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14-3-2002

 

La teoria del linguaggio

 

Intervento: ha cominciato a scrivere?

Non so se continuerò in questa successione perché bisogna valutare bene quale struttura dare, quello che manca ancora è una chiarezza intorno a quella che nella retorica classica è considerata la seconda parte, la taxis, il dispositivo, il modo in cui disporre le cose… tutte le figure, anche ma non soltanto, come disporre l’argomentazione etc. Il linguaggio ha una virtù rispetto alle altre questioni e cioè questa, che non dobbiamo mai andarlo a cercare chissà dove visto che è lì proprio mentre ne stiamo parlando, che sta funzionando, e questo potrebbe essere il vantaggio, visto che per parlare del linguaggio dobbiamo parlare il linguaggio, e questo ci induce a considerare che occorre che ci sia linguaggio per parlare di lui, altra considerazione. Possiamo chiederci che cos’è il linguaggio?

Intervento: …

potrebbe apparire, ma intanto in base a quale criterio potremo stabilire che cosa sia il linguaggio? E che cosa ci stiamo chiedendo esattamente domandandoci che cos’è, oltre a un’altra domanda legittima sicuramente per Gabriele e cioè domandarci che cos’è il che cos’è? Oltre a questo che cosa avremmo fatto esattamente? Avremo aggiunto degli elementi, aggiunto degli elementi a questo significante linguaggio, questi altri elementi che abbiamo aggiunti come facciamo a sapere che sono necessari, ritenuti necessari a questo significante? Cioè dovremo cercare la denotazione, tutti quegli elementi che pertengono al linguaggio, cioè gli appartengono necessariamente. Ora alcuni elementi li abbiamo individuati, che appartengono necessariamente al linguaggio, una serie di regole ovviamente che lo fanno funzionare, però non è solo questo, perché adesso occupandoci del linguaggio ciò che ci interroga è come funziona, quando funziona, che cosa produce, come lo produce. È possibile che riusciamo a costruire una teoria del linguaggio piuttosto semplice, anzi dovrà essere così. Però rimane questa domanda, e cioè se è legittimo domandarsi che cosa sia prima di tutto o è semplicemente ciò che abbiamo individuato come elementi necessari per la sua esistenza perché possa darsi, potremmo anche dire che è questo e nient’altro che questo: un insieme di istruzioni per la costruzione di proposizioni, quindi discorsi ecc. ecc. potrebbe anche essere solo questo. È chiaro che queste istruzioni devono potere essere riconosciute, questo ci induce a pensare che esiste un sistema precedente per cui queste istruzioni siano riconoscibili? Oppure ciascuna di queste stesse istruzioni comporta e veicola in sé la possibilità del suo utilizzo? Questa è l’unica strada che possiamo praticare, altrimenti ci occorrerebbe un altro linguaggio per decodificare e saremmo costretti a una regressio ad infinitum, quindi ciascuna di queste istruzioni deve contenere in sé la possibilità del suo utilizzo. Che cos’è la possibilità del suo utilizzo? E quando qualche cosa è utilizzabile? In questo sistema ovviamente, ma forse in ciascuno; chiedendoci questo e cioè a quali condizioni delle istruzioni sono utilizzabili, possiamo avvalerci del fatto che le stiamo utilizzando, quindi potete pensare a un sistema così fatto, un sistema chiuso, funzionante il quale sistema viene insegnato, naturalmente. Dobbiamo risolvere un problema che ci rinvia a quello precedente, per insegnarlo occorre che queste istruzioni vengano riconosciute come tali ovviamente, e come può avvenire una cosa del genere? Cioè come si istalla questo sistema operativo? Visto che prima non c’era e ad un certo punto c’è, un bambino che nasce non è provvisto di linguaggio. C’è dunque la necessità che ciascuna di queste informazioni vengano fornite perché il linguaggio possa essere appreso, la necessità che non abbia bisogno, ciascuna di queste informazioni, di una struttura precedente, è come un sistema autoportante, non ha bisogno di altri sistemi, e come può essere una cosa del genere? Quale diavoleria la rende tale, rende tale che il linguaggio sia un sistema autoportante che non ha bisogno di nient’altro per funzionare

Intervento: la diavoleria è soltanto la credenza che il linguaggio sia insegnabile, nel senso che ci sia qualcuno che lo insegna

e se nessuno lo insegnasse?

