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13-11-2013

 

Si discute della prima parte della tesi di Eleonora.

 

Wittgenstein: il modo in cui la formula viene intesa determina quali passaggi si debbono compiere. Qui pone la questione dell’algoritmo, cioè quando tu impari a giocare a poker, una volta che tu hai apprese le regole, le varie partite sono presenti? No ovviamente, non sono presenti, però puoi farle queste partite, le puoi fare anche se non ci sono. La funzione di un algoritmo è mettere in condizione di potere svolgere un compito in tutte le sue varie forme qualunque siano le variabili che intervengono, se io dico “alzare la matita” compiere questa operazione se lo pongo come un algoritmo significa che ogni volta che dico la parola “alzare” so che questo significa prendere un aggeggio e sollevarlo dalla posizione in cui si trovava prima.

 

Wittgenstein: “una attività governata da regole implica una regolarità nel comportamento”, Le regole possono essere rispettate e possono essere violate”. Se sono violate no ma se sono seguite sì, bastava aggiungere “il comportamento nella sua esecuzione, nella loro esecuzione rispetto alla regola” (però Wittgenstein dice proprio che una regola può essere violata) certo che può essere violata, però a noi interessa sapere, quando segui una regola, cosa vuole dire “seguire una regola” poi possiamo anche vedere cosa significa “violare una regola”. Dal momento che la regola non è nient’altro che l’esecuzione di un’istruzione, tu questa istruzione puoi seguirla oppure no, per cui se tu aggiungi, quando parli di comportamento, “nella sua esecuzione” è chiaro che se la esegui questa regola il comportamento è regolare perché è vincolato a quella regola, se la segui, se non la segui no, ovviamente. Fai un esempio, stabiliamo una regola…

Intervento: io posso giocare a scacchi poi effettivamente posso violare la regola del come si muove il cavallo…

No, non puoi violare una regola del gioco degli scacchi, perché se no non giochi più a scacchi, per cui o segui la regola, e allora la segui correttamente, oppure non la segui e allora fai un’altra cosa. Ma se la segui la tua condotta sarà regolata da questa regola sembra, semplice come concetto: se segui la regola la tua condotta è vincolata a quella regola, e questo lo dici dopo “so che cos’è il gioco degli scacchi perché ne conosco le regole”. Qui la questione era: se tu impari a giocare a scacchi allora sai esattamente tutto del gioco degli scacchi, perché qui mi sembra che tu ponga la questione della comprensione, dici “se capiamo quello che viene detto vuol dire che dobbiamo avere presente eccetera”, in effetti tu puoi sapere che cosa vuol dire “giocare a scacchi” senza sapere giocare a scacchi, era questa la questione importante, importante per la vaghezza del funzionamento del linguaggio, si possono fare un milione di esempi, tu per esempio sai cos’è un motore a scoppio, però non sai esattamente come funziona…

Intervento: competenza o conoscenza?

La conoscenza è dire “io so che cos’è giocare a scacchi” ma non so giocare a scacchi, è una conoscenza non è una competenza, se invece parli con Kasparov ecco allora lui sa cosa vuol dire giocare a scacchi, ma anche giocarci, e anche molto bene, cioè ha una conoscenza e una competenza…

Intervento: dove sta la connessione il significato di giocare a scacchi e le regole di giocare a scacchi?

