14-1-2009
L’esercizio che abbiamo fatto la volta scorsa è di grande importanza perché costituisce una questione di metodo, di metodo non soltanto teoretico ma anche di pensiero. Di cosa parlavamo la volta scorsa Eleonora? Tu sostenevi che è impossibile non interpretare qualunque cosa, qualunque atto di pensiero comunque è una interpretazione, sempre, nel pensiero degli umani si è andati avanti con asserti teorici alcune volte interessanti altre meno ma sempre degli asserti, delle affermazioni, degli enunciati, per esempio intorno agli anni 60 e 70 si era posta una questione che riguarda in buona parte le cose che tu hai dovuto studiare per l’esame. Si considerava, proprio in base alla semiotica che ha avuto successo in quegli anni, che per esempio la comunicazione tra umani di fatto non fosse possibile e in buona parte anche delle dottrine psicanalitiche in quegli anni in particolare i francesi, Lacan nello specifico, muovevano da considerazioni del genere, cioè tra gli umani non c’è nessuna possibilità di comunicazione. Gli umani non comunicano, questo aveva ovviamente un fondamento teorico che procedeva in parte dalla strutturalismo e buona parte dalla semiotica soprattutto dai lavori di Greimas, di Bremond etc. Perché si era giunti a considerare che la comunicazione non era possibile? Le argomentazioni erano abbastanza forti e convincenti, in realtà tenendo conto sia dell’apporto della semiotica e dell’apporto della teoria di Freud si era giunti a considerare che qualunque atto di parola viene proferito da qualcuno ma ciò che la persona ascolta non è riconducibile a ciò che il mittente aveva proferito: ciò che l’altro ascolta è diverso, è differente e non è in nessun modo mai riconducibile al messaggio di partenza. Non è riconducibile perché il processo semiotico che interviene tra emittente e destinatario o ricevente è tale per cui come dicevamo la volta scorsa si crea una sorta di infinitizzazione, una semiosi infinita, un rinvio tale per cui il ricevente non ha mai la possibilità di chiudere questa semiosi infinita dando un significato ultimo, rimane dunque sempre aperto per cui il destinatario coglierà qualcosa che appartiene al suo discorso, a partire da dei significanti costruirà una sua storia che non è affatto quella che l’emittente ha voluto trasmettere. Poi naturalmente c’era l’apporto di Freud, e cioè il fatto che la persona parlando emette sì una serie di messaggi, informazioni, ma ciò che veicola è mosso in buona parte da questioni che lo riguardano, da fantasie che gli appartengono e queste fantasie sono responsabili in parte notevole della costruzione del suo messaggio, ora la persona che li riceve non ha le stesse fantasie e quindi riceverà tutt’altro e questo come dicevo indusse a concludere negli anni 60 e negli anni 70 che gli umani tra loro non comunicano, non c’è nessuna possibilità di comunicare. Sei d’accordo con questa tesi?
Intervento: più o meno, perché bisogna intendere che cosa significa comunicazione perché se con comunicazione si intende il messaggio e le informazioni che si inviano il destinatario e il mittente allora comunichi informazioni e quindi comunichi se invece…
Ma queste informazioni che passano dall’emittente al destinatario rimangono tali in questo passaggio?
Intervento: la semiotica dice no, effettivamente si può dire che non riesci mai a comunicare quello che pensi devi sempre tradurlo in qualche cos’altro a parte le parole, i suoni l’emozione non si può raccontare, bisogna vedere cosa si intende per comunicazione …
Quindi se intendiamo con comunicazione la semplice trasmissione di informazioni rimane comunque la difficoltà di stabilire se queste informazioni siano esattamente le stesse, quindi c’è la possibilità che utilizzando questa definizione comunque la comunicazione non sia possibile, e quindi Eleonora come procediamo a questo punto?
