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13 marzo 2019

 

La struttura originaria di E. Severino

 

Che cosa ci sta dicendo Severino in questo ultimo capitolo che stiamo leggendo? Che un significato è propriamente tutti gli altri significati… in quanto tolti, altrimenti non sarebbe possibile parlare. Se una qualunque parola significasse simultaneamente ogni altra parola, come si farebbe a parlare? Ci sta dicendo, quindi, che ogni volta che parlo questo significato che dico coinvolge una quantità sterminata di atri significati. Cosa trarre da una cosa del genere? Intanto possiamo dire che dicendo una qualunque cosa questa cosa esiste perché, riprendendo i termini di Heidegger, è inserita nel mondo. Quello che Severino chiama il semantema infinito, cioè l’unità dei significati che fanno esistere quel significato immediato, è ciò che Heidegger chiama il mondo, il mondo che io sono: senza questo mondo che io sono nemmeno io sarei. Il che è la stessa cosa che dice Severino: un significato non sarebbe nulla se non fosse preso nel semantema infinito, nell’intero. L’intero, di cui parla Severino, Heidegger lo intende come il mondo. Ogni cosa che dico è debitrice del mondo che io sono, di tutto ciò che sono diventato nel corso degli anni: tutto ciò che sto dicendo non è altro che il “mio” semantema infinito. Per Severino la questione si pone in un modo più specifico, lui ha la necessità, che non ha Heidegger, di porre un qualche cosa, un’affermazione indubbiamente, incontraddittoria. Ci ha spiegato che cosa occorre perché questa affermazione sia incontraddittoria, e cioè occorre che siano presenti tutte le costanti. Se ci riferiamo a un significato, alla totalità dell’immediato – un significato è un tutto immediatamente presente – tutte le costanti, dice lui, sono quelle cose senza le quali quel significato non è quel significato e, quindi, è autocontraddittorio perché se ci fosse, per usare le parole di Severino, una steresi posizionale, cioè la mancanza di qualche posizione, di qualche costante, allora sarebbe come se io dicessi che pongo quel significato, ma di fatto non lo sto ponendo perché quel significato è fatto di tutte quelle costanti. Le costanti, che fanno di quel significato quello che è, sono necessarie; se anche una sola viene a mancare, allora io non sto ponendo quel significato che dico invece di porre. Il che comporta un effetto nel discorso comune, e cioè potremmo dire che nessuno dice quello che in realtà vuole dire, ma dice altro; è come se dicesse delle cose ma propriamente non potrebbe affermare ciò che afferma perché di sicuro non sono presenti tutte le costanti, che per lo più ignora… d’altra parte, non si pone neanche il problema. Severino, per potere ottenere questo suo risultato, che è di trovare quella proposizione che si pone come l’intero incontraddittorio, deve trovare, come dicevamo l’altra volta, un qualche cosa che connetta la totalità dell’immediato, che è poi ciò con cui abbiamo a che fare, con l’intero. Qui sorge un problema, che non è quello che intende Severino, ma un problema di termini, perché lui dice che per potere fare sì che la totalità dell’immediato possa coincidere con l’intero è necessario che tutto ciò che manca alla totalità dell’immediato, cioè l’intero meno la totalità dell’immediato, deve essere presente perché sia l’intero: deve essere il tutto, quindi, quello che determinato più tutto quello che ho tolto per potere determinare questo elemento. Ma si pone un problema. Ripeto, non per Severino, perché a lui sfugge questa cosa. Lui dice: tutto ciò che oltrepassa la totalità dell’immediato non è posto, cioè non è presente, c’è in quanto è tolta ma non è presente. Ora, qui Severino gioca i termini, ma anche noi sappiamo giocare con i termini. Se lui dice che questo oltrepassamento non è posto, cioè non è presente, dovrebbe dirci cosa intende con presente. Cosa vuol dire, che non c’è? Eh, non c’è, però, anche c’è, perché se non ci fosse non ci sarebbe neanche la totalità dell’immediato. Quindi, c’è, ma dice che non è posto. Sarà anche non posto però c’è. E, quindi, si gioca sul termine “posto”, cioè presente. A seconda di come varia il significato di questa parola cambia tutto, perché se con presente, “posto”, intendo, come sembra intendere lui, presente come qualcosa di visibile… Visibile? Ma