Mettiamola così: il significato di “giocare a scacchi” e mettiamo giocare a scacchi tra virgolette perché lo indichiamo come il nome di questa cosa, allora qual è il significato? Gioco ludico che viene praticato da due persone utilizzando una scacchiera di un tot di quadrati e di un tot di pedine: la torre, il pedone, il cavallo eccetera. Ecco, un gioco che si compie in questo modo con delle regole che consentono, per esempio, il movimento delle pedine in una certa direzione e non in un’altra, detto questo, tu hai una conoscenza del gioco degli scacchi ma questo non significa che tu lo sappia giocare, può darsi di sì, ma può darsi anche di no, perché per conoscere il gioco degli scacchi basta prendere il dizionario e leggere cosa dice e sapere che cos’è il gioco degli scacchi, sai giocare a scacchi a quel punto? No, non sai giocare, ma sai che cos’è, quindi il significato del gioco degli scacchi è un qualche cosa che ti dà la conoscenza del gioco degli scacchi, cioè del rinvio che ha questa proposizione che è quello che ti fornisce il dizionario, ma questo non significa che tu abbia la competenza per giocare a scacchi, è un’altra cosa, perché allora devi imparare queste regole, in modo più preciso, sapere esattamente quali sono i movimenti che puoi fare eccetera e allora a quel punto sai giocare a scacchi. È il linguaggio che è impreciso, in effetti la differenza tra conoscenza e competenza, sempre rispetto agli scacchi, è soltanto quantitativa, cioè la conoscenza che tu hai del gioco degli scacchi ti dice tre o quattro cose che dicono che il gioco degli scacchi non è come andare in bicicletta, non è come aggiustare un reattore nucleare, non è come segare un tavolo in due ma è un’altra cosa, ti dice in qualche modo che cos’è, dopodiché tu puoi acquisire altre conoscenze, altre regole che sono cioè altri rinvii e che saranno quelli che ti consentiranno di acquisire delle regole e poi applicarle e compiere quella cosa che chiamiamo “giocare a scacchi”. Per esempio io so che cos’è una bomba atomica, ma non saprei costruirla, ho una conoscenza ma non una competenza, che differenza c’è tra il fatto che io so che cos’è una boma atomica ma non so costruirla? Perché la mia conoscenza è di livello inferiore quantitativamente alla competenza che dovrei avere per costruirla, è solo una questione quantitativa, quante informazioni hai. E la stessa cosa vale tra uno che ha molta competenza e uno che ha poca competenza. Sai cosa vuole dire giocare a scacchi grosso modo, e se uno ti dice che vuole giocare a scacchi e si mette lì con le carte di scala quaranta tu capisci subito che c’è qualcosa che non quadra perché sai che il gioco degli scacchi non prevede in mazzo di carte. Un’altra cosa interessante che dicevi: viene ipotizzato che tra la regola e la sua applicazione intervenga un atto di interpretazione, ma se la regola deve essere interpretata allora, appresa una regola, qualunque cosa io faccia può essere resa compatibile con la regola mediante una qualche interpretazione, tramite anche la medesima interpretazione in disaccordo con la regola. Lui invece che cosa dice? Non ha tutti i torti, occorre interpretarla in un altro modo perché sia in disaccordo, se io ti dico “ogni volta che giri un foglio dai un colpo con la matita sul tavolo”, poniamo che sia la regola, tu come interpreti questa cosa? Se la interpreti correttamente esegui l’operazione, ma se interpreti in un altro modo “dare un colpo con la matita” che per te significa cacciarmela in un occhio, ecco che hai data un’altra interpretazione e allora sì, è in disaccordo, ma perché è interpretata in un altro modo. Quando il computer esegue un’operazione non interpreta ma esegue, per questo ho insistito sul fatto che seguire una regola è eseguire un’istruzione, e non c’è nessuna interpretazione. C’è interpretazione se la regola è equivoca, cioè se non sai esattamente quello che devi fare, se io ti dicessi “ogni volta che giri la pagina fai ciò che io ho fatto il 13 di marzo del 1977” potrei aver fatto chissà quali cose, per cui non sai eseguire correttamente, tu potresti avere un’idea, io ho fatta una certa cosa quel giorno lì, ma magari ne ho fatta anche un’altra. Nel caso in cui il comando non è preciso, l’istruzione non è precisa, cioè non dice esattamente quello che devi eseguire, cosa fanno per esempio i computer? Si bloccano. Tu citi da Wittgenstein “se questa immagine mi sta davanti alla mente io indico per esempio un prisma triangolare dicendo che si tratta di un cubo, questo impiego non conviene all’immagine. Ma è poi vero che non le conviene?”. A questo punto la domanda è: cosa vuole dire che le conviene? Non è che esiste il cubo, questa è una critica al realismo, velata ma è una critica al realismo, cioè non è che esiste il cubo di per sé, per cui se tu anziché dire che è un cubo dici che è un prisma triangolare, una piramide, sbagli per natura. È il linguaggio ha costruito delle sequenze, delle proposizioni tali per cui non le conviene per una questione grammaticale, non perché esiste un cubo in natura, e su questo Wittgenstein sarebbe d’accordo…

Intervento: per Wittgenstein “l’interpretazione è solo la traduzione di un segno in un altro segno”.

