INDIETRO

 

13/8/1998

 

Lettura di un articolo intorno al libro di Maurizio Ferraris

 

Cosa vuol dire utile? Insomma lui riscopre la verità come adæquatio rei et intellectus, non più come verità assoluta, ma tutto sommato come dice qui, “come qualcosa di utile per comprendere e valutare le cose”. Questo, dunque, l’apporto di Ferraris: l’ermeneutica non è più l’interpretazione totale e assoluta, non è più quella che consente di comprendere le cose ma non è altro che uno strumento che aiuta a comprendere. Ma che differenza fa?, viene fatto di chiedersi dal momento che una qualunque dottrina, sia l’ermeneutica sia qualunque altra, qualunque dottrina che si ponga come obiettivo l’interpretazione, necessariamente presuppone o dà per acquisito che questa interpretazione possa essere vera o falsa, perché se questa affermazione che fa lui cioè “è utile per comprendere”, se fosse falsa sarebbe utile per comprendere? Quando è utile per comprendere qualcosa? E a quali condizioni? Che l’interpretazione si adegui a ciò che deve interpretare, e se non si adegua? In questo caso diciamo che l’interpretazione è falsa, ma cosa vuol dire che si adegua? Queste sono domande che perlopiù gli ermeneutici non si sono mai poste dando per scontato che la ricerca ermeneutica più si avvicina al testo e più è vera. La questione della verità, anche nell’ermeneutica, come abbiamo detto in varie occasioni, cacciata dalla porta rientra come sapete dalla finestra; quando l’interpretazione è utile per comprendere? E poi, cosa dobbiamo intendere per comprendere? Ecco la questione della verità dunque che abbiamo iniziato a discutere e che abbiamo posta come differente dalla regola per giocare. Se io affermo per esempio che il mio amico Cesare è qui in questo momento, ciò che dico è la verità? No, non è la verità se ci atteniamo a ciò che stiamo dicendo, e cioè la verità come ciò che necessariamente è e non può non essere. Affermare che Cesare è qui in questo momento è soltanto accogliere la regola di un gioco che tuttavia appare come fondamentale per potere continuare a giocare, e per potere continuare a giocare occorre che delle proposizioni siano utilizzabili. Facciamo un esempio: io affermo che in questo momento Cesare non è qui fra noi, allora questa proposizione apparentemente non ha nessun utilizzo, perché ciascuno di voi dice che Cesare è qui, e allora eventualmente ciascuno potrebbe andare a cercare un senso differente, un senso per cui ha voluto dire che Cesare è distratto, che Cesare ha la testa da un’altra parte. Ma se io invece ribadissi che Cesare non è qui in nessun modo allora vi porrei nella condizione di non sapere come utilizzare questa proposizione perché contraddice a delle regole che servono per giocare. Quali sono queste regole? Qui iniziamo ad affrontare una questione importante perché riguarda tutto l’aspetto retorico che viene utilizzato da qualunque discorso per potere proseguire. Dunque, quali sono le regole di questo gioco? Se posso costruire una proposizione che afferma che i miei sensi dicono che Cesare è qui, allora posso affermare che Cesare è qui, posso costruire quest’altra proposizione, abbiamo detto se i miei sensi dicono che Cesare è qui, ma naturalmente per potere affermare questo occorre un’altra proposizione che afferma che una certa cosa è un senso e che questo senso, per esempio la vista, mi consente di dire che Cesare è qui, e quindi tutto questo prevede o presuppone un altro gioco, e cioè quello che mi consente di accogliere delle cose che io chiamo sensi. Se non le accogliessi tutto questo non potrebbe darsi, non potrebbe esistere, sono una serie di regole che consentono al discorso di proseguire. In effetti, se alla domanda di Cesare, che chiedesse che ore sono in questo momento, io rispondessi che i papaveri sono rossi e gli ippopotami vivono in Alaska, non saprebbe utilizzare queste risposte, io violerei una regola che impone che perché il discorso possa proseguire occorre accostare a una proposizione un’altra che abbia con la prima