una parola non è mai visibile. Quindi, come è da intendere questo “essere posto”? Non possiamo nemmeno fare il discorso che facevo prima, cioè che se non ci fosse allora non ci sarebbe neanche questo, perché c’è, è tolto ma c’è. Questo punto non viene articolato da Severino in realtà, punto che rende dubbia quanto meno la sua articolazione intorno alla contraddizione C, che si basa su questo. Tutto si basa su questo termine, e cioè l’oltrepassamento dell’immediato è posto ma non c’è. Tutto questo crea un problema per quella che lui chiama la contraddizione C, che a questo punto scompare. La contraddizione C c’è soltanto se io opero questa differenza tra ciò che c’è e ciò che è posto; questo oltrepassamento c’è ma non è posto, non è lì. Ma non è lì come? L’unico modo per sapere che è lì è il fatto che sto determinando l’immediato; se lo sto determinando è perché c’è il mondo (Heidegger), perché c’è comunque il semantema infinito che mi rende possibile determinare un significato, cioè una cosa qualunque. Tutta l’articolazione che lo fa giungere alla contraddizione C si basa su questo termine “posto”, cioè presente, ma cosa dobbiamo intendere con presente? Torno a dirvi, se vogliamo intendere che c’è, allora dobbiamo dire che “posto” è uguale a c’è, perché di fatto c’è, se non ci fosse non ci sarebbe neanche il significato che ho determinato. Questo è l’aspetto della, possiamo chiamarla così, fragilità dell’elaborazione di Severino. Potrebbe apparire un paradosso perché sembra una costruzione inattaccabile, però quando si gioca con le parole si corre il rischio che anche altri possano giocarci con queste parole, a meno che lui non decida che “posizione”, cioè presenza, abbia quel solo significato che intende lui e che non può in nessun modo essere accostato con il c’è di qualche cosa. Questo è un arbitrio assolutamente personale. Dicevo della fragilità e più avanti ci sarà un’altra situazione analoga a questa, dove usa un altro termine, giocando con questi termini, sui quali poi glissa, nel senso che non si sofferma come fa in altre occasioni in modo preciso. Lì, invece, scivola via, come in questo caso che riguarda il termine “posizione”. È chiaro il discorso, cioè tutto l’oltrepassamento dell’immediato non è posto, però c’è, e quindi tutto si gioca sulla differenza tra questi due termini, l’essere posto e l’esserci – esserci, non nell’accezione heideggeriana ma semplicemente il c’è. Questo non toglie nulla naturalmente all’interesse per la elaborazione di Severino; semplicemente, ci impone una riflessione su quello che sta facendo e su quanto sia difficile costruire la solidità di un’argomentazione non mettendo a tema il linguaggio. Non mette mai a tema il linguaggio ma non fa che parlare di questo, cioè del linguaggio, del suo funzionamento, senza mai metterlo a tema, senza mai problematizzarlo. Non problematizzandolo, il linguaggio non costituisce un problema. Cosa vuol dire? Vuol dire che le parole significano quello che dico io. Se non problematizzo il linguaggio il risultato immediato è questo: le parole significano quello che io voglio o credo che significhino. Detto questo, andiamo a pag. 467. Qui sta riprendendo la questione che abbiamo visto la volta scorsa, e cioè questa contraddizione che sorge quando progetto qualche cosa - il progettare è il supporre, è la supposizione di qualche cosa -, per cui mi trovo di fronte a un’incertezza perché se suppongo non so. Lui distingue il progettare, il supporre, dal categorema, dall’affermazione perentoria, dall’affermazione esistenziale, nel senso logico del termine: esiste una x tale che… Quindi, la compresenza del progetto, della possibilità che questo oltrepassamento, che è sempre presente, dell’immediato, sia qualcosa oppure sia nulla, e che immediatamente fa sorgere una contraddizione. L’altra volta vi citavo il famoso gatto, che è simultaneamente vivo e morto: finché non apro la scatola lui è simultaneamente vivo e anche morto, cioè è in una contraddizione; contraddizione che scompare nel momento in cui apro la scatola, o, per Severino, nel momento in cui inserisco tutte le costanti che rendono questo progetto incontraddittorio, perché so a questo punto decidermi, o una o l’altra; ci sono entrambi ma una è vera e l’altra no; però, l’altra deve esserci comunque, come sempre come