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13-5-2009

 

La volta scorsa parlavo del metodo di ricerca, metodo per procedere sia lungo un’analisi sia lungo una elaborazione teorica e la questione verteva intorno al modo di porre delle domande, non basta in effetti porsi delle domande, tutti gli umani si pongono delle domande e immediatamente si danno risposte, qualunque cosa gli passi per la mente in quel momento e che non contraddica ciò che sanno è buona e diventa la risposta, risposta ufficiale che viene accolta e naturalmente viene a fare parte del bagaglio delle informazioni e delle certezze di quella persona. È per questo che abbiamo costruito un metodo di ricerca che funziona nell’analisi esattamente come funziona in ambito teorico, come funziona in ambito teorico? Come procede la ricerca? La ricerca direi che per definizione ha un obiettivo, se ricerca, ricerca qualcosa necessariamente, essendo ricercare un verbo transitivo deve transitare su un’altra cosa, per esempio ci si pone una questione “ciò che io sto pensando o ciò che io credo ha qualche valore di verità o è la cosa più squinternata e sgangherata che sia mai stata pensata sul pianeta?” questa per esempio è una questione, pongo questa perché generalmente non viene posta, se una persona pensa una certa cosa, per il solo fatto che la pensi la crede anche vera e quindi è già una cosa insolita porsi una domanda del genere, eppure è una delle questioni fondamentali, cioè: che cosa sto dicendo? Ovviamente occorre avere degli strumenti per procedere lungo questa direzione altrimenti non si va da nessuna parte, si gira in tondo anzi si cessa di girare perché la prima cosa che passa per la mente viene presa per buona …

Intervento: cioè una verità all’interno di quel gioco linguistico che sta facendo …

No, viene presa come verità sub specie æternitate come dicevano i medioevali, ma neanche viene presa come verità, semplicemente è accolta come un dato di fatto, una realtà, una realtà delle cose. Dunque incominciare a interrogare una cosa del genere significa avere il sentore che magari quello che penso non è necessariamente una realtà, una verità delle cose, c’è l’eventualità che potrebbe non essere così, arrivare a questo punto è complicatissimo e arrivare a una cosa del genere è già essere a buon punto, come procedere dunque per compiere questa operazione? Occorre intanto una sorta di esercizio, possiamo chiamarlo anche allenamento a porsi questa domanda, e cioè che cosa sto dicendo, dicendo ciò che dico? Sto affermando qualcosa certo, e questo è l’unica cosa che la persona può affermare con certezza ma afferma qualche cosa che di fatto non è nient’altro che una sequenza di proposizioni in prima istanza, non ha un referente propriamente se non altre parole, altri discorsi, altri pensieri e soprattutto altre fantasie perché è questa la questione che risulta più ardua per gli umani: accorgersi che anziché descrivere uno stato di fatto si stanno esponendo delle fantasie, nient’altro che questo, naturalmente la persona non ritiene che siano sue fantasie, non lo pensa affatto, pensa invece di descrivere uno stato di cose, il mondo circostante, quand’è che la persona si accorge che si tratta di sue fantasie? È molto difficile che avvenga fuori da un percorso analitico anzi fortemente improbabile, ed è fortemente improbabile perché non ha nessun motivo per pensare una cosa del genere, in effetti non ha dei parametri e può anche parlare, confrontarsi, come si usa dire spesso, con infinite altre persone e non succederà assolutamente niente, se non ha nessun motivo per dubitare di quello che pensa, perché non ha nessun riferimento, l’unico riferimento che ha, di cui dispone sono le proprie fantasie, è ovvio che quello che pensa collimerà sempre con le sue fantasie, e nel caso remoto in cui non dovesse collimare viene eliminato immediatamente, le proprie fantasie che cosa sono esattamente? Sono quella serie non infinita ma notevole di affermazioni che mano a mano hanno costruito la persona, cioè il suo discorso, tutte le cose che ha acquisite lungo il corso della sua esistenza cioè tutte quelle cose che ha ritenute essere vere. Una parte di esse costituiscono le premesse da cui parte, da cui costruisce altre cose ma queste premesse da cui muove in realtà sono le sue fantasie e cioè cose che ha creduto essere vere, anche perché quando ha incominciato a parlare in quel momento non aveva degli strumenti sufficientemente potenti e sofisticati per valutare se le cose che andava pensando quindi costruendo fossero vere oppure no, anche perché non c’era nessun parametro per poterlo fare per cui si sono stabilite semplicemente come verità, verità che la persona continua per tutta la sua vita a ripetere all’infinito, il modo in cui le ripete decide della struttura del discorso in cui si trova. Come sapete si considera che esistano quattro discorsi nella psicanalisi: isterico, ossessivo, paranoico e schizofrenico, il modo in cui la persona afferma le sue verità, il modo in cui lo fa determina il tipo di discorso in cui si trova, per esempio in che modo il discorso isterico afferma le sue verità? Intervento: imponendola …