una connessione - vediamo poi che tipo di connessione - mentre nell’esempio che io ho fatto la domanda di Cesare non trova nella mia risposta nessuna connessione, non riesce a reperirla e quindi per questo motivo non è utilizzabile, la mia risposta non serve a niente e non servendo a nulla arresta il discorso, non si può andare avanti. La stessa cosa accade se vi trovate ad avere a che fare con una persona che mente sempre necessariamente su qualunque cosa, nel giro di breve tempo diventerà impossibile proseguire il discorso con questa persona perché le sue risposte non saranno utilizzabili, cioè le sue risposte sono utilizzabili se si attengono a delle regole, esattamente così come possiamo proseguire a giocare a poker se ciascuno dei presenti si attiene alle regole del poker, se no non giochiamo più. Se io affermo che questo orologio è un bufalo che sta caricando un’automobile blu, quando si tratterà di riferirsi a questo aggeggio sarà difficilissimo farlo, sarà impossibile e quindi non potremo parlare. Stiamo ponendo una questione notevole, e cioè l’esistenza di regole che consentono al discorso di proseguire e quindi di esistere. D’altra parte abbiamo detto in varie circostanze che l’esistenza di regole è necessaria, non è arbitraria, se non ci sono delle regole non si può giocare, occorrono delle procedure, che il linguaggio esista, ma sono le due facce della stessa questione, le regole e le procedure, non può darsi l’una senza l’altra, quindi se una persona domanda ad un’altra che ore sono si aspetta che l’altra gli risponda o l’ora oppure fornisca una risposta che comunque sia utilizzabile, cioè può dirgli “non lo so”, “il mio orologio è fermo”, o altre cose che comunque sono connesse con la domanda. Tutto il discorso relativo alla percezione e ai sensi, ecc., è ovviamente un gioco, ma un gioco che è funzionale al discorso occidentale e a qualunque altro discorso comunque. Diciamo che il discorso in cui ci troviamo tiene conto di questo aspetto, tiene conto cioè del gioco le cui regole sono tali per cui ciò che viene avvertito in un certo modo si chiama in un certo modo e viene utilizzato in un certo altro, per esempio la vista. Se io incontro per strada Cesare lo saluto, lo saluto perché lo riconosco e quindi mi fido in questo caso dei miei sensi i quali mi dicono che quello è Cesare e non uno sconosciuto, come avviene questo? Non c’è nulla di naturale in tutto ciò, è soltanto l’applicazione di regole per quanto complesse ma di regole di giochi, di vari giochi. Come sappiamo bene, affermare che incontro una persona e questa persona è Cesare, logicamente non significa niente, assolutamente nulla; perché possa produrre un senso e perché tutto questo possa verificarsi e cioè che io incontri una persona, la riconosca, ecc., occorrono delle regole. Ma il gioco che riguarda i sensi è necessario oppure no? Vale a dire, potremmo continuare a parlare se noi non lo accogliessimo? È una questione non semplice questa, però la risposta a questa domanda comunque è sì, potremmo continuare a parlare, dovendo necessariamente accogliere altre regole a questo punto, ma necessariamente dovremmo accogliere delle regole anche se non queste. In effetti, già per gli antichi greci per esempio l’esperienza, e quindi i sensi, non avevano la portata che hanno per noi oggi e quindi erano tenuti in conto differentemente anche se ovviamente vi facevano uso, in quanto si riconoscevano per strada, si incontravano,... Diciamo che questo gioco relativo ai sensi, sensoriale, percettivo è sicuramente uno dei più antichi, forse dei più semplici anche per qualche verso, semplice in quanto costruisce proposizioni a partire da elementi che un altro gioco ha preventivamente posto innanzi, come dire che è un gioco che gioca a semplificare dei dati e questo è importante. Se io incontrando Cesare non lo salutassi, perché la proposizione che afferma che quello è Cesare non è provabile in nessun modo, passerei perlomeno per una persona maleducata, eppure logicamente la mia posizione non fa