tratterà della realtà è questa la questione che va posta, e cioè la realtà come decisione, cioè io decido che ciò che cade sotto i miei sensi, ciò che io percepisco è la realtà, ma con questo che cosa ho fatto esattamente? Ho costruito una regola per un gioco, non ho fatto nient’altro badate bene, è soltanto una regola che io ho stabilita, una mia decisione, io decido che la realtà è ciò che i miei sensi percepiscono, né più né meno. Va bene, nulla in contrario ma è una decisione e che cosa significa che sia una decisione? Che non è necessaria. Ché vedete, il pilastro portante di tutte le nostre argomentazioni intorno alla logica in questo caso non è altro che questo: che qualunque criterio io utilizzerò per formulare qualunque giudizio di esistenza, di valore, questo criterio sarà fatto di linguaggio e qualunque criterio dunque di esistenza o di valore è fatto di linguaggio, senza questo criterio io non posso pormi la questione se qualche cosa esiste oppure no, perché facendo questo io sto utilizzando di nuovo questo criterio di esistenza, e quindi a questo punto affermare che le cose esistono lo stesso non significa niente, assolutamente niente, come dire che esiste dio, che esiste paperino, è la stessa cosa. Qual era la questione Cesare?

Intervento: il linguaggio ha bisogno di qualcosa di cui dire, quindi questo qualcosa da cui muove il linguaggio per dire è fuori dal linguaggio

Ci avete pensato? Martedì scorso avevo posto questa obiezione: che non ci sia nulla fuori dal linguaggio, dicevo che per avviarsi il linguaggio ha bisogno di qualche cosa da cui cominciare a dire che se non c’è niente, in assenza totale di qualunque cosa il linguaggio non dice niente e quindi c’è qualche cosa che precede il linguaggio necessariamente perché il linguaggio possa avviarsi, e quindi qualcosa che linguaggio non è, fosse anche nulla, ma in ogni caso per potere partire il linguaggio ha bisogno di qualcosa perché nel nulla più assoluto il linguaggio non parte, questa era la questione.

Intervento: si può immaginare che ci sia bisogno di un input particolare, isolabile per cui qualcosa dia avvio al linguaggio ma immaginare qual è la proposizione oppure di che cosa è fatto un perceptum per cui qualcosa da l’avvio a una domanda quindi al linguaggio è come isolarla questa cosa allo stesso modo in cui funziona il discorso occidentale “cos’è questo?” “questo” ma questa è la solita operazione religiosa che si compie laddove si vuole considerare vera una proposizione, vera nel senso che è fuori da una struttura linguistica, è come dire come ho cominciato a parlare “ho cominciato a parlare così” ma è un’opinione come le altre

La questione fondamentale è questa: che il linguaggio per partire abbia bisogno di qualche cosa che linguaggio non è, proviamo a considerare in ambito retorico una cosa del genere: la mia obiezione su che cosa si regge? Sul fatto che sì, certo, il linguaggio è lo strumento che consente di sapere, di capire qualunque cosa, però non può avviarsi in assenza di un input, quindi io ho formulato un’asserzione. Ma perché senza un input il linguaggio non dovrebbe avviarsi? Senza un qualche cosa che sia fuori dal linguaggio?

