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13-7-2004

 

Diceva che ha riflettuto sulle questioni… allora ci racconti le sue riflessioni, lei ponga una domanda, una prima domanda, se lei domanda io rispondo…

Intervento: l’innamoramento…

Cosa vuole sapere dell’innamoramento? Che cosa comporta?

Intervento: l’emozione

Innamorarsi comporta delle emozioni, questo è vero, il più delle volte avviene così anche perché innamorarsi senza alcuna emozione pare essere una contraddizione in termini, quindi lei dice che innamorarsi comporta delle emozioni, ma cosa vuole sapere esattamente? Perché il fatto che innamorarsi comporti delle emozioni lo sapeva già da sé, è mai stata innamorata?

Intervento: l’indipendenza?

Da che cosa intanto? Indipendenza economica, psichica, politica?

Intervento: non dipendere da nessuno

Questa è un’ottima cosa, non essere psichicamente dipendenti. Inincominciamo a domandarci quando avviene di essere dipendenti psichicamente da qualcuno e perché. Cosa che è molto frequente, in particolare quando c’è la supposizione che la propria felicità, il proprio benessere, la propria realizzazione come si usa dire talvolta, dipenda da altri. Lei prima parlava di innamoramento e questo è uno dei casi più evidenti: se mi ama allora sono felice, se non mi ama, no. Ma perché una cosa del genere? Cosa la sostiene, cosa la determina? Come avviene che una persona supponga che la propria felicità, cioè il raggiungimento del benessere assoluto, dipenda da un’altra persona, in questo caso dal fatto che un’altra persona la ami, per esempio, che potrebbe anche non essere, cioè non avvenire, ma in realtà avviene molto spesso e quindi che cosa accade nell’innamoramento? A quali condizioni una persona si innamora di qualcuno?

Intervento:…

Ah sì? E che cosa cerca nell’altro che lei non ha? Enormi ricchezze?

Intervento: il confronto

È una possibilità certo, il confronto, questo è un termine che interviene spesso, come lo definirebbe lei il confronto? Potrebbe essere una questione importante, cosa intende quando dice che le piace confrontarsi con qualcuno? Che cosa confronta esattamente?

Intervento: la mia realtà con la realtà dell’altra persona

E a che scopo? Naturalmente ci sarà un buon motivo per farlo, in genere si intende mettere a confronto la propria opinione con quella dell’altro, come dire: io penso che le cose stiano così e invece quell’altro pensa che stiano cosà, però a questo punto che cosa avviene in genere? Se due opinioni discordano su una singola questione accade di pensare che in quel caso una delle due opinioni è vera, o nessuna delle due, ma si esclude che lo siano entrambe, perché la verità non può essere uguale al suo contrario. E allora accade che in questo confronto uno dei due cercherà di persuadere l’altro che la propria opinione è quella giusta, o anche entrambe, possono cercare di fare questo perché l’idea è che una sola delle due, nella migliore delle ipotesi, sia quella giusta. Ma supponiamo che nessuno dei due receda dalla propria opinione, che ciascuno dei due sia assolutamente convinto di essere nel giusto, che succede in questo caso?

Intervento:…

Quindi a quel punto non c’è più il confronto, e questa è una bella questione perché se ciascuno dei due è assolutamente sicuro di essere nel giusto allora diventa un problema, in effetti le guerre sono nate per questo, però in realtà queste due persone cosa fanno? Espongono una opinione e l’opinione che cos’è esattamente? Ciò che si crede essere vero, lo si crede, però in realtà non lo si può provare cioè non c’è una certezza assoluta, può essere una superstizione il più delle volte, uno opina una certa cosa e pensa che sia così, va bene, però che interesse ha una cosa del genere? Una opinione, che interesse ha?

