14-2-2007
Intervento di Beatrice Dall’Ara:
Che cos’è un
sintomo? È un vizio della psiche o qualcosa che attiene ad un corpo malato? È
un problema psichico o un problema fisico? per molto tempo troviamo negli scritti di Freud questa
interrogazione, quasi un timore di attribuire allo psichico qualcosa di fisico.
L’analisi delle isteriche, la conversione isterica lo portò sempre di più ad
abbandonare questo timore, il timore per questa distinzione accorgendosi che
era il loro pensiero, la loro determinazione, il loro obiettivo
il sintomo, sintomo che restituiva loro quella storia, era il pensiero,
la loro psiche diceva lui che modificava la realtà a favore di una realtà
psichica, costruita di sana pianta, a cui tenevano. Il lavoro dell’analisi era
quello di intendere il motivo, il tornaconto per cui
si sottoponevano alla sofferenza, a questo bisogno di soffrire. Come coloro che
perdono una gamba (per esempio Nevrosi traumatiche di
guerra) invece di liberare il loro pensiero da questo sgradevole ricordo, come
avviene generalmente, il loro discorso era sempre fisso lì, partiva di lì e
qual era dunque il tornaconto? A qualcosa doveva pur servire….la psiche, diceva lui, cioè i propri pensieri modificano la
realtà a partire da ciò che è importante, da ciò che è un valore, da ciò che un
desiderio che non si può ammettere costringe. Ammettere il desiderio, poterlo
considerare era una tappa importante perché poteva far intendere alla persona
quale dispendio, quale produzione, proliferazione di pensieri comportasse quel controllo,
quella gestione della realtà. Ammettere il desiderio,
renderlo alla coscienza, diceva lui, era un passo importante per potere
considerare la propria responsabilità nella costruzione di ogni
teoria che ciascuno che lo voglia o no, che lo sappia o no costruisce per
muovere, quindi per vivere… teoria come referente/funzionamento linguaggio/ il
linguaggio necessita per proseguire di reperire differenze di distinguere
incessantemente i suoi elementi/necessita di se A allora B) Teoria alla quale
si attenevano caparbiamente i nevrotici, gli psicotici, le persone che andavano
da lui e che lui ascoltava i quali appunto avevano un problema e del quale
problema dicevano di volersi sbarazzare e a lui raccontavano la loro storia,
mettevano in scena la loro storia, la rappresentavano e rappresentandola si
attenevano a quella teoria che avevano scelto scambiando una teoria per
qualcosa di assolutamente vero e quindi reale, perché? Perché
accogliere una teoria anziché un’altra se non perché lì c’è qualcosa che attrae,
che vincola il pensiero e vincolandolo lo costruisce?
C’è ancora
un passaggio che mostri come il pensiero di ciascuno sia
ascrivibile a una teoria. Occorre specificarlo se no chi ascolta non riesce a
seguire…
Se non perché questa teoria è funzionale ad un
sistema, a un modo di pensare?
