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14-5-2014

 

La questione dei termini, e cioè cosa significa una parola. Al punto in cui siamo ciò che possiamo dire è che una parola è di per sé parecchio indeterminata, oltreché indeterminabile, e cioè qualunque parola si usi in un discorso, se sottoposta a un’indagine attenta e precisa si mostra mano a mano che si procede sempre più vaga e più indeterminata. Questa indeterminatezza è quella che consente, molto probabilmente, al linguaggio di proseguire, proprio questa indeterminatezza. Un termine indeterminato consente una significazione abbastanza ampia e più il termine è indeterminato e più la significazione si amplia, nel senso che vuole dire un po’ di tutto. Quindi consente la costruzione di discorsi soprattutto, consente a questi discorsi di non fermarsi, di non fermarsi a causa proprio della inadeguatezza dei termini, cosa che potrebbe arrestare una macchina se non sufficientemente programmata. il termine è indeterminato per potere essere utilizzato quindi la macchina si ferma perché non sa che direzione prendere, cioè che significato dare a quel termine. Abbiamo detto tempo fa che ciascun termine che viene utilizzato ha un significato perché questo significato gli viene fornito dall’uso stabilito da un certo gruppo di parlanti, che tendenzialmente viene raccolto all’interno di un dizionario, ma sappiamo che anche il dizionario ha delle variazioni, può aggiornarsi, e poi un dizionario non necessariamente fornisce di un termine la stessa definizione che fornisce un altro dizionario, ci si trova insomma di fronte a una indeterminazione dei termini tale che apparentemente viene da domandarsi come possa accadere che due persone parlando fra loro riescano a comunicare qualcosa, ammesso che comunichino qualcosa. La questione che si pone a questo punto è che ciascun discorso viene costruito da termini assolutamente indeterminabili, perché dico che sono indeterminabili? Posso determinarlo certo, posso dire che una certa cosa in questa occasione la intendiamo in questo modo, questo si può fare e si fa per altro, naturalmente questo può rendere le cose apparentemente più semplici, in molti casi lo fa, ma non sempre e non necessariamente, perché anche la determinazione più precisa e più rigorosa di un termine comporta sempre che quel termine abbia un significato, cioè che quel termine in ogni caso si riferisca a quest’altra cosa che dico che è, se io dico che a è una variabile enunciativa, sto dicendo che una certa cosa è quest’altra cosa, cioè la a è quell’altra cosa che chiamo variabile enunciativa, naturalmente spostando, ché il significato non è altro che uno spostamento, quella cosa che Guglielmo da Occam chiamava “suppositio”, per cui si tratta sempre di una sorta di operazione che comporta uno spostamento. Dicendo che una a è una variabile enunciativa, anche questi termini “variabile” “enunciativa” devono avere un significato e ce l’hanno ovviamente per essere utilizzati, un significato che è stato sancito precedentemente, questo potrebbe portare a una sorta di regressio ad infinitum ovviamente, cosa che però non avviene perché si dà, a un certo punto, per acquisito che un certo gruppo di persone che parla di variabili enunciative sappia che cos’è una variabile enunciativa, e cioè di un simbolo che è messo al posto di un enunciato, dando per presupposto, anche qui, che si sappia che cosa sia un enunciato. Ma la questione più interessante in tutto ciò è che in qualunque discorso, che sia teorico oppure no, qualunque tipo di discorso comunque è composto da un insieme di elementi che appaiono, come dicevo prima, non soltanto indeterminati ma anche indeterminabili, quindi che cosa si fa quando si parla a questo punto? Che cosa fornisce a questi termini un qualche cosa che assomiglia a un significato e che mi consente di proseguire a parlare? Questa cosa che cosa significa? Non lo so. Posso saperlo? No, c’è l’arresto totale. Ma invece non è così, non avviene così e si continua a chiacchierare. C’è un elemento che interviene a fare sì che sia assolutamente irrilevante che i termini che si usano in un discorso qualunque sia assolutamente irrilevante, cioè non importi niente. Queste considerazioni, pure legittime, si scontrano per così dire con il fatto che l’indeterminatezza e l’indeterminabilità di qualunque elemento non è un fattore decisivo e non importa assolutamente niente…

Intervento: però il significato lo devo utilizzare per forza, un significato certo lo definisco io cos’è…