Non proprio, è il discorso paranoico che deve imporla …

Intervento: il discorso isterico la esibisce?

La verità è esibita certo ma non è sostenuta dal discorso isterico. Come diceva un tale Jacques Lacan a proposito dell’isteria: “moi la vérité je parle” e in effetti ha colto abbastanza bene la questione del discorso isterico che afferma una verità che non gli appartiene, è portavoce della verità, la espone al mondo ma non ha bisogno, come fa il discorso paranoico, di convincere tutti del fatto che lui conosce la verità. Nei primi anni 80 Verdiglione aveva stabiliti degli enunciati precisi rispetto ai quattro discorsi. Il discorso paranoico afferma “io so che tu non sai che io so” ponendo l’accento quindi sul fatto che “tu non sai” quindi per il paranoico l’altro è sempre un cretino generalmente che deve essere educato, istruito, bisogna spiegargli come stanno le cose perché non le sa, questo è il discorso paranoico pone l’accento sul “tu non sai”. Il discorso isterico enuncia in questo modo: “io non so che tu sai che io so”. Io so ma lo ignoro, cioè non mi rendo conto di sapere, semplicemente dico la verità, dico come stanno le cose, espongo al mondo la verità ma lo so dicendola, non lo so prima, non è come nel caso del paranoico che è assolutamente convinto di una certa cosa e deve convincere il mondo che lui ha ragione, il discorso isterico enuncia una cosa di cui in fondo non è responsabile, le cose stanno così e basta. Il discorso ossessivo dice: “io so che tu sai che io non so”. Parte dal non sapere attribuendo all’altro il sapere perché lui non sa e quindi non sapendo ovviamente non può mai esporsi, non può mai assumersi la responsabilità, non può mai dire come stanno le cose ma è sempre in attesa che lo faccia l’altro. Se per esempio Elisa stesse con un fanciullo ossessivo allora se ci fosse qualche problema fra i due l’ossessivo non potrebbe mai assumersi la responsabilità della una rottura di una relazione per esempio, e quindi farebbe in modo che fosse Elisa ad assumersi questa responsabilità. Il discorso ossessivo pone l’accento sul non sapere, lui non sa di fatto, non può mai esporsi, non può esporsi perché non sa e quindi cosa deve fare? Deve costringere in un certo senso l’altro a prendersi lui la responsabilità ed essere lui a dire, a esporsi. Paranoia e discorso ossessivo sono spesso le figure del carnefice e della vittima, il paranoico mostra proprio ciò che al discorso ossessivo manca cioè la sicurezza assoluta. Non è causale che tutti i grandi condottieri e capi popoli fossero paranoici e, come dicevamo qualche tempo fa, i vari corsi, master che fanno per capitani d’industria, per manager etc. per essere più sicuri e più determinati non sono altro che degli addestramenti a diventare più paranoici, nel caso non lo fossero già abbastanza, perché il paranoico esibisce un’assoluta certezza di sé, di quello che fa e quindi riesce a ottenere un certo consenso da parte in particolare del discorso ossessivo ma anche del discorso isterico in parte, perché è come se dicesse: lasciatevi guidare da me che io vi porterò alla … catastrofe generalmente, però l’idea è che porti invece al successo, alla gioia, alla felicità …

Intervento: dio è paranoico?