Pensate alle teorie infantili, quelle teorie che i
bambini costruiscono quando spinti dalla curiosità, per l’intervento di un
nuovo venuto, per esempio, un fratellino o una sorellina, vogliono sbarazzarsi
di un problema (il nuovo venuto, diceva Freud e non solo lui, sottrae affetto)
per sbarazzarsi del problema cominciano a chiedersi da dove arrivano i bambini,
chi li ha portati, “li ha portati la cicogna” dicono i grandi, ma non sempre le
risposte dei grandi placano la curiosità anzi in molti casi, le risposte
“ingenue dei grandi” portano a una svalutazione del
sapere e soprattutto di chi lo proclama perché o mentono o non sanno proprio
nulla e quindi le domande che non trovano risposta, una risposta adeguata
portano e spingono la ricerca spingono, così come avviene anche per gli
scienziati, a proseguire la direzione, al controllo di quella direzione imposta
dagli assiomi della teoria confermata in questo caso dalla menzogna o dalla
svalutazione del sapere… costruire quello che io credo perché quel sapere che
mi è dato dall’altro non mi soddisfa e quindi questo altro io considero o che
mente oppure lo considero uno stupido e quindi non mi avvalgo di quel sapere…
Potrebbe
semplicemente essere inadeguato, insufficiente, perché deve essere stupido per
forza, la teoria del linguaggio, per esempio di Aristotele,
non è sufficiente non per questo…
Intervento: stavamo parlando delle teorie
infantili…
Si è perso che stava parlando dei bambini…
Intervento: i bambini costruiscono le loro teorie
allo stesso modo in cui le costruiscono gli scienziati… ma
per costruire una teoria coerente per esempio con il gioco della realtà, con la
“necessità” diceva Freud, occorre avere alcune informazioni che non sempre i
bambini hanno e se non hanno queste informazioni sarà una teoria strampalata…
Inadeguata…
Intervento: quella che costruiranno (Saggio sull’analisi
del Piccolo Hans lui mostra come procedere e quali informazioni fornire, mostra
le regole della realtà) e a cui si atterrà il desiderio, il motore che solo
spinge la creazione di un sogno, per esempio, o di un atto mancato, o di un
sintomo isterico… quali informazioni mancano ai bambini? Dipende da quando nasce l’interesse, la curiosità, il problema, i
bambini giocano, imparano a parlare giocando, ricordate i primi gorgheggi del
bambino? La madre lo osserva e ride, coglie la felicità per quei primi canti, e
aspetta la prima parola.
Imparano a parlare giocando o imparano
a giocare parlando? Imparano a giocare
parlando, come dire che parlano perché possano
giocare, cioè che quello che fanno sia un gioco, se no sarebbe come se il gioco
precedesse il linguaggio…
I bambini sono nel gioco e ogni gioco che via via imparano a giocare è vero,
Cosa è vero? Il gioco di per sé non è né vero né falso è il suo risultato che può essere vero ma il gioco è soltanto una serie di regole, di istruzioni né vere né false. Il risultato può essere vero o falso cioè l’esito del gioco…
Intervento: in questo caso qualsiasi cosa facciano non ha controindicazioni cioè vere in quel senso… Cosa c’entrano le controindicazioni?
Intervento: proseguo, vedremo dopo, per esempio quando cominciano a camminare e sicuri sulle gambette si divertono a correre da tutte le parti, le madri
sanno e quindi mettono protezioni alle finestre, ai balconi, è la madre che sa
la madre si attiene alle regole di un gioco, quello che lei chiama realtà ma
non sa che è un gioco anche lei come quel bambino gioca un gioco senza sapere
che sta giocando perché per continuare a giocarlo il suo pensiero deve
continuamente distinguere ciò che è vero e ciò che è falso e rispetto al gioco
della realtà è vero che se il bambino cade allora muore e se la madre e ogni
madre non può volere la morte del suo bambino allora si premunisce e sbarra le
finestre. Ma la madre non lo sa che sta giocando un
gioco. Gioca. Quali informazioni occorre fornire al bambino che deve imparare a
vivere? Occorre spiegare che è la natura il luogo della nascita? che è la vagina il luogo da cui nasce il bambino e non l’ano
che produce solo escrementi? Che i bambini non sono
escrementi? Che la mamma non ha il pene? Sì, certo,
perché il pudore? perché la vergogna di fronte a un
bambino che non conosce vergogna né pudore perché non li ha ancora imparati che
non considera sgradevoli o immondi gli escrementi? Bambino che attribuisce
all’altro quelli che sono i suoi attributi con i quali gioca e trae piacere? Di
chi è la vergogna di quel bambino, di quella bambina?
Qui c’è un salto ad un certo punto, parla della vergogna dopo avere parlato del gioco senza un passaggio, senza di palo in frasca, occorre almeno un elemento che connetta le cose, da dove scappa fuori questa vergogna? Detta così viene fuori dal nulla, perché la vergogna avrebbe a che fare con la realtà? O in che modo la vergogna mantiene la realtà? È questo passaggio che non si intende, occorre che i vari passaggi siano espliciti, in modo che chi ascolta possa seguire il discorso…
Intervento: certo la morale…
In che modo la morale mantiene la realtà? Questa è la questione che deve svolgere se vuole proseguire in questo modo, ammesso che sia così… Freud ha detto questo: ”la vergogna mantiene la realtà”?