Intervento:

sì ma io domando, se nessuno lo insegnasse?

Intervento: parlando

parlando che cosa, senza linguaggio?

Intervento: quello che noi crediamo che sia il linguaggio

per poterlo credere occorre che il linguaggio sia già presente, il linguaggio fa di queste operazioni, la questione che ci stiamo ponendo è molto simile a quella che si pose Wittgenstein circa l’insegnabilità e come si impara il linguaggio

Intervento: al momento in cui ci troviamo a parlare parliamo

sì certo, però forse ancora si può dire riguardo a questo sistema, possiamo porci delle domandi che forse possono apparire bizzarre, questo sistema è trasmissibile? Difficile a dirsi, è insegnabile? Vi parranno strane domande però

Intervento: ma come riesco a insegnare qualcosa di cui non so?

certo facciamo i primi passi, la domanda è se il linguaggio sia insegnabile, insegnabile laddove non c’è questa struttura, posso insegnare a parlare a un cane?

Intervento: quindi c’è qualche cosa che è presupposta alla ricezione dell’insegnamento altrimenti non potrei giustificare il fatto che gli esseri umani lo imparino ma altre forme di vita animali no…qualcosa che sia insito

ché insegnare a parlare è anche insegnare a pensare ovviamente, non è soltanto una esecuzione di fonemi, posso insegnare a una macchina a pensare?

Intervento: no.

ci andrei più cauto in questo caso, sono tutte domande che possono consentirci di riflettere ulteriormente intorno al linguaggio, teoricamente posso insegnare a una macchina a pensare, basta che gli insegni, che gli immetta tutte le informazioni necessarie per fare funzionare un sistema che è il linguaggio e cioè che si chieda perché sta facendo una certa cosa, una volta dissi che è possibile in effetti insegnare a una macchina a pensare, non sto dicendo che sia facile, è possibile, questo che cosa comporta? Comporta che è necessario che ci siano questi due o tre elementi, un sistema inferenziale, di costruzione e di esclusione, questi occorre che ci siano, sono i pilastri su cui si regge tutto il sistema, la domanda circa la insegnabilità o trasmissibilità del linguaggio non è che un altro modo per rifletterci ancora attorno al linguaggio, possiamo anche dire che non è trasmissibile, supponiamo di rispondere così, il linguaggio non è trasmissibile, né si può imparare, quindi non l’ho imparato, se non l’ho imparato allora possiamo riproporre la questione di Wittgenstein “come so un sacco di cose” lui rispose: perché le ho imparate, certo per poterle imparare occorre un sistema, un sistema che consenta di imparare certe cose, c’è qualche cosa qui da riflettere molto bene, anche a costo di riconsiderare cose antiche, continuare a domandare, certo, come abbiamo detto prima le sappiamo perfettamente utilizzando il linguaggio, ma così come utilizzando il linguaggio questo ci ha consentito di reperire la struttura necessaria al suo funzionamento, c’è l’eventualità che possa consentirci anche qualcosa in più, magari una riflessione intorno alla sua insegnabilità, adesso non ci interessa tanto immaginare un tizio sotto una campana di vetro per tutta la vita, anche perché molto probabilmente potrebbe imparare rapidamente il linguaggio, potremmo addirittura ammettere una disposizione perché no? Quale, ancora non sappiamo… non togliamo nulla, stiamo solo considerando così, per gioco, perché è possibile insegnare il linguaggio a una macchina cioè insegnargli a pensare, proprio così come si fa con un bambino, ché certo è stata fatta dall’uomo e quindi l’uomo gli ha messo dentro delle informazioni, è ovvio, quelle che voleva lui, e le strutture per elaborarle, cosa intendiamo per elaborare informazioni? Se non inserirle all’interno di un sistema inferenziale dando ciascuna volta delle regole a questo sistema inferenziale, dite che tutto ciò non ha nessun interesse? Riflettere sul fatto che il linguaggio sia insegnabile oppure no? Può darsi che non ne abbia nessuno…