Adesso glielo chiediamo se è paranoico o qualcos’altro, comunque già questa formulazione “io sono la via, la verità, la vita” è singolare. L’isteria non va in cerca della verità, è assolutamente sicura ma sostiene una verità che non le appartiene, c’è questa verità, lei la conosce, le cose stanno così però è come non ci fosse in un certo senso perché non è che la sostiene o l’argomenta come il più delle volte cerca di fare il paranoico, bene o male che sia, semplicemente la espone, è così e basta, non c’è da argomentare niente è così, e non sopporta infatti il contraddittorio che non serve, perché se le cose stanno così che cosa c’è da argomentare?

Intervento: perché perdere tempo?

Elisa è precisa: “perché perdere tempo?” Una volta si diceva anche che l’isteria si mette al posto del padre, può essere una fantasia, e cioè di colui che nella vulgata detiene la legge, questo lo dico per alcuni di voi che hanno reminiscenze di Lacan, di Verdiglione, di Freud in parte, e poi da ultimo c’è il discorso schizofrenico. “Io so che tu sai che io so”. Il discorso schizofrenico è abbastanza raro, il discorso schizofrenico è quello che non si occupa un granché del mondo che lo circonda e non ha da imporre nessuna verità, né da esibirla, non ha timore di essere in colpa, non conosce generalmente senso di colpa, ma è un discorso piuttosto insolito, sicuramente il discorso paranoico e l’ossessivo sono i più praticati, e curiosamente va anche a periodi perché per esempio alla fine dell’800 l’isteria ha avuto un gran successo, ai tempi di Charcot e i primi tempi di Freud, tant’è che Freud si è formato studiando l’isteria, prima con Charcot poi con Breuer e poi da solo. Ma aldilà di queste amenità ciò che mi interessava dirvi è che questi discorsi si differenziano per il modo in cui si afferma la verità, ciascuno non fa altro per tutta la propria esistenza, a meno che non se ne accorga, che affermare quelle che ritiene essere le sue verità “sue” che per lui sono verità universali e il modo in cui lo fa decide della struttura di discorso in cui si trova, ma è l’affermazione della verità che a noi interessa, il fatto che come abbiamo detto in altre occasioni ciascuno non può, come dicevo prima a meno che non se ne accorga, fare altro lungo la propria esistenza che affermare in i suoi pensieri, ma i suoi pensieri non sono nient’altro che le cose che ritiene essere vere ed è qui che occorre il metodo e cioè ciò che consente alla persona di incominciare a domandarsi che cosa sta facendo mentre afferma quello che afferma, perché se avesse l’opportunità, come accade che abbia lungo l’analisi, di considerare che si tratta di sequenze di proposizioni allora sicuramente considererebbe le cose che afferma in un altro modo. Buona parte del lavoro analitico consiste proprio in questo: fare in modo che la persona abbia l’opportunità di accorgersi di ciò che sta facendo mentre sta parlando anziché affermare verità assolute …

Intervento: …

Sarebbe opportuno certo riuscire a pensare in un modo straordinariamente veloce, ma pensare in modo veloce non parlare in modo veloce, ché è diverso, pensare in modo veloce significa sapere sempre e comunque perché si sta dicendo ciò che si sta dicendo, che cosa lo sostiene, qual è la fantasia che supporta, se c’è una fantasia e avere l’opportunità di considerare se ciò che si afferma è necessario o totalmente arbitrario e naturalmente muoversi di conseguenza …

Intervento: Lei prima diceva che sono le fantasie e il modo in cui si strutturano queste fantasie che decidono della struttura di discorso che le farà funzionare ma ecco queste fantasie…come poter definire una fantasia perché anche la realtà è una fantasia e quindi cosa intendiamo effettivamente? una differenza fra la fantasia della realtà e la fantasia di una storia che si è accolta e che si gioca …