Sì e no. Ma prendiamo seriamente ciò che dice Cesare. Un termine ha un significato, supponiamo che sia quello del dizionario che codifica una serie di termini, però questa codifica dice che questo termine può essere utilizzato in molti ambiti, ma sempre e necessariamente? No, in moltissimi casi, dico moltissimi non pochi, interviene la modificazione del termine a partire dal contesto, cioè dalla sequenza linguistica all’interno della quale è inserita: è la sequenza che decide qual è il significato che attribuirò a quel termine? Anche, certo, per cui ci troviamo di fronte da una parte al significato del dizionario, che è quello che ci consente di potere utilizzare quel termine in qualunque modo vorremo usarlo, dopo di che c’è un altro aspetto, e cioè come voglio utilizzarlo quel termine che significa questo, questa cosa che mi dice il dizionario, come voglio usarla? In che modo mi serve? Inserito all’interno di una combinatoria, cioè di un discorso, significa una certa cosa, inserito all’interno di un altro discorso significa un’altra cosa, quindi il significato viene modificato dalla proposizione? Sì, parrebbe di sì, quindi a questo punto io prendo quel termine che per utilizzare devo conoscere e quindi saperlo “supporre” direbbe Guglielmo da Occam a qualche altra cosa, e poi tenere conto certo del modo in cui lo sto utilizzando in quel momento. L’esempio del “cane” ci dice che “cane” può essere tante cose certo, ma devo sapere che cane è un animale a quattro zampe fatto in una certa maniera, però poi questo sostantivo posso usarlo in molti altri modi, come insulto per qualcuno per esempio, posso parlare del cane di una rivoltella. Ora questo ci porta su un’altra questione ancora: il discorso decide quale sarà l’utilizzo di un termine che so utilizzare ovviamente, che posso utilizzare, il discorso mi dice che uso ne farò, in base a quel criterio? L’utilizzo del significato di un termine all’interno di un discorso ha un unico obiettivo: questo termine verrà utilizzato allo scopo di potere affermare, quindi stabilire qualche cosa, e quindi per soddisfare una richiesta della struttura stessa del linguaggio che impone che una sequenza concluda con un’affermazione vera, il significato dei termini viene utilizzato per potere affermare una verità, questo è l’unico uso. Se dovessimo dire che cosa decide del significato dei termini, potremmo anche dire, a questo punto, che è l’uso per potere affermare la verità, è questo che pilota i termini e che decide qual è l’uso che se ne farà, cioè quale significato avrà. Ed è il motivo per cui gli umani parlano, cioè per potere affermare delle verità, detta altrimenti, per poter imporre il loro potere, che è il modo in cui si manifesta, il modo più folcloristico in cui si manifesta la necessità di affermare delle verità. Quindi la questione semantica a questo punto prende un’altra piega e si profila un teoria semantica leggermente differente da quelle canoniche, e ce ne sono uno sterminio. Si profila una teoria semantica differente da tutte quelle proposte dalla filosofia analitica che è prevalentemente quel discorso che si è occupato di questo, cioè teorie semantiche, non solo ma anche, potremmo dire soprattutto, perché questo tipo di teoria semantica ci dice che non si tratta di cercare il significato di un termine chissà dove o di riuscire a stabilirlo perché ha come referente la cosa, oppure che il significato è composizionale, anche, ma tutto questo ci dice poco tant’è che risulta insoddisfacente, ci dice poco perché lascia aperte troppe possibilità senza potere giungere a riferirsi a un qualche cosa che effettivamente dia una direzione per indicare come funziona il significato dei termini, come funziona in atto, cioè mentre ne parlo, in ciò che sto dicendo qui e adesso. Un dizionario ci dice che possiamo utilizzare un termine, ci dice un uso vago, come dicevo un dizionario dice una cosa, un altro ne dice un’altra, poi col tempo cambiano i significati dei termini, poi questo significato non esiste da solo, è un’astrazione fittizia, un elemento non può esistere di per sé, deve esistere all’interno di una combinatoria di elementi che possiamo chiamare discorso, racconto, teoria, frase quello che vogliamo, è irrilevante. Dunque questo elemento, questo termine da solo è nulla, è zero e neanche quello sarebbe, è qualche cosa all’interno di una combinatoria ed è questa combinatoria che decide l’uso che verrà fatto, questo termine da solo è niente, dicevamo l’altra volta, sulla scorta di Hegel che si è accorto che un termine da solo in effetti è niente, occorre tutto il resto, e cioè tutto il discorso, potremmo dire, in cui è inserito perché quel termine sia qualche cosa; ora dunque abbiamo il termine del dizionario e poi il discorso all’interno del quale funziona e dice quello che vuole dire, ma ciò che dice, ciò che vuole dire ha un’unica direzione e cioè verte verso, è diretto verso, la possibilità di potere affermare la verità, di potere affermare il “potere” potremmo dire, in termini molto ampi. Ciò che manca nelle teorie semantiche che abbiamo considerate, almeno alcune perché sono sterminate, ciò che manca in tutte queste teorie semantiche è