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13-5-2002

 

Qualcuno ha da porre qualche questione intorno alle ultime cose che andiamo dicendo…

Intervento: la considerazione che qualunque cosa è un atto linguistico è quella che fa funzionare tutto il marchingegno

già! Perché in effetti ci siamo attardati tantissime volte su aspetti che magari apparivano poco importanti o non essenziali rispetto alla clinica, alla pratica, perché abbiamo voluto costruire un discorso differente, che avesse una caratteristica che nessun altro ha e cioè quello di essere un discorso che può provare ciò che afferma, e perché questo? Perché non fare come ciascun altro e non curarsi minimamente di provare nulla?

Intervento: perché si parte da ciò che non può non essere

sì, ma perché abbiamo fatto una cosa del genere? Anziché inventare una qualunque altra teoria o a quel punto proseguire con una qualunque altra, di Verdiglione, per esempio, visto che mi sono formato con lui? Che vantaggi offre? Difficile dire quali vantaggi offra così in linea di massima, dicevamo quello di affermare con assoluta sicurezza ciò che si va dicendo, qualcosa che potrebbe comportare volendo una certa arroganza, potremmo anche fare i sussiegosi, ora detto da me che non mi risulta sia mai stato arrogante, può apparire bizzarro, ma si può porre una questione anche per quanto riguarda gli interventi, per esempio mostrare, affermare che gli umani sono stati ingannati da sempre, che gli si è fatto credere una infinità di cose, alle quali credono di fatto ma che non possono né sono mai state provate vere, quale è stato l’inganno? Quello di non dire che a queste cose non era necessario credere. Una cosa del genere potrebbe tornare anche a nostro vantaggio, non dico di fare necessariamente i sussiegosi, però sottolineare un aspetto del genere. In fondo ciò che noi facciamo, contrariamente a ciò che fanno altri non inganna, non inganna perché prova ciò che afferma, non sto dicendo che sia più bello o più brutto di altre cose, è soltanto questa caratteristica che lo rende differente. C’è una parte che è ancora da aggiungere per quanto riguarda la teoria del linguaggio, e la parte che intendo aggiungere è qualcosa che deve fare da congiunzione tra una teoria logica e del linguaggio e l’aspetto clinico, ché a questo punto (l’aspetto clinico) assume una connotazione abbastanza precisa, non è tanto un sistema per guarire dagli acciacchi, ma è un modo per pensare, insegna a pensare letteralmente cioè insegna come fare per non avere bisogno di procurarsi acciacchi. Uno può anche provare gli acciacchi, però se poi continua ad avere bisogno di procurarseli se li continuerà a procurare, è un po’ come avveniva al tempi di Freud rispetto all’ipnosi, ricordate? Togliamo la paura dei topi e poi viene la paura degli scarafaggi o viceversa… ecco stavo ponendo questo, se effettivamente il porre tutto ciò che andiamo facendo (arriva Gabriele) ecco sì dicevo della determinazione, cioè affermare con assoluta certezza ciò che andiamo affermando, perché è il lavoro che abbiamo fatto in questi ultimi dieci anni che ci consente questo. Non solo di potere smantellare qualunque altra teoria con relativa facilità, perché basta chiedere “come lo sa?” e già precipita tutto, ma potere affermare quanto stiamo dicendo. Forse sì, cominciare a dire questo, che gli umani sono stati ingannati in questi ultimi duemila e cinquecento anni e dire il perché, ma soprattutto come è avvenuto. Agli umani non piace generalmente essere gabbati o meglio, non piace loro ammetterlo, poi sono imbrogliati continuamente ma non piace, c’è anche un motivo per questo, perché se potessero ammetterlo non potrebbero più continuare a essere imbrogliati, e essere imbrogliati produce dei vantaggi, come dire “se tu credi queste cose io ti do quest’altro” però sappiamo benissimo che una persona non può