negata. L’originario è contraddizione… L’originario è l’intero, l’immediato, ciò che si dice. …anche in quanto esso si realizza come progetto di un’esperienza o immediatezza possibile: progetto che la totalità dell’immediato si determini o individui in modo diverso da quello che le compete di fatto. Io dico qualche cosa e quello che ho detto (l’originario) si trova in contraddizione perché posso sempre progettare, cioè supporre che in questo originario, in ciò che dico, ci sia un qualche cosa che va oltre ciò che volevo dire e che, quindi, non sia più quello che voglio dire. Prima vi dicevo che ciascuno parlando pone delle cose che, di fatto, non potrebbe porre, perché sono autocontraddittorie. Infatti, le determinazioni effettuali della totalità dell’immediato… Le determinazioni effettuali sono le costanti. … valgono o come determinazioni esaustive del significato “totalità dell’immediato”… Le determinazioni esaustive completano il quadro, sono tutte le costanti. …o come determinazioni che consentono una determinazione o individuazione ulteriore di quel significato. O sono tutte le costanti oppure sono tutte le costanti più una. Il progettare assume invece entrambi questi due lati come immediatamente incontraddittori… Perché se io progetto, suppongo, non so ancora quale dei due sarà vero; però, sono posti entrambi: il gatto è vivo è ma anche morto. …e quindi pone quello che dei due lati è un’autocontraddittorietà, come un’incontraddittorietà… Perché li pone entrambi come veri, per il momento sono entrambi veri. Quando Aristotele diceva “Domani ci sarà una battaglia navale oppure non ci sarà una battaglia navale”, quale dei due è vero? Lo sapremo domani, ma adesso, in questo istante, progetto, suppongo che siano veri tutti e due; se uno fosse falso, allora saprei immediatamente qual è la soluzione del dilemma. Se il dilemma permane allora vuol dire che pongo entrambi i due corni del dilemma come veri, ma questo è autocontraddittorio. Ma, in generale, ogni progettare – ogni posizione di problema, ogni domandare – è un essere in contraddizione: appunto perché si conferisce lo stesso valore ai due lati del progetto. b) La posizione di un qualsiasi significato immediatamente presente è un progettare. Ad esempio, la posizione o presenza di questo rosso è insieme progetto che il significato “rosso”, di cui questo rosso è la determinazione effettuale, si determini ulteriormente rispetto a questa effettualità. Come dire, è rosso. Beh, sì, suppongo che è rosso, però c’è l’eventualità che io noti una sfumatura diversa che me lo fa vedere in una maniera diversa. Quindi, è simultaneamente rosso ma anche non rosso. Il progettare appartiene pertanto alla struttura dell’universalità del significato… È chiaro che il progettare, il supporre qualche cosa appartiene all’universalità del significato in quanto non è ancora determinato nulla. L‘universalità del significato presuppone la possibilità di qualunque cosa. …stante che l’universalità è appunto la liberazione del significato dalla sua determinazione effettuale… L’universale, dice, libera il significato dalla sua determinazione effettuale. Questa penna non è un universale, ma l’idea di penna sì. L’idea di penna libera dalla specificità di questa penna. Riscontrare che il significato non è assolutamente assorbito o trattenuto dalla sua individuazione effettuale, e cioè che la negazione di quell’assorbimento non è immediatamente contraddittoria, significa progettare l’orizzonte della totalità delle individuazioni ulteriori del significato, dove questo orizzonte è appunto l’agio o l’ambito in cui il pensiero si distende in quanto nega quell’assoluto assorbimento. In quanto alla struttura dell’universalità appartiene il progettare, l’universalità è dunque anch’essa un essere in contraddizione, nel senso indicato. Sta dicendo che non è vero che il significato di questa penna assorbe tutto il significato universale, perché questa penna rimane questa penna ma non è “la” penna. Quindi, questo orizzonte, che si apre nell’universale, nega questo assoluto assorbimento, cioè del significato universale nel particolare. c) È chiaro dunque che un progetto è immediatamente incontraddittorio nel senso che, dal punto di vista dell’immediatezza, non si è in grado di stabilire l’autocontraddittorietà di nessuno dei due lati del