Intervento: per vincere l’altro

Quindi lei vede il dialogo come una polemica, in accezione antica del termine, polemòs è la guerra, dove uno dei due vince e l’altro perde. Però potrebbe non essere necessario anche se, come dice giustamente, in effetti avviene così in genere: vedere chi dei due ha ragione, e qui si apre un’altra bella questione: perché gli umani vogliono avere ragione? Che se ne fanno? Se ci pensa bene in qualunque conversazione, lei stessa giustamente diceva: “se non c’è questo antagonismo è come se non ci fosse dialogo” e questo antagonismo c’è perché ciascuno dei due vuole avere ragione, e perché? Perché invece non vuole avere torto? Mica glielo ha ordinato il medico di aver ragione a tutti i costi, eppure è così da sempre, da quando esistono gli umani, da quando c’è traccia di loro non hanno fatto nient’altro che questo: cercare di persuadere e convincere l’altro con le buone e con le cattive delle proprie ragioni. Ma nessuno si è mai chiesto perché, e non se l’è mai chiesto perché mancava un elemento fondamentale e cioè intendere come funziona quella struttura che consente a ciascuno di dialogare, di discutere, pensare, fare etc. quella che la volta scorsa chiamavamo linguaggio, e allora forse la risposta a questa domanda viene proprio dal funzionamento del linguaggio, come se gli umani in realtà non potessero non fare una cosa del genere, cioè cercare di trovare la verità, persuadere altri, piegarli alle proprie ragioni. Ora pensi al linguaggio, questa struttura di cui dicevamo che, come sa, non è altro che una sequenza di istruzioni per costruire il pensiero, nient’altro che questo, ora provi a pensare a questo: che scopo ha il linguaggio? Naturalmente nel momento stesso in cui si pone questa domanda lei già sa che è lo stesso linguaggio che le consente di porsi questa domanda, cosa che per un verso le rende le cose più semplici, per l’altro potrebbe complicargliele, però noi teniamo sempre conto che è il linguaggio che ci consente di compiere questa operazione, quindi anche di chiederci a che cosa serve il linguaggio, qual è il suo obiettivo, ci consente anche di sapere che cos’è l’obiettivo, come facciamo a sapere qual è l’obiettivo del linguaggio? Non c’è in genere in questo caso nessun’altra via se non quella di considerare che cosa sta facendo mentre lo stiamo utilizzando e tutte queste domande, queste obiezioni, affermazioni, dimostrazioni, confutazioni in realtà che cosa fanno esattamente? Pensi a tutti gli umani con tutti i loro affanni, le loro speranze, ansie, attese, paure e tutto quanto, tutto questo che scopo ha? Potremmo anche rispondere che non ne ha assolutamente nessuno, ma non saremmo soddisfatti della risposta, tutto ciò in realtà produce un effetto, che è quello che a noi interessa: continuare a dire, a pensare, a fare, se lei trova un problema questo problema la “costringerà” tra virgolette a risolverlo, se ha un affanno penserà a come eliminarlo, se è felice penserà a quanto durerà la sua felicità ecc. Ora dunque appare che lo scopo di tutto questo non sia altro che proseguire se stesso, come se il linguaggio non avesse nessun altro obiettivo se non continuare a costruire proposizioni, per il momento consideriamola una possibilità. Ora però non costruisce proposizioni qualunque, devono essere costruite tenendo conto di alcune regole. Infatti se lei è preoccupata dalle pene d’amore allora cercherà qualche cosa che le possa consentire di lenire queste pene d’amore facendo innamorare il fanciullo, se non la ama, cercando di dimenticarlo se ha visto che non c’è verso o altri sistemi, in ogni caso cercherà di fare qualcosa, ma qualche cosa di preciso che ha questo obiettivo e non altro, e cioè costruirà il suo discorso, proposizioni, che sono funzionali a qualche cosa che lei sta pensando in quel momento non altro, e questo qualcosa che sta pensando e le proposizioni che tutto questo costruisce occorre che siano da lei accolte, per esempio, visto che lei è partita dall’innamoramento proseguiamo lungo questa via, se lei è innamoratissima di questo qualcuno e questo qualcuno non ricambia allora i suoi pensieri andranno in un certa direzione e cioè fare in modo che lui la ricambi e non in altro senso. Perché lei accoglierà soltanto dei pensieri che sono funzionali ad un certo obiettivo e accoglierà una soluzione ad un problema soltanto se la riterrà vera. Accoglierà delle proposizioni soltanto se all’interno del gioco che sta facendo lei le considera vere, nel caso in cui le consideri false le esclude, e quella che risulta vera è quella che le consentirà di proseguire lungo una certa strada, le consentirà per esempio di proseguire a cercare a fare in modo che questo fanciullo si innamori di lei. Come dire se è vera può proseguire, può continuare a costruire cose, a pensare, a fare in quella direzione può andare avanti se è falsa no. Ora per riassumere potremmo dire che se il linguaggio, il suo discorso, può continuare in una direzione allora chiama quella direzione vera, se non può, la chiamerà falsa. E allora per tornare alla questione di prima e cioè perché gli umani vogliono avere ragione, a questo punto abbiamo già un elemento in più: vogliono avere ragione perché se quello che affermano è vero allora possono continuare a utilizzarlo e cioè a proseguire, se è falso no, da quella strada non possono proseguire. Così come avviene in alcune situazioni particolari note come paradossi, il paradosso non è nient’altro che l’impossibilità di procedere sia in una direzione che nella contraria. Ha presente il paradosso di Epimenide? Epimenide, cretese, dice: tutti i cretesi mentono, ma è cretese quindi mente e dicendo che tutti mentono cosa sta facendo? Mente o dice la verità? L’unica soluzione è che mente se e soltanto se dice la verità, in quanto cretese mente, ma se mente dice la verità perché tutti i cretesi mentono. Quindi non c’è nessuna direzione praticabile. I paradossi sono fatti così, sono delle affermazioni che sono vere se e soltanto se lo è la loro negazione, e allora dicevo che è per questo gli umani hanno bisogno di trovare, di costruire delle proposizioni che risultino vere perché è l’unica condizione per proseguire, e il linguaggio non ha nessun altro scopo se non di proseguire e pertanto costringe gli umani a cercare proposizioni vere, ad affermarle. Già, e allora ecco che cercano di avere ragione cioè di imporre la propria ragione perché non sapendo che è il linguaggio che li costringe a fare questo immaginano che all’avere ragione corrisponda lo stato delle cose ma non potendo provarlo in nessun modo allora utilizzano un artificio retorico, quello che dice “vox populi vox dei” se tutti pensano così allora è vero e quindi se io riesco a persuadere il maggior numero di persone allora ciò che io penso sarà assolutamente vero, perché lo pensano tutti. Così come le sarà capitato mille volte di ascoltare “tutti pensano così, tutti hanno una religione e quindi ci sarà un dio” è una balla colossale, però funziona. C’è qualche altra questione su cui ha riflettuto? Qualche domanda magari sorta anche durante le conferenze, stiamo riprendendo un po’ le varie questioni emerse in questi ultimi venticinque anni per riconsiderare e trovare modi più interessanti, più articolati, più efficaci e più rapidi per rispondere a delle questioni…