Intervento: Freud ha detto che
la vergogna indica le prime rimozioni, le prime barriere…
Esatto, non c’entra nulla la realtà apparentemente, a
noi interessa sapere come? Come avviene questo passaggio che pare importante…
Intervento: per cui non è
possibile accogliere il proprio desiderio, il proprio piacere…
La vergogna al pari di molte altre cose attribuisce a
ciò che è causa della vergogna una fortissima realtà se no, non si
vergognerebbe ed è questo che lei occorre che inserisca perché se no non si intende, così come la fobia, la stessa cosa se uno ha la
fobia dei topi, per lui i topi sono oggetti assolutamente reali deve avere una
forte credenza nella realtà delle cose per potere essere fobico se no non
riuscirebbe ad esserlo, così la vergogna, per vergognarsi di una certa cosa
occorre che questa certa cosa per quella certa persona sia assolutamente reale…
Intervento: lui diceva del come insegnare ai
bambini le questioni sul sesso… se si parla con un bambino ci si accorge di
come certe questioni siano difficili da approcciare… per esempio la questione
della vagina il bambino non riesce a capire come sia
possibile la nascita di un bambino provoca poi tutte quelle strutture… il
pudore da parte dell’adulto…
Se vuole affrontare la questione in termini interessanti ponga allora la questione non tanto sul fatto che il bambino ha una sua teoria etc. ma perché tenta di dare una spiegazione a una cosa del genere, perché si chiede da dove vengono i bambini? Perché? Anziché non chiederselo affatto? E perché dovrebbe disturbarlo? È qui che lei trova l’aggancio rispetto alla struttura del linguaggio, nel perché se lo chiede…
Intervento: lo stesso stupore e maraviglia di Aristotele come motore della ricerca… era per dare un
senso alla domanda “da dove nasce il problema?” “da dove nasce il sapere?”
E allora lo porti alle estreme conseguenze tutto questo discorso e si domandi come mai il bambino si pone la domanda: da dove viene, a quali condizioni può fare una cosa del genere?
Intervento: quando comincia il discorso del bambino quando comincia a chiedersi le cose se è vera una
certa cosa e perché è vera. La vergogna, la riprovazione, la condanna l’ascoltiamo, diceva Freud, nell’analisi dell’adulto, la
seguiamo nel sogno e nei sintomi dell’adulto, l’ascoltiamo, diceva Freud, nei
sintomi di una società che mantiene puro quel bambino che gioca, società che
necessita di un ideale di purezza per garantirsi il controllo, la gestione
della realtà. Per potere riprodurre la realtà, per avere un punto fermo da cui
muovere e in fondo per questo non desidera giocare un altro gioco. Ma quali informazioni dunque occorre fornire ad una madre
che lamenta e produce un problema e che di questo problema vuole sbarazzarsi? È
necessario che l’analista mostri che è un gioco quello che sta giocando? O è assolutamente irrilevante? Freud parlava del gioco della
psiche, del gioco delle rappresentazioni in cui l’umano è preso, come dire che la realtà per ciascuno è una rappresentazione di
realtà, una costruzione di un pensiero che funziona ininterrottamente ma a
partire da un modello estetico, un modello che si è formato con le prime
pulsioni sessuali. Ma se qualsiasi giudizio è fondato su una rappresentazione
allora una rappresentazione vale l’altra e alla madre che ha un problema di cui
vuole sbarazzarsi per esempio “ho un bambino bellissimo che corre tutto il
giorno ho paura di non essere accorta e di non mettere sufficienti protezioni
alle finestre”. Qui parlo della madre che va in analisi perché ha le ossessioni
di uccidere il figlio mi sembrava visto che parliamo
di psicanalisi di mostrare il percorso di cui può trattarsi. Come
fare intendere che ciò di cui e per cui lei va temendo
è un gioco? Non uno solo, molti giochi e il gioco
della paura, delle emozioni grandissimi pertiene generalmente, non sempre ma
generalmente al gioco della madre, basti considerare lo sgomento,
l’incredulità, lo straniamento che comportano nell’opinione pubblica l’uccisione
di un bambino ad opera di una madre, questi fatti tremendi minano la sicurezza
dell’umano che a quel punto è inerme pare non ci sia più nessun punto fermo su
cui contare e per cui poter sognare. Come se venisse a mancare il modello.