Intervento: se la comunicazione è un processo che segue una determinata struttura logica e se … questa struttura è la stessa del destinatario …
Prova a dimostrare il contrario invece e cioè che la comunicazione è necessaria, non dovrebbe essere difficile. Si tratta di trovare argomentazioni che provino che la comunicazione è necessaria, qui occorre intanto dare una definizione di comunicazione che ci serva allo scopo e che naturalmente sia sostenibile perché in base alla definizione che avremo data seguiranno certe implicazioni, quindi occorre che sia qualcosa di più di una semplice trasmissione di informazioni, cosa ci vuole in più perché ci serva per dimostrare che la comunicazione è necessaria?
Intervento: la modificazione del ricevente …
È già un elemento, viene modificato, però come sappiamo che si modifica? Ciò che l’emittente dice in qualche modo viene recepito dal destinatario e nel ricevere questo messaggio il destinatario si modifica, per esempio sa qualche cosa in più, non è più lo stesso di prima …
Intervento: quindi non è più il messaggio che si modifica ma si modifica il destinatario?
Stiamo aggiungendo un elemento per vedere se ci può essere utile alla nostra definizione …
Intervento: se l’emittente e il destinatario condividono la stessa premessa nella comunicazione …
A quali condizioni?
Intervento: che ci sia condivisione …
Questo sposta solo la questione perché la condivisione é già prevista nella comunicazione nel senso che per comunicare qualche cosa occorre condividere qualche cosa se no non si comunica niente, se non altro un codice occorre sia necessario …
Intervento: …
Può darsi, dipende, però rimane la domanda e cioè quale definizione di comunicazione, perché ci risulti dopo necessario che la comunicazione sia imprescindibile e non possa non esserci, sì? Devi pensare più velocemente …
Intervento: se l’altro il destinatario si muove come io vorrei che si muovesse a questo punto io ho centrato l’obiettivo …
Non necessariamente, potrebbe essere un caso …
Intervento: ci sono dei casi in cui si dice “spostati” e quello si sposta e quello non è un caso …
Intervento: in questo caso che cos’è che comunica?
Intervento: la struttura logica …
Intervento: la logica formale come funziona? Ci sono degli assiomi …
Cosa c’entra con la comunicazione? Quindi sostenete la teoria del feedback, la retroazione, nel senso che retroattivamente si controlla se il destinatario ha ricevuto oppure no il messaggio in forma corretta con una serie di contro prove, sì è un metodo empirico certo …
Intervento: …
Se io non comunico, non comunico in nessun modo, così come voleva la semiotica negli anni 60/70, ma come lo so? Perché non comunico nemmeno con me stesso, ogni comunicazione è interrotta, anche fra me e me. Sto definendo la comunicazione nel modo più ampio possibile è ovvio. Quando si da una definizione che debba essere utilizzata come premessa per costruire argomentazioni è ovvio che deve essere nell’accezione più ampia possibile quindi trasmissioni di informazioni non solo fra me e qualcuno ma fra me e me …
Intervento: io comunico so che sto usando le stesse strutture logiche …
Se io non comunico cioè se non c’è un passaggio comunque di informazioni in qualunque modo questo avvenga per il momento non ci interessa, io non posso sapere che non sto comunicando perché non ho nessun modo per saperlo, c’è il silenzio radio totale. E allora a questo punto siamo costretti ad ammettere la necessità della comunicazione, se non altro per sapere se stiamo comunicando oppure no, e non c’è modo di venirne fuori …
Intervento: …