Intervento:…

Non è questa la questione, la direzione è un’altra: se il linguaggio necessiti di qualche cosa che sia prima del linguaggio. Qual è il punto debole di questa asserzione? Il punto debole consiste nel fatto che io ho asserito con estrema sicurezza che senza l’esistenza di qualche cosa che non è, potrei anche aggiungere “necessariamente” linguaggio, il linguaggio non si avvia, però io do per implicito qui che esista qualcosa comunque, è la questione dell’esistenza che già si era posta forse la volta scorsa, ne avevamo già parlato, è uno degli elementi cardine di qualunque argomentazione retorica nell’ambito delle argomentazioni che stiamo trattando. Mille volte abbiamo detto che possiamo considerare l’esistenza come tutto ciò che cade sotto i nostri sensi, tutto ciò che viene percepito o che può essere percepito, ma perché la realtà dovrebbe essere questo che ho appena detto, cioè ciò che viene percepito? In questo modo ciò che io ho detto non è altro che una decisione, cioè io decido che è reale tutto ciò che i miei sensi percepiscono, cosa comporta il fatto che sia una decisione? Comporta che non è necessario, perché io potrei decidere anche altrimenti, per esempio esiste solo ciò che dio vuole che esista, che dio vuole che io reputi tale ma le cose che io vedo, che tocco, sono pura illusione, la realtà è quella che dio stabilisce, e se fosse tutto un’illusione? Ora il porre l’esistenza quindi la realtà tout court come una decisione che vale quanto qualunque altra, a questo punto sbarazza la mia obiezione di un supporto notevole, perché a questo punto voi potreste dirmi “certo, la realtà esiste, così come dio esiste, così come qualunque cosa esiste purché significhi qualcosa per qualcuno”, se significa qualcosa per qualcuno esiste, certo, nel caso non significasse nulla per nessuno allora parlare di esistenza non avrebbe nessun senso perché non sarebbe utilizzabile, significherebbe niente, anzi non sarebbe neppure possibile porsi la domanda “se esiste, se io dico che esiste o chiunque al mondo dice che esiste è perché per quella persona che sta dicendo significa qualcosa” ma che cosa esattamente? Significa all’interno del gioco che il suo discorso ha costruito cioè, come dicevo prima, in questo caso una decisione “io decido che si chiama esistenza tutto ciò che i miei sensi percepiscono” va bene, perché no? E se io decidessi solo ciò che il dio dei mussulmani decide che esiste? Perché no? E tutto il resto è mera illusione? Io vedo le cose, sì, sì certo, vedo, non significa assolutamente niente il fatto che io veda qualcosa perché posso illudermi, è possibilissimo farmi vedere cose che non esistono, come è possibile che io avverta, senta cose che non sono mai esistite, possiamo rendere la cosa ancora più grande come dicevo prima e cioè che tutto ciò che gli umani suppongono sia mera illusione, così come per altro avviene in molto letteratura e nella la fantascienza, moltissimi film hanno concepito che tutto non sia altro che assoluta illusione. L’unica “realtà” è il linguaggio, però si incorre in un problema e cioè che è il linguaggio stesso che ci fornisce la possibilità di pensare la realtà, ora quindi la questione della realtà ponetela bene, annotatevela perché ogni volta che si tratterà della realtà è questa la questione che va posta, e cioè la realtà come decisione e cioè io decido che ciò che cade sotto i miei sensi, ciò che io percepisco è la realtà, e con questo che cosa ho fatto esattamente? Se dovessi dire proprio con assoluta precisione che cosa ho fatto allora direi che ho costruito una regola per un gioco, non ho fatto nient’altro badate bene, perché potrò in qualche modo provare, se mai lo volessi, che la mia decisione è necessaria? No, con che cosa lo faccio? In base a che cosa? Con quale parametro? È soltanto una regola che io ho stabilita, una mia decisione, io decido che la realtà è ciò che i miei sensi percepiscono, né più né meno. Va bene, nulla in contrario ma è una decisione e che cosa significa che sia una decisione? Che non è necessaria. Non è necessaria quindi non è provabile che debba necessariamente essere così, cioè che non possa essere altrimenti, in nessun modo e quindi per tornare alla questione da cui siamo partiti cioè che il discorso necessita di qualche altra cosa per esistere, per potere avviarsi, questa obiezione si può molto facilmente ricondurre alla questione della realtà, ché in questo caso io affermo che qualcosa esiste indipendentemente dal linguaggio, esiste di per sé attribuendo all’esistenza un carattere di necessità che non ha, e pertanto affermare che qualcosa è fuori dal linguaggio è una affermazione assolutamente arbitraria, o che c’è qualcosa che è fuori dal linguaggio, posso crederlo, posso dirlo, posso farlo pensare a molti ma in realtà non potrò mai provarlo. Il pilastro portante di tutte le nostre argomentazioni intorno alla logica in questo caso non è altro che questo: qualunque criterio io utilizzerò per formulare qualunque giudizio di esistenza, di valore, questo criterio sarà fatto di linguaggio e qualunque criterio dunque di esistenza, o di valore, è fatto di linguaggio, senza questo criterio io non posso pormi la questione se qualche cosa esiste oppure no, perché facendo questo io sto utilizzando di nuovo questo criterio di esistenza e quindi a questo punto affermare che le cose esistono lo stesso non significa niente, assolutamente niente, come dire che esiste dio, che esiste paperino, la stessa cosa. Come mai voi non avete obiettato niente la volta scorsa? Tutte queste cose occorre che siano per voi sempre presenti, queste controargomentazioni devono essere presenti e immediate, sempre lì, ma non soltanto quando qualcuno vi obietta qualcosa, ma anche quando pensate questioni teoriche ovviamente, quando riflettete sul linguaggio e la sua struttura. Due cose sono fondamentali:

1) il pilastro su cui si regge tutta la nostra argomentazione e dai cui poi segue che qualunque cosa è un elemento linguistico è il fatto che qualunque criterio io utilizzi, qualunque criterio di esistenza o di valore questo criterio necessariamente sarà costruito con il linguaggio.

2) che la realtà esiste, ma l’esistenza come abbiamo appena detto, il criterio di esistenza è una decisione che non è necessaria perché non è provabile la sua necessità, in nessun modo.