una grinza, come so che quello è Cesare? Non so neanche che questa è la mia mano, cioè non lo posso provare, ma lo accolgo come una regola di un gioco che semplifica le cose. Cosa vuol dire semplificare le cose? Saltare un certo numero di passaggi e soprattutto dare per acquisito ciò che in nessun modo può essere provato, però lo accogliamo proprio così come un gioco di carte, non posso provare che quattro assi battono due sette, è una regola del gioco. Occorre per giocare che ci siano delle regole e cioè che delle mosse siano proibite; per esempio, se incontro Cesare qual è una delle mosse proibite? Quella di negare che quello è Cesare, se lo conosco questo non è consentito, sarebbe come negare che questa è la mia mano, se io cominciassi a negare queste regole non potrei più giocare ovviamente. Tutta la questione della verità, o più propriamente l’equivoco connesso con la verità, muove da questa sovrapposizione fra la percezione come gioco linguistico e l’elemento extralinguistico. Ad esempio, io vedo Cesare e questo non è assolutamente negabile, dice il discorso comune, anche quello filosofico - intendiamoci, il discorso filosofico è il discorso comune per eccellenza - questo non può essere negato, che io vedo Cesare, Gabriella, Nella, Beatrice, tutti quanti, e poi vedo un’infinità di altre cose, e allora che cosa dice il discorso comune? Questo non lo posso negare perché se negassi questo negherei qualunque cosa. Ci sono, come osserverete, molte sovrapposizioni, non potendolo negare necessariamente è vero. In effetti, anche noi abbiamo utilizzato questa struttura ma con una differenza in questo caso, certo non posso negare che quello è Cesare ma non lo posso negare perché è una regola del gioco, non perché è la verità e quindi questo non poter negare una cosa comincia a mostrare due aspetti. Che differenza c’è fra il non poter negare che questa persona che vedo qui è Cesare e non poter negare che gli umani in quanto parlanti parlano? C’è una differenza ovviamente, perché se io nego che questa persona che ho di fronte a me è Cesare allora nego una regola del gioco e non posso giocare, così come se negassi che questo è un registratore, questi sono occhiali, e quindi negare questo mi porrebbe nelle condizioni di non potere più giocare - qui la questione si complica perché se non lo posso negare in nessun modo potrebbe porsi come una procedura e allora torniamo alla verità come adeguamento cioè questo è Cesare e non lo si può negare in nessun modo, come cavarci da questo impiccio? Perché in questo modo ci siamo riappoggiati all’ontologia più tradizionale, più classica, quella che afferma che le cose ci sono e non possono essere negate per il solo fatto che ci sono, mentre noi abbiamo sempre affermato che queste proposizioni sono atti linguistici che hanno come unico referente se stesse e che non affermano null’altro che una proposizione. Vedete, la questione connessa con la verità offre ogni tanto qualche problema. Come uscire da questo impiccio Cesare? Qualche idea? Io faccio un breve riassunto, ho detto: affermo che lei è Cesare, se nego che lei è Cesare è come se negassi che questa è la mia mano, cioè nego che esistono le cose che vedo, però se faccio questa operazione io non posso più andare avanti perché il linguaggio perde la sua prerogativa, cioè violo delle regole che mi servono per giocare e quindi non posso più giocare, cioè non posso più parlare, mi impedisce di parlare. Se questo risulta assolutamente necessario diventa una procedura e quindi abbiamo trovato il modo di dire che affermare che Cesare esiste è una procedura linguistica e quindi non è negabile, che ciò che esiste esiste di per sé. Dove sta l’inghippo? Da qualche parte sta l’inghippo, ci saremmo attenuta alla metafisica quella più bieca… (…) È sottile la questione, noi possiamo dire, affermare che lei... logicamente non è affermabile, non significa niente; bene, togliamo di mezzo questa proposizione, quindi la possiamo negare, neghiamo che lei è Cesare, allora posso anche negare