progetto;… E allora, hai appena detto che è contraddittorio, che entrambi i lati sono veri, e adesso invece dici che è incontraddittorio, perché? …per quanto sia appunto questa incapacità di determinazione ciò che fa sì che il progettare sia un trovarsi in contraddizione. Pertanto, l’originario è in contraddizione proprio perché il suo progettare non è immediatamente o originariamente contraddittorio: se la contraddizione del progettare fosse immediatamente posta – se cioè fosse immediatamente posto quale dei due lati del progetto è autocontraddizione –, il problematico sarebbe originariamente tolto nel categorico, e l’originario non si troverebbe, per questo lato, in contraddizione. È incontraddittorio, dice, il progettare in questo senso: che non sia in grado di stabilire l’autocontraddittorietà. Tutto qui. Se non si è in grado di stabilire l’autocontraddittorietà in modo categorico, allora è incontraddittorio. È un altro gioco con le parole. Capitolo 7. Senso della contraddizione originaria. Progettare che l’essere oltrepassi l’esperienza possibile… Questo si può fare. Suppongo che l’essere oltrepassi la mia esperienza sensibile, che è la stessa cosa che diceva prima rispetto all’universale. …è, come si è accertato, uno stare in contraddizione. La contraddizione del progettare può essere tolta togliendo il progettare? Si risponde: no, se questo toglimento significa, semplicemente, porre la totalità dell’immediato (o l’esperienza possibile) senza porre l’altro da questa;… Se pongo l’esperienza possibile senza porre anche l’altro da questa, cioè l’antitesi, cioè senza dire che questo è questo perché non è non questo, allora dice no, non posso togliere la contraddizione. …sì, se il toglimento significa il superamento del momento del progettare nel momento in cui si sia in grado di stabilire quale dei due lati dell’alternativa sia intrinsecamente contraddittorio, onde l’altro lato risulti necessariamente posto. Questo avviene quando io dico che domani ci sarà la battaglia navale oppure no. Quando siamo arrivati a domani, ecco che uno dei due diventa vero e l’altro viene tolto. Deve esserci comunque: se c’è la battaglia navale, allora significa che non, non c’è la battaglia navale. Sembra difficile ma in realtà dice una cosa semplicissima. Si osservi, poi, che la contraddizione originaria… Che è sempre la stessa, quella di far coincidere la totalità dell’immediato con l’intero, perché l’intero oltrepassa la totalità dell’immediato e, quindi, non riesco più a porre tutte le costanti necessarie perché sia incontraddittorio, cioè perché possa dire di porre un qualche cosa e porlo veramente. Si osservi, poi, che la contraddizione originaria … è un tipo particolare della contraddizione C (contraddizione dialettica). Infatti, se in ogni significato è necessariamente incluso, come tolto, l’altro da esso, onde l’altro è una costante del significato, per quanto riguarda il significato originario l’altro da questo è posto problematicamente (ossia è posto sia come essere che come nulla), sì che la costante non è posta, e il significato originario non è ciò che pur intende essere. Qui torniamo al problema di prima, perché ci dice, dopo avere ribadito che in ogni significato necessariamente è incluso, come tolto, l’altro da esso, che questo altro comunque è una costante, cioè deve esserci, però non è posta. Infatti, dice per quanto riguarda il significato originario l’altro da questo è posto problematicamente (ossia è posto sia come essere che come nulla), sì che la costante non è posta, e il significato originario non è ciò che pur intende essere, che però c’è, lo ha appena detto dicendo in ogni significato è necessariamente incluso, come tolto, l’altro da esso. È incluso, quindi, c’è, ma non è posto; non è presente ma c’è. Già questa potrebbe essere intesa come una contraddizione in termini, stavolta. Si osservi inoltre che l‘altro dall’originario è posto problematicamente non in quanto esso è significato formale… Il significato formale è quello senza contenuto, è solo forma. …ma quanto alla determinazione di questa formalità – determinazione che è costante iposintattica di quel significato formale… Le costanti sintattiche sono quelle necessarie mentre quelle iposintattiche possono esserci ma anche no; sono delle varianti che alla fine lui riduce anche