La fantasia è una sequenza di affermazioni arbitrarie e cioè che non possono in nessun modo essere provate, mettere alla prova una fantasia non è nient’altro che considerare se ciò che si pensa è necessario oppure no e naturalmente è necessario solamente ciò che attiene a quella struttura che consente di pensare che qualcosa è necessario oppure no …

Intervento: quindi praticamente sono tutte fantasie …

Sì, gli umani vivono di fantasie …

Intervento: però perché ci sia per esempio l’enunciato isterico …

La differenza sta che la persona si accorge che sono fantasie e quell’altra no, questa è la differenza fondamentale …

Intervento: si può fare una discriminazione fra fantasie per esempio il discorso ossessivo parte dal non sapere cioè io so che l’altro sa che io non so …

Questa è già una fantasia, in effetti questi enunciati sono delle fantasie, fantasie che funzionano rispetto a questi discorsi, né più né meno …

Intervento: io come fantasia penso anche ad un racconto che si accoglie come la realtà delle cose e quindi perché ci sia un modo differente dello strutturarsi del discorso occorre al discorso paranoico per esempio, pertenga un certo racconto? Creda in una certa cosa …

Già crede una serie di cose, no occorre che tenga conto che questi pensieri sono fantasie, non sono la realtà delle cose indipendentemente dal discorso in cui una persona si trova, sono fantasie cioè costruzioni operate dal proprio discorso che non hanno nessuna necessità di essere credute, sono semplicemente sequenze che si snodano, giochi linguistici che in alcuni casi sono anche utili però rimangono totalmente arbitrari e di questi giochi linguistici, cioè di queste fantasie la persona occorre che si assuma la totale responsabilità …

Intervento: per esempio nel discorso ossessivo l’incapacità è una delle questioni fondamentali è ovvio che non è necessario e quindi è una fantasia così come la fantasia di onnipotenza del discorso paranoico però che cosa?

Una fantasia è arbitraria, vuole dire che se io credo una cosa del genere lo pratico perché ho dei motivi che riguardano altre fantasie ma che non mi costringono in realtà a credere una cosa del genere …

Intervento: al punto in cui siamo, al punto in cui ciascuno di noi si trova è differente e quindi, quindi qui parliamo della impossibilità di credere in qualche cosa e quindi del considerare qualsiasi cosa che può capitare di pensare una fantasia l’unica questione sulla quale è necessario portare avanti l’elaborazione è quella io sono linguaggio e quindi funziono in un certo modo perché il linguaggio funziona così, sono sequenze …

E allora? Occorre prendere atto che ciò che si pensa non è sostenibile se non da altre fantasie, cosa vuole dire che non è sostenibile? Che non è né vero né falso in realtà, cioè è vero ma all’interno del gioco particolare che sto facendo, ma è solo un gioco linguistico, prendiamo per esempio l’incapacità del discorso ossessivo: se una persona ritiene di essere incapace sicuramente ha dei buoni motivi per farlo e i buoni motivi sono il fatto che constata ciascuna volta di non riuscire a compiere certe operazioni che per lui sono importanti e quindi ha la prova di essere incapace, questa fantasia funziona così, la fantasia viene presa naturalmente come un dato di fatto, come la realtà delle cose perché lui vede che in realtà non riesce a fare delle cose, non riesce e quindi più reale di così, ma non si rende conto che il non riuscire a fare certe cose fa parte, rientra all’interno di una sequenza di fantasie che lo pilotano a non riuscire a compiere certe operazioni e quindi non riuscire a compiere certe operazioni non è l’effetto dell’incapacità ma è ciò che costruisce per provare una fantasia di incapacità, che gli serve per altre cose per esempio. Nel caso del discorso ossessivo può essere utile a mantenere una posizione di immobilità e quindi salvaguardarlo dal prendere qualunque decisione; è questa la questione centrale in un’analisi: arrivare al punto in cui non è più possibile non accogliere la responsabilità di ciò che si afferma, di ciò che si dice, qualunque cosa sia, la responsabilità, vale a dire che qualunque cosa è costruita dai miei pensieri, non è un dato di fatto, pensare in questo modo comporta il girare a vuoto per l’eternità perché se le cose stanno così non posso fare niente e quindi la stessa psicanalisi sarebbe totalmente inutile …

Intervento: non si può arrivare all’origine?