Queste due cose dovete avere sempre presente con voi, perché sono fondamentali, tutto il resto segue generalmente a queste argomentazioni…

Intervento: se è il linguaggio che costruisce qualunque criterio di esistenza fuori dal linguaggio non esiste nessuna esistenza perché la questione fondamentale sapere cosa c’era prima…

In ambito retorico potete anche concedere al vostro interlocutore l’esistenza di qualcosa fuori dal linguaggio, se la situazione lo richiede, come possibilità, ma è un’affermazione che in ambito teorico non è utilizzabile perché non provabile, se proprio volete fare il massimo della concessione la ponete come possibilità, non utilizzabile in termini teorici…

Intervento: si accoglie la credenza comune non si abbatte dicendo tu hai torto però proviamo a vedere se è effettivamente così forse magari c’è più disponibilità ad ascoltare

Ecco quindi abbiamo risposto al quesito.

Intervento:…

L’esistenza trova il suo statuto all’interno di un gioco linguistico ovviamente, sì, per quanto riguarda la possibilità retoricamente si può utilizzare dicendo che è possibile ma non provabile, e quindi è possibile e quindi si fa “come se fosse così” in realtà, per cui vengono costruiti tutta una serie di giochi che vengono utilizzati, ma l’utilizzo non è un criterio di verità, dicevo che anche se viene utilizzato cionondimeno non può esibire la sua necessità, può essere utile ma non è utile magari per la vita quotidiana, per il modo in cui i vari giochi sono costruiti, ma non necessario. Tutto il discorso occidentale è stato costruito su questa menzogna, e cioè che la realtà esiste di per sé, che sia la barriera ultima del pensiero, mentre non è così, pensare questo non è necessario, nessuno è costretto a farlo, non è costretto proprio perché non è provabile una cosa del genere e allora a questo punto ci si aggancia a tutta la questione del linguaggio e del criterio di provabilità, in che modo posso costruire un criterio di provabilità di qualcosa?

Intervento: questo significa considerare il linguaggio un mezzo per cogliere delle differenze, per cui una certa differenza la chiamo in un certo modo

Retoricamente anche questa affermazione che sta dicendo può essere utilizzata: “il linguaggio come un mezzo” dicendo: “certo che è un mezzo, è un mezzo per potere comprendere la realtà, un mezzo per potere stabilire l’esistenza delle cose, è un mezzo per potere stabilire il loro valore, un mezzo per esistere, un mezzo per fare esistere qualunque cosa”, a questo punto avete l’occasione di fare scivolare lo strumento a qualcosa che è condizione, passando lentamente dal mezzo alla condizione…

Intervento: come arriviamo a questo punto a passare alla condizione per cui esiste il mezzo?

Retoricamente con un climax…

Intervento:…

E quindi diciamo che il linguaggio è il mezzo per conoscere la realtà, è vero, verissimo, ma non solo, è anche il mezzo per potere dare un giudizio sulla realtà, un mezzo per potere formulare un giudizio di esistenza sulle cose, un mezzo per potere considerare le cose, un mezzo che ci consente di costruire il criterio con il quale noi le valutiamo tutte quante, un mezzo ancora che ci consente di stabilire che una certa cosa è oppure non è, un mezzo che consente alle cose di darsi a noi, un mezzo che consente alle cose di esistere, che consente a me di possedere quei criteri di esistenza che mi dicono che esistono, ché se no non mi accorgerei dell’esistenza delle cose che magari esisterebbero lo stesso, ma io non lo saprei, non potrei mai saperlo. Vi ho concesso che esisterebbero lo stesso, a questo punto aggiungo che affermare che esisterebbero lo stesso è un atto di fede perché senza questo “mezzo” (ho soltanto cambiato la parola sto utilizzando “mezzo”) in base a che cosa io posso stabilire una cosa del genere? Non c’è niente se non c’è questo mezzo. Cioè in modo subdolo, sempre parlando di mezzo. Ma avete usato questo termine, questo significante “mezzo” al posto di “condizione” ma con la stessa connotazione di condizione, ma continuate a usare “mezzo”, quindi dando assolutamente ragione perché lo considerate un mezzo, un mezzo che consente l’esistenza di qualunque cosa. Volgete dunque le argomentazioni altrui contro di loro, voi le accogliete con entusiasmo, certo, è un mezzo per questo, per questo e per quest’altro, è il mezzo per potere parlare di mezzo. C’è altro a cui dobbiamo rispondere?