Un gioco importante, forse il più importante al
quale si conforma il pensiero. Perché
è importante sapere che è un gioco anziché non saperlo? Sapere che è un gioco
comporta in prima istanza non essere travolto dal
gioco perché questo gioco è il mio discorso che lo sta giocando e se lo sta
giocando il mio discorso allora sul mio discorso posso intervenire, come posso
intervenire sul discorso? Incominciando ad interrogarlo e interrogandolo
lasciare che si aggiungano elementi, elementi che il discorso utilizza a comporre
a formare altri elementi, a intessere nuove
connessioni e quindi ad aprire nuove strade che possono stupire nei primi tempi
perché comportano verità impreviste, inattese ….ma
perché intervenire su un discorso? Ciò che dice il luogo comune è che il
linguaggio, il discorso sia l’unico mezzo che le
persone hanno per esprimere ciò che hanno dentro di sé, che il linguaggio sia
lo strumento per comunicare, lo strumento per ordinare, per biasimare, per
dichiarare il proprio amore, sì il linguaggio sequenze di proposizioni certo
legate da una grammatica e da una sintassi e quindi linguaggio legato a regole
ferree, dalle quali non è possibile derogare ma è un mezzo uno strumento, ma il
linguaggio allora è anche un mezzo per obbedire, un mezzo per soffrire un mezzo
per subire? Senza linguaggio questi processi così detti interni, dentro di sé
non esisterebbero ma se esistono è grazie al discorso
della persona che valuta, in molti casi, se obbedire oppure no, se soffrire
oppure no, se subire oppure no, l’atto di obbedire non può esistere se non
all’interno di un discorso in cui trova un senso. Ma
ciò che dice il luogo comune è all’interno del discorso del luogo comune che
non hai potuto considerare perché nessuno glielo ha mai proposto di essere un
discorso se no come sapremmo delle sue affermazioni, per esempio, che il
linguaggio è un mezzo? Non lo potremmo sapere e se il linguaggio non fosse un
mezzo? Ma l’artefice di qualsiasi cosa al mondo,
l’artefice di qualunque gioco anche l’artefice di scoprirsi linguaggio? Di che
cosa è fatto il linguaggio? Di elementi linguistici
Qui ci può dare una mano Wittgenstein ad intendere
la questione del perché è importante sapere che il gioco, per esempio, della
madre è un gioco linguistico, costruito da un discorso DELLA CERTEZZA pp. 89-
90- 91 ci dice qualcosa di molto importante quando
analizza “io so” e “io credo” – IO so, dice, deve esprimere una relazione non
già tra me e il senso di una proposizione (come io credo) ma tra me e un dato
di fatto. Così il dato di fatto viene assunto dalla mia coscienza ….come dire
che quando io affermo lo so e queste affermazioni avvengono continuamente i
dati di fatto costruiscono ciò che supporta quel sapere lo confermano, ma
questo sapere lo posso dimostrare? Perché se questo sapere non lo posso dimostrare
come so che è vero ciò che dico? Come so di sapere?
