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14-5-2008

 

Potremmo ripercorrere gli aspetti fondamentali, intendere il funzionamento del linguaggio in modo sempre più preciso, è ciò che ci consente e ci consentirà di affrontare qualunque questione in modo sempre più semplice, più fluido, più rapido. Naturalmente occorre giungere fin dove è possibile e poi ancora oltre vale a dire a intendere di cosa sono fatti i suoi componenti, quelle cose che si chiamano parole e in quale modo si combinano. L’ipotesi che stiamo valutando è se sia soltanto la sintassi a stabilire la semantica e cioè la disposizione in cui intervengono gli elementi linguistici a stabilire quale sarà il loro significato e anche la loro verità, questa è l’ipotesi e cioè che in sostanza le parole, quelle cose che si chiamano parole o termini o lessemi come usano i linguisti di fatto non siano altro che posti vuoti all’interno di una combinatoria, posti vuoti …

Intervento: disposti insieme fanno un discorso …

Sì certo, disposti in un certo modo naturalmente, talvolta basta cambiare la disposizione di questi termini, dei singoli elementi che cambia il senso, come si sa, ma è possibile che le parole siano dei posti vuoti cioè di per sé non significhino niente? Apparentemente è così, dico apparentemente perché si tratta di lavorarci però il fatto che per esempio, ciascuna parola di per sé rinvii per trovare il proprio significato a infinite altre senza possibilità di arrestarsi lascia pensare che effettivamente il significato ultimo, definitivo, quello stabilito non sia reperibile ma sia soltanto un rinvio infinito. Facevamo l’esempio del dizionario, lei prenda un dizionario, dicevamo l’altra volta, quante parole ci sono in un buon dizionario? Più di 165.000, ora una persona colta si suppone che conosca 5000 parole se va bene, quindi il dizionario, dicevamo, rappresenta un insieme chiuso ci sono 165.000 parole, però quando lei cerca una parola come ‘casa’, per esempio, trova altri termini che spiegano cosa vuole dire casa e ciascuno di questi termini cosa vuole dire singolarmente? Naturalmente ciascuno di questi termini, per esempio, edificio, per edificio andiamo a cercare edificio e trova costruzione ecc. allora va a cercare costruzione, questa serie di rinvii che sono infiniti di fatto e che dovrebbero garantire la possibilità di reperire il significato di un termine mostrano che invece questa garanzia non c’è, perché se anche lei usa continuamente dei termini, delle parole di fatto il significato ultimo di queste parole è sempre rinviato ad altre senza fine, e questo ci induce a pensare all’assenza di un significato di ciascun termine più propriamente che il significato di questo termine non sia nient’altro che, come diceva Wittgenstein, il suo uso, il saperlo usare, non sapere cosa vuole dire ma saperlo usare. Sapere usare un termine significa conoscere la sintassi; la sintassi è quell’insieme di regole che stabiliscono in quali modi è possibile accostare quindi costruire delle proposizioni e quali no, dunque la sintassi è fatta di regole e stabilisce quali sequenze sono ammesse e quali no, all’interno di quelle ammesse ci sono quelle vere. In ambito logico quelle valide sono quelle vere. Perché ci siamo occupati della logica proposizionale? Perché la logica ci mostra in realtà come funziona il linguaggio quando funziona in modo corretto, è come se avesse portato il linguaggio ordinario alle estreme conseguenze, per un verso mostrando a partire da certi assiomi quali proposizioni sono vere e quali no a partire da assiomi dati, gli assiomi dati possono essere qualunque cosa naturalmente, dunque dicevo la logica mostra qual è la procedura corretta per giungere a una conclusione vera, al contrario invece il discorso ordinario non usa questo sistema, non usa cioè un sistema assolutamente corretto per giungere da una premessa a conclusione assolutamente fondata, il più delle volte giunge a conclusioni totalmente sgangherate, la logica invece non lo può fare, deve giungere necessariamente a conclusioni corrette per questo come dicevo è come se portasse il linguaggio così detto ordinario alle estreme conseguenze escludendo tutte le conseguenze che non sono derivabili dalle premesse; se una persona dovesse escludere tutte le conseguenze che non sono derivabili dalle sue premesse probabilmente cesserebbe di parlare perché non avrebbe più la possibilità di dire alcunché di vero, ma sia come sia, la logica ancora ci mostra quali sono le regole del linguaggio, queste regole di cui parla non è che le attinga da chissà dove, le attinge dal parlare comune, dal modo in cui funziona il parlare comune anche se non se ne accorge lo considera il parlare naturale il modo normale di parlare, perché si pensa così senza tenere conto che è la struttura di cui è fatta che la costringe a costruire queste regole, prendete i connettivi, i 5 connettivi della logica, i connettivi sono quei segni che indicano congiunzioni e disgiunzioni tra elementi, la “e” per esempio, anche in italiano è una congiunzione “se … allora” anche in italiano sono congiunzioni “oppure” è un’altra congiunzione l’unica che non lo è, è il “non” che guarda caso è un avverbio. Queste congiunzioni che utilizza la logica sono anche quelle che intervengono continuamente nel parlare comune “se non metti la maglia di lana allora ti prendi il raffreddore” per esempio, la logica in realtà usa gli stessi elementi che usa il linguaggio ordinario, però fa di tutto per evitare le ambiguità, ambiguità che sono all’ordine del giorno nel discorso corrente invece la logica le elimina per potere operare un calcolo assolutamente preciso e quindi finitistico, perché lavora su serie finite anziché serie infinite come può accadere nel calcolo del secondo ordine di cui invece non ci occupiamo. Si tratta di intendere in modo preciso che il linguaggio ha fornito alla logica tutti i suoi strumenti non usa strumenti che non facciano parte del linguaggio, ma cercando di concludere soltanto con proposizioni vere si è trovato in una situazione curiosa e cioè come dicevo prima quella di eliminare tutte le ambiguità per togliere tutte le ambiguità occorre che ciascun elemento sia definito in modo inequivocabile, questo ovviamente ha dei vantaggi in ambito logico però come mettere questa cosa insieme a ciò che dicevo prima e cioè con il fatto che le parole sono dei posti vuoti assolutamente indeterminati? Come dire che usando le parole verrebbe da pensare che sia assolutamente impossibile stabilire la verità, quella certezza di verità che invece il calcolo proposizionale vorrebbe raggiungere, però non è così perché il calcolo proposizionale è fatto proprio di questo: simboli assolutamente vuoti, che non significano niente, sono dei segni esattamente come le parole ma che cosa li determina? Cosa invece è assolutamente determinato? Il fatto che ciascuno di questi simboli è vero o falso necessariamente, nella logica proposizionale non importa cosa significa A, la semantica in quel caso è soltanto l’attribuzione alla A di un valore di verità vero / falso, nient’altro che questo …