di essere io, posso negare qualunque cosa, ma a questo punto posso ancora utilizzare il linguaggio? È come se togliessi tutte le regole e quindi non posso che affermare che è Cesare, ma a questo punto appare come un’affermazione necessaria, mentre l’abbiamo sempre posta come arbitraria, e quindi dobbiamo necessariamente dire che la metafisica è inevitabile, che l’ontologia più classica era nel giusto e che tutto ciò che abbiamo fatto fino ad ora non significa nulla? Oppure no? Proviamo a rifletterci meglio Cesare, visto mai che non troviamo soluzione a questo problema. Allora, noi abbiamo sempre affermato che occorrono delle regole per giocare e che queste regole sono necessarie, però a questo punto abbiamo detto qualche cosa in più, che non soltanto le regole sono necessarie ma che questa regola è necessaria, mentre questo l’avevamo sempre negato, dicendo che sono necessarie le regole ma non quali. Negando che Cesare esiste che cosa violo esattamente? Una regola del gioco e fin qui... ma violando una regola del gioco in questo caso annullo la regola tout court, è questo il problema. La questione può porsi in questi termini, affermare che la persona che ho di fronte è Cesare è come se questa affermazione escludesse la contraria, forse è questa la regola che non può essere violata, vale a dire, affermando una qualunque cosa questa affermazione vieta la contraria, affermare che questa persona che ho di fronte è Cesare è l’applicazione di un certo numero di altre regole, queste altre regole non sono necessarie, per quale motivo? Perché ciascuna volta sono, per esempio, o convenzioni o accettazioni di regole, ma qualunque regola io accetti, una volta accettata, è una regola che è una procedura e quindi è una regola che mi vieta, una volta che ho accettato una certa regola, di compiere una affermazione e la sua contraria. Quindi, se io nego che la persona che ho di fronte è Cesare, non violo una regola ma una procedura, cioè affermo che una cosa è se stessa e anche un’altra. Se una tale regola mi dice che questo è A, bene, io per parlare ho bisogno di regole e quindi devo accettare questa, ora questo A può essere una qualunque cosa ma io una volta che stabilisco che questa cosa è A non posso affermare che non è A, non lo posso più fare. Se il discorso in cui mi trovo, il discorso accettato della società in cui mi trovo, accoglie come regola che una persona fatta in un certo modo si chiama Cesare Miorin allora o io accolgo queste regole per giocare, e quindi non posso violare questa regola, cioè non posso affermare che non è vero, perché non avrebbe senso… oppure non accolgo la regola ma non accogliendola cosa succede? Succede che mi trovo nella mala parata, supponiamo che io chiami tutte le cose che esistono con un nome che invento io, mi sarà difficilissimo andare avanti, al punto che non ci sarà nessuna possibilità di essere compreso da altri. Supponiamo ancora per assurdo che non soltanto io inventi nomi diversi per le varie cose ma che io stesso li cambi continuamente a piacere, arrivo al punto che non riesco neanche più a parlarmi, a fare un monologo fra me e me, perché non è più utilizzabile in nessun modo. Quando è utilizzabile? Quando un elemento ha per una serie di regole del gioco una connessione con un’altra, se non c’è più questa connessione il linguaggio non è più utilizzabile cioè cessa di essere linguaggio... (…) Non è che non lo può più confutare è che confutarlo non ha senso... (...) Per lei il gioco del poker è una verità ontologica? Se lei vuole giocare a poker deve attenersi alle sue regole e i quattro assi sono quattro assi non quattro donne… La questione è che comunque c’è sempre la consapevolezza inesorabile che lei Cesare Miorin non è una verità ontologica ma è l’accoglimento di una delle regole che servono per giocare e che se noi utilizzassimo regole differenti sarebbe tutto differente. Ovvio che non posso io da solo inventare un’altra regola, normalmente posso farlo, se per esempio sono un poeta, ma sempre comunque nell’ambito