Intervento: pare una domanda posta in termini metafisici

e allora? ha paura di continuare? Non abbiamo paura di niente, cioè non abbiamo paura di domandarci qualunque cosa, poi, se non troveremo nessuna risposta di qualche interesse è chiaro che abbandoneremo la cosa. Però sappiamo intanto che cosa vuol dire insegnare il linguaggio e questo è già qualcosa, e cioè mostrare quali sono le regole oltre a inserire degli strumenti come il sistema inferenziale ecc., inserire delle regole, dire quali sono le regole per giocare, per esempio per elaborare delle questioni occorre un sistema inferenziale, un sistema di esclusione, di formazione di proposizioni ma anche delle regole che restringano il campo delle inferenze possibili, accettabili dal gioco, per esempio se io affermo “se il linguaggio è parlabile, funzionante allora esiste qualunque cosa fuori dal linguaggio” una inferenza del genere viene esclusa, viene esclusa dalle regole che abbiamo stabilite e le regole che abbiamo stabilite, in questo caso, sono soltanto quelle che ci vietano di accogliere proposizioni che non siano provabili, quindi è possibile dicevo insegnare il linguaggio, è possibile costruirlo

Intervento: a questo punto io dico che è possibile insegnarlo ma comunque continua a permanere la domanda esiste?

dipende da cosa intendiamo con esistenza…

Intervento: potremo tentare di definire l’esistenza che comunque è definibile tramite il linguaggio però a questo punto non è che converrebbe più semplicemente dire che la sua esistenza è assiomatica, cioè noi partiamo dall’esistenza la prendiamo come tale e da lì possiamo poi sviluppare…

gli assiomi interessano poco, interessa se è possibile reperire una necessità logica, l’assioma è sempre arbitrario per definizione, certo chiedersi se esiste il linguaggio, dobbiamo ovviamente stabilire che cos’è l’esistenza e qualunque definizione noi daremo dell’esistenza l’avremo costruita attraverso il linguaggio, questo è ovvio, così come sappiamo perfettamente che tutte le domande che ci stiamo ponendo ce le possiamo porre perché esiste il linguaggio ma potremo anche dire che è proprio perché esiste il linguaggio che abbiamo individuato la sua necessità logica

Intervento: talvolta magari le cose ovvie si rivelano false

talvolta, cosa comporta il fatto che sia insegnabile? Che sia trasmissibile ovviamente, che cosa fa una persona che comincia a insegnare a un’altra il linguaggio? Come abbiamo detto mille volte insegna un gioco e delle regole per giocarlo ovviamente, ma torniamo alla questione da cui siamo partiti occorre altro a che la questione sia risolta, e cioè è il linguaggio un sistema autoportante per cui quando si insegnano due o tre cose automaticamente parte? Oppure necessita di un’altra struttura? Questione piuttosto ardua da sostenere, e la prima è piuttosto difficile da dimostrare, però forse è possibile dimostrare che è un sistema autoportante, però occorrono delle condizioni, abbiamo visto che non in tutti i casi questo funziona, non posso insegnare a una pianta… curiosa questione. Approcciare il linguaggio può non essere semplicissimo, certo potremmo dire come dice Beatrice “il linguaggio c’è e bell’è fatto”

Intervento:

Certo, possiamo anche fare questo e nessuno potrà contestarcelo, ma siccome siamo curiosi e appare così, come prima approssimazione che il linguaggio sia effettivamente un sistema autoportante…

Intervento: non abbiamo ancora imparato che si può insegnare il linguaggio alle piante

forse, no, adesso lo ponevo così come… cos’è che ha detto?