Intervento: per quanto diceva riguardo al linguaggio e cioè che gli umani sono costretti ad andare in una sola direzione, soltanto in quella direzione in cui il linguaggio può proseguire è un elemento necessario al linguaggio e deve proseguire altrimenti perde la sua funzione principale, non sono gli umani che agiscono ma è il linguaggio che determina il comportamento degli umani… ho capito bene?

Esattamente, lei può cancellare la parola umani sostituirla con “discorso” volendo, non perde nulla perché gli umani in realtà, ciò che chiamiamo gli umani, non sono nient’altro che il discorso che fanno. Ciascuno non è nient’altro che il discorso che fa, le cose che crede, che pensa, che immagina di sé e del prossimo…

Intervento: sì ma come elemento passivo… che deve funzionare ad ogni costo e quindi i soggetti sono soltanto una specie di comparse…

Questa è una bella questione perché ci conduce a un’altra considerazione: “che cosa sono gli umani?” e se in effetti agiscono o subiscono, se li poniamo come discorso e il discorso non è nient’altro che linguaggio in atto, allora cosa avviene? Che questi discorsi, o umani, a piacere, possono agire oppure subire, ma agire o subire ciò che loro stessi producono, se questo discorso produce delle cose e non sa né può riflettere su se stesso cioè accorgersi che è lui stesso che ha prodotto queste cose allora sarà indotto a considerare che altri o altro le ha prodotte e allora a questo punto le subirà…

Intervento: qualche cosa fuori dal linguaggio

Certamente, ma se ha l’occasione, l’opportunità, la capacità di intendere che è il suo discorso che produce queste cose allora le agisce…

Intervento: ci vuole la consapevolezza per fare questo

Sì, sapere come funziona il linguaggio, allora lo agisce, in caso contrario lo subisce…

Intervento: in effetti il più grosso problema degli umani è stato quello di sapere… proprio la consapevolezza di sapere chi sei, se a questo punto sai che sei una struttura che sta funzionando allora a questo punto non hai più questo problema, questa domanda, mentre invece il problema degli umani è stato di sapere chi sono “chi sono io?” come se rispondere a questa domanda comportasse diventare padroni di sé… e quindi di controllarsi… si può sapere chi siamo, siamo linguaggio che funziona, siamo discorso