Sì, in effetti la traduzione traduce un segno in un altro, però è sempre e comunque una traduzione che non è precisa, lo traduci secondo ciò che in quel momento stabilisci, per questo non parliamo di interpretazioni ma di istruzioni: se io do un’istruzione questa istruzione che io do non è equivoca è univoca, cioè fai solo questo che ti si dice, l’interpretazione come dice la parola stessa ti lascia aperta una gamma di possibilità, infatti dice: l’interpretazione è un ulteriore simbolo aggiunto a quello anteriore. Ecco: “non è possibile che un solo uomo segua una regola perché questo sarebbe fare coincidere credere di seguire una regola con il seguire la regola, seguire la regola non può essere ridotto alle mie credenze”, non alle mie credenze ma alle mie regole sì. Dice che per un uomo solo è impossibile segua una regola, perché? E invece no, è possibile che lo faccia, io per esempio posso darmi una regola di vita che seguo solo io, ma può essere ferrea e posso essere assolutamente intransigente e seguirla con una esattezza e determinazione straordinaria, eppure la seguo soltanto io al mondo. Per esempio ogni volta che ti vedo ti schiaccio un dito, mi do questa regola, io posso essere assolutamente determinato e inflessibile nel seguire questa regola per cui io non so di credere questa regola, la sto seguendo veramente, cioè sto compiendo tutte quelle operazioni che determinano il seguire una regola, e cioè comportarsi esattamente in un modo ogni volta che si verifica una certa cosa, che è questo seguire la regola, per cui una sola persona può darsi una regola che vale solo per lei, perché? Di nuovo torniamo alla questione dell’algoritmo “seguire una regola” mettilo tra virgolette, pensala come un algoritmo, e cioè come un metodo che ti dice che seguire una regola significa che ogni volta che succede un evento A tu farai la cosa B, questo lo puoi fare, ma non è necessario che altri sappiano dell’esistenza di questa regola perché questa sia una regola effettivamente, può non saperlo nessuno, puoi saperlo soltanto tu, ma non per questo non è una regola, perché soddisfa le condizioni perché una certa condotta sia chiamata “seguire una regola”. Per cui non mi sembra che non sia possibile che un solo uomo segua una regola, può farlo. Per seguire la regola deve stabilire che una regola è quella stessa cosa che altri hanno stabilito, sta qui il punto, cioè lui non può inventarsi la definizione di regola che sia differente da ciò che comunemente si intende con regola, solo in quel caso non segue la regola, cioè se sta facendo un’altra cosa. Deve sapere cosa vuole dire applicare una regola, deve saperlo fare, poi si impone la sua regola però questa “regola” viene definita da un dizionario qualunque. Però qui c’è la differenza fra credere di seguire la regola, e seguire una regola, perché se seguire una regola ha una certa definizione, cioè ogni volta che succede l’evento A tu fai B, allora se fai questo tu non credi di seguire la regola, ma segui la regola, perché ti comporti nel modo che è stato definito o che si intende comunemente per seguire la regola. Dire invece che credo di seguire la regola significa che questa regola non è che la conosci poi tanto bene, tu credi di seguirla ma in realtà non è così, è come il bambino al quale dici “aggiungi sempre due”, e arrivato a mille dice: “1004, 1008, 1016”, crede di seguire una regola ma non la sta seguendo, perché non esegue correttamente le istruzioni che attengono a quella regola e quindi crede, ma sbaglia. “Seguire la regola prende posto nella sfera dei comportamenti e non in meccanismi mentali o processi interiori delle persone”, anche questo è importante perché ti instrada sul fatto che seguire la regola si manifesta in un comportamento, cioè una esecuzione di qualche cosa, e