Di fronte ai problemi della fede, ai problemi del sapere gli umani in qualche modo distinguono,
così come distinguono tra scienza e religione, la fede religiosa, la credenza
in un dio è qualcosa che da sollievo allo spirito è qualcosa che non fa male a
nessuno e quindi perché metterla in gioco? Visto soprattutto che non inficia il
sapere della scienza che non parte da un dio benevolo o malevolo ma studia
leggi naturali…
Cerchi di dare maggiore omogeneità, facendo dei passaggi fluidi, senza salti, questa ultima parte va bene e va sviluppata, magari si può mettere qualche citazione di Freud sul Piccolo Hans, mostrare in poche parole qual è la vicenda e il modo in cui Freud ha intesa la questione per poter fare il passo successivo, dire come Wittgenstein eventualmente possa dare un contributo a questo e poi arrivare alla parte principale che riguarda appunto il linguaggio…
Intervento: Wittgenstein parla di proposizioni, di linguaggio, di logica ma non si è mai trovato a parlare di discorso e soprattutto del come funziona il suo discorso e questo è stato determinante per la questione e così come Freud parte dalla necessità e quindi da una realtà che esiste, a maggior ragione per Wittgenstein questa realtà che lo faceva affermare quello che affermava e quindi a cercare una connessione fra gioco linguistico e realtà senza poter trovare la realtà nel gioco linguistico. Avere al possibilità di considerare queste questioni è quello che dicevo e cioè “ per il linguaggio trovarsi artefice di scoprirsi linguaggio” cosa che non è mai stata fatta fino ad ora cioè il linguaggio che pensa se stesso, la sua condizione…
Certo, ci sono questioni, domande, obiezioni? Chi altri ha qualcosa da dire, da leggere? Nadia forse?
Intervento: Wittgenstein
parla del significato come l’uso, per cui ha inteso
bene che si sta lavorando con il linguaggio però non ha mai analizzato il suo
discorso perché diceva quelle cose…
Wittgenstein non era uno psicanalista, era un filosofo, alla sua domanda: “perché dice tutte queste cose?” avrebbe risposto: “per cercare la verità”, indubbiamente, come chiunque, la stessa cosa avrebbe risposto Freud: per dare un senso, avrebbe detto lui, a dei fenomeni psichici, per intenderli e quindi scoprire quale verità li supporti ma il passo che nessuno ha fatto è intendere perché si cerca la verità, questo la logica stessa lo pone come intuitivo, come facente parte, connaturato con gli umani, ma non c’è nessuna domanda di fatto sul perché gli umani cercano la verità, perché poi è da lì che tutto quanto segue, se non la cercassero tutto ciò non sarebbe mai esistito, mentre il lavoro che abbiamo fatto in questi anni è intendere proprio perché gli umani cercano la verità, a che scopo? Chi glielo ha chiesto, chi glielo impone? E abbiamo trovato la risposta a questa domanda, e la risposta a questa domanda l’abbiamo trovata domandandoci quali sono le condizioni che ci consentono di porci questa domanda. E a questo punto il passo è stato breve: è il linguaggio che costringe a porre domande, e perché costringe a porre domande? Se non per trovare risposte e queste risposte come devono essere? Strutturate in un certo modo, cioè devono essere vere rispetto al gioco che si sta facendo. Cosa significa che devono essere vere? Che non devono contraddire le premesse da cui sono partite, ché il linguaggio non può affermare che un elemento esiste e simultaneamente affermare che non esiste, perché sarebbe come farlo di se stesso, e il linguaggio non può affermare di se stesso che non esiste se non costruendo un paradosso o, come diciamo spesso, può affermarlo ma non può provarlo, cioè non può fare di questa espressione “il linguaggio non esiste” un’espressione vera, un asserto vero, questo non lo può fare all’interno di nessun gioco, per cui può costruirlo certo ma è inutilizzabile perché il linguaggio stesso non lo può utilizzare in quanto non lo può dimostrare, cioè non può fare in modo che questa proposizione sia vera all’interno di uno qualunque dei giochi che costruisce. Perché è autocontraddittorio. Di conseguenza sapere perché gli umani cercano la verità è sapere come funziona il linguaggio, ma non sapere perché funziona nel modo in cui funziona, possiamo prendere atto che funziona in un certo modo ma perché funziona in quel modo questo non lo sappiamo, cioè non possiamo costruire un’argomentazione che mostri dall’esterno il funzionamento del linguaggio perché questo dovrebbe trovare una causa del linguaggio che sia fuori di sé, fuori dal linguaggio, dovremmo uscire dal linguaggio e a questo punto ci mancano i mezzi per potere procedere…
Intervento: è
un’operazione che non è possibile…
No, il linguaggio può costruire qualunque proposizione, l’abbiamo detto tante volte, e quindi è un sistema aperto, perché costruisce infinite proposizioni ma al tempo stesso è un insieme chiuso perché non c’è uscita dal linguaggio…
Intervento: e chiedersi perché funziona in una certa maniera?