Intervento: si può dire che la logica stabilisce quale combinazione è vera o falsa?

Esattamente, una volta attribuita una semantica a ciascuno di questi valori è possibile stabilire se la proposizione è vera o falsa in base alle famose tavole di verità, cioè quelle griglie che servono a stabilire dati tutti i valori possibili di verità, per esempio di A e B quali combinazioni sono valide. Abbiamo detto in varie occasioni che, per esempio, l’implicazione è sempre vera tranne il caso in cui l’antecedente sia vero e il conseguente falso, solo in quel caso è falsa, e questo comporta, per esempio, nell’implicazione materiale dei problemi, dei paradossi ché implica anche il fatto che da una proposizione falsa sia possibile dedurre qualunque proposizione, e allora cosa ha fatto la logica modale? Ha inventato l’implicazione stretta, un certo David Lewis ha inserito nell’implicazione la necessità e cioè è necessario che se P allora Q e dicendo questo dice che non è possibile che non sia così, che non ci sia questa implicazione, e che sia vera, però questi sono dettagli marginali, ciò che a noi interessa invece è il fatto che la logica, e per questo ci interessa, perché utilizza soltanto dei posti vuoti e stiamo considerando che il linguaggio faccia esattamente la stessa cosa: posti vuoti che intervengono e in base alla sintassi che ne stabilisce l’ordine le proposizioni diventano vere oppure false, Sappiamo che una persona se dice una cosa falsa non va da nessuna parte, la scarta, e la logica fa esattamente la stessa cosa cioè ci mostra in vitro, in un certo senso, il funzionamento stesso del linguaggio, è un po’ come fanno i computer solo che lo fa in modo più semplice e quindi più facile da intendere del linguaggio ordinario che invece è molto più complicato del linguaggio della logica la cui sintassi è molto semplice: 5 connettivi, 3 regole grammaticali, e variabili enunciative e non c’è altro, invece nel linguaggio ordinario ci sono sterminate cose che intervengono però questa semplicità ci mostra che in realtà anche nel linguaggio deve funzionare qualcosa del genere, vale a dire questi posti vuoti che sono le parole, disposti secondo una certa sintassi combinano, costruiscono una proposizione che risulta vera e cioè utilizzabile. Dicevamo prima che conoscere il “significato” tra virgolette di un termine, non è altro che sapere il suo uso cioè sapere quale posizione deve occupare, anche se è un posto vuoto non importa, importante è sapere come utilizzarlo, ora a questo punto il significato che fornisce il dizionario che cosa ci dice esattamente? Questo significato che di fatto costituisce propriamente un rinvio infinito ad altri significati anche se ciascuno è soddisfatto della spiegazione del dizionario perché sa già che quando si parla di casa si parla di una costruzione, di soffitto, di muri, sa già di cosa si tratta, ma come fa a saperlo? L’ha imparato naturalmente, ha imparato ad usare questi termini, sa che ‘muro’ va usato in un certo modo, va usato quando si parla di qualche cosa che è stato costruito in un certo modo, che ha una certa consistenza, che serve per una certa funzione, quindi la persona sa come utilizzarle anche se non sa che cosa esattamente significano. Cosa vuole dire sapere che cos’è qualcosa? La questione può farsi complessa perché per conoscere la definizione è sufficiente leggere il dizionario, per esempio, quelle quattro o cinque parole che utilizza per definire un termine però ciascuno di questi termini o è già acquisito oppure deve essere anche lui spiegato da un'altra definizione e quest’altra definizione avrà altri termini ciascuno dei quali o dovrà essere spiegato da altre definizioni e così via all’infinito. Certo possiamo decidere che le quattro o cinque parole di un termine costituiscano il significato ma è una decisione che utilizziamo noi e dovremmo, se ne avremo voglia, andare a rivederci uno scritto di tanti anni fa di tali Ogden e Richards sul significato del significato, forse possono dirci qualche cosa e sottolineo forse perché non è affatto sicuro, però potrebbe essere. Lì si parla appunto del significato del significato che è la stessa domanda che ci stiamo ponendo noi, il significato di un termine, qual è il significato di questo significato, è soltanto quelle quattro paroline che sono sul dizionario o c’è qualche cos’altro? Sappiamo che la cosa ci rinvia all’infinito senza nessuna possibilità di arresto da nessuna parte quindi non ci arrestiamo, e allora non ci resta che considerare le parole, i segni, i termini, gli elementi linguistici come posti vuoti effettivamente proprio come fa la logica formale che si chiama formale proprio per questo motivo perché non usa dei contenuti ma solo forme, forme di espressione che non significano niente se non la sequenza precisa che hanno. Ci appare dunque che il linguaggio funzioni allo stesso modo, una sequenza anche nel linguaggio ordinario appare ad un certo punto essere vera e quindi può proseguire e può comportare anche