credere vero ciò che sa essere falso, per questo non può ammettere di essere ingannato, sappiamo anche perché credono qualunque cosa gli si racconti, questione questa non indifferente, l’avere inteso perché gli umani credono, strutturalmente perché lo fanno: perché non possono non farlo e cioè perché il linguaggio per potere proseguire è costretto a costruire proposizioni vere, soltanto quelle sono riconosciute, sono legittimate a fare proseguire il discorso e pertanto ciascuno è costretto a costruire proposizioni o vere o che ritiene tali, perché è lo stesso per lui, quindi sappiamo perché credono e non possono non farlo, credono cioè ritengono vere delle cose che non sanno o preferiscono non sapere che vere non sono, però si comportano come se lo fossero, credere non è nient’altro che questo Allora cominciare, torno a dirvi, a porre l’accenno su questo inganno perpetrato per duemila e cinquecento anni. Perché duemila e cinquecento anziché tre mila? Perché non abbiamo tracce di ciò che avveniva tremila anni fa, ma se le avessimo… perché se riusciamo in questa operazione è possibile che potremmo ottenere un maggiore successo e cioè ciò che andiamo facendo è qualcosa che solleva dall’inganno, consente di cessare di essere ingannati, è ovvio che occorre mostrare tale inganno in modo molto chiaro, molto preciso e inequivocabile, però a mio avviso potrebbe funzionare, anche perché a questo punto dopo dieci, quindici anni che andiamo costruendo il nostro discorso occorre anche utilizzarlo, utilizzarlo per tutto ciò che può fare, se occorre abbiamo un’arma perché no? Un’arma non soltanto logica ma anche retorica, sarebbe il caso, questo lo avevamo già detto altre volte, in varie conferenze, vari luoghi dove si dicono cose varie e quando uno ha terminato la sua disquisizione domandare a lui perché non potrebbe essere, per esempio, il contrario di ciò che ha affermato e se no, perché. Certo si passerebbe per dei provocatori, si ritiene generalmente che una cosa del genere sia non soltanto inutile ma fuori di luogo, una persona che non accoglie tutto ciò che la civiltà impone di credere passa per un provocatore, un sovversivo, una persona che vuole soltanto creare scompiglio… sì e in effetti l’inganno di cui dicevo prima consiste in buona parte proprio di questo, nel fare credere che chi comincia a mettere in discussione e pone delle obiezioni piuttosto radicali a ciò che la civiltà ha assunto come verità, è un nemico, un sovversivo… ma insomma sfruttare tutta la potenza del discorso che stiamo facendo, come se avessimo costruito una Maserati per andare a 15 km. all’ora… l’inganno può essere una via retorica certo, per sollevare la questione in modo molto rapido e molto radicale, perché è ovvio e inevitabile anche a quel punto, che chiunque domanderà a noi di provare ciò che affermiamo, lui non può provare nulla di ciò che afferma, ma nonostante questo esigerà da noi che proviamo ciò che affermiamo. Basterebbe considerare che non può provare nulla di ciò che lui afferma, che non lo può fare, noi sì, è questo che ci distingue da tutte le altre teorie. E in effetti il lavoro che abbiamo fatto in questi anni si è incentrato su una cosa del genere proprio per acquisire tali strumenti, per questo ci è voluto del tempo perché ogni affermazione doveva essere provata, non ci bastava affermare una qualunque cosa ci passasse per la testa, la domanda era poi sempre la stessa “e se fosse il contrario?” “e se non lo è, come lo so?” Dicevamo tempo fa che praticamente nessuno si pone domande del genere, nessuno si perita di sottoporre la sua teoria ad una cosa del genere, probabilmente in cuor suo sa che l’avrebbe demolita in quattro e quattr’otto, quindi non lo fa… chi vuole darsi la zappa sui piedi, a parte noi? Però è un nobile intendimento, saprebbe costruire una conferenza con questo intendimento, mostrare l’inganno…