È un non senso, è una domanda che non può avere all’interno del linguaggio nessuna risposta e fuori meno che mai perché sarebbe qualche cosa che dall’esterno è causa del linguaggio e quindi ne da ragione. Sandro qualche notazione?
Intervento: rispetto
a Wittgenstein tutto sommato secondo me la cosa più importante che comunque lui sapeva benissimo che quello che lui stava
facendo era un gioco linguistico, lui non ha costruito una teoria fuori dal
linguaggio o per lo meno sapeva benissimo che non era fuori dal linguaggio… Wittgenstein
si potrebbe classificare come un relativista nel senso che lui dice che il
significato è appunto l’uso, perché si parla ed è all’interno di una
proposizione però si ferma lì, nel senso che il significato è relativo al gioco
che si sta facendo, ovviamente il passo successivo apre… non per nulla poi
negli ultimi anni si apre alla religione ecc… per noi la questione non si pone
perché tutto è linguaggio… quello che può essere un limite della teoria di
Wittgenstein è questo…
Certo, sarebbe bastato dire che il significato di un termine è l’uso che se ne fa significa dire che il significato di una certa cosa dipende dalle regole del gioco in cui è inserita, anche se Wittgenstein non la dice in questi termini, però a questo punto anche questa affermazione, e cioè l’affermare che il significato di qualche cosa è l’uso che se ne fa, è vincolata a delle regole, quali? Perché sto facendo questo gioco? E qui si impone la questione, la questione fondamentale e cioè quali sono le regole che sono necessarie per compiere qualunque gioco? In fondo anche questa affermazione di Wittgenstein rispetto al significato può risultare assolutamente arbitraria, quindi vera quanto al sua contraria, a meno che ricorsivamente non si ponga la domanda del perché stiamo usando questa regola, cioè questo gioco, le regole del quale conducono ad affermare che il significato di un elemento è l’uso che se ne è fatto, perché uso questo gioco, posso usarne altri? Perché affermare che il significato di una proposizione è l’uso che se ne fa è vincolata ad un certo gioco che si sta facendo, ma perché fa proprio quel gioco? Può giocarne un altro? Che conclude in un altro modo? È una possibilità. È qui che si arriva a trovare un gioco dal quale non si esce e cioè un gioco che prevede un sistema inferenziale e prevede che un elemento che per potere essere utilizzato debba essere identificato rispetto a tutti gli altri e vincolato pertanto a una struttura che a questo punto non è più una teoria fra le altre ma è la struttura che fa esistere qualunque teoria, cioè il linguaggio non è una teoria ma la condizione di qualunque teoria, e questo Wittgenstein non l’ha fatto, non ha messo in discussione la sua conclusione quando afferma che il significato di una proposizione è l’uso che ne faccio, nel senso di inserire ciò stesso che aveva trovato in questa stessa definizione, che è esattamente quello che abbiamo fatto noi…
Intervento: l’attività degli umani è vincolata a giochi linguistici… il linguaggio comunque e la realtà è un problema non risolto per Wittgenstein…
No, non può risolverlo con gli strumenti di cui dispone così come non possono risolverlo i logici con gli strumenti di cui dispongono, rimane comunque sempre a fondamento di tutto qualcosa che attribuiscono all’intuizione, alla natura umana, ma mai a ciò che in realtà costituisce la condizione di ogni cosa: la struttura del linguaggio, il suo funzionamento…
Intervento: è un po’ come dire che la realtà dei moderni è diversa da quella del 1800 però la realtà rappresenta qualcosa… il linguaggio è un mezzo per conoscere la realtà, la realtà del gioco linguistico il linguaggio qualcosa di impensabile, qualcosa di cui non si deve dire…
Già, allora giovedì prossimo sentiamo Nadia sul sogno
e il mito. Bene, continuate a leggere Wittgenstein e Freud.