queste a delle costanti. Andiamo a pag. 471, Capitolo 8, Appartenenza essenziale del progetto alla struttura originaria. La struttura originaria, cioè il modo in cui l’originario, il dire, accade, appartiene al progetto, appartiene alla supposizione. Se la posizione del piano semantico originario è l’apertura originaria dell’intero, quel piano è essenzialmente, o necessariamente, in quanto immediatezza attuale, relazione problematica all’intero. Se io pongo un significato lo pongo in relazione all’intero, cioè al semantema infinito. Questa relazione rimane problematica, perché non è risolta, non è superata, perché tutte le costanti del significato immediatamente dato non sono tutte le costanti dell’intero, che pure è necessario perché ci sia il significato. In questo senso è problematico, è sempre lo stesso problema, cioè della totalità dell’immediato e dell’intero. Il problema è l’oltrepassamento, che va oltre il dato immediato, va oltre e, quindi, quali costanti devono essere presenti in questo oltrepassamento, se questo oltrepassamento è necessario che ci sia perché ci sia il significato. perché se non ci sono tutte le costanti in questo intero, in questo oltrepassamento, vuol dire che è autocontraddittorio, vuol dire che non lo posso porre, cioè non posso porre l’altro da sé del significato; se non posso porre l’altro da sé del significato, non posso porre neanche il significato. Anche se si ammette che un prolungamento dell’analisi, una più approfondita comprensione dell’immediato sia in grado di togliere – e pertanto di togliere immediatamente – quella problematicità, tuttavia un tale prolungamento dell’analisi resta esso stesso, dal punto di vista della strutturazione attuale dell’immediato, un progetto;… Io vado avanti nell’analisi ma non so dove mi porterà e se avrò a disposizione tutte le costanti di questa cosa. …sì che il piano semantico dell’immediatezza si rapporta all’intero come ciò che può esserne sia l’assoluta determinazione, si auna determinazione parziale. Siamo sempre ai due corni del dilemma, è come la battaglia navale, stessa cosa. Questa relazione problematica all’intero è appunto il progetto che l’essere oltrepassi l’immediato. Se fate attenzione, continua a dire sempre la stessa cosa. E cioè è appunto in quanto l’essere oltrepassa problematicamente… Perché problematicamente? Perché non so se questo oltrepassamento mi mostrerà tutte le costanti. Se non mi mostrerà tutte le costanti, allora sarà contraddittorio; se è contraddittorio, allora non ci sarà nemmeno il significato. …la determinazione immediata dell’essere, che sussiste originariamente la possibilità di una disequazione tra l’intero e l’immediato. Questa non è “la” penna, in senso universale. Andiamo a pag. 473. a) In quanto il progettare appartiene alla struttura dell’originario… Il che significa che ogni volta che dico qualche cosa sto progettando, cioè sto supponendo… sto supponendo che cosa? Di potere dire quello che sto dicendo. Il problema che lui si pone è di vedere se davvero posso affermare quello che affermo, oppure se invece affermo qualcosa che in realtà non posso affermare perché autocontraddittoria, perché non ha tutte le costanti di cui necessita. …la proposizione: “L’originario è l’intero” è immediatamente autocontraddittoria. Perché? Perché questa proposizione appartiene alla struttura originaria. La struttura originaria è un progettare, quindi è autocontraddittoria. Pertanto, se questa frase “L’originario è l’intero” è una proposizione, allora è all’interno del progettare e, quindi, è autocontraddittoria. Ciò significa che l’originario vale L-immediatamente come momento dell’intero. Avrete notato che Severino non parla mai di vero e di falso, ma parla di contraddittorio e di incontraddittorio. Giustamente, in un certo senso, vero e falso sono termini difficili da maneggiare. Ciò significa che l’originario vale L-immediatamente come momento dell’intero. Perché l’originario, ciò che dico, è un momento dell’intero, non può che essere un momento dell’intero. Rispetto all’intero, al tutto, ciò che dico è una frazione, un momento, dice lui. Il che, così semplicemente enunciato, sembra una contraddizione, perché se l’originario è la stessa struttura dell’immediato (logico e fenomenologico), e se la disequazione tra originario e intero è L-immediata, si