Intervento: che non abbiamo ancora imparato che il linguaggio si può insegnare alle piante cioè come dire che è qualcosa che io so che le piante non possono imparare il linguaggio, so questo, è per questo che il linguaggio si può insegnare solo agli umani e cioè perché sappiamo che le piante non possono imparare il linguaggio

sì brava, ha dato la direzione giusta, in effetti è questa la questione, porre la questione in questi termini ci indica che cosa? Ci riporta immediatamente all’uso che stiamo facendo, voglio dire questo, affermare che il linguaggio è un sistema autoportante e che può essere insegnato, questo possiamo affermarlo, comporta semplicemente che questa possibilità è insita all’interno di tale struttura, ecco che allora l’obiezione che facevo che non è possibile insegnare alle piante, dipenderà ovviamente da che cosa si intende con insegnare…

Intervento: potremo dire che l’insegnare è fare in modo che l’insegnato, anche se è sbagliato dire così, recepisca questo sistema di informazioni e che sia capace di riprodurlo, se io intendo questo con insegnamento posso tranquillamente dire che le piante non impareranno il linguaggio…

Sì, è la nozione certo più comune di insegnamento, questa nozione di insegnamento tuttavia è necessaria o è arbitraria? Può apparire un cavillo, può invece rivelarsi determinante: cioè io stabilisco che l’insegnamento sia questo, qualcosa mi costringe a farlo? O è una mia decisione?

Intervento: è l’esperienza che ci induce a dire così

andrei cauto con queste informazioni, diciamo che la tradizione vuole così, e dire che è la tradizione, in ambito teoretico non significa assolutamente nulla, infatti…

Intervento: se qualcuno riesce a dimostrare che esiste un altro metodo allora posso confutare la validità di questo o per lo meno posso trarne l’esistenza di un altro ma fino a che non si avrà una nozione di un altro tipo questa rimane la più corretta, più comune.

È un’obiezione legittima, certo, talvolta accade di scambiare delle regole del gioco per delle necessità e perdere di vista il fatto che invece sono soltanto regole per giocare, la definizione che hai data di insegnamento è sicuramente quella più diffusa, ma questo non significa ancora nulla, né ci dobbiamo preoccupare di trovarne una migliore perché procediamo con un sistema che è molto più semplice, questo: tale definizione è necessaria o è arbitraria? Se è necessaria allora siamo costretti ad accoglierla, se è arbitraria no, è una nostra facoltà accoglierla oppure no, poi che sia bella, che sia brutta, che sia funzionale o che sia interessante questo non ci riguarda per il momento. Intervento: capire se è una regola o una necessità logica

Esattamente, e questa non è una necessità logica, tant’è che è modificabile, e modificandola non cambia niente

Intervento: quindi da qui posso anche capire quale sia la definizione di necessità, quindi ciò che non è modificabile

Esattamente, perché se è modificato cessa di funzionare qualunque cosa, certo. A questo punto possiamo, per il momento, considerare soddisfacentemente risolto il primo problema, cioè è insegnabile, in quanto è possibile trasmettere queste informazioni, ora non ci interessa come, a chi o perché, sappiamo solo che è possibile farlo, tutto qui. Ora riflettiamo su questo sistema autoportante, questione notevole, cioè il linguaggio non necessita di nient’altro per funzionare se non di se stesso, in che senso è autoportante comunque? Ciascuna delle sue regole, ciascuno degli elementi che lo fa funzionare, se è effettivamente autoportante è come se veicolasse in sé tutti gli altri, tutte le altre possibilità, e in effetti se noi parliamo di un sistema inferenziale parliamo anche di regole di esclusione, ma perché? Perché se diciamo “se A allora B” escludiamo qualcosa?