Questo è ovvio, stiamo parlando di comunicazione adesso non della struttura del linguaggio in quanto tale, ma di comunicazione, di questo concetto, linguistico, filosofico, psicologico, la psicologia senza comunicazione va poco lontano però non si è interrogata a sufficienza su questo termine. Per esempio Paul Watzlawick della scuola di Palo Alto che aveva teorizzato insieme con altri due Don D. Jakson e Gregory Bateson, che la comunicazione è ovunque, sempre e comunque, anche quando qualcuno è fermo e immobile alla fermata del tram comunica ad altri qualche cosa che per esempio lui è lì, è fermo e non vuole nuocere a nessuno e che sta buono e gli altri trasmettono a lui la stessa informazione, è un’idea bislacca al pari di qualunque altra, ma la questione, ed è questo che a noi interessa, è che come sempre ciò che viene definito è definito sempre e comunque in modo totalmente arbitrario, qualunque cosa può essere definita in qualunque modo naturalmente e questa definizione può anche essere sostenuta come abbiamo visto anche da buone argomentazioni, ma questo non la rende affatto necessaria e questa è una questione di metodo ma dicevo prima non soltanto, anche per una ricerca teorica per la quale questo procedimento è assolutamente imprescindibile, o si procede così oppure è meglio lasciar perdere perché non si va da nessuna parte, si gira in tondo su fantasie, opinioni, credenze, superstizioni e chi più ne ha più ne metta, ma dicevo è fondamentale anche per il modo in cui ciascuno pensa le cose che pensa perché in fondo ogni pensiero anche il più banale, il più risibile è configurato come una teoria e cioè muove da delle premesse e attraverso dei passaggi più o meno coerenti giunge a una conclusione e questa conclusione se non ha trovato intoppi lungo il suo cammino verrà creduta vera e ci si muoverà di conseguenza, e quindi è fondamentale interrogare le premesse di tutto ciò che si crede, di tutto ciò che si pensa, di tutto ciò che interviene nei propri pensieri. Interrogare e chiedere conto a queste premesse della loro validità e quando ci si è inesorabilmente accorti lungo questo procedere che tali premesse sono arbitrarie allora avviene che si cessa di credere a qualunque cosa ma si può accogliere ovviamente qualunque cosa in quanto arbitraria ma di conseguenza non può non porsi la considerazione che ciò che si sta affermando non è altro che una decisione estetica, come dire che è così perché mi piace così, punto e basta, non c’è nient’altro e questo è importante perché modifica la condotta della persona e anche il modo in cui pensa, ma perché lo modifica? Perché non può più credere vero ciò che sa non essere di per sé né vero né falso, e questo anche rispetto all’approccio a qualunque teoria, è fondamentale. Qualcuno tra voi per esempio potrebbe prendersi la briga di andarsi a rileggere la Metapsicologia di Sigmund Freud e compiere questa operazione, e cioè rilevare tutte le affermazioni assolutamente gratuite sulle quali fonda tutto ciò che ha costruito, se le premesse da cui muove sono arbitrarie, gratuite, infondate oltre che infondabili allora tutto ciò che ne segue è al pari gratuito e cioè ha un valore puramente estetico, nient’altro che questo. Allora Eleonora esiste o non esiste la comunicazione? La risposta a questa domanda è che io posso decidere che esiste o che non esiste con buone argomentazioni, ma qualunque decisione io prenderò sarà una decisione estetica: se io decido che la comunicazione è necessaria è perché mi piace pensare così, se decido che è impossibile è perché mi piace pensare questo, c’è altro? Questo è un modo di operare e di procedere che è insolito in effetti, perché nessuna teoria precedente alla nostra si è mai mossa in questi termini, ciascuna teoria ha sempre preso le mosse nella migliore delle ipotesi da qualche induzione, nella peggiore da qualche fantasia, qualcosa che è passato per la testa a qualcuno in quel momento, gli è sembrato che fosse così, oppure ancora dal luogo comune: si è sempre pensato così quindi deve essere così. Come lungo un’analisi tutto questo si configura? Può non essere semplice inserire all’interno di un discorso una procedura del genere, qualunque discorso fa di tutto per mantenere le premesse su cui si regge, su cui si fonda, fa di tutto e le mantiene a qualunque costo, perché Eleonora?