Intervento: sì però ogni discorso avrà le sue determinate caratteristiche perciò sapere di essere consapevoli del proprio discorso da comunque l’opportunità di avere la padronanza…

Intervento: l’inghippo era il supporre che ci fosse qualcosa al di là del linguaggio, “sapere chi sono” vuol dire impadronirsi di questo qualche cosa che è fuori dal linguaggio e di lì potere in qualche modo parlare, invece al di fuori dal linguaggio non c’è nulla è un gioco effettivamente è un altro gioco, con regole differenti, sapere chi si è, è sapere il gioco che si sta facendo ma rimane comunque sempre all’interno del linguaggio, da questo non si può uscire

Il senso di colpa è uno degli strumenti più efficaci per governare, perché se si riesce a fare sentire in colpa una persona la si controlla, la si manovra con maggiore facilità…

Intervento:…

Ce succede quando una persona si sente in colpa? Si sente responsabile, in questo caso la responsabilità è una colpa,come dire che causa di qualche cosa, e questo già è un tornaconto, ci sono persone che si ritengono responsabili e quindi colpevoli di tutti i mali del mondo, come dire che qualunque cosa accada è colpa loro e quindi è una posizione di forza notevole perché sono responsabili di tutto quindi hanno il controllo di tutto, idealmente,  non hanno il controllo di niente naturalmente, però è un modo per sentirsi comunque importanti, se io faccio sentire in colpa una certa persona vuole dire che se sono riuscito in questa operazione: questa persona ha una certa considerazione di me, se mi considera niente non riuscirò a farla sentire in colpa, quindi ha una serie di vantaggi il sentirsi in colpa. Non è necessario naturalmente, però può tornare utile per avere del potere, o supporre di averlo. Ma lei com’è che è interessata al senso di colpa? Si è mai sentita in colpa? E cosa ha prodotto questo senso di colpa in lei?

Intervento: degli atteggiamenti da parte mia diversi… di sottomissione

Ma allo stesso tempo si è sentita responsabile di qualche cosa, se è colpa mia che è successo il malanno sarà merito mio se riuscirò a porvi rimedio. Gli umani si addestrano così fino dai primi anni se “mangi la marmellata la mamma soffre”, con il senso di colpa il bambino si controlla più facilmente perché teme di fare soffrire la mamma, e d’altra parte incomincia a imparare ad avere la sensazione del potere, perché se io non mangio più la marmellata allora la mamma sta bene, poi che questo sia un bene oppure no questo è un altro discorso, ma sia come sia, incomincia a imparare che se fa in un certo modo allora è apprezzato, stimato, considerato, amato, in caso contrario no, e si incomincia ad apprendere i primi rudimenti del vivere civile e cioè il funzionamento del ricatto, poi, se lei ci pensa bene, qualunque attività umana funziona grosso modo in questa maniera, così come funziona per i bambini “non ho mangiato la marmellata, quindi la mamma sta bene, è contenta quindi mi ama” ma cosa vuole dire “quindi mi ama” esattamente?

Intervento: quindi vive anche

Chi vive?

Intervento: la mamma… il ricatto viene fatto allora se mangi la marmellata allora la mamma muore

Sì, certo, se invece non la mangio allora vive e vivendo mi ama perché se muore non può… sì ma perché deve volere essere amato? Si potrebbe pensare: “non mi ama più, va bene” e invece no, e invece se ne ha a male, succedono dei problemi se una persona non si sente amata, stimata, considerata, si è mai chiesta perché? È una bella domanda, dia una bella risposta…

Intervento:…

Questo sposta la questione su un’altra domanda. e cioè perché fa paura rimanere da soli con il proprio discorso, che cos’ha di così spaventoso? Lei è spaventata dal suo discorso? Dai suoi pensieri?

Intervento: no, dipende

Dipende, in che senso?