del discorso in cui ciascuno si trova. Io posso fare delle varianti ma occorre che accolga un discorso, così come è necessario che accolga, che non violi delle procedure. Ma ciò che distingue le due operazioni è che non posso affermare che l’obiezione che afferma che lei è Cesare Miorin è la verità, non lo è, è soltanto l’enunciazione di una regola per potere giocare, non è la verità, perché non è necessario che sia così, non è necessario in modo assoluto, è necessario all’interno di un gioco particolare, è necessario per potere continuare a giocare che la persona che ho di fronte si chiami in un certo modo, che abbia certe caratteristiche. Certo, una volta che ho stabilito le regole, quelle mi servono per giocare, non le posso variare, così come non posso variare le regole del poker, se lo faccio faccio un altro gioco, se io dico che lei si chiama Antonio De Santis faccio un altro gioco. Per introdurre questa variante occorre che io tenga conto comunque delle regole del gioco, cioè che sappia che lei non è Antonio De Santis ma Cesare Miorin, allora inserisco una variante, è una questione piuttosto complessa... (...) Come quando si usano i nomi in codice come ad esempio in guerra (Se io non mi accorgo che il mio nome varia continuamente non vedo più nulla.) Certo, se lei cambiasse nome ogni cinque secondi regolarmente sarebbe difficile mettersi in contatto con lei, quindi c’è utilizzo. Abbiamo visto che in effetti l’utilizzo è ciò che produce il senso delle cose e abbiamo anche detto in varie occasioni che le cose, cioè le parole, sono utilizzabili all’interno di un gioco e quindi regolamentato da regole, solo a questa condizione sono utilizzabili. In effetti, le regole sono necessarie per potere parlare, se no non è possibile, ora quali regole esattamente questo è arbitrario in effetti. (…) Se una persona mi dice delle cose strane, che suo papà era un’antilope, la mamma l’ha partorito sul pianeta Saturno, che lui viene da un’altra costellazione, che è fatto di diamante, ecc., come so che sta dicendo cose strane? Lo so perché mi aspetto un certo gioco, che lui mi dica certe cose, se ne dice altre, torniamo alla questione di prima, le cose che mi dice non sono utilizzabili, la questione non è così semplice... (Non sono utilizzabili perché non si gioca lo stesso gioco.) (....) (...) essendo fatto di diamante lui dice che ovviamente non può mangiare il diamante non mangia e quindi non mangerà e quindi morirà....(...) Se non mangia dopo un po’ morirà (...) Certo, un diamante non mangia e non respira, come è noto (...) Sì, potremmo dire questo è il suo gioco, va bene, che problema c’è? Nessuno. (...) In effetti, perché queste persone vengono eliminate dalla società? Vengono eliminate generalmente mettendole negli ospedali psichiatrici, per una serie di motivi, ma… (...) Tenendo conto di come è strutturata oggi la società probabilmente morirebbero e quindi vengono inserite in strutture che gli procurano il cibo che da soli non sarebbero in condizioni di procurarsi. Ci sono qui questioni che si aprono che come avete facilmente intuito non hanno più molto a che fare con questioni logiche. Il fatto di rilevare che uno è fatto di diamante e uno in carne e ossa non ha molta rilevanza, però c’è una aspetto di cui occorre tenere conto e cioè che ci si trova all’interno di un sistema che ha delle regole, alcune delle quali sembrano difficilmente violabili, non che non si possano violare ma il violarle comporta una serie di problemi e anche aspetti linguistici notevoli, uno dei problemi fondamentali diventa l’impossibilità di potere comunicare e, così come è strutturata la società, comunicare è fondamentale, comporta la sopravvivenza: devo potere comunicare che ho fame, che non riesco a respirare, se no succede qualche problema... C’è tutto un aspetto che ancora non abbiamo affrontato ma che è quello che poi la più parte delle persone considera la realtà. Ecco, potremmo dirla così, incominciamo ad occuparci di ciò che comunemente è inteso come realtà per vedere di