quel passo in più che consente di intendere qual è la direzione che il discorso impone a un termine, e cioè quale significato impone al termine perché questo termine significhi quello che occorre che significhi per potere giungere alla verità. Ciò che manca alle teorie semantiche è questo elemento che è quello decisivo, decisivo perché è lui che dice quale sarà il significato che quel termine avrà in quel discorso; senza questa direzione che il discorso decide di quel termine, quel termine rimane assolutamente vago, indeterminato eccetera. Perché prima vi dicevo che la indeterminatezza dei termini è assolutamente irrilevante nel discorso? Perché nel discorso importa assolutamente nulla di stabilire che cosa significhi un certo termine, gli basta che quel termine contribuisca al raggiungimento dell’obbiettivo che è lo scopo poi del linguaggio, cioè giungere a una conclusione vera. Per questo è irrilevante che cosa significhi esattamente un termine: primo, perché non è possibile indicarlo con assoluta precisione, non è possibile costruire un discorso, una definizione di un termine che risulti assolutamente incontrovertibile, non si può fare, di fronte a un’argomentazione del genere basta mostrare la inevitabile regressio ad infinitum o di circolo vizioso, per cui alla fine di questo circolo si trova il punto di partenza senza avere saputo niente, cioè giunge a una tautologia. Se prendete un termine, uno qualunque, e incominciate a chiedervi “cosa significa?” supponiamo che abbiate un ottimo dizionario, questo termine significa queste altre parole, supponiamo che siano cinque parole che definiscono la prima, ora ciascuna di queste cinque parole ovviamente possiede un significato che il dizionario è in condizioni di mostrare, per esempio “cane: animale domestico, quattro zampe, mammifero” ciascuna di queste parole comporterà altre parole, e ciascuna di queste altre parole ancora. Supponiamo che Simona abbia tempo illimitato da perdere, allora a un certo punto si troverà in questo percorso che sembra infinito, ma che di fatto non lo è, si troverà esattamente al punto di partenza. Dunque che cosa ha trovato in questo andare quasi infinito? Avrà trovata una tautologia, cioè un animale è un animale. Perché tutto ciò che ha reperito in questo lunghissimo viaggio l’ha ricondotta al punto di partenza, cioè è una tautologia, una cosa è quello che è. Ora a questo punto è chiaro che questo percorso si rivelerebbe inutile, una perdita di tempo immensa, potremmo anche farla fare a un computer, ci metterebbe meno tempo però giungerebbe alla stessa conclusione, e cioè che un termine non può essere definito in modo preciso, in modo assoluto, perché questo termine è quello da cui siamo partiti. Questo ci dice soprattutto che la ricerca del significato ultimo, incontrovertibile di un termine è vana, cioè questa definizione non si trova, riporta al punto di partenza e non sapremmo niente più di quanto sapevamo prima. Questo è importante perché mostra che il significato di un termine nel discorso non importa assolutamente niente, importa soltanto il modo in cui può essere utilizzato per giungere alla conclusione, cioè per giungere alla verità ma, potrebbe obiettare Eleonora, se i significati non hanno importanza ma sono irrilevanti, quando giungo a una conclusione, questa conclusione è di per sé un significato, ché deve avere un senso, deve dire qualche cosa. Apparentemente è così, però poi di fatto non funziona esattamente così, perché in questa totale indeterminatezza del significato io posso presumere che ciascuno dei termini che interviene abbia un significato che mi porta, appunto, dove io voglio arrivare, presumo che abbia un significato e questa presunzione è sufficiente a farmi andare avanti, perché se io non lo presumessi più ma mi fermassi per indagare il termine singolo, mi fermerei lì, mi bloccherei e non andrei più da nessuna parte. Questo naturalmente apre a moltissime questioni, una fra le tante è come intendere meglio la questione che un termine, è “come se”, significasse simultaneamente tutti gli altri, per altro è una questione che non è sicuramente una mia invenzione, c’è già in De Saussure, c’è ancora meglio in Derrida. Questo aspetto come abbiamo visto l’altra volta procede dalla dialettica, perché è stata la dialettica la prima a mostrare che un elemento è connesso necessariamente con tutti gli altri, e c’è anche da dire che tutto ciò che stiamo dicendo, e cioè che “la dialettica è stata la prima formulazione filosofica a mettere in evidenza che ciascun elemento è connesso con tutti gli altri”, anche questo discorso a sua volta è composto da termini necessariamente, ciascuno dei quali termini ha un suo significato, vago ma ce l’ha, ne ho tenuto conto per costruire questa frasetta? No, come mai? Si potrebbe dire che questo procedimento avviene in automatico, e