Intervento: perché non diciamo “se A allora C”

potrebbe dirsi “se un elemento allora un altro”, e se dicessi “se un elemento allora un altro”? Intervento: potrebbe dirsi se un elemento allora qualunque altro

se un elemento allora non tutti gli altri, qualche, ma non qualunque altro…

Intervento: nel momento stesso in cui io capisco che è un elemento acquisisco il linguaggio

occorre questo passo…

Intervento: il problema è come io acquisisco questo primo elemento, perché acquisendo un elemento acquisisco il linguaggio

sì, non è possibile pensare più a ciò che era prima del linguaggio, non è più pensabile

Intervento: il problema è l’approccio all’istallazione

perché? Tempo fa avevamo esclusa la ricerca dell’origine del linguaggio e c’era un buon motivo per farlo, forse c’è una ragione in più e cioè…

Intervento: se, come dicevamo prima, se nel momento stesso in cui si è nel linguaggio si è da sempre nel linguaggio devo sempre escludere l’origine perché a questo punto…

Sì, d’accordo, non può portare una argomentazione del genere in campo teoretico

Intervento: se a questo punto l’origine è il linguaggio, forse è al di là di questo senso

ho capito, ma teoreticamente una argomentazione di questo genere non significa niente, dico che quando c’è il linguaggio è come se ci fossi da sempre… già, questo “come se” non ci interessa, è così o non è così?

Intervento:

e se invece fosse così (la poniamo come ipotesi, poi verifichiamo), se la struttura stessa del linguaggio impedisse il reperimento della sua origine e della sua stessa struttura in quanto il reperimento dell’origine comporterebbe il pensare in assenza di linguaggio, il punto in cui incomincia, come dire prima non c’era, da qui in poi si, ma per potere dire “da qui” occorre stabilire che invece da là non c’è, in questo caso allora cosa dovremmo dire? Che il linguaggio è strutturato in modo tale da impedire l’accesso a ciò che lo produce, come dire che ci vieta di sapere come si è installato

Intervento: è protetto

sì, qualcosa del genere, perché per sapere come si installa occorre che sappia in quel momento, e quindi sappia che esista da lì in poi, non prima, ma prima? Questo è un altro modo per altro per dire che non c’è uscita dal linguaggio, e in effetti se non c’è uscita dal linguaggio non posso sapere cosa c’è prima, quindi che cosa c’è prima per cui ad un certo punto… ma come fa il linguaggio a fare tutte queste cose? Curiosa struttura, inseriamo il sistema inferenziale, sappiamo come funziona: “se A allora B” e che è il sistema che per altro io nella Grammatica della logica avevo individuato. Tre elementi che però di fatto appaiono uno solo, appaiono uno solo cioè un’unica procedura, un'unica procedura. Perché funzioni il sistema inferenziale occorre che sia… si potrebbe anche tradurre in una specie di algoritmo, lo si potrebbe esporre utilizzando i quantificatori

Intervento: cos’è che vorrebbe tradurre?

volgere tutte e tre queste procedure in una sola, utilizzando un quantificatore

Intervento: le regole di esclusione, formazione…

Esattamente: terzo escluso, identità e non contraddizione, bisogna rifletterci un momento però, sicuramente è possibile trovare una formula molto semplice per indicare il funzionamento di tutto il linguaggio

Intervento: ma è l’approccio giusto usando i quantificatori?

non sto considerando i quantificatori come aspetti della logica matematica o della logica predicativa, ma semplicemente di quella logica che fa funzionare il linguaggio…

Intervento: e quindi sappiamo che è necessario adoperare una struttura logica, perché?

perché ci dà le regole di sequenza delle proposizioni… potrebbe essere divertente trovare una formula, ad esempio un quantificatore universale “per tutte le x, se x è un elemento linguistico allora ecc…” una formula che escluda la possibilità che x non possa essere un elemento linguistico e che rinchiuda in sé…

Intervento: stiamo parlando del sistema?

non è soltanto un ghiribizzo, ma costruire una formula che faccia esattamente ciò che è necessario che io faccia per costruire quella stessa formula, che sia anche una figura retorica, una ipotiposi, cioè che mostri esattamente ciò che sta facendo…