cosa è fatta. E di cosa è fatto questo gioco soprattutto, un po’ come il gioco che viene fatto durante la guerra, della parola d’ordine, la parola d’ordine “nevica”, se uno si avvicina alla trincea e non dice questa parola d’ordine si becca una pallottola in testa, per esempio… Sì, c’è questa eventualità, già, e quindi ci sono dei casi in cui la violazione di regole può avere effetti anche devastanti. (…) Sì, certo, questa è una questione che si presenta adesso. Sono ancora molto al di qua di una cosa del genere, stiamo ancora facendo l’ipotesi che tutto questo non si verifichi perché utilizziamo delle regole con cui ci si intende, poi pur utilizzando le stesse regole avvengono dei problemi (....) Cesare cosa sta pensando? In effetti, il problema che abbiamo incontrato precedentemente non è stato del tutto risolto anche se l’abbiamo precisato, certo, che esistano delle regole è necessario ma quali regole no, anche se ci siamo trovati di fronte al fatto che nell’organizzazione comunque sociale si danno delle regole la cui violazione comporta in alcuni casi la messa in pericolo della propria incolumità e quindi per continuare a esistere in ogni caso occorre attenersi a certe regole. Che sono esattamente ciò che per gli umani è la realtà, letteralmente ciò che circonda, cioè un insieme di regole stabilite dalla società in cui si vive. Però la constatazione di queste regole come un dato di fatto o come una realtà ontologica è molto facile, molto facile per via di questo percorso cui ho accennato prima e cioè il fatto che queste regole non possono negarsi perché se le negassi, così come se negassi che Cesare è Cesare, non potrei più parlare. C’è la possibilità di questo scivolamento, sempre presente e molto forte, mentre abbiamo precisata poi la questione: ciò che non posso fare è affermare che all’interno di una regola un elemento è il suo contrario, quindi non posso negare che lei è Cesare, unicamente perché ho accolto nella regola del gioco che sto giocando che lei lo sia. (…) La sovrapposizione di due giochi, quello dell’esperienza e quello dell’esistenza del linguaggio che non può essere negato… (....) Che gli umani esistano in quanto parlanti non è un dato dell’esperienza, perché parlare di esperienza già comporta una struttura organizzata che consente di farlo e quindi non è attribuibile a un dato esperienziale, è una questione logica e questo non può essere negato, l’esperienza sì perché segue delle regole, è un gioco, la logica no, la logica comporta anche delle regole ma costituisce la condizione delle sue regole. Questione tutt’altro che semplice. Perché per esempio alcuni giochi sembrano essere connaturati all’esistenza del linguaggio? Quello connesso alla percezione per esempio, non c’è civiltà che non abbia utilizzato, che non sia in alcuni casi fondata con questo tipo di gioco particolare, è possibile negare la percezione? Direi che c’è il rischio che possa essere un non senso, un rischio, ma un rischio che esiste se la percezione è inevitabile, cioè è inevitabile che ci sia questa regola del gioco. Però una regola del gioco inevitabile ci questiona non poco, e torniamo al problema di prima, è necessario che ci sia la percezione, è necessario che questo gioco ci sia perché se è necessario che sia, e non può non esserlo, allora non è più un gioco, diventa una delle condizioni del gioco... (....) Vogliamo provare a negare la percezione, porla in discussione, vedere di cosa è fatta esattamente, torno a dire abbiamo appena approcciata la questione, non è semplice, vedere se è possibile giocare senza questo gioco, bisogna vedere se è necessario oppure no, se è necessario in quali termini e perché e se no la stessa cosa in quali termini e perché. Di primo acchito parrebbe quasi impossibile non potere utilizzare questo gioco, la percezione (....) È una questione molto complessa che magari ha una soluzione molto semplice come il più delle volte accade... Nella c’è qualche riflessione che stava facendo? Aspettava la soluzione? Sono alcuni migliaia di