un’azione, questo è marginale però quando dunque può proseguire? Quando il discorso stesso rileva che questa sequenza è vera, come fa ad accorgersi che è vera? Esattamente con lo stesso criterio che utilizza la logica formale: verifica che la conseguenza che ha derivato non contraddica la premessa da cui è partita, questo è sufficiente quindi sa che quella sequenza è vera, quindi può continuare, che cosa ha voluto dire quella sequenza? Potete prendere come sequenza una qualunque affermazione, qualunque cosa non ha nessuna importanza, cosa ha voluto dire? È appropriata una domanda del genere? Questione difficile perché per rispondere a questa domanda posso soltanto utilizzare un’altra sequenza, come dire, questa sequenza vuole dire questa altra sequenza, ma siamo sicuri? In base a che cosa lo stabiliamo? Ce lo dice il locutore cioè la persona che sta parlando? Questo che garanzia ci da? Nessuna, perché dovrebbe saperlo? La questione è strutturale, non dipende dalle condizioni psicofisiche del soggetto, è una domanda che di primo acchito appare impropria, l’unica risposta possibile a questa domanda cioè che cosa ha voluto dire è esattamente ciò che per la logica formale è la semantica e cioè un valore di verità, ha voluto dire che questa sequenza è vera se la continua, se la interrompe no, e se è vera allora può proseguire a dire altro, naturalmente vera all’interno del gioco che sta facendo, è sufficiente che in base agli assiomi, in questo caso le premesse da cui è partito ciò cui giunge non contraddica tali premesse, cioè le neghi, tutto qui; pensate un momento a questa questione, mentre una persona parla sa esattamente quello che dice? Anche questa potrebbe essere una domanda impropria, generalmente se interrogate una persona vi risponderà di sì, d’acchito, ma se la interrogate ulteriormente comincerà ad innervosirsi e vi risponderà “certo che so quello che dico” è ovvio ma non saprà dirvi perché lo sa, né come lo sa perché è totalmente irrilevante in base a ciò che stiamo dicendo sapere che cosa si sta dicendo, così nell’accezione comune del termine, quindi la cosa che importa è che ciascuna sequenza mano a mano che si produce risponda a un requisito di verità cioè non contraddica le proposizioni da cui procede, nient’altro che questo, sappiamo anche e questo è importante che l’unico obiettivo, l’unico scopo chiamiamolo così del linguaggio è proseguire se stesso, in quale direzione? È totalmente indifferente abbiamo detto mille volte che siano discorsi meravigliosi o le peggiori tragedie, per quanto concerne la struttura del linguaggio cioè il sistema operativo è totalmente irrilevante per cui costruisce proposizioni al solo scopo di costruire proposizioni vere, cioè che continuino ad affermare in definitiva le premesse da cui procede, che detta per quanto riguarda il discorso di ciascuno le cose in cui crede, le cose che ritiene essere vere, le sue opinioni, tutte queste cose non sono altre che le premesse, premesse all’interno di un calcolo proposizionale, tutte le cose che una persona chiama i valori. Sì, i così detti valori che una persona acquisisce quasi insieme con il latte materno non sono altro che degli assiomi che però a differenza della logica predicativa non hanno la necessità di essere veri o più propriamente risultano essere veri ma per un altro motivo, per via di auctoritas e cioè perché l’ha detto la mamma, senza la possibilità di verificare questa affermazione a partire da questi assiomi che più che assiomi parrebbero dei postulati ché l’assioma sappiamo che è una sequenza che deve risultare sempre vera nel calcolo proposizionale, il postulato no, si postula, per esempio un postulato di Euclide, uno dei cinque: tra due punti passa una retta e una soltanto, è un postulato, è dimostrabile una cosa del genere? Come si fa? La persona incomincia ad esistere a partire da postulati che sono le cose che ha stabilito la mamma, in base a questi postulati vengono costruiti i discorsi cioè viene costruita la persona tout court, la persona non è altro che il discorso che fa, questi postulati si pensa che abbiamo un contenuto e quindi siano necessariamente veri, ma in base a che cosa? Sono posti vuoti anche loro e questo ha delle conseguenze naturalmente, reperendo ciascuno di questi elementi il suo “significato” mettetelo sempre fra virgolette lo usiamo in accezione un po’ ambigua adesso, sempre dalla posizione che occupa all’interno di una sequenza, è ovvio che può reperirsi solamente all’interno del linguaggio non può reperirsi al di fuori perché il linguaggio non è altro che queste sequenze, tutto si svolge all’interno di queste sequenze non c’è niente fuori, sequenze di posti vuoti. Adesso io passo molto rapidamente e molto allegramente da vari livelli ma per esempio nel linguaggio ordinario ciascuna proposizione, ciascuna sequenza, di fatto non significa niente, soltanto che è vera, è vera perché rispetta delle condizioni cioè non contraddice le proposizioni che l’hanno preceduta, nient’altro che questo …