Intervento: non c’è nessuno che mi dice che ho ragione

Qui torniamo alla questione da cui siamo partiti, alla polemica, combattere contro qualcuno, però Daniela aggiungeva un altro elemento, che da soli non si sa se si ha ragione oppure no, non è sempre così però talvolta accade, dipende dalle strutture di discorso in parte, però è vero che generalmente una persona non ha l’assoluta certezza di essere nel giusto finché non trova qualche conferma, anche perché in effetti se non c’è un criterio per potere valutare con assoluta precisione e certezza la validità di una affermazione si è sempre nel dubbio: “e se non fosse così?” e allora ecco che si va a cercare la conferma da qualcun altro, la questione bizzarra è come mai accade di attribuire a quest’altro invece un sapere così certo? Perché uno chiede a quell’altro ma quell’altro che ne sa? C’è anche questa eventualità, che magari ne sappia anche meno…

Intervento:…

Sì però se è qualcosa che io in qualche modo penso e che mi piace, allora sarò indotto a confermare la mia ipotesi, ma a questo punto non è più un’ipotesi ma una certezza. Come abbiamo visto è la struttura stessa del linguaggio che costringe a fare questo, perché se no non può proseguire e quindi va in cerca di proposizioni che, in relazione al gioco che sta facendo, possono essere considerate vere, e quando sono considerate vere? Quando non contraddicono le premesse da cui sono partite, kantianamente è sufficiente questo, Kant non aveva tutti i torti, occorre che siano coerenti con le premesse. Se la persona si accorge che la conclusione è incoerente la abbandona, e di nuovo torniamo alla domanda: perché? È il linguaggio stesso che gli impedisce di proseguire in quella direzione, se è incoerente non prosegue, cioè se le conclusioni cui giunge non sono coerenti con le premesse da cui è partito non va oltre. Questo appena per dire come ciascuno, gli umani in generale, in realtà non siano fatti di nient’altro che di questa struttura che chiamiamo linguaggio che fornisce gli strumenti e i criteri, i parametri per giudicare, per pensare, per considerare, fare qualunque cosa, è sempre la struttura di linguaggio che impedisce a ciascuno di proseguire là dove ha verificato che ciò che ha affermato è falso, non c’è nessun altro motivo.

Intervento: io penso, io agisco, io credo in realtà è il risultato di un gioco linguistico che io agisco e che mi da determinate direzioni e in pochissimi casi c’è la consapevolezza che sia così

Sì, oltre al fatto che nella più parte dei casi l’affermare “io credo” funziona come una sorta di captatio benevolentiæ, una figura retorica che gli oratori utilizzavano per ingraziarsi il pubblico: affermare con determinazione e risolutezza una certa cosa può apparire arrogante, presuntuoso, se invece faccio questa piccola premessa “io credo che…” allora viene accolta ma in realtà cambia di poco perché ciò che io credo essere vero lo credo davvero, per me è così, è vero, non è un’ipotesi ma una certezza…

Intervento: la cosa curiosa è che normalmente… facendo una certa cosa ci si identifica con quello che si dice, con quello che si pensa se in realtà il soggetto è l’individuo… nel discorso non è proprio così il soggetto è un elemento di una struttura che lo supera perché è a prescindere dal singolo, però questa identificazione da me dipende quello che dico, cioè di nuovo… io sono costretto a pensare a dire in questa direzione perché la struttura del linguaggio mi obbliga in quella direzione lì

Ma questo “io” che sta dicendo è il discorso che lo sta dicendo…

Intervento: ciascuno crede di essere… non solo io ma qualcosa di molto di più di quello che dico… è l’identità, è la persona con la P maiuscola… riesco a spiegarlo? Mentre in realtà non è neanche un elemento così indispensabile

Lei si riferisce al soggetto della filosofia, “l’io pensante” una sorta di unità tra mente e corpo, volontà e azione…

Intervento: l’esistenza stessa

Sì ha sempre funzionato così. In effetti ciascuno dicendo “io” si riferisce a qualche cosa che soggiace a qualunque altra cosa, non a caso per i greci il soggetto era l’ipokeimenon, la soggiacenza, e in soggetto latino, subiectum, stessa cosa, però potrebbe pensarlo in realtà, in seguito alle cose che abbiamo dette, come una sorta di shifter, un operatore deittico, sa cos’è un operatore deittico? No. È un indicatore, quando lei utilizza il dito per indicare Cesare ecco, questo dito in questo momento è un operatore deittico, indica una direzione. Ora se considera il soggetto come un operatore deittico a questo punto è qualcosa di molto prossimo a ciò che in realtà indica l’aspetto grammaticale della questione, e cioè soltanto un elemento che serve a indicare il discorso che sta parlando, per cui io posso distinguere il mio discorso mentre parlo dal suo, io so quello che sto dicendo, e so che lo sto dicendo io e che non lo sta dicendo Gabriele, come faccio a saperlo che sono io che sto parlando e non Gabriele? Proprio perché esiste questo io, l’io grammaticale, quello che indica la posizione del discorso…