Intervento: qualcosa che sia necessario per parlare, se parlo succede questo…

Sì, esattamente, qualcosa che abbia la stessa evidenza per esempio, del principio del terzo escluso, che è autoevidente…

Intervento:

in ambito matematico abbiamo il campo già molto ristretto, dove si muove da premesse arbitrarie, il che rende tutto falsificabile, questo si sarebbe dovuto sapere fin dalle origini: essendo costruito su assiomi e quindi su elementi per definizione arbitrari sarebbe stato tutto falsificabile, così come è avvenuto, ci hanno messo duemila anni…

Intervento: però anche quando parliamo di linguaggio parliamo di cose necessarie, quanto necessarie alla fine lo decidiamo noi

no, qui distinguo il necessario dall’arbitrario, tu stesso lo hai definito prima arbitrario, è ciò che può essere modificato senza che il sistema si arresti, il necessario no…

Intervento: in questo caso il terzo escluso giusto

Costruire dunque una formulazione che racchiuda in sé la necessità di queste tre procedure, in un colpo solo, pare essere possibile costruirla… che sia assolutamente autoevidente “per tutte le x se x è un elemento linguistico e non può non esserlo allora x deve essere identico a sé” per esempio, formulata ovviamente in termini precisi…

Intervento: sì da qui si può andare poi avanti trovare un x identico a sé stesso e diverso da un altro

Esattamente, che sia come dicevo autoevidente, sì a questo punto avremmo un elemento da cui muovere, possiamo a questo punto considerare che la teoria del linguaggio sia tutta lì, perché diventa una proposizione non negabile, necessaria e coerente, a forza di restringere siamo arrivati a un’unica proposizione, va bene non l’abbiamo ancora formulata però la formuleremo in un’unica proposizione, già la Grammatica della logica rispetto alla Seconda Sofistica risulta molto accorciata, eppure è sicuramente migliore, teoricamente, della Seconda Sofistica, molto più precisa e più rigorosa, mantiene il livello di necessità a ogni passaggio, nella Seconda Sofistica no, ci sono molti passaggi discutibili quanto meno, nella Grammatica della logica no, non c’è nulla di discutibile. Ma cosa avremmo fatto a questo punto riducendo la teoria del linguaggio a un’unica proposizione? Una teoria del linguaggio racchiusa in una proposizione autoevidente, a questo punto c’è l’eventualità che parlare del linguaggio sia parlare della psicanalisi, nell’accezione che abbiamo fornita, e cioè di questo strumento per pensare il quale ha come base questa proposizione e da lì… stiamo sovvertendo tutto lo scibile… è chiaro che possono crearsi infinite considerazioni e conseguenze e implicazioni da una simile proposizione, potremmo considerare che sia accolta con tutte le possibili conseguenze, una proposizione del genere? Forse. Beatrice si chiede perché chiamarla psicanalisi, a quel punto, per un ghiribizzo. Dimostrare agli umani come si deve pensare, se si vuole farlo ovviamente, e questo purtroppo non lo possiamo decidere. Sandro, e se richiudessimo tutta la teoria del linguaggio in una proposizione?

Intervento: è come un giallo e dopo vent’anni possiamo permettercelo

non ha torto, questo per evitare di perdere un sacco di tempo dietro a una quantità sterminata di cose alle quali in parte hanno già addestrato a pensare, non a tutto ma in buona parte sì. Detto questo bisogna che riveda cosa avevo in animo di dire attorno al linguaggio, però farò un discorso che arriva per gradi e giungere a questa proposizione

Intervento:

entrambe le cose, si può porla sia come formula sia come discorso, poi ognuno se la legge come vuole, se preferisce la formula più stringata oppure una sequenza rapida di passaggi, però giungere a questa formula potrebbe essere interessante, è come avere in mano una chiave di accesso a una quantità sterminata di cose…