Intervento: perché nel linguaggio ordinario perché questi posti non sono vuoti?

Appaiono, si crede che non lo siano, si immagina che non lo siano sì, l’idea è che ci sia una corrispondenza biunivoca tra le parole e le cose e che le parole siano una conseguenza delle cose “nomina sunt consequentia rerum” dicevano una volta, i nomi sono la conseguenza delle cose, ci sono le cose dopodiché le nomino e questo nome non è propriamente vuoto ma rappresenta la cosa stessa ...

Intervento: le cose prima di essere cose non sono cose … diventano cose nel linguaggio c’è un’operazione in cui diventano cose esattamente come vengono pensate … c’è un processo fatto dal linguaggio per cui queste cose diventano cose e quindi qualche cosa che ha un contenuto … sarebbe interessante capire come il linguaggio consente questa costruzione … come il linguaggio abbia fatto a stabilire questa differenza, questa separazione tra la cosa e il suo nome …

Ha detto bene, le cose incominciano ad esistere quando si incomincia a parlare, in ogni caso l’esistenza è ciò che si dice, consiste di questo di ciò che si dice, la prima cosa che esiste, che si dice o che si pensa è la stessa cosa …

Intervento: il bambino piccolo che entra nel linguaggio magari non parlando ma perché intende quello che la mamma dice…