infatti si tratta di eseguire un’istruzione e un “comportamento”, in accezione più ampia possibile, anche la macchina si comporta in un modo corretto se esegue i suoi compiti e quindi ha perfettamente ragione a dire che non ci sono meccanismi mentali o processi interiori. Wittgenstein scrive: “ecco quando seguo la regola non scelgo, seguo la regola ciecamente”, che è esattamente il significato di eseguire un’istruzione, “seguire la regola ciecamente” è eseguire l’istruzione senza interpretarla. Avevo segnato queste cose perché mi pare che siano adatte a introdurre la questione successiva, e cioè a questo punto del “seguire una regola come l’esecuzione di un’istruzione univoca, senza interpretazione, senza equivoco”, eseguire l’istruzione è un passaggio da un elemento a un altro e vieta la possibilità che questo passaggio possa essere altro da quello stabilito, come dire: da A vai a B ed escluderai tutte le altre possibilità, che è esattamente quello che fa una macchina. Questo dove ci porta? Ci porta a considerare il fatto che la trasmissione del linguaggio, cioè il modo in cui si impara a parlare, è esattamente la stessa sia nelle macchine che negli umani, e cioè le istruzioni che vengono fornite non sono equivoche né interpretabili, nonostante la vaghezza bada bene, perché questo? Perché ciò che viene trasmesso nell’insegnamento del linguaggio sono per lo più algoritmi, metodi, metodi per eseguire delle istruzioni, è questo che comporta la vaghezza perché il metodo per eseguire un’istruzione ti dice che sì, quando c’è il verbo “alza” tu prendi l’aggeggio e lo sollevi da dove si trovava prima, ma non ti dice né quanto lo devi alzare, né in quale circostanza, né che cosa deve alzare esattamente, non ti dà molte informazioni, te ne dà soltanto una e questa una di cui è fatto l’algoritmo prevede molte variabili, se io dico “alza” tu sai cosa vuol dire alza ma se io ti dico soltanto “alza” non sai che cosa voglio che tu alzi, né quanto vuoi che io alzi qualche cosa eventualmente, non sai nulla di tutto ciò, però sai che cosa vuole dire “alza”, perché ti è stato trasmesso un algoritmo che ti consente di porre in essere questa istruzione ogni volta che l’ascolti e applicarla a qualche, cosa ma non ti dice a che cosa puoi applicarla questo verbo “alza”, dice solo l’operazione che devi fare ma quando? Come? Perché? Con che cosa? Questo è assolutamente vago, questa è anche la forza degli algoritmi tuttavia perché dicono soltanto che una certa cosa comporta una certa operazione che può essere applicata a un numero infinito di operazioni. Da qui dicevo prima la vaghezza ma anche la potenza del linguaggio che con pochissime istruzioni riesce a ottenere una quantità enorme di operazioni, gli algoritmi servono a questo. Fai sempre esempi, per esempio: perché se io dico a questo accendino “accenditi” lui non lo fa?”, perché se invece chiedo a te di accendere questo accendino tu lo fai?” È una domanda sciocca ovviamente, ma delle volte tali domande prevedono risposte complicatissime. Infatti se tu provi a risolvere questo problema “perché se chiedo all’accendono “accenditi” non lo fa ma se lo chiedo a te tu lo accendi, che differenza c’è fra te e questo accendino?”, rispondere a questa domanda ti porta a una serie di riflessioni e di considerazioni importanti, occorre che ci sia un hardware, un software, cioè che ci siano delle condizioni perché intanto questo accendino possa ricevere delle informazioni, perché io possa trasmettergliele, ma non c’è modo che io possa trasmettergliele occorre quindi qualche cosa che intanto possa consentirmi di fare questo, e poi un software cioè un programma che metta in atto, e cioè simuli quello che sapresti fare tu accendendo questo accendino, lo simuli esattamente come fa un computer, è la stessa cosa.