In alcuni casi è possibile anche reperire quale è stato l’elemento che ha innescato una fantasia, però non è neanche necessario, in fondo ciò che importa è riuscire a costruire un modo di pensare tale per cui una persona si trova in qualunque momento a non potere non sapere che ciò che pensa procede da una fantasia, a questo punto certo un qualche cosa che magari ha costruito la sua fantasia di incapacità ha avuto ovviamente un inizio, un inizio che può essere dipeso da un evento oppure da una sequenza di eventi che si sono svolti nel tempo, in un’analisi talvolta è possibile reperire …

Intervento: uno ci riesce benissimo l’altro fa le stesse cose e non ci riesce …

La fantasia di incapacità non ha a che fare con ciò che la persona riesce o non riesce a fare perché un ossessivo che ritiene di sé di essere incapace probabilmente ha fatto tantissime cose, magari anche importanti e interessanti ma di quelle non terrà mai conto, terrà sempre conto di quelle cose in cui non è riuscito perché è come se dovesse dimostrare di essere incapace e naturalmente se uno si impegna in una cosa del genere ci riesce, non è il fatto che una persona non riesca a fare certe cose, certo nessuno per esempio riesce a volare da solo senza strumenti o mezzi esterni e questa non è una dimostrazione di incapacità propriamente, l’incapacità è una fantasia ed è quella che a noi interessa e cioè la necessità di dovere dimostrare al mondo e a se stesso soprattutto di non essere capace, e se si ascolta, la persona si accorge che fa di tutto per continuare a dimostrare di essere incapace nonostante si lamenti naturalmente di questa incapacità …

Intervento: però c’è anche chi dice di non essere capace di fare delle cose ma in realtà non è così Esatto, ma non riuscirà mai a convincere questa persona che in effetti non è incapace perché questa persona vuole credere di essere incapace, contro ogni evidenza, questo nel discorso ossessivo è relativamente frequente. È come se l’ossessivo temesse di riuscire, anche se dice di volere riuscire però di fatto si trova a fare di tutto per non riuscire come se, come dicevamo prima, come se dovesse dimostrare al mondo di essere incapace. Qualunque convinzione una volta che si è stabilita è difficile smuoverla, si tratta di intendere come si configura una certa convinzione, una certa certezza per esempio. La paranoia non ha mai, per nessun motivo al mondo, il dubbio di essere nell’errore o di avere sbagliato, mai per nessun motivo, se per caso non riesce a fare qualche cosa, cosa che accade anche a lui ovviamente, la colpa è o dell’altro o della situazione che è sfavorevole o della mala sorte o di qualche dio contrario ma mai colpa sua, per nessun motivo, non ammetterà mai la propria colpa …

Intervento: sembra che il paranoico possa fare male agli altri e invece l’ossessivo prendendosela con se stesso …

Intervento: l’ossessivo fa a se stesso quello che vorrebbe fare agli altri …

Quello che l’isteria fa, l’ossessivo non fa ma vorrebbe fare. Il discorso ossessivo si astiene dal fare perché teme tutte quelle cose che invece il discorso isterico fa, l’isteria fa qualche cosa e poi si accorge dei danni che ha combinato, il discorso ossessivo considera prima tutti i danni che avverranno e anche di più e quindi si astiene dal fare qualunque cosa …