Intervento: l’identità quello che diceva prima Sandro tante questioni, tanto arrovellarsi da quando esiste… identità come cartello segnaletico per cui un elemento del tutto non superfluo ma… in realtà così non indispensabile ecco

È indispensabile grammaticalmente…

Intervento: in realtà il discorso che ciascuno fa è qualche cosa che si identifica con il suo essere complessivamente considerato

Non è arbitrario il fatto che ci sia la possibilità per lei di distinguere il suo discorso da quello di Francesca, questo occorre che ci sia perché in caso contrario, il discorso, il linguaggio, cessa di funzionare. Dicevamo della struttura del linguaggio dove uno degli elementi che fa funzionare questa struttura è la possibilità di distinguere ciascun elemento da ciascun altro, la stessa cosa vale per il discorso, la possibilità di distinguere anche il discorso è un elemento, deve potersi distinguere un discorso da qualunque altro, in caso contrario il linguaggio cessa di funzionare e allora io, tu, lui, hanno questa funzione: indicare la posizione del discorso, così esattamente un operatore deittico come il qui, la, adesso, prima, durante, dopo sono una sorta di indicatori che consentono al linguaggio, insieme con tutti gli altri elementi, di funzionare, basta che ne tolga uno e non funziona più. Per questo è una struttura…

Intervento: Daniela parlava dell’essenza, il soggetto implicato potremmo anche chiamarla Persona, con la P maiuscola come diceva… la questione è com’è che si è arrivati a pensare in questo modo ovviamente al fatto che esista un soggetto al di là del linguaggio? il soggetto dunque che possa essere o attivo o passivo rispetto al linguaggio, come si è arrivati a pensare questo? la questione che mi ponevo in relazione a quello che diceva Faioni se la funzione di questa idea che esista qualche cosa fuori dal linguaggio non sia direttamente collegata al fatto che comunque, per esempio, ciò che una persona pensa è assolutamente vero, quello che io penso non il contenuto ma il fatto stesso che io pensi è vero, che io provi dolore se mi danno una martellata è vero che io provi dolore, qualcosa che non è assolutamente discutibile, quasi come se ciò che è a garanzia di questa verità che riguarda il proprio discorso venisse da questa entità da cui provengono i parametri… chiedevo a lei se la questione se l’esistenza da Platone in poi, se il fatto che esista questo concetto non venga dalla necessità linguistica proprio di produrre proposizioni vere per proseguire, a questo punto il soggetto in quanto tale non può produrre proposizioni false pensate in questo modo, perché ciò che dicevo prima ciò che io penso al di là di quello che io penso è vero, è indubitabile, dolori, qualunque cosa, qualunque cosa uno provi non lo metto in discussione lo chiamo la sua realtà, come dire la propria verità che non è discutibile e quindi vero a questo punto, una relazione intorno alla creazione del soggetto, con la Persona con il fatto che il linguaggio trova in questo la possibilità di…

È una questione complessa, riguarda anche il corpo. Diceva Sandro: ciò che il mio corpo avverte per me è automaticamente e immediatamente e irreversibilmente vero, se sento freddo io non mi viene mai in mente che invece lo senta Francesca, se lo sento io. Abbiamo accennato varie volte alla questione ma è ancora da sviluppare ulteriormente questa del corpo, e di ciò che il corpo sente, ché in realtà siamo giunti a considerare che in assenza di linguaggio il corpo non sente niente, e logicamente è così, non può essere altrimenti, perché se il corpo, come un aggeggio qualunque, produce una reazione, questa reazione occorre che significhi qualcosa per qualcuno, cioè che abbia un significato, se no non è niente, tant’è che facevamo l’esempio del termometro che messo nel frigorifero nessuno direbbe che sente freddo, nonostante il freddo lo misuri, lo rilevi, perché noi si possa dire che sente freddo occorre che il termometro abbia la consapevolezza di questo e la consapevolezza comporta il sapere e il sapere è il disporre delle informazioni, degli elementi, in modo tale che sia possibile stabilire un criterio di verità per esempio, o comunque un significato e questo è consentito dal linguaggio, ecco perché dicevo che senza il linguaggio non si sente niente ma, come dicevo prima, la questione è tutt’altro che semplice e ne parleremo ancora parecchio. Un’ultima questione Francesca su cui riflettere questa settimana?