Il termine ‘esistenza’ è molto improprio, per il momento però questa esistenza delle parole si attribuisce a qualcosa che è fuori dal linguaggio immediatamente o più propriamente non c’è neanche questa esigenza, non viene attribuita al linguaggio né a qualcosa immaginato fuori dal linguaggio semplicemente si avverte che qualcosa si da, perché si sta dando in quel momento e cioè una sequenza, un pensiero, qualunque cosa, dopodiché interviene quel modo di educare gli umani che li farà deviare definitivamente dalla possibilità di accorgersi del linguaggio e cioè quella cosa che è nota come dimostrazione ostensiva, come se Stefania mi chiedesse: “che cos’è un posacenere?” E io indicando il posacenere dicessi: “questo è un posacenere” una dimostrazione ostensiva mostra letteralmente, e qui avviene una sorta di separazione, è possibile che sia il metodo più rapido per apprendere l’uso del linguaggio, non la sua struttura ovviamente, ma l’uso è possibile. Ciò che sappiamo è che funziona così, questo è il posacenere, questo è il papà, questa è la mamma, avvalendosi del fatto che gli umani hanno un orientamento prevalentemente visivo. La dimostrazione ostensiva che determina una sorta di sviamento che in molti casi rimane definitivo, l’idea che il posacenere sia questo, il posacenere è un significante, soltanto questo …

Intervento: …

Non c’è nessuna domanda intorno a questo: perché se lo vedo allora questo è un posacenere? Perché viene utilizzato come criterio la vista, in questo caso viene utilizzato come criterio di verità o di esistenza prima ancora ma è un criterio, che poi diventa normale, diventa prioritario, diventa naturale ma è un criterio assolutamente arbitrario al pari di qualunque altro. Esistono le cose perché gli umani sono addestrati a utilizzare un certo criterio di verità ed è stato necessario arrivare alla formalizzazione per abbandonare almeno in parte questo criterio, la necessità se non addirittura la naturalità per molti di questo criterio e quindi svuotare le cose di ogni senso, di ogni significato ma utilizzarlo unicamente per la posizione che occupano. La stessa cosa vale quando osservano un posacenere? Molto probabilmente sì, questa immagine che io posso utilizzare perché sono provvisto di linguaggio, si dispone in una posizione particolare che consente di costruire una proposizione che risulta essere vera e forse in base a questo io riconosco che quello è un posacenere, o più propriamente posso confrontare una proposizione che è risultata vera con un’altra che deve risultare, al pari della prima, vera, è possibile per il momento, potrei aggiungere probabile, però ancora dobbiamo arrivarci a una cosa del genere, se ci arriveremo allora potremo matematizzare la conoscenza. Vi farò un altro discorso in base a ciò che abbiamo detto prima, che anche una proposizione molto semplice come questa che dice ‘questo è un posacenere’ tra virgolette, come fanno i logici, per indicare il nome della proposizione, anche questa proposizione che ho detta probabilmente è quella che interviene quando io vedo un posacenere, naturalmente avviene tutto in automatico e con una grande rapidità, che per altro per quanto rapida sia non sarà mai rapida come quella dei calcolatori che sono molto più veloci, comunque sia quando vedo questo aggeggio allora si formula una proposizione cioè l’immagine che mi rilascia questo aggeggio qui ha una sua traduzione all’interno del linguaggio, se non avesse nessuna traduzione io sarei come una telecamera che non fa niente, invece viene tradotta nel linguaggio e questa traduzione comporta la costruzione di una proposizione che deve risultare vera per potere proseguire quindi per potere continuare a dire “sì questo è un posacenere” …

Intervento: è la questione dell’arbitrarietà di una proposizione cioè se è un posacenere è un posacenere e non si può dare un’altra interpretazione …

Sì e no, non lo è all’interno di un sistema codificato di proposizioni che riconoscono quell’aggeggio come posacenere, all’interno cioè di un gioco linguistico particolare, se lei esce da quel gioco allora non è più affatto ovvio che sia un posacenere, potrebbe essere qualunque cosa in realtà anche perché a questo punto deve incominciare a interrogare cosa vuole dire che sa che è un posacenere, che diventa complicato, certo nell’uso che nel parlare quotidiano una quantità enorme di passaggi vengono saltati a vantaggio della maggiore utilizzabilità, praticabilità, rapidità di comunicazione per esempio, per cui se una persona mi chiede una sigaretta io le do una sigaretta senza stare a fargli 4000 domande. Va bene, proseguiamo mercoledì prossimo cercando di affinare sempre di più le questioni per intendere sempre meglio il funzionamento del linguaggio e se è possibile ridurre la conoscenza a un unico matema.