cioè do per acquisito che ciascuno dei termini che utilizzo in questo discorso sia conosciuto da chi ascolta, vero o no che sia comunque lo do per acquisito, e questo mi consente di potere procedere tranquillamente ma, molto hegelianamente, è proprio la vaghezza di questi termini che mi consente di proseguire a parlare e cioè il fatto, se proprio dobbiamo dirla tutta, di non sapere mentre parlo di che cosa sto parlando esattamente. Per rispondere a questa questione, se fosse posta in termini assolutamente precisi, dovrei incominciare a considerare ciascun termine, il suo significato, il suo significato assoluto. Tutto questo ha una portata che non è soltanto prettamente teorica, ma anche clinica, e anche politica, perché tutto ciò giunge a porre una questione semplicissima, una domanda che potrebbe anche apparire semplice: perché gli umani parlano? Parlano per affermare delle verità, perché è l’unica cosa che devono fare essendo parlanti, e che non possono non fare, quindi tutto quanto è come se fosse orientato in questa direzione, con questo unico obiettivo. Vi dicevo che si aprono tantissime questioni, certo l’aspetto che pone la dialettica può essere ancora ripreso e anche la questione semiotica, soprattutto di Greimas. Con Greimas possiamo considerare per esempio la teoria, generalmente una teoria è considerata come quel percorso che consente di trarre conclusioni da elementi, tale per cui questi elementi che costituiscono la conclusione costituiscano a loro volta una risposta a delle domande formulate precedentemente, è un metodo per formulare risposte a certe domande, una teoria tendenzialmente non è nient’altro che questo ma, rivedendo in termini più precisi uno scritto di Greimas la Semantica strutturale, forse uno dei pilastri della semiotica contemporanea e anche uno dei testi più difficili insieme a Hjelmslev, si può considerare che una teoria consista in questo. Greimas pone il processo semiotico cioè la “semiosi”, la produzione del significato, come un processo che si manifesta dall’opposizione di due termini contrari, prendiamo “uomo / donna”. Questi due termini sono due perché sono in relazione, c’è una relazione fra i due, possiamo dire che due termini sono due perché c’è qualche cosa che li mette in relazione, se no sarebbero uno e uno, se sono due, è perché c’è una relazione, quindi scriviamo A e poi B. Perché siano due occorre un terzo elemento cioè la relazione, A r B, allora c’è un terzo elemento che è quello appunto che connette A e B e fa in modo che questi elementi siano due: perché ci sia il due occorre il terzo elemento, perché ci sia il due occorre il tre. Per Greimas questo processo che mette in relazione A con B comporta un altro elemento ancora, cioè la significazione. La significazione è esattamente questo: la relazione fra A e B in atto, cioè mentre sta accadendo. Questa significazione, questa semiosi, come la chiama lui propriamente, è un nuovo elemento che non è né A né B, e non è neanche propriamente la relazione in quanto tale, ma è ciò che accade quando A e B sono in relazione fra loro. Naturalmente vi salterà agli occhi la connessione tra questo e ciò che dicevamo rispetto a Hegel. Hegel pone un elemento A, poi pone un altro elemento non A, e questo elemento sappiamo che non è soltanto la negazione di A, ma usavamo un termine più proprio della logica: il complemento booleano. L’unione di questi due elementi viene scartata dalla logica classica, se c’è A non può esserci non A. Questi due elementi Hegel li mette insieme, A e non A, che significa tutto ciò che A non è. Facevo l’esempio di Eleonora, Eleonora e tutto ciò che non è Eleonora, questo non è Eleonora, quest’altro non è Eleonora eccetera, c’è una lunga serie di cose che non sono Eleonora. Se mettiamo insieme Eleonora e tutto ciò che non è Eleonora abbiamo il Tutto. Ora la connessione è che da questa unione di elementi, così come in quella precedente di cui dicevamo di Greimas sorge un terzo elemento, un nuovo elemento che non è nessuno dei due né la somma dei due, è un’altra cosa, che è esattamente quello che dice Greimas rispetto alla semiosi: questa produzione di significato non è più la A né non A, e neanche la relazione, è un’altra cosa. Tutto questo per dirvi che un’argomentazione del genere può valere per definire un processo teorico. Un processo teorico prende due elementi, dico due ma possono anche essere di più, prende due elementi che per essere due sono in relazione in qualche modo, poi si tratterà di vedere che tipo di relazione, e dopo avere messo in relazione questi due elementi trae da questa relazione, da questo “insieme” chiamiamolo così, un altro elemento e cioè produce un elemento che prima non c’era e che non è né il primo né il secondo, e neanche la relazione, ma è un’altra cosa. Questa potrebbe essere una buona definizione di processo teorico.