Intervento: è l’obiettivo del mio discorso riuscire…

ci è riuscita? Bisogna riuscirci, se no è una catastrofe, retoricamente è una catastrofe, passiamo per dei grulli se provochiamo una cosa del genere e poi non sappiamo sostenere le nostre tesi. Questo anche per quanto riguarderà l’elaborazione di una teoria psicanalitica, perché accadrà questo: supponiamo che decidiamo ad un certo punto, per motivi teorici inappuntabili, che della nozione di rimozione per esempio, non ce ne facciamo più niente, supponiamo questo, magari no, allora si era detto e la rimozione? Dove la mettete? Che ne è della rimozione? Cosa ci dice questa obiezione? Chiamiamola obiezione… ci dice: che esiste la rimozione assolutamente, e che esistendo assolutamente se non teniamo conto di questo allora ciò che facciamo non è psicanalisi. La persona che ci muoverà tale obiezione non si è mai posta in vita sua questa domanda e cioè che cosa sia esattamente la rimozione o più propriamente se la definizione che lui ha data è necessaria oppure no. È certo che l’ha data, a seconda delle varie scuole, e a quella si attiene, immaginando che esista una certa cosa che si chiama rimozione e questa certa cosa ha queste caratteristiche, necessariamente. E noi cosa gli diciamo? Supponiamo questa eventualità…

Intervento: da per implicito che la rimozione possa rimuovere qualcosa fuori dal discorso che fa…