Intervento: senza linguaggio non posso far capire all’altro quello che sto provando, però non significa che io non stia provando delle cose

Questo è fuori di dubbio certo, ciò che sto dicendo è che lei non prova niente, non prova freddo, non prova caldo, non prova dolore, non prova niente…

Intervento: e lei come fa a saperlo?

Adesso glielo dico, visto che me lo chiede: se io ho freddo allora il mio corpo, essendo provvisto di sensori rileva questa variazione termica così come rileva delle variazioni di stato per cui distinguo una carezza da un urto, distinguo la carezza di una fanciulla dall’urto di un tranvai…

Intervento: meno male

Ecco, siamo provvisti di questi sensori che offrono tale possibilità, però ci sono infinite cose che sono provviste di sensori e che rilevano variazioni termiche, come dicevo prima appunto il termometro il quale rileva la temperatura anche meglio di me, io posso dire “fa freddo, fa caldo” quello lo dice con una precisione straordinaria, non solo, ha anche altre reazioni come dicevamo, il mercurio diminuisce di volume e quindi varia la pressione interna del bulbo, insomma ci sono una serie reazioni, anche il suo corpo esposto al freddo ha delle reazioni, però se mettiamo il termometro dentro il frigorifero non diciamo che il termometro ha freddo, se ci mettiamo lei invece lo affermiamo e lei stessa afferma con vigore di avere freddo…

Intervento: non ha freddo ma ha un altro nome

Un altro nome? Reagisce sicuramente, certo ma per potere affermare che sente freddo gli manca quella che noi chiamiamo consapevolezza, e se non c’è questa consapevolezza… facevamo l’esempio del bicchiere che cade e si spacca “il bicchiere soffre?” è una domanda che non ha nessun senso perché non c’è nessun modo per sapere, per valutare una cosa del genere, nessun criterio, nessun parametro, niente. Possiamo anche dire che soffre, però non è che abbiamo detto un granché, e cosa distingue il bicchiere che si spezza da un suo braccio che si spezza? Apparentemente potremmo anche dire: “nulla”, e invece no, c’è una differenza, lei soffre e il bicchiere no, perché? Non sarà forse proprio questa consapevolezza, e cioè il fatto che questi segnali che arrivano per lei hanno un significato e quindi sono qualcosa, mentre per il bicchiere non hanno nessun significato e quindi non sono niente. Il bicchiere non sa di essersi rotto, se invece lei si rompe un braccio lo sa e come! Con tutte le considerazioni che ne seguono. È una questione logicamente sostenibile, rimane il fatto che è difficile pensare che senza linguaggio lei non proverebbe, niente perché ancora non è chiaro che cosa sia esattamente il linguaggio per lei, e cioè ciò che le consente di pensare di essere lei, di essere Francesca, di pensare di esistere, e quindi di esistere, è anche la struttura che le consente di costruire questa nozione stessa di esistenza, esisterebbe se non ci fosse il concetto di esistenza? È la stessa domanda che ci ponevamo intorno al bicchiere…

Intervento: ecco in una questione come questa in cui è il linguaggio che da il parametro della realtà abbiamo detto che Francesca se si rompe il braccio soffre mentre il bicchiere no, questo dice la realtà, dice il linguaggio e di fronte a questo distinguiamo la realtà per esempio dalla fantasia nel senso che ci possono essere dei discorsi che il linguaggio ha costruito, altri discorsi fantastici in cui si vede il bicchiere che piange

Sì, prende qualunque libro per bambini e ci sono gli oggetti…

Intervento: quella sarebbe la direzione della non realtà, nel senso che il linguaggio stabilisce che cos’è la realtà e che cos’è invece la fantasia ecco mi interessava questa questione perché la fantasia tutto sommato sarebbe il discorso falso…

È irreale, non falso…

Intervento: però al momento in cui io chiedo che cos’è la realtà considero quel discorso un discorso un discorso falso, in effetti vediamo anche proprio nelle psicosi, come il discorso della persona non sappia distinguere la realtà dalla fantasia cioè qui è marcato qual è la realtà…

Falso se c’è un equivoco tra questi due giochi che hanno regole diverse, e allora se una persona vuole convincere qualcuno…