Intervento: vorrei fare delle obiezioni: io ho male a un dente, questo male non lo voglio… qualunque umano di fronte al mal di denti non vuole il mal di denti … non è una mia responsabilità ma soprattutto ci sono delle macchine che possono confermarlo… per distinguere il fatto psicologico, ma pure il mal di denti è funzionale ad un discorso che gli serve per costruire delle proposizioni vere. In questo caso c’è la macchina che certifica il mio male al dente- granuloma – c’è qualcosa che è indipendente da me

Qual è la questione?

Intervento: la funzionalità del discorso e quindi della responsabilità… un tumore, un male è certificabile da parte di macchine tanto è vero che ci si muove in base a ciò che le macchine affermano quindi affermare che qualsiasi cosa è funzionale…

Può spingere la cosa ancora oltre…

Intervento: ovvio che qualsiasi cosa è presa nella struttura linguistica nel senso che pure ciò che fotografa la macchina è decodificabile in base a dei calcoli, alle categorie aristoteliche ecc. ecc ciò che il linguaggio ci ha messo dentro tanto che lo può vedere però rimane il fatto che…

Ma l’obiezione qual è?

Intervento: se non si prende la funzionalità del discorso occidentale che crea il male in un certo modo e lo stabilisce con i suoi marchingegni è ovvio che io non posso dirmi responsabile del mio mal di denti, così come io invece mi dico responsabile della mia sofferenza psichica… ma il mal di denti e la sofferenza psichica sono funzionali alla produzione di linguaggio… nei confronti di un male psichico una persona si è adoprata a costruire una storia comprensiva del suo credere, un tumore… per il male fisico Faioni direbbe che la macchina si è rotta…

Dicevo prima che lei può spingere la questione anche oltre, se lei adesso scende di qua e sale in macchina, mette in moto e la macchina non parte, poniamo che si sia rotta la catena della distribuzione, in che modo lei ne è responsabile? La catena ad un certo punto si rompe, perché? Perché le fanno apposta perché si rompano, se no nessuno le cambierebbe mai, non è responsabile lei, dove sta la sua responsabilità in tutto questo? Ma di tutta una serie di giochi che lei accoglie e che ha dovuto accogliere per utilizzare una macchina, per sapere tutta una serie di cose, per avere accolto la sua stessa esistenza, così come l’esistenza delle altre cose, una enorme quantità di giochi linguistici del cui accoglimento lei è responsabile, non della catena di distribuzione che si è rotta, ma di tutto ciò che ha consentito alla catena di distribuzione di esistere, quindi di rompersi. Di questo è responsabile, perché le cose non esistono di per sé, esistono all’interno dei giochi linguistici che lei ha accolto, una volta che li ha accolti lei è responsabile, come una partita a poker, una volta che ha cominciato a giocare lei ha accolte tutte le regole di quel gioco e se perde deve pagare perché è responsabile…

Intervento: una di queste sere si diceva parlando della funzionalità del corpo diceva che un tumore al cervello può dimenticarsi e quindi dissolversi

Avevamo iniziato a parlare del corpo, poi abbiamo sospesa la questione per affrontare questioni retoriche che apparivano più urgenti, potremmo anche riprendere la questione, eravamo arrivati a un buon punto, al corpo come uno strumento del linguaggio, che il linguaggio utilizza per modificare il mondo a seconda dell’andamento delle proposizioni che sta costruendo, ma c’è ancora da dire, dire come il corpo effettivamente sia, come ci è apparso, assolutamente dipendente dal linguaggio…

Intervento: per esempio la proposizione che afferma che c’è qualcosa fuori dal linguaggio è una proposizione che tutto sommato funziona nella struttura occidentale ma serve soltanto a dare la differenza e quindi a mostrare che nulla può esistere fuori da una struttura linguistica, è una proposizione che può cominciare a far lavorare un certo sistema

Sì, eravamo partiti con il progetto di mostrare che se il linguaggio può modificare il corpo, se lo può modificare in tutti i sensi: “ucciderlo o sanarlo” a suo piacimento, come dire che se lo uccide ha dei buoni motivi per farlo, se lo sana lo stesso, però come questo si ponga in essere questo ancora non lo abbiamo stabilito con precisione, abbiamo posto delle questioni certo, ma c’è ancora molto da dire a questo riguardo…

Intervento: la malattia è una certa variazione, è una certa differenza

Una pressione sul nervo, prima non c’era adesso c’è

Intervento: è un po’ come sentire caldo o freddo

Intervento: il male è più importante nel discorso occidentale

Dipende, se lei si trovasse a 40° sotto zero per lei la temperatura sarebbe più importante di qualunque cosa…

Intervento: come dire che uno persona per accendere la luce non sta lì a chiedersi se è fuori o dentro da una struttura linguistica però se gli arriva un male diventa importante e quindi comincia l’interrogazione… quando schiaccio l’interruttore è automatico sapere che è un gioco linguistico.