no, possiamo avere interlocutori un po’ più scaltri, in quella occasione innanzi tutto se avessimo abbandonato tale nozione avremmo avuti anche degli ottimi motivi per averlo fatto, e cioè non c’era nessuna definizione possibile di rimozione che fosse utile alla teoria che stiamo costruendo, cosa vuol dire utile? Che possa essere provata. Perché io posso dare della rimozione una quantità sterminata di definizioni, e poi che cosa ho fatto, ho detto che cosa necessariamente è quella cosa che chiama rimozione? O indico semplicemente con rimozione una serie di fenomeni che io ho individuati od ho supposto di individuare, ma occorre che questi fenomeni accadano sempre necessariamente; questo può non essere semplicissimo da provare, possiamo prendere anche la formulazione di Verdiglione, lo cito spesso perché come vi ho detto mi sono formato con lui e cioè che “un significante rimosso funziona come nome adiacente a un altro significante” ha capito cosa vuol dire questa cosa? Significa questo: che un significante colpito da rimozione funziona come nome e cioè una sorta di buco, qualcosa che è incolmabile, qualcosa che produce del senso senza essere propriamente né individuabile né dicibile, anzi è ciò che manca esattamente nella catena significante, funziona dunque come nome adiacente ad un altro significante, questa adiacenza non è altro che la direzione che prenderà il significante, direzione stabilita dalla funzione di significazione che acquisisce il nome proprio per questo buco. Perché non utilizziamo più questa formulazione? Provate a pensarci bene e provate a inserire questa formulazione all’interno di ciò che andiamo costruendo, ciò che andiamo costruendo è anche un sistema terribile di verifica perché questo sistema che andiamo costruendo domanda immediatamente: potrebbe non essere così? E allora comincerebbe a porre delle domande “un significante rimosso…” quindi dà per acquisito che un significante sia rimosso, senza ancora dire nulla di cosa sia la rimozione, che cosa viene detto della rimozione? Una condensazione, una condensazione come per esempio, a una metafora mancano degli elementi che tuttavia sono impliciti, sono presenti perché fanno funzionare la metafora ma non sono detti,,quindi la metafora funziona proprio perché non detti se no non sarebbe una metafora, ma un altro discorso, dunque è questo, è questa la rimozione? Una metafora? Se così fosse qualunque metafora funzionerebbe come un nome, o qualunque nome funzionerebbe come una metafora, ora io posso anche chiamare qualche cosa “rimozione” e dire che funziona come una metafora, ma allora perché non affermo che è una metafora? A questo punto c’è già un significante metafora, perché mettercene un altro? Poi sapete benissimo cosa diceva Freud della rimozione è qualcosa di molto simile in effetti, qualcosa lungo la combinatoria cade, appunto per una serie di motivi, ed è come se non ci fosse più, ma proprio in quanto assente annoda attorno a tale assenza tutta una serie di altri significanti… ricordate benissimo l’esempio che cita sempre Beatrice, quello di Signorelli… un tale che dimentica il nome e dimenticando questo nome costruisce tutta una serie di altri significanti, la quale serie ha potuta essere tale a condizione di quella caduta, di quella rimozione… il discorso l’ho un po’ compattato però… ha convinto e persuaso molti che avvenga effettivamente una cosa del genere, che cosa li ha persuasi? Alcuni esempi che ha fatto Freud riguardo il lapsus, la sbadataggine, il sogno stesso, come dire una serie di eventi non giustificabili razionalmente, e allora io dico che un elemento linguistico ad un certo punto cade e ricompare ad annodare un’altra catena significante, questo può per esempio giustificare il lapsus ed in effetti io dico una parola al posto di un’altra e quella giusta, per così dire, non c’è, c’è quell’altra, quell’altra la quale altra fa partire un’altra catena di significanti… bene ma tutto questo ci dice che per forza funziona così? O ci dice soltanto che è una costruzione, un’ipotesi ma niente più di questo, per giustificare il lapsus o il funzionamento di questa logica dell’inconscio, come sapete Verdiglione parla di logica dell’inconscio, il linguaggio in effetti come una logica particolare a ciascuno, provate voi a provare una cosa del genere, cosa succede? Succede che siete costretti a interrogare queste nozioni, alle quali magari siete anche affezionati… però, ciò non di meno, le interrogate e vi ritrovate di fronte una sorta di spiegazione la quale spiegazione muove da qualche cosa, la quale spiegazione avrebbe dovuto essere preceduta da una captatio benevolentiæ e cioè: supponete che sia così, e allora uno suppone che sia così e allora va avanti come una sorta di gioco ma provate invece a dire no, non esiste nessuna rimozione, né è mai esistita, allora tutto ciò che si è formato da Freud in poi circa la rimozione è assolutamente falso, una presa in giro. Perché dovrebbe essere così? È vero che un elemento manca? Fino qui possiamo anche rilevare ad un certo punto: nel lapsus io non mi ricordo il nome di una certa cosa e me ne viene un’altra, ora come giustificare una cosa del genere? Lo stesso Freud dà buone giustificazioni, per esempio la prossimità tra un elemento che avevo dimenticato, spesso per paronomasie, per associazioni… e qualche altra cosa che costituisce per me una difficoltà, comunque qualcosa di cui non voglio sentire parlare, allora per prossimità ecco che viene eliminata anche quell’altra, ma una cosa del genere può esserci utile oppure no? Prendiamo il lapsus di cui dicevamo prima, questo fenomeno bizzarro, mi dimentico una certa cosa e me ne viene in mente un’altra, innanzi tutto quando io costruisco una giustificazione o una teoria per spiegare un certo fenomeno che cosa faccio esattamente? Tengo conto esattamente delle cause di quel fenomeno oppure faccio altro? Se faccio altro allora posso fare qualunque cosa ma se invece deve rendere conto esattamente delle cause del fenomeno, cioè del fatto del lapsus per esempio, allora occorre che una volta che io ho dato questa risposta, cioè abbia trovato le cause di tale fenomeno, io lo possa anche provare, cosa vuol dire provare qualcosa? Nel sistema che noi stiamo costruendo provare qualcosa è mostrare la sua necessità e cioè che nel caso non si verificasse le cose che noi stiamo affermando, non potremmo né affermare né negare alcunché, solo a questa condizione noi possiamo affermarlo, ora è possibile costruire una definizione di rimozione che sia necessaria e cioè che descriva qualcosa che non può non essere, che sia provabile, quando accade un lapsus per esempio che succede oltre a quanto vi ho descritto? Ho in mente qualcosa e non riesco a ricordarlo, e me ne viene in mente un’altra che so perfettamente non essere quella che io ho dimenticata, c’è qualcosa che può affermarsi di necessario riguardo a questo? Oppure no? Perché alcuni tra coloro che hanno fatto seguito a Freud, parlo di Lacan, Verdiglione, hanno posta la rimozione come qualcosa di strutturale, non come un evento che può accadere oppure no, qualcosa che è strutturale proprio all’atto linguistico, e da qui hanno costruito la loro teoria, che cosa sta funzionando se io mi dimentico di qualcosa? Io posso dire sicuramente che è possibile che questa cosa che ho dimenticata sia connessa con qualche cosa di spiacevole, ma posso affermare con assoluta certezza che non è connessa con qualcosa di piacevole, la quale cosa piacevolissima è una paronomasia per esempio, un’allitterazione che ha evocato quell’altra…

Intervento: Freud la poneva in connessione con qualcosa di piacevole che per la “barriera morale” “la civiltà” deve essere giudicata spiacevole, il capovolgimento degli affetti…