Intervento: almeno va avanti …
Potete prendere il discorso di qualcuno come una teoria qualunque, una persona che segue una certa teoria non metterà in discussione la teoria sulla quale si fonda perché le consente di lavorare, di fare un sacco di cose, non lo farà primo perché in genere non è in condizioni di farlo, secondo perché non ha nessun interesse a darsi la zappa sui piedi, cioè dimostrare che tutto ciò su cui si regge il suo lavoro è falso, scemo sempre ammesso che sia in condizioni di farlo naturalmente cosa che non va affatto da sé, la stessa cosa avviene per il discorso della persona, all’interno del suo discorso ci sono delle premesse che sono come i fondamenti della teoria che serve per vivere, è improbabile che li metta in discussione e questo per un motivo anche strutturale e cioè che il discorso naturalmente si muove da elementi ritenuti veri e tutto ciò che lungo la formazione della persona è stato acquisito come assolutamente vero funziona come premessa per costruire sopra di questo qualunque cosa quindi mettere in discussione queste premesse il più delle volte appare inverosimile, anche per questo le persone si inalberano quando mettiamo in discussione qualcosa che riguarda la realtà, la cosiddetta realtà, perché costituisce in buona parte la premessa fondamentale, la prima istruzione il “questo è questo” da cui parte il linguaggio. Eleonora, e se tutto ciò che ho detto fosse falso?
Intervento: ma non lo so, non mi convince questa cosa reputare la comunicazione necessaria … io la comunicazione la associo un po’ al dialogo sia tra due persone sia tra te e te, si connettono proposizioni …
L’abbiamo detto prima che la comunicazione è necessaria, è necessario che ci sia e prima ancora dicemmo che la comunicazione è impossibile …
Intervento: esatto perché è vero che si costruiscono proposizioni attraverso scelte estetiche ma queste scelte estetiche che tu fai, il fatto stesso che tu le fai sempre in un certo senso finché muori … connetti proposizioni sempre. Pensando a queste operazioni è un continuo comunicare se si intende la comunicazione come connessioni di proposizioni, quindi se la si intende così è un po’ necessario …
E se la si intende altrimenti?
Intervento: cioè perché sarebbe impossibile?
Ma allora cosa abbiamo detto?
Intervento: sì però non riesco ad entrarci in questa ottica …
Perché non hai nessuna certezza che questa comunicazione sia avvenuta, e non hai la certezza perché ciò che tu trasmetti viene modificato durante il viaggio e viene modificato durante la ricezione …
Intervento: alla conclusione ci arrivi se sei consapevole che hai comunicato …
Come sono consapevole che ho comunicato?
Intervento: tu l’hai detto che non sai in realtà se comunichi veramente, come fai a non saperlo?
Non lo so perché ciò che io trasmetto attraverso un canale come sai perfettamente viene modificato dal canale, viene modificato dal contesto, viene modificato dal codice etc. A questo punto tu dici: “tu però sai di avere comunicato” sì ma sei io riproduco la stessa cosa su di me, come faccio ad avere la certezza di avere comunicato se comunque ciò che io mi dico dopo che ho comunicato è già totalmente differente? Ti ricordi di De Saussure? Dice esattamente la stessa cosa, una volta che tu dici qualche cosa questo qualche cosa anche se lo dici a te stessa una volta detto se lo ripeti è differente, non è più la stessa cosa perché il testo è cambiato, perché i tuoi pensieri sono cambiati anche se è passata una frazione di secondo …
Intervento: quello è lo svolgimento che cambia …
Non è lo svolgimento, è il fatto che tu non puoi ripetere comunque la stessa cosa e quindi anche questo affermare che comunque hai comunicato quando lo dici è già un’altra cosa, è già un’altra cosa per esempio rispetto a quando l’hai pensata …