anni che gli umani aspettano la soluzione, occorrerà aspettare ancora qualche settimana. Vede, il problema su cui verte la nostra interrogazione è cercare di stabilire che cosa dobbiamo necessariamente accogliere e che cosa no, che cosa cioè è assolutamente necessario che sia, perché se qualcosa è necessario che sia allora dobbiamo necessariamente accoglierlo nell’elaborazione teorica perché non possiamo sbarazzarcene, se invece no... La percezione è necessaria? È un elemento necessario per proseguire oppure no? Per il momento non abbiamo dato risposta, però confidiamo di potere rispondere anche a questo...(...) Sì, la distinzione fra percezione e appercezione che facevano i filosofi, ciò che cade sotto i sensi e la possibilità di accorgersi, di tenere conto di ciò che cade sotto i sensi... (...) Forse questo è un problema che è ancora secondario (...) La questione non è questa, è il fatto che è sempre possibile nell’ambito di una struttura come questa riconoscere se una persona sa riconoscere un certo oggetto. Questi sono occhiali? No, questo è un famoso bisonte che rincorre ... in Patagonia ... (....) Sì, certo, se uno non avesse mai visto un paio di occhiali non potrebbe riconoscere ma la questione è che nel gioco che si va facendo se un elemento è conosciuto può essere riconosciuto. Ovvio, se facciamo vedere una scheda di processore ad un indiano non sa che cosa sia, non la riconosce (...) Ma non soltanto può essere conosciuto ma deve essere riconosciuta e questo è necessario per il funzionamento di tutto il sistema, se no no, non funziona più niente, io posso riconoscere questo ma se dico e continuo a dire che gli occhiali sono un bisonte che rincorre non funziona più niente. È questo che sta interrogando, però evidentemente stiamo girando in tondo a qualche cosa che ci sfugge, bisogna rifletterci bene (...) Allora giovedì prossimo Cesare risolverà il quesito, se la percezione è tale bisognerà che colga la realtà se no si chiama allucinazione. Per giovedì dobbiamo dire di che cosa sono fatti questi giochi, cosa li sostiene? Abbiamo detto che è una questione che appare sfuggire da tutte le parti e ci impegnerà moltissimo questo aspetto, perché dobbiamo incominciare a porre le basi per costruire quelle proposizioni che non sono in nessun modo evitabili, perché l’appello è comunque sempre alla realtà e se trovassimo un interlocutore con i fiocchi e controfiocchi potrebbe metterci in difficoltà, così ci è accaduto prima rispetto all’eventualità di negare che Cesare è Cesare... (…) Ci si attiene lei, non quell’altra persona, cioè lei dice che quell’altra cosa è un discorso, però in questo caso affermare che è un discorso può avere lo stesso valore, cioè non significare niente, dire che è un discorso una sequenza di parole che non ha nessuna connessione fra loro, perché è un discorso? (È discorso se è una storia) Sì, in questo caso l’utilizzo può essere poetico e allora come faceva Apollinaire metteva insieme le parole per sorprendere e perché ognuno ci vedeva le cose che voleva vederci, però in altre circostanze questo gioco non è consentito, di fronte a una domanda precisa che richiede una risposta per potere fare una certa operazione se la risposta è cane, prato, verde, blu allora non è utilizzabile in nessun modo, se ha bisogno di una risposta per risolvere un problema piuttosto grave, una risposta del genere non ha nessun utilizzo… (I poeti…) Sì, certo, ma anche questa serie di parole apparentemente sconnesse fra loro viene ascoltata in un certo modo perché si suppone che dietro a queste parole ci sia un senso e allora glielo si cerca e cercandolo glielo si trova. Così in un quadro astratto, io ci vedo una madonna con un bambino, e sono due righe messe di traverso, va bene... i pittori astratti dipingono cose strampalate ma se per strada lei vede due tralicci per traverso non gli viene in mente di dire quella è una madonna con bambino... perché no? (Perché non è inserita nel gioco che si va facendo) Esattamente. Bene, ci vediamo giovedì prossimo.