La rimozione? No, nella teoria classica psicanalitica non si rimuove ciò che fa piacere, ciò che dà gioia non interessa, si rimuove qualcosa di sgradevole, e tutta la sua teoria, la sua teoria è costruita su questo, se noi gli leviamo questo non ci sarebbe più nessun motivo per rimuovere alcunché…

Intervento:

non necessariamente, ci sono persone che lamentano esattamente il contrario. Ci troviamo qui di fronte a una situazione che non abbiamo mai affrontata di fatto, e cioè cominciare a occuparci di eventi possibili, contingenti ma non necessari, che accada un lapsus è contingente, può accadere ma non è necessario, e se anche la rimozione fosse qualcosa del genere? Cioè non qualcosa di strutturale, sempre ammesso che manteniamo questo elemento, posso sicuramente, qualcosa di sgradevole, cercare di evitarla, non necessariamente, talvolta la cerco ma c’è un modo di agganciarsi delle cose? Il quale noi possiamo dire che non richiede queste strutture descritte dalla psicanalisi? Come si agganciano gli elementi fra loro? C’è un modo necessario che seguono? Oppure no? Dobbiamo ripercorrere tutto, appaiono talvolta non assolutamente casuali, questo significa che seguono una logica? Per il momento non lo significa ancora, può darsi, però dobbiamo andarci piuttosto cauti, forse, qualche volta, ma sempre? Potrebbe essere arduo rispondere affermativamente, a meno che non intendiamo con logica ciò che abbiamo inteso e cioè un insieme di regole e procedure che fanno funzionare il linguaggio, allora sì, certo, si attengono a un criterio assolutamente logico, se vogliono partecipare del linguaggio, visto che non possono non farlo se sono elementi linguistici si attengono a un criterio logico, rigoroso ma ciò che la psicanalisi tradizionalmente ha inteso dire non è propriamente questo. Ma che ci sia una logica, intesa in questo caso come un senso che pilota una direzione anziché un’altra, torno a dirvi è possibile, per il momento non possiamo dire niente di più, potremo provare che è così? In base a che cosa? Che cosa ci fa dire che è sempre necessariamente così? Se non un’impressione, ci sembra ma il “ci sembra” qui ci serve molto poco, è possibile che noi troviamo un qualche cosa che consenta di affermare in che modo elementi linguistici si connettono tra loro, dopo che abbiamo stabilito che non possono non farlo, lo fanno? e come? Seguendo un criterio? O nel modo assolutamente più causale e imprevedibile. Taluni hanno, più o meno in buona fede, stabilito che questa logica c’è ma è possibile conoscerla soltanto dopo, ma anche in questo caso io posso supporlo che ci sia stata una logica, non lo posso affermare con assoluta certezza, così come nel suo famoso saggio di Lacan “il tempo logico e la certezza anticipata”, soltanto dopo, quando l’altro ha fatto la sua mossa allora so in quale direzione devo andare, come dire che soltanto dopo che un significante ha fatto la sua comparsa nella combinatoria io so che cosa sta accadendo in ciò che dico, che poi se ci pensate bene non è neanche una genialata, ricorda un po’ quello che diceva mia nonna riguardo al senno di poi, ma comunque sia… come si combinano gli elementi linguistici fra loro? Seguono un criterio? Un qualche cosa che potrebbe apparire una legge o no? Assonanze, allitterazione, paronomasie, finora tutto ciò che abbiamo potuto dire con assoluta certezza è che questi elementi si connettono tra loro mossi dalle regole del gioco che si sta facendo in quel momento, questa è l’unica cosa che possiamo dire con assoluta certezza, nient’altro che questo, ma questo ci consente di andare oltre? Forse. Dicendo che gli elementi si connettono tra loro perché vincolati alle regole del gioco che sta facendo in quel momento, noi possiamo anche dire che ciò che è possibile affermare nell’ambito di un certo gioco è limitato da quello che i linguisti chiamerebbero un campo semantico, cioè limitato a tutto ciò che può produrre senso nell’ambito di quel gioco, quindi che si connettono tra loro vincolati a regole di quel gioco e quindi anche alle regole di produzione di senso. Ci sono altri vincoli? O gli altri vincoli immaginati, costruiti dalla psicanalisi sono riconducibili a una cosa del genere? Questa è già una questione. Per esempio il lapsus è riconducibile a una cosa del genere? Se un elemento cade, usiamo questi termini per il momento, questa caduta da che cosa è regolata, regolamentata addirittura, è assolutamente casuale oppure c’è un criterio, segue una legge… Lacan ha fatto quel reticolo, le leggi di surdeterminazione, un giochino con i reticoli, che aveva chiamato reticoli di surdeterminazione, i vari a, b, g, poi il fatto che quella serie si comporti in un certo modo non significa ancora che altre serie si comportino allo stesso modo, la casualità, cioè l’assoluta imprevedibilità che concorderebbe con quanto taluni affermano, l’assoluta non padroneggiabilità del linguaggio, non padroneggiabile anche per questo motivo, perché è assolutamente imprevedibile, dunque assolutamente casuale, dunque non c’è nessuna logica, può avvenire qualunque cosa e il suo contrario, cosa che apparirebbe lontanissima da ciò che invece afferma Freud. Però almeno un criterio sappiamo che c’è: che si sta facendo un gioco e quel gioco è tale perché esistono delle regole che vietano certe mosse, per il momento soltanto questo sappiamo, cioè ci stiamo chiedendo se c’è qualche cosa in più che possiamo affermare con certezza oppure no, se non che qualunque cosa si dica, quello che si dice sì può giocare entro certi limiti che sono quelli stabiliti dal gioco, così come giocando a carte io posso fare infinite cose all’interno delle regole; potremmo giustificare un lapsus utilizzando le regole? Sicuramente sì, ma non è questo il problema, perché ciò che dobbiamo affermare è qualcosa di assolutamente certo, e cioè se c’è un lapsus allora necessariamente c’è questo perché se non fosse allora sarebbe nulla. Può anche darsi che giungeremo a una cosa del genere, forse sì, forse no, Dovremo attribuire anche al significante inconscio qualcosa che ci appare assolutamente necessario che sia mettendolo alla prova? E c’è qualcosa, per esempio nel lapsus, che scompare, perché lo so che non è quella la parola che volevo dire, è un’altra. Cos’è accaduto? In quel momento ciò che io sto dicendo segue a delle regole del gioco oppure no? C’è qualcosa che può non seguire a nessuna regola? Da tutto ciò che abbiamo detto apparirebbe di no, è regolato almeno da regole di esclusione, composizione e regole inferenziale, però non sono esattamente queste le regole di cui adesso sembrava che parlassimo… ci si prospetta un lavoro arduo…