Intervento: mi chiedevo quanto valga la lettura, l’istruzione …

Una persona che ha avuto occasione di leggere, di sapere molte cose, si muoverà probabilmente più agevolmente ma la struttura di discorso questa è totalmente indifferente con il grado di erudizione della persona. Intendere la propria struttura di discorso può avere qualche utilità, ma occorre che anziché uno di questi quattro discorsi che vi ho mentovato si insaturi in modo definitivo e irreversibile un altro discorso che è quello dell’analista, che non rientra in nessuno di questi quattro naturalmente. Il discorso dell’analista tiene conto e non può in nessun modo non tenere conto di ciò che sta facendo mentre sta parlando, di ciò che sta dicendo e sa, perché non può non sapere ciò che è necessario e ciò che invece è totalmente arbitrario, e si muove di conseguenza cioè non ha più bisogno di credere in niente e di conseguenza non ha più bisogno di enunciare delle verità, non gliene importa assolutamente niente ma semplicemente prosegue lungo una sua elaborazione teorica. A questo punto soltanto il modo in cui il discorso si svolge e costruisce delle proposizioni ha qualche interesse, tutto il resto diventa secondario e irrilevante cioè non ha più bisogno di credere in nulla e di conseguenza non ha più bisogno di avere paura né di sé né del prossimo Intervento: mi chiedevo una cosa, l’analizzante quello che entra in analisi e per un certo periodo continua il suo racconto … cosa avviene in una analisi? Avviene che man mano si reperiscono altri elementi e si concludono certe verità nel racconto all’inizio ovviamente queste conclusioni saranno poi delle affermazioni per continuare il gioco … queste affermazioni che avvengono in una analisi poi occorre che anche queste diventino quello che sono cioè fantasie perché soprattutto all’inizio si reperiscono certi elementi per cui si conclude che una certa cosa è andata in un certo modo

La volta scorsa abbiamo detto di tre momenti dell’analisi, nel primo c’è il racconto naturalmente, la persona dice tutte le sue verità, il secondo si accorge che è lui che le sta dicendo e incomincia ad assumersi la responsabilità di quello che dice, il terzo momento è fondamentale, si accorge a quel punto perché pensa le cose che pensa, si accorge perché pensa in definitiva, cosa lo fa pensare, si accorge quindi della struttura di cui è fatto …

Intervento: la mia domanda era proprio sull’intervento dell’analista nei confronti di queste affermazioni che partono da conclusioni che in una analisi avvengono …

Un dettaglio tecnico: una persona inizialmente afferma una quantità sterminata di cose e alcune cose continuano a ripetersi, allora si considerano le cose che continuano a ripetersi e si pone l’accento sul fatto che alcune cose continuano a ripetersi, dopodiché si invita la persona a intendere perché si ripetono, se si ripetono magari non è del tutto casuale, c’è qualche cosa nei suoi pensieri che porta la persona a ripetere queste cose come se fossero per la persona le più importanti, essendo le più importanti sono quelle che insistono sempre e ovunque in qualunque racconto e qui che c’è la possibilità anzi la necessità che si installi la responsabilità, e cioè il fatto che i suoi pensieri costruiscono questa cosa e quindi se la costruiscono perché la costruiscono? Perché c’è un tornaconto, come diceva Freud, e il tornaconto non è altro che la possibilità di avere argomentazioni o più propriamente discorsi a disposizione da raccontare sempre e comunque, e nel momento in cui la persona si assume la responsabilità di quello che dice già l’analisi è a buon punto, il passo successivo direi che è quasi automatico e cioè considerare perché si pensa, da dove vengono i pensieri, che cosa fanno, come si strutturano e come funzionano, questo avviene in una analisi, nient’altro che questo, perché a quel punto la persona come dicevo prima non ha più la possibilità di credere in alcunché e di conseguenza di avere paura, angosce, fobie etc. ma non ha più la possibilità di avere paura soprattutto delle cose che lui stesso pensa perché ha gli strumenti per potere valutare e considerare se necessarie oppure totalmente arbitrarie, e di necessario c’è soltanto la struttura che fa funzionare il tutto quindi tutto il resto è assolutamente arbitrario e di conseguenza non è costretto a crederci, se lo facesse se ne assumerebbe la responsabilità, ma non lo fa perché non ha più nessun interesse a farlo. Va bene, ci vedremo martedì prossimo alla libreria e mercoledì qui.