dovrà dire, da un lato, che tale disequazione appartiene alla struttura dell’immediato – sì che per questo lato non vi sarà nulla che oltrepassi l’immediato –, e insieme si dovrà dire, in forza della posizione stessa della disequazione, che l’intero oltrepassa l’immediato. Questa apparente contraddizione è tolta con l’esplicitazione del senso secondo il quale si afferma che la proposizione “L’originario è l’intero” è immediatamente autocontraddittoria. Che cosa ci sta dicendo qui? Ci sta dicendo che questa proposizione “L’originario è l’intero” è immediatamente autocontraddittoria, ma alla fine risolve questa cosa dicendo Questa apparente contraddizione è tolta con l’esplicitazione del senso secondo il quale si afferma che la proposizione “L’originario è l’intero” è immediatamente autocontraddittoria. Questa affermazione che dice “L’originario è l’intero” è immediatamente autocontraddittoria è incontraddittoria. Questo vi mostra anche il modo in cui pensa Severino. Andiamo a ag. 478. L’originario è, come struttura progettante, contraddizione. Questa contraddizione (che qui può essere ancora considerata nel suo aspetto preminente, cioè come contraddizione del progetto di un positivo oltrepassante l’esperienza possibile) è per sé, o posta, originariamente (=L-immediatamente) Lui intende il per sé hegelianamente, cioè, il per sé come esplicito e l’in sé come l’implicito. Quindi, dice, questa contraddizione è per sé, è posta, sta lì. Ciò significa che la totalità dell’immediato è immediatamente nota come questa contraddizione… Se siamo arrivati fin qui, a questo punto, dovremmo avere ben chiaro che la totalità dell’immediato è qualcosa di contraddittorio, perché, come ci ha detto, è sempre un progettare. …o che la posizione di questa contraddizione appartiene alla strutturazione dell’immediato. Ma proprio perché la contraddizione in parola… In parola, cioè manifesta. …è originariamente manifesta, è originariamente affermato il suo dover essere tolta. Lui ha questa idea: quando c’è una contraddizione, questa va levata. Perché va levata? Perché se non la tolgo allora ciò che affermo è contraddittorio, perché si tiene accanto la sua negazione come non tolta. Quindi, non posso affermare quello che affermo: dico una certa cosa ma, in realtà, non la sto affermando. Ma con ciò la contraddizione è originariamente tolta: la contraddizione è originariamente tolta proprio perché è originariamente (=L-immediatamente) posto il suo dover essere tolta. Questa contraddizione è tolta perché so che deve essere tolta. O anche: quando si dice che è necessario andar oltre il progettare, che è necessario risolverlo, si è con ciò già andati oltre, lo si è già risolto. Si badi: il toglimento della contraddizione consiste precisamente nel riconoscere che la contraddizione originaria deve essere tolta. È appunto perché un siffatto toglimento della contraddizione non contiene altro che quel riconoscimento, è appunto per questo che si deve dire che questo toglimento originario della contraddizione originaria ha un valore semplicemente formale. Io dico che la contraddizione deve essere tolta, però ancora non ho detto come, ma so che deve essere tolta. Già questo sapere che deve essere tolta, già questo, per Severino, è un superamento della contraddizione. Toglimento formale significa sapere che la contraddizione deve essere tolta (=che il problema ha una soluzione), ma senza sapere come deve essere tolta. O il “come” è saputo esso stesso formalmente: nel senso che, se è originariamente noto che il toglimento non può essere dato dalla dimenticanza del progettare … bensì dal risolvimento del progettare, o dall’oltrepassamento del momento problematico, d’altra parte non è originariamente nota la determinazione dell’oltrepassamento: se questa consista nel porre la nullità o la positività dell’orizzonte in cui l’essere si libera originariamente. Cioè, se questo oltrepassamento porta l’essere oppure il nulla. In entrambi i casi sarà sempre qualche cosa, ma questo oltrepassamento è ciò che mi dirà se domani ci sarà oppure no una battaglia navale. Se io so che la battaglia navale ci sarà oppure non ci sarà, già questo sapere che uno dei due domani dovrà essere tolto, già questo, per Severino, è un oltrepassamento del problematico, perché che questo mio dilemma domani sarà risolto.