Intervento: ma magari non è la stessa comunicazione ormai è un’altra …
Se è un’altra allora è totalmente un’altra cosa, è un’altra cosa letteralmente …
Intervento: no, un’altra comunicazione …
Supponiamo che sia un’altra comunicazione come dici tu, cioè una comunicazione altra, differente, il problema è che ciascuna volta sarà sempre una comunicazione altra, sempre e comunque a ogni passo, e quindi cosa resta? Niente, ecco perché il nostro amico De Saussure si trovò ad affermare che nel linguaggio non vi sono se non differenze, cosa che poi la semiotica ha ripreso a piene mani, perché comunque c’è sempre una differenza e quindi non hai mai la possibilità di sapere se era quella di prima e cioè se c’è stata effettivamente comunicazione perché ogni volta è un’altra cosa, sempre un’altra …
Intervento: questo perché prendiamo il principio di identità come un valore di riferimento per la verità o la falsità …
Ti ricordi cosa diceva Giuseppe Peano? Scriveva per parlare dell’identità “A = A”, ricordando che due elementi sono identici se hanno in comune tutte le loro proprietà, ma come facciamo a dire che sono uguali se uno per esempio sta a sinistra e l’altro a destra? Già c’è una proprietà che non hanno in comune e quindi non possiamo stabilire l’identità, quindi non c’è nessuna identità possibile, cioè non c’è identità verificabile …
Intervento: sì, però abbiamo sempre detto che l’assioma da cui parte tutto è “questo è questo” ed è affermato appunto secondo un principio di identità, e questo è il primo assioma che fa partire tutto il meccanismo …
Vedi che è relativamente facile potere sostenere qualunque cosa e il suo contrario, anche per esempio questa idea di Peano che ha usato in modo molto semplice per dimostrare l’impossibilità dell’identità o più propriamente l’impossibilità della verifica dell’identità, ché se non viene verificata non è niente, anche questa naturalmente presenta il fianco a delle obiezioni anche molto potenti. Quali per esempio? Perché se A non fosse identica a sé tutto ciò che ne segue non significherebbe niente, A non sarebbe né uguale né differente da niente e basta solo questo argomento per confutare ciò che dice Peano …
Intervento: è sempre comunque un’altra comunicazione …
Per la semiotica sì per Watzlawick no per esempio …
Intervento: si fa sempre riferimento a questo al principio di identità …
La differenza Eleonora sta in questo, che per il linguaggio il principio di identità non è una dimostrazione, né una tesi, ma è un’istruzione, un input che non può essere dimostrato e in effetti non lo è, non c’è nessuna possibilità di dimostrarlo né di confutarlo tra l’altro ma è un’istruzione: “questo è uguale a questo”. E così si procede, esattamente come fanno i computer …
Intervento: è un’istruzione che diventa assioma per la struttura linguistica …
Il linguaggio utilizza questa istruzione e da lì può costruire una serie di operazioni …
Intervento: però è quello che ci fa dire che la comunicazione è impossibile …
Queste sono argomentazioni che hanno poco a che fare con tutto ciò, le argomentazioni della semiotica o degli altri sono costruite retoricamente di fatto non partono da nulla che sia provabile. Vedi il problema è sempre questo: quando tu vuoi dimostrare, verificare, certificare qualunque cosa supponendo che questo qualunque cosa non appartenga alla struttura del linguaggio allora arrivano i paradossi a valanga, inesorabilmente, e questi paradossi impediscono ovviamente la soluzione. Se invece si inserisce all’interno della struttura del linguaggio allora ogni paradosso scompare perché non è più qualcosa che deve essere dimostrato fuori dal linguaggio perché non potrà esserlo mai, ma viene posto unicamente come un’istruzione, un’istruzione perché un programma possa funzionare e tanto basta. Sandro voleva dire qualcosa?