Intervento:

lei dice interferenza di un altro gioco, sì, potrebbe essere, cosa di cui per altro abbiamo parlato tempo fa se vi ricordate, la confusione che fa il cosiddetto nevrotico quando immagina di fare lo stesso gioco ma utilizza regole differenti, oppure il contrario, utilizza la stessa regola per giochi diversi, una bella questione, giungere a ciò che chiamiamo rimozione risulta necessario per questo motivo, poi se la chiamiamo rimozione sono affari nostri. In questo modo ripercorreremo almeno una parte, sicuramente una parte essenziale delle linee psicanalitiche,e  questo ci costringerà a riflettere su che cosa accade esattamente quando si manifestano alcune cose che per noi sono dei fenomeni, come tali abbiamo deciso di chiamare il lapsus etc., costruire una psicanalisi in modo che risulti quello che abbiamo stabilito che sarà, e cioè qualcosa di assolutamente innegabile, e non potrà essere altrimenti che così, dobbiamo ripensare tutto, ripensare tutto cioè tutto ciò che qualunque psicanalisi dà per acquisito, per noi non è acquisito proprio per niente, anzi insinuiamo che potrebbe non essere affatto così ma magari il contrario. Va bene, ci fermiamo qui per il momento… è un progetto ambizioso costruire questa psicanalisi inattaccabile, che può affermare con assoluta certezza ciò che afferma, e che indica in modo inequivocabile qual è l’unico modo di pensare per non essere ingannati, semplicemente per non essere ingenui, per non credere a Cappuccetto Rosso, è qualcosa da cui ero partito originariamente, poi mi sono soffermato e ho preso tempo per cercare qualcosa che fosse più solido di tutte le teorie che avevo considerate.