Intervento: la questione del principio di identità si diceva che è un’istruzione e quindi non è dimostrabile … entrambe le tesi sia quella che afferma che c’è comunicazione sia quella che afferma che non c’è comunicazione … si parlava di Lacan “non c’è rapporto sessuale” anche quello è un modo per dire che non c’è comunicazione … il rapporto sessuale non è quello che unifica ma è quello che mantiene la non comunicazione … l’idea che la comunicazione sia possibile immagina che avvenga e sia trasmesso in modo che la persona percepisca in modo identico “sposta questo” la persona immediatamente intende ... questo è qualche cos’altro che ho spostato l’idea è proprio questa che il principio di identità sia in qualche modo non un’istruzione ma qualche cosa di rappresentabile, un’identità che sia rappresentabile, poi d’altra parte c’è chi dice che non c’è comunicazione cioè non c’è identità perché ciascuna cosa non è identica a sé stessa. Un equivoco è proprio sul principio di identità che è un’istruzione … la comunicazione è un gioco linguistico che ha le sue regole … una certa istruzione io la faccio ma appartiene a un certo gioco linguistico allora c’è comunicazione … si gioca questo gioco come il poker dove una certa carta ha un certo valore quindi si stabilisce che nella comunicazione il significato di una certa cosa è questo e quindi può esserci comunicazione … si tratta di registri differenti se si volessero ontologizzare quelle che sono le procedure di linguaggio … per l’impossibilità di poterla rappresentare come se il gioco linguistico che si sta facendo in quel momento fosse fuori linguaggio … mi sembra che l’equivoco sia un po’ il medesimo…abbiamo parlato della questione dell’identità al momento stesso in cui all’identità si voleva dare un certo valore … è chiaro che al momento in cui io voglio dare all’identità un certo significato mi accorgo effettivamente di una sorta di infinitizzazione perché può essere qualunque cosa e il suo contrario. È una questione di metodo quello che interessa al momento in cui il proprio discorso non può non tenere conto che qualsiasi cosa è produzione di una struttura e quindi qualsiasi definizione che avviene all’interno di questa struttura è assolutamente arbitraria allora dovrebbe intervenire nella struttura la domanda che da la possibilità di giocare un certo gioco e di giocare il suo contrario, avere sempre presente che intervenga nella propria struttura quello che non si può non più sapere e allora a quel punto non ci si ferma più su “che cos’è la comunicazione?” “la comunicazione è: questo, questo, questo” perché è come andare a cercare la verità fuori da una struttura, è come se si andasse ininterrottamente a cercare la verità che si sa essere prodotta dalla struttura linguistica quindi arbitraria fuori dalla struttura linguistica e in questo stato crederla necessaria, è questo l’esercizio direi più difficile da compiere perché si instauri nel proprio pensiero l’automatismo del non girare a vuoto …
Intervento: questo attiene al discorso di ciascuno al momento stesso in cui si trova a fare due giochi che si contrappongono … lui cerca di trovare il modo di far prevalere l’uno sopra l’altro cioè qual è la cosa vera e quella falsa cioè qual è la cosa più vera …
Intervento: è come se funzionassero i contrari il bene e il male e allora si va da una parte escludendo l’altra questo è il bene e non è il male, è il bene, è il bene … poi c’è anche il male che esclude il bene, il male, il male … l’esercizio intellettuale che va compiuto ininterrottamente è poter considerare il bene e il male due giochi linguistici differenti …
Quindi sapresti costruire una semiotica tenendo conto di tutto ciò? Quando si incontra una teoria che non è assolutamente soddisfacente occorre reinventarla, ricostruirla ex novo con basi ben più solide …
Intervento: …
Dipende, se lungo questo percorso quella precedente mostra di non essere sostenibile in nessun modo la si abbandona al suo destino …
Intervento: qualunque teoria anche non sostenibile è stata utile in qualche modo …
È necessario bruciarsi la mano per sapere che il fuoco brucia? O è sufficiente un’informazione?
Riprendiamo mercoledì prossimo così teniamo conto di come si forma l’esperienza, riprendiamo anche Alan Turing che è stato quello che ha inventato il computer, le macchine pensanti, ha detto delle cose interessanti sulle programmazioni delle macchine perché ha preso spunto da come vengono programmati gli umani.